sabato 31 gennaio 2009

Alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica


tratto da:




circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica


La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”. La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche.

(...)

La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici. Del resto lo spessore culturale raggiunto e la matura esperienza di impegno politico che i cattolici in diversi paesi hanno saputo sviluppare, specialmente nei decenni posteriori alla seconda guerra mondiale, non possono porli in alcun complesso di inferiorità nei confronti di altre proposte che la storia recente ha mostrato deboli o radicalmente fallimentari. È insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta.
La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l’uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli. Sotto questo aspetto sono da respingere quelle posizioni politiche e quei comportamenti che si ispirano a una visione utopistica la quale, capovolgendo la tradizione della fede biblica in una specie di profetismo senza Dio, strumentalizza il messaggio religioso, indirizzando la coscienza verso una speranza solo terrena che annulla o ridimensiona la tensione cristiana verso la vita eterna.
Nello stesso tempo, la Chiesa insegna che non esiste autentica libertà senza la verità. «Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono», ha scritto Giovanni Paolo II. In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca di raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi alla tutela del bene della persona e della società intera.
8. A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre oggi viene percepita o formulata esattamente nell’opinione pubblica corrente: il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali umani. In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che «il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell’adesione ad essa». L’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice quindi affatto la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica, anzi con essa è pienamente coerente.

V. Conclusione


9. Gli orientamenti contenuti nella presenta Nota intendono illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di vita del cristiano: la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura, richiamata dal Concilio Vaticano II. Esso esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno». Siano desiderosi i fedeli «di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio.


Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell’Udienza del 21 novembre 2002 ha approvato la presente Nota, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 novembre 2002, Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo.

X JOSEPH CARD. RATZINGER

Prefetto

mercoledì 28 gennaio 2009

28 Gennaio - San Tommaso d'Aquino




Sacerdote e dottore della Chiesa



Tommaso d'Aquino, santo e dottore della Chiesa. (Roccasecca 1224 - Fossanova 1274). Filosofo e teologo, da molti ritenuto il maggior pensatore cattolico ("Doctor Communis"). Figlio del conte Landolfo d'Aquino, dopo aver ricevuto la prima educazione a Montecassino, studiò a Napoli. Affascinato dal nuovo Ordine dei domenicani a Napoli, volle entrarvi contro il parere dei parenti, che lo volevano monaco (con la prospettiva, più che probabile, di raggiungere la prestigiosa funzione di abate di Montecassino), e fu da quelli angariato in molti modi (al punto che tentarono di farlo "cadere" cercandogli una donnina di facili costumi). Ma Tommaso non cedette e si mantenne fermo nella sua decisione.


Studiò teologia alla scuola di Alberto Magno a Colonia e a Parigi (1245-1252). Lì seguì il corso di studi di filosofia e teologia, divenendo prima baccalaureus (bacceliere) biblicus (1252/4) e sententiarius (1254/6), e poi (nel 1256) Magister.


Pur essendo di grandissima dottrina e intelligenza, il suo animo si mantenne umile, per la sua viva fede. Guglielmo di Tocco potè scrivere nella sua biografia:


Tommaso sentiva bassamente di sé, era puro di corpo e d'anima, fervoroso nella preghiera, risoluto nel consiglio, riboccante d'amore, di mente serena, di spirito forte, previdente nel giudicare, dotato di tenace memoria, libero da ogni sensualità, tenne a vile qualunque cosa terrena.

Spesso durante la Messa si commuoveva fino alle lacrime. E quando passava a piedi per i campi, i contadini meravigliati dalla sua imponenza si voltavano verso di lui. Amante della verità sopra ogni cosa, consacrava tutto il suo tempo alla riflessione. Cosicché anche durante i pasti egli continuava a pensare, e i suoi confratelli potevano cambiagli le pietanze nel piatto senza che egli se ne accorgesse. Stimava talmente il valore della sincerità che, giovane, non si sottrasse all'invito di alcuni suoi confratelli burloni, che gli dicevano: "Tommaso, vieni a vedere un bue che vola!" Taciturno, era chiamato dai suoi condiscepoli "Bue muto", "il gran bue muto di Sicilia" (così i confratelli tedeschi, per i quali tutta l'Italia era Sicilia): ma Alberto Magno, suo maestro e che ben lo conosceva, li ammoniva quando muggirà, farà tremare il mondo!


La sua vita si svolse soprattutto nello studio e nell'insegnamento, all'Università di Parigi (1256/9), poi presso lo studium curiae, legato alla Curia pontificia (1259/68), e poi ancora a Parigi (1268/72), presso la cattedra che la Sede Apostolica aveva riservato all'Ordine dei Predicatori. Infine insegnò allo Studium generale dei domenicani a Napoli (1272/4). Morì ospite di un'abbazia cistercense, mentre si recava al concilio di Lione.


Negli ultimi tempi della sua vita, a chi gli chiedeva insistentemente indicazioni concettuali su come completare la Summa Theologiae, Tommaso disse queste parole, che testimoniano la sua grande umiltà e il vivo senso della sproporzione tra l'attuale conoscenza intellettuale di Dio e l'incontro con Lui nella vita che speriamo: mihi videtur ut palea (mi sembra paglia). Alle soglie del grande Incontro faccia a faccia tutto quello che aveva scritto (su Dio) gli sembrava paglia, cioè poca cosa: stava per vedere, in modo pieno e totale, Ciò di cui aveva parlato in modo comunque approssimativo. Così, anche nella sua vita, testimoniò come la fede, caparra della visione (beatifica) conta più della ragione.


Il suo corpo, come non era infrequente, venne presto bollito per favorirne una migliore conservazione.


Giovanni XXII lo dichiarò santo nel 1323 (tot miracula fecit, quot articula scripsit); Pio X proclamò “Dottore della Chiesa”, raccomandandone lo studio come autore particolarmente affidabile.

(fonte: culturanuova)

Pange lingua
di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)

Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.

In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.

Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.

Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.

Amen.


“Pange lingua” (Traduzione italiana)

Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.

Amen.

(fonte: Santi e Beati)

domenica 25 gennaio 2009

La svolta di OBAMA - ora mostra le sue vere intenzioni!


«È l'arroganza di chi si crede nel giusto»

L'arcivescovo Fisichella: «Se proibisce la tortura non dica no alla vita nascente»

L'arcivescovo Fisichella
L'arcivescovo Fisichella
CITTÀ DEL VATICANO — «Apriamo gli occhi, mi sembra ci sia in giro molta polvere di stelle. Sa cos'è?».
No, eccellenza, cos'è?
«Succede quando ci sono tanti problemi urgenti, seri, e insieme delle difficoltà oggettive, mancanza di risorse eccetera. Allora si vanno a prendere altre cose che luccicano e soddisfano forse chi vive di ideologia. Solo che in concreto non portano ad alcun risultato, se non a nascondere i problemi veri». L'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita nonché rettore della Lateranense, considera preoccupato e un po' desolato i primi passi di Obama in tema di aborto. «L'essenziale è saper ascoltare tutte le istanze del Paese, senza rinchiudersi in visioni ideologiche con l'arroganza di chi, avendo il potere, pensa di poter decidere della vita e della morte».

