lunedì 31 gennaio 2011

L' Ipocrisia del politically-correct !


Cristiani, Frattini fa ritirare testo Ue che non li nomina


Bruxelles, 31 gen. (TMNews)


- Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto e ottenuto, oggi a Bruxelles, il ritiro, dalle conclusioni del Consiglio Affari esteri dell'Ue, di un testo che condannava i recenti attacchi alle comunità religiose in Nord Africa e Medio Oriente, ma senza menzionare esplicitamente i cristiani. "E' una pagina non bella - ha spiegato Frattini incontrando i cronisti, stasera a Bruxelles - del Consiglio di oggi: dopo che c'eravamo ritrovati su un testo condiviso da 15 Paesi" con governi della famiglia del Ppe, "in cui ritenevamo indispensabile menzionare il tema, l'esistenza e la parola 'comunità cristiane', ci siamo ritrovati con un testo in Consiglio che non conteneva la parola 'cristiani'. Ho proposto allora - ha riferito il ministro italiano - un emendamento che ricordava sia gli attacchi terroristici contro le comunità cristiane che quello contro la comunità sciita di Kerbala; ma neanche questo è stato accettato". Contro l'emendamento, che doveva essere accettato all'unanimità, si sono espressi diversi Paesi, "alcuni, come Irlanda e Spagna, sorprendentemente, e altri, come Portogallo e Lussemburgo, in modo più scontato". Questo è bastato per bocciare l'emendamento. "Allora - ha detto ancora Frattini - ho ritenuto che il testo non era credibile e ho chiesto e ottenuto che venisse ritirato. L'Europa ha dimostrato ancora una volta che il laicismo esasperato è dannoso per la sua credibilità", ha concluso il ministro italiano, riferendo che, comunque, l'Alto rappresentante per la Politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, si è impegnata a riproporre un nuovo testo al prossimo Consiglio degli Affari esteri.
31 gennaio 2011
Fonte testo e foto Tiscali

domenica 30 gennaio 2011

Le sciocchezze di Corrado Augias


di Francesco Agnoli

Rassegna e confutazione di alcune tesi clamorosamente false di un dilettante che si avventura in campi dov’è incompetente.
Copiando anche interi brani da Internet.

[Da «il Timone» n. 86, Settembre-Ottobre 2009]

La corazzata mediatica del quotidiano Repubblica continua a sfornare, tramite i suoi giornalisti, libri e libelli contro la Chiesa. Sembra la sentano come un dovere morale irrefrenabile. Dopo la presunta inchiesta di Curzio Maltese, La questua, zeppa di imprecisioni e maldicenze, sono venuti il poderoso e inconcludente La chiesa del no, del vaticanista Marco Politi (con prefazione di Emma Bonino), ed il pamphlet ottocentesco di Claudia Rendina, La santa casta della Chiesa, incentrato su tutte le malvagità vere o presunte di uomini di Chiesa e credenti in generale.

Ma soprattutto, tra le opere più aggressive e più fortunate, quanto a pubblico, si segnalano i tre libri di Corrado Augias: Inchiesta su Gesù, Inchiesta sul Cristianesimo, e, infine, Disputa su Dio, dialogo a due voci con Vito Mancuso. Augias, è bene ricordarlo, è anche un presentatore televisivo, un volta noto al grande pubblico. Chiaramente ne approfitta, per gettarsi a capofitto anche in campi che non conosce e in cui ammette, en passant, di essere un vero dilettante. Questo non gli impedisce di proporre le sue opinioni, infondate, come verità certe e consolidate. In realtà, sempre, dietro le sue ricostruzioni, vi è l’ideologia, il pregiudizio di chi ritiene che l’uomo sia equiparabile ad un ammasso casuale di atomi, senza scopo e senza significato. Interessanti, per capire la sua visione antropologica, due dichiarazioni presenti in Disputa su Dio. Nella prima paragona l’anima ad un computer futuro, nulla più, «in grado di manifestare sentimenti e di elaborare in modo autonomo forme di autoapprendimento» (p. 123); nella seconda equipara l’uomo ad una scimmia, volendo desumerne la negazione dell’esistenza di Dio e dell’anima immortale: «Una volta, allo zoo, ho sentito fortissima la tentazione di abbracciare il povero corpo peloso, lubrico, inconsapevole di uno scimmione, e che lui abbracciasse me, annullando in tal gesto di goffa fraternità i milioni di anni che ci separano» (p. 242).