Il presidente Obama ha abolito la legge che vietava di finanziare le organizzazioni internazionali che sostengono, per la pianificazione familiare, anche l'aborto...
«Come dice il proverbio: chi ben comincia è alla metà dell'opera... Se questo è uno dei primi atti del presidente Obama mi sento di dire, con tutto il rispetto possibile, che il passo verso la delusione è assai breve. Anche perché, quando ci si erge giustamente a paladini della dignità della persona, ci si aspetta che tale diritto sia esteso a tutti, senza discriminazioni né contraddizioni profonde».

Parla della chiusura di Guantanamo e del no alle torture?
«Appunto. Nel momento in cui si vuol fare chiarezza su questo — e ripeto: giustamente —, ci si aspetta che tale preoccupazione possa riguardare anche la vita nascente. Il mondo di oggi è più piccolo di quello che crediamo e i temi etici suscitano grande incertezza e magari gravi conflitti nella popolazione. Per questo vanno affrontati con grande prudenza e non con l'arroganza di chi si crede nel giusto, apponendo la firma a un decreto che di fatto è un'ulteriore apertura all'aborto e quindi alla distruzione di esseri umani».

Barack Obama è per il diritto di scelta ma ha invitato a trovare un «punto d'incontro» e «prevenire le gravidanze non volute, ridurre il ricorso all'aborto »...
«Guardi, sulle questioni etiche non si può giocare con le parole. Dal presidente di un Paese qualsiasi all'ultimo dei parlamentari, andrebbero evitate visioni strabiche, lo scarto tra ciò che soggettivamente uno pensa e ciò che oggettivamente fa. "Sono personalmente contrario all'aborto, però...". Mi sembra che nascondersi dietro i sofismi non sia degno di chi ha delle responsabilità verso i cittadini. La gente vuole chiarezza».

Tra l'altro, torneranno i finanziamenti federali alla ricerca sulle staminali embrionali.
«La mia prima impressione, se lo facesse, sarebbe di un cedimento alla pressione delle grandi multinazionali del settore. In tutto il mondo gli scienziati spiegano che la ricerca sulle staminali adulte funziona mentre quella sulle embrionali non va da nessuna parte. Addirittura, in alcuni settori, gli interventi sulle cellule a livello genetico stanno superando la necessità di lavorare sulle staminali adulte. Insistere sulle embrionali significherebbe imboccare un vicolo cieco indicato dall'ideologia e non da una valutazione scientifica. No, il problema non è scientifico, è ideologico. Ed economico».

La maggioranza dei cattolici ha votato Obama, però.

«Non credo che chi lo ha votato abbia preso in considerazione i temi etici, anche perché vengono astutamente lasciati fuori dal dibattito elettorale. Certo non penso che queste scelte gli porteranno consenso. Il popolo per la vita nasce cattolico ma oggi abbraccia una moltitudine di persone. La maggior parte della popolazione americana non è sulle posizioni del presidente e del suo staff. Dai tempi di Tocqueville sappiamo bene che il popolo americano, e in particolare i cattolici, ha un forte senso civile, di appartenenza e lealtà alle istituzioni, ma con altrettanta forza sostiene la propria libertà di critica e il senso della giustizia e della vita».

«L'Osservatore Romano» scriveva che questo dell'aborto è «uno dei nodi attraverso i quali si qualificheranno i rapporti tra l'amministrazione Usa e le confessioni cristiane del Paese». E adesso?
«Giovedì, a Washington, duecentomila persone hanno marciato a favore della vita. Se la risposta del presidente è di estendere il diritto all'aborto, la profonda contraddizione di cui parlavo prima, con tutta la buona volontà non riesco a capire cosa di nuovo possa proporre. Ma staremo a vedere».

Fino a che punto questa faccenda complicherà i rapporti tra Usa e Vaticano? Benedetto XVI, nel suo telegramma di auguri al presidente Usa, ricordava i diritti di «chi non ha voce» ma anche «i poveri», gli «emarginati», parlava della pace tra le nazioni...
«La Santa Sede, è evidente, coinvolge la conferenza episcopale del Paese. In primo piano ci sono i vescovi statunitensi, ai quali voglio dare la mia più totale solidarietà: sono chiamati a dare ancora più forza alla loro testimonianza su tutto ciò che riguarda la dignità della persona, quindi non solo i temi bioetici ma anche la povertà, la crisi economica...».

Ma con Obama?
«Chiunque abbia delle responsabilità, quando inizia un cammino, dev'essere capace di valutare non solo le esigenze del proprio Paese ma anche le conseguenze che ne derivano altrove. Quanto avviene negli Usa ricade in altre parti del mondo. Per questo si dev'essere capaci di ascolto, di umiltà, e magari di chiedere aiuto agli altri».

Gian Guido Vecchi
24 gennaio 2009

(fonte: Corriere della Sera )

sabato 24 gennaio 2009

San Francesco di Sales - Vescovo e Dottore della Chiesa


DALLA “INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA”

Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11).
Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

(continua:
Filotea - Introduzione alla Vita Devota)




giovedì 22 gennaio 2009

Revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani


Secondo il vaticanista Tornielli il Papa avrebbe già firmato la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani presa nel 1988. Il cammino di riavvicinamento era stato iniziato da Giovanni Paolo II.

di Andrea Tornielli



Roma - Benedetto XVI ha deciso di revocare la scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre nel 1988. Il decreto, che il pontefice ha già firmato, sarà pubblicato entro la fine della settimana. Il superiore della Fraternità San Pio X, Bernard Fellay, e gli altri tre vescovi, Alfonso de Gallareta, Tissier de Mallerais e Richard Williamson non saranno dunque più scomunicati.

La decisione di Papa Ratzinger è maturata negli ultimi mesi, in seguito alla lettera con la quale monsignore Fellay aveva chiesto la revoca del provvedimento comminato da Giovanni Paolo II nel 1988, dopo che l’arcivescovo Marcel Lefebvre, rifiutando in extremis un accordo già siglato con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, consacrò vescovi quattro giovani sacerdoti del clero della Fraternità. Un atto scismatico, perché quelle consacrazioni non erano legittimate dal pontefice, giustificato invece da Lefebvre per ragioni di sopravvivenza della sua comunità tradizionalista. Una comunità che non aveva accettato la riforma liturgica post conciliare né alcuni decreti del Vaticano II, peraltro firmati dallo stesso Lefebvre, come nel caso di quello sulla libertà religiosa. Scomunicati, ventun anni fa, furono lo stesso Lefebvre, l’anziano vescovo brasiliano Antonio de Castro Mayer, che partecipò alla consacrazione avvenuta in Svizzera (entrambi da tempo scomparsi), e i quattro neovescovi. Il cammino di riavvicinamento, iniziato con Papa Wojtyla dopo che i lefebvriani guidarono un pellegrinaggio a Roma per il Giubileo del 2000, è continuato con alti e bassi. Ma ha subito un’accelerazione dopo l’elezione di Ratzinger. La Fraternità ha chiesto al pontefice di liberalizzare la messa antica per tutta la Chiesa. E questo Benedetto XVI ha fatto, con il motu proprio «Summorum Pontificum», pensando non tanto e non solo ai lefebvriani, ma soprattutto a quei tradizionalisti rimasti nella piena comunione con Roma ma spesso penalizzati o guardati con sospetto perché rimasti legati alla liturgia preconciliare. Poi è stata chiesta la revoca della scomunica - che, va precisato, ha riguardato soltanto i vescovi, non i cinquecento preti della Fraternità né tantomeno i fedeli che ne seguono le celebrazioni - e richiedendola, Fellay ha voluto manifestare l’attaccamento al Papa e la volontà della piena comunione. I lefebvriani hanno anche compiuto di recente un pellegrinaggio a Lourdes, dove i quattro vescovi hanno lanciato l’iniziativa di far recitare ai fedeli un milione e settecentomila rosari per chiedere alla Madonna che la scomunica fosse tolta.

Il decreto che sarà reso noto nelle prossime ore non significa di per sé la soluzione del problema lefebvriano, ma rappresenta un passo importante. Il prossimo passò sarà un accordo che dia alla Fraternità San Pio X uno status giuridico nella Chiesa cattolica. La decisione di revocare la scomunica è un atto di grande magnanimità di Benedetto XVI, che va nella linea di sanare fratture e divisioni nel corpo ecclesiale e di riaccogliere nella piena comunione oltre ai vescovi, anche i sacerdoti e i fedeli. Nel giugno scorso il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia commissione «Ecclesia Dei», aveva posto a monsignor Fellay condizioni per proseguire il dialogo con la Fraternità, chiedendo ai lefebvriani «l’impegno a una risposta proporzionata alla generosità del Papa», a «evitare ogni intervento pubblico che non rispetti la persona del Santo Padre e che possa essere negativo per la carità ecclesiale», a «evitare la pretesa di un magistero superiore» a quello del Papa, e di «non proporre la Fraternità in contrapposizione alla Chiesa». Infine, l’impegno «a dimostrare la volontà di agire onestamente nella piena carità ecclesiale e nel rispetto dell’autorità del Vicario di Cristo».


Fonte Il Giornale © SOCIETÀ EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

martedì 20 gennaio 2009

Obama «sceglie» un vescovo episcopaliano gay

Gene Robinson, vescovo della chiesa episcopaliana.


È polemica per la decisione di affidare all’anglicano Robinson il via alle celebrazioni
Un vescovo della chiesa episcopaliana [ndr. il ramo statunitense della Chiesa anglicana], apertamente omosessuale, sulla scalinata del Lincoln Memorial a Washington: il reverendo Gene Robinson, la cui ordinazione cinque anni fa spinse la Chiesa anglicana verso lo scisma, pronuncerà la preghiera che domenica prossima [ndr. il 18 gennaio], alla presenza di Barack Obama, darà il via ai festeggiamenti dell’insediamento. Sessantadue anni, divorziato, padre di due figlie e due volte nonno, Robinson fu consacrato tra forti polemiche nel 2003 vescovo del New Hampshire e l’anno scorso ha celebrato l’unione civile con Mark Andrews, l’uomo che da 19 anni è il suo compagno di vita.
La campagna di Obama ha smentito che l’incarico affidato al vescovo apertamente omosessuale sia una risposta alle polemiche suscitate per la scelta di Rick Warren, un pastore evangelico che ha paragonato i matrimoni omosessuali «alle nozze incestuose tra fratello e sorella», per la benedizione del giuramento il 20 gennaio. «Robinson era nei programmi prima che arrivassero le critiche su Warren», ha detto una fonte vicina a Obama. È stato lo stesso vescovo a annunciare l’invito in una e-mail agli amici: «È importante che ogni minoranza si senta rappresentata: che sia etnica, razziale o nel nostro caso, sessuale», ha poi aggiunto in una intervista al Concord Monitor, un giornale del New Hampshire. La decisione di avere Robinson nei programma delle cerimonie «rafforza il nostro impegno per un insediamento il più possibile aperto a tutti», ha detto al quotidiano online The Politico un funzionario della Transizione. «È un gesto di dialogo per unire l’America», aveva proclamato lo stesso presidente eletto in una conferenza stampa a metà dicembre a Chicago.
Lo stesso impegno al dialogo ha indotto Obama ad un altro gesto di apertura e integrazione: il 21 gennaio sarà una donna prete, la reverendo Sharon Watkins, a pronunciare la predica del National Prayer Service, il tradizionale appuntamento interconfessionale che chiude il calendario dell’insediamento. La Watkins è la presidente di una piccola chiesa protestante, la Disciples of Christ, che raccoglie 700mila fedeli: è la prima volta nella storia americana che a una donna viene affidato il sermone del National Prayer Service in programma nel primo giorno della nuova presidenza nella Cattedrale Nazionale di Washington.

Avvenire 13 gennaio 2009

venerdì 16 gennaio 2009

Risposte del Cardinale Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” a certi quesiti



Dal momento che alla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” sono giunte frequenti domande sulle ragioni del Motu Proprio “Summorum Pontificum”, delle quali alcune si fondano sulle prescrizioni del Documento “Quattuor abhinc annos” inviato dalla Congregazione per il Culto Divino ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, il 3 ottobre 1984, il Presidente della stessa Commissione, l’Em.mo Card. Dario Castrillon Hoyos ha ritenuto opportuno dare le seguenti risposte:

Domanda: è lecito riferirsi alla Lettera “Quattuor abhinc annos”, per regolare le questioni attinenti alla celebrazione della Forma straordinaria del Rito Romano, cioè secondo il Messale Romano del 1962?

Risposta: evidentemente no. Poiché, con la pubblicazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum” vengono a decadere le prescrizioni per l’uso del Messale del 1962, precedentemente emanate dalla “Quattuor abhinc annos” e, successivamente, dal Motu Proprio del Servo di Dio Giovanni Paolo II “Ecclesia Dei Adflicta”.