Alla luce di queste affermazioni si capisce perché, al di là della sua produzione libraria, Augias dedichi numerose sue risposte su Repubblica, nella pagina dei lettori, ai temi della bioetica, difendendo a spada tratta aborto, contraccezione, eutanasia, Ru 486 ecc. con sordo rancore, con vero astio verso le posizioni dei cattolici, che per lui, poco democraticamente, sono sempre e immancabilmente «intollerabili».

L’idea di Augias, infatti, è che in una democrazia non vi possano essere «principi non negoziabili», che non mutano, che non possono essere calpestati da chicchessia. Il perché non è dato capirlo, dal momento che tutta la storia del Novecento, con le sue guerre, i suoi lager, gulag e laogai, dimostra proprio quanto i valori intangibili siano indispensabili per impedire alla legge, all’auctoritas, di diventare tirannica, dittatoriale e prevaricatrice. Hitler, Lenin, Stalin, Mao, e Pol Pot, per intenderci, non riconoscevano valori non negoziabili, e neppure valori spirituali: il risultato si è visto.

Augias, si diceva, contrasta il pensiero cattolico soprattutto nel campo della bioetica, deciso come è ad affermare l’assoluta possibilità di ogni singolo uomo di autodeterminarsi, come fosse il padrone della vita, propria e altrui. Su Repubblica del 10 marzo 2006 ebbe a scrivere al suo direttore: «sto per acquistare il kit della “Buona morte” in vendita a Bruxelles e credo anche in Olanda. Il prezzo è contenuto, meno di cento euro. C’è nel suicidio consapevole responsabilmente esercitato una traccia della virtù romana antica. Il desiderio di restare padroni di sé, di congedarsi dalla vita senza doversi vergognare».

Tornando ai suoi libri sul cristianesimo, Augias propone le sue verità «inconfutabili»: Gesù non si sarebbe mai proclamato Dio e avrebbe creato una Chiesa, ma solo come «comunità messianica», «realtà escatologica», per il «giorno del giudizio»! Dopo simili, grottesche affermazioni, Augias — omettendo volutamente di parlare dei primi 300 anni in cui papi, sacerdoti e semplici fedeli vennero uccisi negli anfiteatri romani, bruciati nei giardini di Nerone, depredati dei loro beni e delle loro proprietà, pur di mantenere la loro fede — spiega che l’affermazione del cristianesimo fu dovuta essenzialmente all’intervento dell’imperatore Costantino. Costui, d’altra parte, si sarebbe convertito solamente per interesse, per fare della religione cattolica uno strumento di potere, trovando subito l’alleanza di una istituzione, la Chiesa appunto, sempre pronta a fare i suoi sporchi interessi politici ed economici. Come sempre Augias propone ogni sua stramberia come un dogma inconfutabile, avvalorato, a suo dire, dal giudizio unanime di non meglio precisati «storici». Da una parte cioè vi sarebbero i cattolici, sciocchi e creduloni, ancora disposti ad andare dietro alle favole delle conversioni, e dall’altra coloro che invece hanno il coraggio di guardare in faccia alla realtà.

La verità è completamente un’altra. Chi vuole può limitarsi a sfogliare la storiografia attuale, in gran parte laica, su Costantino. Vedrà come si può vendere fumo, dare per accertate tesi che non lo sono affatto, con la più grande naturalezza. A sostenere la veridicità della conversione di Costatino, il graduale cammino di avvicinamento sincero che quest’uomo fece alla religione di Cristo, sono tutti i più grandi conoscitori di quell’epoca. Cito solo Guido Clemente, titolare della cattedra di storia romana all’università di Firenze, autore di una Guida alla storia romana (Mondadori); Augusto Fraschetti, docente di storia economica e sociale del mondo antico a La Sapienza di Roma, autore di La conversione. Da Roma a Roma cristiana (Laterza); Arnaldo Marcone docente di Storia romana all’Università di Udine e autore di Pagano e cristiano. Vita e morte di Costantino (Laterza); Robin Lane Fox, docente di Storia antica al New College di Oxford, autore di Pagani e cristiani (Laterza), e tantissimi altri titolati studiosi del mondo antico, come Andrea Alfoldi, Franchi de’ Cavalieri, Norman Baynes, Marta Sordi, Klaus Bringmann... Tra costoro segnalo solo, per mancanza di spazio, il grande archeologo Paul Veyne, di formazione laica e comunista. Veyne sostiene con sicurezza l’autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con J.B. Bury, che la sua «rivoluzione fu forse l’atto più audace mai commesso da un autocrate in spregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi». È innegabile, infatti, che all’epoca di questo imperatore, che pose fine alle persecuzioni dei cristiani, essi non erano per nulla appetibili come forza politica e sociale: costituivano solo il 5—10 % della popolazione, mentre Senato, aristocrazia romana ed esercito erano in stragrande maggioranza pagani. Il cristianesimo, continua Veyne, si impose allora «perché offriva qualcosa di diverso e nuovo», perché era «religione dell’amore», non certo grazie alla forza ed al potere.