Infatti, lo stesso “Summorum Pontificum”, fin dall’art. 1, afferma esplicitamente che: “le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei” vengono sostituite”. Il Motu Proprio enumera le nuove condizioni.

Quindi non ci si potrà più riferire alle restrizioni stabilite da quei due Documenti, per la celebrazione secondo il Messale del 1962.

Domanda: Quali sono le sostanziali differenze tra l’ultimo Motu Proprio e i due precedenti Documenti attinenti a questa materia?

Risposta: La prima sostanziale differenza è certamente quella che ora è lecito celebrare la Santa Messa secondo il Rito straordinario, senza più il bisogno di un permesso speciale, chiamato “indulto”. Il Santo Padre Benedetto XVI, ha stabilito, una volta per tutte, che il Rito Romano consta di due Forme, alle quali ha voluto dare il nome di “Forma Ordinaria” (la celebrazione del Novus Ordo, secondo il Messale di Paolo VI del 1970) e “Forma Straordinaria” (la celebrazione del Rito gregoriano, secondo il Messale del B. Giovanni XXIII del 1962) e ha confermato che questo Messale del 1962 non è mai stato abrogato. Altra differenza è che nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare l’uno o l’altro Messale (art. 2). Inoltre, nelle Messe senza il popolo o con il popolo, spetta al parroco o al rettore della chiesa, dove si intende celebrare, a dare la licenza a tutti quei sacerdoti che presentano il “Celebret” dato dal proprio Ordinario. Se questi negassero il permesso, il Vescovo, a norma del Motu Proprio, deve provvedere a che sia concesso il permesso (cfr. art. 7).

E’ importante sapere che già una Commissione Cardinalizia “ad hoc”, del 12 dicembre 1986, formata dagli Em.mi Cardinali: Paul Augustin Mayer, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Joseph Ratzinger, William W. Baum, Edouard Gagnon, Alfons Stickler, Antonio Innocenti, era stata creata “per volontà del Santo Padre, allo scopo di esaminare gli eventuali provvedimenti da prendere per ovviare alla constatata inefficacia dell’Indulto Pontificio “Quattuor abhinc annos”( circa il ripristino della cosiddetta ‘S. Messa Tridentina’ nella Chiesa Latina col Messale Romano dell’Edizione tipica del 1962), emanato dalla Congregazione per il Culto Divino con Prot. N. 686/84 del 3 Ottobre 1984”. Questa Commissione aveva proposto al Santo Padre Giovanni Paolo II, già allora, a tale scopo, alcuni sostanziali elementi, che sono stati ripresi nel Motu Proprio “Summorum Pontificum”.

Mi permetto di fare una sintesi del verbale che presenta gli interventi degli Em.mi Cardinali per capire come i Documenti posteriori rispecchiano sostanzialmente la visione che una Commissione cardinalizia così importante ha avuto poco tempo dopo “Quattuor abhinc annos”. Infatti si è affermato che:

“premura, desiderio e mente del Santo Padre (Giovanni Paolo II) era la promozione della concordia interna nella Chiesa e l'edificazione, per essa, dei fratelli”;

- “ciò andava realizzato anche attraverso la primaria ricomposizione della comunione nella pratica della "lex orandi", qual è la sana attuazione della riforma liturgica, pur nel doveroso rispetto delle legittime esigenze di gruppi minoritari ma, spesso, distinti non solo per piena ortodossia teorica ma anche per autentica esemplarità di pratica di vita cristiana intensamente vissuta e di sincero e devoto attaccamento alla Sede Apostolica”;

- “pertanto, doveva essere impegno di coscienza da parte di tutti: Vescovi, sacerdoti e fedeli, di rimuovere gli arbìtri scandalosi che una mal compresa "creatività" ha prodotto, dando luogo alle cosiddette "Messe selvagge" e ad altre dissacrazioni che hanno ferito molti dei predetti fedeli alienandoli dalla facilità d'accoglimento della riforma liturgica e dei nuovi Libri Rituali, compreso il Messale, erroneamente apparsi, purtroppo, e, proprio per tale inedificante desacralizzazione, quasi come causa di essa”.

Nella stessa Commissione si proponeva che:

“venisse ribadito, da parte del Dicastero competente, che il Papa voleva la pacificazione interna tra tutti i fedeli delle Chiese locali mediante l'attuazione concreta della concessione da Lui fatta con l'Indulto”;

“venisse eseguita, da parte dei Vescovi, la volontà del Sommo Pontefice ponendosi spiritualmente in sintonia con le Sue intenzioni”.

“venisse data risposta adeguata, da parte dei Vescovi, a coloro che volessero scoraggiare l'attuazione dell'Indulto, presentandolo come motivo di divisione anziché di ricomposizione. La risposta doveva essere non polemica ma pastorale, spiegando, con delicatezza e pazienza, la lettera e lo spirito dell'Indulto”.

Inoltre si affermava con autorità che:

“il vero problema in questione non sembrava essere tanto la conflittualità artificiale che l'Indulto intendeva risolvere, quanto piuttosto quella che era a monte di essa e che ne era stata la vera causa e, cioè, la conflittualità tra la retta attuazione della riforma liturgica ed il tollerato abusivismo prodotto dalla incontrollata fantasia. Quindi, oltre l'Indulto, si richiedeva un intervento di ben altro livello generale da parte della Santa Sede per eliminare il predetto abusivismo deformatore della riforma liturgica conciliare”;

“l'Indulto, così come si presentava, per un verso, dava l'impressione che la Messa in latino, cosiddetta "Tridentina", fosse una realtà inferiore e di second'ordine, la quale veniva ripristinata solo per tollerante commiserazione di chi la richiedeva e, per altro, dava l'impressione, proprio con tutte le pesanti condizioni che conteneva, che la stessa Santa Sede la considerava tale e che non l'avrebbe concessa se non fosse stata costretta a farlo”;

“occorreva ribadire e chiarire ai Vescovi la vera volontà del Santo Padre, la quale consisteva, non negativamente, in una concessione di tolleranza, ma, positivamente, in una vera e propria iniziativa pastorale presa non per quietare la reazione agli abusi, ma per ricomporre il dissidio in riconciliazione”.

“bisognava togliere tutte le condizioni contenute nell'Indulto, per elimi­nare l'impressione avuta dai Vescovi che la Santa Sede non lo voleva e l'impressione da parte dei fedeli, che chiedessero una cosa quasi mal tollerata dalla Santa Sede”.