La stessa faciloneria e malizia con cui Augias liquida Costantino caratterizza anche la gran parte delle altre sue argomentazioni: quando afferma erroneamente che le opere di Darwin furono condannate dalla Chiesa; quando copia interi brani di E. O. Wilson, tratti dalla rete, senza citare la fonte e spacciandoli per suoi; quando definisce sbrigativamente Eluana un «cadavere vivente» quando colloca il filosofo Spinoza e Freud tra i grandi scienziati e racconta che la Chiesa li avrebbe scomunicati; quando spiega che la Chiesa, che ha creato l’istituzione ospedaliera, avrebbe ostacolato l’uso degli antidolorifici per un macabro gusto del dolore […]. Sempre, ogni sciocchezza è detta con l’aria di chi la sa lunga. E il lettore ingenuo non può che credere al volto noto e suadente...

Bibliografia

Francesco Agnoli, Perché non possiamo essere atei. Il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, Piemme, 2009.
Paul Veyne, Quando l’Europa diventò cristiana, Garzanti, 2008.
Marco Fasol, I vangeli di Giuda, Fede & Cultura, 2007.

© il Timone
http://www.iltimone.org/

giovedì 20 gennaio 2011

La puntata integrale sulla vita del Beato Pier Giorgio Frassati


Vi invito alla visione della puntata integrale andata in onda ieri nella trasmissione "La Storia Siamo Noi" di Giovanni Minoli.


Il 20 maggio del 1990 Giovanni Paolo II proclama beato Pier Giorgio Frassati, figlio del fondatore del quotidiano La Stampa. Frassati muore nel 1925 a soli 24 anni, stroncato da una poliomelite fulminante. Una storia straordinaria, la sua, di impegno e fede. Ma in che modo per un giovane è possibile intraprendere la via che porta alla santità?
Clicca sul link:

mercoledì 19 gennaio 2011

LA PREGHIERA PUO' TUTTO!


Il Venerabile Don Dolindo Ruotolo, amava pregare e raccoman­dava di pregare con le braccia aperte, come gli «Oranti» delle Catacombe, e come i Sa­cerdoti nella celebrazione della Messa. In­segnava che le preghiere del «Padre no­stro» e dell'«Ave Maria» recitate con le brac­cia aperte sono onnipotenti perché ricorda­no a Dio la preghiera di Gesù in Croce.

Dolindo dice che: L'anima che stende le sue braccia e prega, credendo, sperando e aman­do, ha nella sua debolezza una certa onnipotenza, perché tutto può la pre­ghiera, tutto ardisce la fede vera, tutto raggiunge la speranza che confida, tutto abbraccia l'amore che a Dio si dona e a Dio si abbandona. Come l'ancora ferma la nave fra i mobili flutti, cosi la preghiera ferma l'anima neh"ondeggiare delle umane vi­cende, e le da la sicurezza dell'appog­gio fra le tempeste della vita.
Tu lo hai già sperimentato e lo speri­menterai sempre, perché ogni giorno ha il suo affanno e le sue incertezze. Se termina una lotta ne comincia un'altra, e l'anima si accorge che non può riguardare le creature come sua meta. Unica meta è l'amore mio e l'amare tutti per me. Apri perciò le braccia, e, nella profonda pace del tuo cuore, sospira al mio amore.
La tenera pianta non ha ancora le spine, ma quando si irrobustisce, esse spuntano e pungono. Così sono le anime, figlio mio: le loro spine ti esercitano nella pazienza. Non te ne lamentare agitandoti, ma abbi pace con tutti, e passa sopra alle cose che non puoi modificare. Se irrompi, a che giova? Le spine compresse con la mano, entrano più addentro e pun­gono di più.