Negli interventi degli Em.mi Presuli emergeva che:

“si era favorevoli alla concessione dell'Indul­to a tutti i fedeli e sacerdoti che intendessero servirsene "in aedificationem" e senza strumentalizzazione anticonciliare”;

“occorreva fare capire ai Vescovi che l'Indulto corrispondeva ad una volontà del Papa da osservare e occorreva di far capire ai fedeli che dovevano chiedere con rispetto l'attuazione della volontà del Papa, cosicché i Vescovi, di fronte a richieste rispettose, non avessero più motivo di rifiutarsi”.

“bisognerebbe domandarsi se per favorire la riconciliazione, era proprio necessario chiedere il consenso del Vescovo per celebrare la S. Messa in latino”;

“come atteggiamento generale sarebbe da attenuare la rigorosi­tà delle condizioni limitative dell'Indulto stesso e di eliminare quelle aggiuntive dei Vescovi”;

“per quanto riguardava la riserva ai Gruppi, poiché l'Indulto fu concepito per essi, bisognava mantenerla, ma iuxta modum, e, cioè, per un verso non intendendo per Gruppi tre o quattro persone e, per l'altro non proibendo che ai Gruppi che hanno preso l'iniziativa, possano, poi, aggiungersi altre persone nella pratica della concessione ottenuta”.

Nella stessa Commissione si faceva presente che:

“non c’era difficoltà per consentire le letture in lingua volgare”;

“quanto all'uso facoltativo del Lezionario, c’era qualche riserva, temendo qualche confusione a causa della non perfetta corrispondenza di esso ai calendari dei due Messali, mentre non si vedeva nessuna difficoltà per consentire l'uso dei Prefazi del nuovo Messale”.

“sarebbero da togliere le condizioni aggiunte dai Ve­scovi ed anche quelle relative alle chiese non parrocchiali ed ai gruppi contenute nell'Indulto”.

“premesso che il latino, come espressione di unità non può e non deve scomparire dalla Chiesa, e desiderando i Vescovi più di essere "aiutati" che di essere troppo "rispettati" nelle loro prerogative, occorreva venire loro incontro riducendo la complessa casistica condizionante dell'Indulto a criteri di maggio­re semplicità; si poteva così anche eliminare l'impressione che, con quelle condizioni, la S. Sede volesse far capire di aver concesso l'Indulto solo "obtorto collo”. Inoltre, nel far questo, si poteva evi­denziare la coerenza evolutiva anche dei provvedimenti pontifici correttivi ovviando a loro contraddittorie contrapposizioni”.

Citando quindi il n. 23 della "Sacrosanctum Concilium" “a proposito dei criteri che devono essere osservati nella conciliazione tra tradizione e progresso nella riforma liturgica, ed il n. 26 dello stesso documento conciliare, a proposito delle norme che devono pre­siedere a tale riforma, come derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria della liturgia, si proponeva di insistere, nell'eventuale documento di revisione del­l'Indulto, sull'oggettività e non sull'arbitrarietà della attuazio­ne della riforma liturgica; ugualmente di far capire come, sia l'uso della lingua latina e sia quello dell'una o dell'altra edizione del Messale Romano, vada con­siderato nell'ambito di tale logica; di concedere, almeno nelle grandi città, che nei giorni festivi si possa celebrare in ogni chiesa una s. Messa in latino con libera scelta dell’una o dell’altra edizione tipica (1962 o 1980) del Messale Romano”.

- “si è proposto, altresì, di allargare la concessione dell’Indulto anche agli Ordinari, ai Superiori Generali o Provinciali religiosi ed altri”.

- “circa la necessità o meno dell’assenso del Vescovo per la celebrazione della S. Messa in latino, è stato ricordato che Paolo VI ebbe a dire che, per se, il Sacerdote, privatamente, dovrebbe celebrare in latino, in quanto la concessione fatta per l'uso delle lingue volgari è soltanto di ordine pastorale, per consentire ai fedeli di comprendere i contenuti del rito e, così, partecipare meglio”.

- “si è ribadita la necessità di lasciare libera l'opzione dell'uso dell'uno o dell'altro Messale per la celebrazione della S. Messa in latino”.

- “circa il tipo d'intervento si opterebbe per un nuovo documento pontificio (Papale) in cui, facendosi il punto sull'attuale reale situazione della riforma liturgica, si stabilisse chiaramente la citata libertà di scelta fra i due Messali in latino, presentando l'uno come sviluppo e non come contrapposizione dell'altro ed eliminando l'impressione che ogni Messale sia il prodotto temporaneo di ciascuna epoca storica”.

- “riferendosi alle precedenti premure espresse, si è ribadita la necessità di assicurare l'evidenza della logica linearità evolutiva dei documenti della Chiesa e della libera opzione tra i due Messali per la celebrazione della S. Messa e si è proposto di evidenziare che essi non possono essere considerati se non l'uno come sviluppo dell'altro giacché le norme liturgiche, non essendo delle vere e proprie "leggi", non possono essere abrogate ma surrogate: le precedenti nelle

Di tutto questo si è fatta relazione al Santo Padre.


(fonte:http://www.ecclesiadei-pontcommissio.org/)


martedì 13 gennaio 2009

I frutti di Medjugorje


“ Dai frutti li riconoscerete e l’albero buono produce sempre ottimi frutti. Quelli di Medjugorie, dove per altro io sono stato, ne produce abbondanti e dolci, come sacramenti e conversioni. Magari se abbiamo qualche dubbio sulla validità dell’albero, cerchiamo di essere realisti e assaporare la bontà dei suoi frutti”: il professor Luigi Gambero, sacerdote, esperto in teologia mariana al Marianum di Roma e all’Università di Dayton non ha dubbi e, in un certo senso, difende Medjugorie. “La Chiesa dal canto suo fa bene ad essere prudente, le specifico che io non sono un esperto in apparizioni mariane, ma la Chiesa, in ogni momento della sua lunga e gloriosa storia, ha manifestato saggia prudenza verso ogni forma di apparizione mariana, accadde così anche a Lourdes e Fatima, non vedo per quale ragione a Medjugorie debba essere diverso”.

Qualcuno è arrivato persino a parlare di possibile inganno satanico di Medjugorie: ...

... “ mi permetta di dissentire. Dunque se così fosse, vorrebbe dire che Satana è stupido e mi risulta tutto il contrario. Satana, secondo questa tesi ,lavorerebbe contro sé stesso? Mi sembra strano. Al Demonio sacramenti e conversioni fanno male e non penso che il Gran Tentatore ci provi gusto. Quindi la tesi dell’inganno satanico mi sembra certamente poco credibile ed anche forse prevenuta”.

Resta il fatto, innegabile, che quei veggenti parlano un poco troppo, non trova?:

“ forse è vero. Ma io sono stato a Medjugorie, li ho conosciuti personalmente e se parlano qualche volte in eccesso, lo si deve al fatto che noi spesso andiamo a stuzzicarli e dico anche a scocciarli. E loro dimostrano sempre troppa pazienza, al punto da passare per chiacchieroni o visionari. Insomma ritornando a Medjugorie ricordo anche la frase evangelica: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Qualche cosa di trascendente avviene e bisogna ammetterlo. Lo ripeto, se li riconosceremo dai frutti, questi sono buoni. La Chiesa sta cercando, con la sua saggezza ,ora di studiare l’albero .La conversione, sempre, è voluta da Gesù, e a Medjugorie ne avvengono. Se il posto fosse infestato da Satana dubito che ne possano accadere”.

Parliamo ora ed in generale della apparizioni mariane, lei che ne dice:

“ lo ho già annunciato. Io non sono un esperto in questo campo anche se le studio. Ma quello che più conta non è tanto l’apparizione, quanto il credere nell’opera di mediatrice di Maria che risulta sempre e comunque il miglior mezzo per arrivare al cuore del Figlio. Lei è madre, a lei ricorriamo con fiducia per cercare grazie presso il suo amatissimo figlio. Anche nella pietà popolare Maria risulta consolatrice nei momenti di difficoltà. Dunque inviterei ad atteggiamenti meno supponenti e ad un filiale abbandono nelle braccia della Madonna”.

Credere nelle apparizioni mariane non è comunque obbligatorio per il fedele:

“ assolutamente no. Non appartengono a verità rivelate e quindi il fedele, senza incorrere in alcuna eresia o mancanza, può liberamente non credere a Lourdes, Fatima e così via. Insomma non sono dogmi. Anche se la pietà popolare e il senso della fede poi hanno finito col far diventare dogmi alcuni accadimenti mariani”.

Non sono obbligatori, ma molti, tanti ci credono:

“ approvo e stimo coloro i quali alimentano la devozione a Maria che è apparsa in varie forme, ma sempre lei nella sostanza. Maria ci ottiene i favori di Cristo e ci spinge alla conversione, difendendoci dalla insidie del male, vi pare poco”?

Bruno Volpe

(fonte: Pontifex.roma)

giovedì 8 gennaio 2009

Parlare chiaro


La posizione assunta dalla Chiesa cattolica nei confronti della cosiddetta proposta di "depenalizzazione dell'omosessualità" del presidente francese Sarkozy non può stupire nessuno che non sia in malafede. Il motivo è molto semplice: quella proposta non propone solo la depenalizzazione ma anche la collocazione degli omosessuali tra le categorie da proteggere contro l'omofobia, paragonata al razzismo e all'intolleranza. La proposta Sarkozy, in altre parole, identifica omosessualità ed omosessuali, sostenendo che non si può essere contro l'omosessualità ma non contro gli omosessuali o, al contrario, che chiunque è contro l'omosessualità è anche contro gli omosessuali. Questa è invece la posizione della Chiesa e anche di tante persone che adoperano semplicemente la ragione. Si può sostenere che l'omosessualità è un "disordine", come disse Benedetto XVI, e contemporaneamente affermare che gli omosessuali hanno tutta la dignità della persona umana e come tali meritano rispetto. L'omosessualità non è l'unico disordine perché tutti noi ne portiamo e sopportiamo qualcuno. Non è il disordine più grave. Ma è un disordine ed è doveroso per tutti non trasformare un disordine in un ordine. L'omosessualità non va quindi promossa o insegnata come una scelta sessuale indifferente, la coppia omosessuale non va equiparata giuridicamente alla famiglia tradizionale e non deve essere possibile per coppie gay adottare bambini. Ciò non contrasta con il chiedere rispetto per gli omosessuali e, dal punto di vista cristiano, con l'amarli come fratelli.
Proprio ieri la Santa Sede affermava di non voler sottoscrivere la convenzione ONU sui disabili. La Chiesa ce l'ha con i disabili? Certamente no. Il fatto è che quella convenzione stabilisce anche il diritto alla "salute riproduttiva" della madre in caso di disabilità del feto. In pratica apre le porte all'aborto eugenetico, cosa che la Chiesa non può accettare. Le convenzioni e le leggi hanno molti aspetti. Siccome la Chiesa ritiene che non si possa fare il bene attraverso il male, se alcuni aspetti sono condivisibili - come è il caso della depenalizzazione dell'omosessualità - ma altri sono fortemente negativi, la Chiesa non accetta e mette in guardia dai pericoli presenti e futuri. Noi europei, tra l'altro, abbiamo una lunga esperienza a riguardo. Il Parlamento europeo ha più volte tentato di forzare gli Stati membri sul tema del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali proprio equiparando l'omofobia al razzismo, all'intolleranza e perfino al sionismo. La probabilità, quindi, che la proposta Sarkozy, se approvata, venga adoperata per stigmatizzare gli Stati che non riconoscono le coppie gay come intolleranti e contrari alla Dichiarazione universale sui diritti umani si avvicina molto alla certezza. Paragonare l'Iran, che incarcera i gay, e l'Italia, che non vuole il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, è un salto logicamente molto spericolato, ma che una simile legge favorirebbe senz'altro.
Con ciò non è stato ancora chiarito il motivo di fondo per cui la Chiesa non accetta di equiparare l'omosessualità all'eterosessualità. Questo motivo è che essa ritiene che all'origine della società ci sia una coppia maschio e femmina e non due individui asessuati o indifferentemente sessuati. Si è ormai dimenticato il significato sociale della sessualità, la quale è stata privatizzata dalla morale individualistica anche se molto pubblicizzata dall'industria del consumo. Due fenomeni in fondo complementari. Ma la Chiesa non può dimenticare. Due individui indifferentemente sessuati - omo o trans - non si completano accogliendosi nella complementare diversità e non sono aperti, insieme, all'accoglienza della vita. La sessualità, qui, si individualizza e si tecnicizza. Ebbene, la Chiesa ritiene che se l'accoglienza - nella forma della diversità / complementarietà sessuale e nella forma della accoglienza della vita - non si dà in questo momento iniziale non si ricostruirà più in seguito. La società sarà in mucchio di individui accostati l'uno all'altro, ma non una comunità. Quando si dice, talvolta con un po' di retorica, che la famiglia è la cellula della società, si vuole intendere proprio questo.

Stefano Fontana - © 3 Dicembre 2008 - L'Occidentale

martedì 6 gennaio 2009

Con i santi Magi ti adoriamo




O Gesù,
con i santi magi t'adoriamo,

con essi ti offriamo
i tre doni della nostra fede
riconoscendoti e adorandoti
quale nostro Dio,

umiliato per nostro amore,
quale uomo rivestito di fragile carne
per patire e morire per noi
e nei tuoi meriti sperando, siamo sicuri conseguire l'eterna gloria;

con la nostra carità
ti riconosciamo sovrano d'amore
dei nostri cuori,

pregandoti che nella tua infinita bontà
ti degni di gradire
ciò che tu stesso ci hai donato.

Amen

(Preghiera di Padre Pio)

Dedicato a Maria Santissima

giovedì 1 gennaio 2009

Inizio il 2009 lodando e onorando Gesù Cristo Dio nella Santissima Eucarestia.
Il mio Augurio è che Egli possa essere accolto da tutti quale Cibo e Vivanda incorruttibile della propria vita.





Adoro Te devóte

Adóro te devóte, látens Déitas,
Quæ sub his figúris, vere látitas:
Tibi se cor meum totum súbjicit,
Quia, te contémplans, totum déficit.

Visus, tactus, gustus, in te fállitur,
Sed audítu solo tuto créditur:
Credo quidquid díxit Dei Fílius;
Nil hoc verbo veritátis vérius.

In cruce latébat sola Déitas,
At hic látet simul et humánitas:
Ambo támen crédens átque cónfitens,
Peto quod petívit latro pœnitens.

Plagas, sicut Thomas, non intúeor,
Deum támen meum te confíteor.
Fac me tibi sémper mágis crédere,
In te spem habére, te dilígere.

O memoriále mortis Dómini,
Panis vivus, vitam præstans hómini,
Præsta meæ menti de te vívere,
Et te illi semper dulce sápere.

Pie pellicáne, Jesu Dómine,
Me immúndum munda tuo sánguine,
Cujus una stilla salvum fácere,
Totum mundum quit ab ómni scélere.

Jesu, quem velátum nunc aspício,
Oro fíat illud, quod tam sítio:
Ut, te reveláta cernens fácie,
Visu sim beátus tuæ glóriæ. Amen.


Traduzione italiana

Adoro Te devotamente, oh Deità che Ti nascondi,
Che sotto queste apparenze Ti celi veramente:
A te tutto il mio cuore si abbandona,
Perché, contemplandoTi, tutto vien meno.

La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano
Ma solo con l'udito si crede con sicurezza:
Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio,
Nulla è più vero di questa parola di verità.

Sulla croce era nascosta la sola divinità,
Ma qui è celata anche l'umanità:
Eppure credendo e confessando entrambe,
Chiedo ciò che domandò il ladrone penitente.

Le piaghe, come Tommaso, non veggo,
Tuttavia confesso Te mio Dio.
Fammi credere sempre più in Te,
Che in Te io abbia speranza, che io Ti ami.

Oh memoriale della morte del Signore,
Pane vivo, che dai vita all'uomo,
Concedi al mio spirito di vivere di Te,
E di gustarTi in questo modo sempre dolcemente.

Oh pio Pellicano, Signore Gesù,
Purifica me, immondo, col tuo sangue,
Del quale una sola goccia può salvare
Il mondo intero da ogni peccato.

Oh Gesù, che velato ora ammiro,
Prego che avvenga ciò che tanto bramo,
Che, contemplandoTi col volto rivelato,
A tal visione io sia beato della tua gloria.
Così sia.

LITURGIA, SVILUPPO NEL RISPETTO DELLA TRADIZIONE



Il Papa dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il giorno di Natale, con la mozzetta e la stola. Niente piviale, mitria o pastorale, trattandosi di una benedizione solenne che non comporta un particolare rito liturgico.

Mozzetta e stola, dunque.


Così l'hanno seguito in centinaia di milioni di persone in ogni parte del mondo.
Una scelta di sobrietà e di essenzialità? No, semplicemente una ricerca di ordine, di pulizia anche nei paramenti nell'era della globalizzazione mediatica.

Benedetto XVI guarda anche a questi particolari, attento a non ingenerare confusioni, a non annacquare soprattutto il mistero o la celebrazione dei sacramenti nel tritatutto delle immagini.

Ma è sulla liturgia che l'attenzione papale è del tutto particolare. Bastava seguire, appena poche ore prima, il solenne rito della messa della notte di Natale per rendersene conto.

La «Kalenda» al termine della veglia e prima della liturgia; i lunghi silenzi; l'inginocchiatoio per i fedeli che facevano la comunione; il crocifisso al centro dell'altare e dei candelieri, belli ma forse ingombranti per la ripresa televisiva, l'omaggio floreale dei bambini collocato al termine della messa.
E le modifiche non si fermeranno qui.


In questa partita sottile ha al suo fianco un monsignore giovane (43 anni) e «sottile» come Guido Marini, laureato in diritto canonico. Da quattordici mesi è il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Ha sostituito il vescovo Piero Marini, per anni al fianco di Giovanni Paolo II. Sacerdote genovese schivo, un po' timido, ma con le idee chiare e distinte. Un uomo pio, dolce e con un sorriso disarmante che te lo rendono immediatamente simpatico. Questa e una delle sue prime, rare interviste.
Monsignor Guido Marini, chi sono stati i suoi maestri?
«Quando sono entrato in seminario era arcivescovo il cardinale Giuseppe Siri. Sono stato ordinato sacerdote dal cardinale Canestri. Sette anni come segretario di Canestri e sette col cardinale Dionigi Tettamanzi. Il cardinale Tarcisio Bertone mi ha nominato responsabile dell'ufficio scuola dell'arcidiocesi, direttore spirituale in seminario dove insegnavo diritto canonico. Poi cancelliere della curia e prefetto responsabile della cattedrale. Col cardinale Tettamanzi ho iniziato i primi passi come cerimoniere».
«Liturgia culmine della vita della Chiesa, tempo e luogo di rapporto profondo con Dio», come dice Benedetto XVI. Da dove le è venuto questo amore per la liturgia?
«È stato un amore giovanile nel senso che la mia vocazione ha le sue radici nella liturgia; l'amore per il Signore è stato anche l'amore per la liturgia come luogo d'incontro col Signore. A Genova poi c'è sempre stato un importante movimento liturgico».
Suppongo che sia stato il cardinale Tarcisio Bertone, divenuto Segretario di Stato della Santa Sede a proporre il suo nome a Benedetto XVI.
«Sì, la proposta mi è arrivata tramite il cardinale Bertone. "Il Papa - mi ha spiegato - sta pensando al tuo nome"».
Col Papa bavarese, stiamo assistendo ad una operazione di restyling liturgico o a qualcosa di più profondo?
«È qualcosa di più profondo nella linea della continuità, non della rottura. C'è uno sviluppo nel rispetto della tradizione».
Da quando è arrivato lei i cambiamenti o le correzioni ci sono stati. Alcuni impercettibili, altri più vistosi.
«Il cambiamento è diversificato. Uno è stata la collocazione del crocifisso al centro dell'altare per indicare che il celebrante e l'assemblea dei fedeli non si guardano, ma insieme guardano verso il Signore che è il centro della loro preghiera. L'altro aspetto è la comunione data in ginocchio dal Santo Padre e distribuita in bocca. Ciò per mettere in evidenza la dimensione del mistero, la presenza viva di Gesù nella Santissima Eucarestia. Anche l'atteggiamento, la postura sono importanti perché aiutano l'adorazione e la devozione dei fedeli».
Papa Benedetto è il primo Papa che non ha nel suo stemma la tiara. Ha cambiato il pallio del suo inizio di ministero apostolico ed ha abbandonato il caratteristico pastorale, dell'artista Scorzelli, donato dai milanesi a Paolo VI. Quel pastorale a forma di croce fu usato anche da Papa Luciani e da Giovanni Paolo II. Papa Ratzinger ha scelto una ferula. Una semplice croce.
«Come dice lei, il pastorale papale è la ferula, la croce senza il crocifisso, dando a questa un uso più consueto e abituale e non soltanto straordinario. Accanto a tale considerazione si è imposta una questione pratica: un pastorale più leggero e lo abbiamo trovato nella sacrestia papale».
Abbiamo già accennato all'introduzione del silenzio nella messa. A Roma, al centro della cristianità, le liturgie appaiono nella loro splendida solennità. E la lingua di Cicerone, il latino, svetta su tutte. Poi si pensa ad anticipare il segno della pace e ad un saluto finale diverso da parte del celebrante. L'intenzione è quella di recuperare in pieno il carattere non arbitrario del culto. La creatività e spontaneità come una minaccia.
«Non sarei così drastico e non mi piace neppure l'espressione, usata da qualcuno, di "bonifica liturgica". È uno sviluppo che valorizza ulteriormente ciò che ha fatto egregiamente e per tanti anni, come maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, il mio predecessore, il vescovo Piero Marini. Le questioni da lei sollevate circa lo spostamento del segno della pace o altro non competono al mio ufficio bensì alla Congregazione per il Culto Divino e al nuovo prefetto, il cardinale Antonio Canizares. Io ho il compito di impegnarmi a realizzare in modo esemplare l'unità e la cattolicità di tutti coloro che partecipano alla celebrazione della Santa Messa papale».
Quando vedremo Papa Benedetto celebrare la messa in latino secondo il rito romano straordinario, quello di san Pio V? Il «motu proprio» io, personalmente, l'ho interpretato come un atto di liberalità, di apertura, non di chiusura.
«Non lo so. Molti fedeli si sono avvalsi di questa possibilità. Deciderà il Papa, se lo crederà opportuno».
Nella «Esortazione Apostolica» post-sinodale sulla liturgia, Joseph Ratzinger si è soffermato su tanti aspetti. Ha persino proposto che le chiese siano rivolte verso oriente, verso la città Santa di Gerusalemme. Lui, un anno fa, ha celebrato messa nella Cappella Sistina con le spalle rivolte al popolo. Chi glielo ha proposto?
«Gliel'ho proposto io. La Cappella Sistina è uno scrigno di tesori. Sembrava una forzatura alterarne la bellezza costruendo un palco artificiale, posticcio. Nel rito ordinario, questo celebrare "con le spalle rivolte al popolo", è una modalità prevista. Però sottolineo: non si voltano le spalle ai fedeli, bensì celebrante e fedeli sono rivolti verso l'unico punto che conta che è il crocifisso».
«Il Papa veste Cristo non Prada» si è letto addirittura su «L'Osservatore Romano». Il look di Benedetto XVI colpisce e intriga. Paramenti, mitre, croci pettorali, cattedre su cui siede, mozzette e stole. Siamo di fronte ad un Papa elegante. È una invenzione giornalistica?
«Già dire "elegante", nel linguaggio di oggi, sembrerebbe significare un Papa che ama aspetti esteriori, mondani. Un occhio attento avverte che c'è una ricerca che sposa tradizione e modernità. Non è la logica di un improponibile ritorno al passato ma è un riequilibrio fra passato e presente. È la ricerca, se vuole, della bellezza e dell'armonia, che sono rivelazione del mistero di Dio».
Cosa vedremo in Camerun e in Angola? Le liturgie africane sono pittoresche, popolari, dove c'è una totalità che si esprime anche con la danza, i tamburi. Lei sarà messo alla prova…
(Ride). «Solo adesso stiamo preparando il viaggio. Cercheremo di mettere insieme ciò che vale per tutti con le tradizioni locali. Con la sua sola presenza il Papa richiama la Chiesa, una, santa, cattolica. Troveremo la sintesi fra ciò che unisce la Chiesa sul rito romano e aspetti tipici, sensibilità culturali. Inculturazione della fede e della liturgia e dimensione universale».
La liturgia è un sedimentato, un patrimonio millenario. Il messale è intessuto di citazioni dalla Bibbia ai Padri della Chiesa dell'Oriente e dell'Occidente. Salmi responsoriali, orazioni o collette, il sacramentario che è la parte centrale della messa. È un patrimonio intoccabile. Ogni volta che c'è una celebrazione lei si consulta col Papa? Che tipo di comunicazione c'è?
«Molto semplice. Il Papa viene interpellato nelle cose rilevanti e prima di una celebrazione ha tutti i testi. Di solito, gli inviamo delle note scritte e lui risponde per iscritto, di suo pugno».
Lei sta facendo un'esperienza forte e straordinaria. Episodi che l'hanno toccata?
"Sì, è una esperienza forte. Mi ha colpito il viaggio del Papa negli Stati Uniti. Essendo il mio primo viaggio internazionale col Santo Padre c'era il sapore della novità. Un viaggio emozionante per l'affetto e il calore, per il clima spirituale. E mi ha colpito la consegna del pallio, in giugno, ai metropoliti. Un metropolita si è rivolto così al Papa in ginocchio: "Padre Santo, vengo da una diocesi in cui il mio predecessore ha patito il martirio per la fede. Preghi per me perché anch'io possa essere un martire". Ho capito ancora di più cosa significa essere Chiesa».
C'è grande sintonia, feeling fra lei e il Papa?
«Da parte mia è assoluta».
Come definirebbe Papa Benedetto XVI, lei che ha fortuna di stargli accanto?
«Unisce ad una eccezionale levatura intellettuale una grandissima semplicità e dolcezza. È un tratto caratteristico della sua figura spirituale e umana. È una realtà che verifico e tocco con mano. Il fatto di essere vicino al Papa, a questo Papa, è una grande grazia per il mio sacerdozio».

(fonte: www.iltempo.it)