Dice Gesù: “Fatti piccolo innanzi a me, ed io ti do la pace. Amami sopra tutte le cose, e volerai con ali robuste sui tenebrosi abissi del terreno pellegrinaggio. Quante grazie raccoglierai con la pa­zienza e la dolcezza”.

giovedì 13 gennaio 2011

Filippine: Arcivescovo corregge il Cammino Neocatecumenale


Finalmente!!


Filippine: Arcivescovo corregge il Cammino
IL CAMMINO NEOCATECUMENALE NELL'ARCIDIOCESI DI LINGAYEN-DAGUPAN

Luci ed ombre

I semi del CAMMINO NEOCATECUMENALE furono piantati per la prima volta nell'Arcidiocesi di Lingayen-Dagupan nel 1981, nella Parrocchia di San Gabriele Arcangelo a Bonuan Boquig. Da allora, si è esteso ad altre comunità cattoliche dell'arcidiocesi – Bonuan Gueset, Calasiao, Calmay, Dagupan, Laoac, Lingayen, Mapandan Santa Barbara e San Jacinto. Il Cammino Neocatecumenale ha portato innumerevoli benedizioni ai fedeli cristiani nella nostra arcidiocesi. Ha profondamente cambiato molte vite tiepide. Ha ricostruito molte famiglie ferite ed ha portato molte vocazioni religiose e sacerdotali nella vigna del Signore.


Purtroppo, nonostante gli effetti positivi come quelli sopra menzionati, ci sono alcune preoccupazioni su dove stia portando il Neocatecumenato. Già ai tempi del mio stimato predecessore Arcivescovo Oscar Cruz, e fino ai mesi più recenti, sono sorte alcune questioni da parte di rispettabili membri del laicato ed un buon numero di parroci a proposito dell'integrazione dei membri delle comunità Neocatecumenali nella vita di questa chiesa locale, sulla loro cooperazione con i parroci e sulle loro relazioni col vescovo.

Communio

Gli Statuti del Cammino Neocatecumenale affermano che: "Il Cammino Neocatecumenale mirerà a promuovere nei suoi destinatari un maturo senso di appartenenza alla parrocchia e a suscitare rapporti di profonda comunione e collaborazione con tutti i fedeli e con le altre componenti della comunità parrocchiale" (art. 6, n. 3)


Per di più gli Statuti stabiliscono che "la realizzazione del Cammino Neocatecumenale va coordinata con la funzione propria che ha il Parroco in ciascuna comunità parrocchiale (cfr. can. 519 CJC) esercitando, anche con la collaborazione di altri presbiteri, la cura pastorale di coloro che lo percorrono" (art. 6, n. 2). Similmente, gli Statuti riconoscono che "il Neocatecumenato è realizzato, in comunione con il Parroco e sotto la sua responsabilità pastorale, da un'equipe di catechisti" (art. 8, n. 4).


Inoltre gli Statuti dichiarano che "il Cammino Neocatecumenale è al servizio del vescovo come una delle modalità di attuazione diocesana dell'iniziazione cristiana e dell'educazione permanente alla fede" (art. 1, n. 2).

Catechesi

Nella celebrazione settimanale della Parola richiesta dall'articolo 11 degli Statuti, la mia attenzione è stata richiamata dalla mancanza di formazione e preparazione da parte degli incaricati di insegnarla secondo i principi della Chiesa Cattolica così come indicati nel Catechismo, nonché del significato delle letture bibliche proclamate nella celebrazione. Sembra esserci una tendenza verso l'interpretazione fondamentalista delle Sacre Scritture, staccata e talvolta addirittura contraria ai documenti del Magistero e al Catechismo della Chiesa.


Stanti le precedenti osservazioni, gli Statuti richiedono che "al Vescovo diocesano, quale responsabile dell'iniziazione, della formazione e della vita cristiana nella Chiesa particolare, compete... vigilare che l'attuazione del Cammino Neocatecumenale si svolga in conformità a quanto stabilito negli articoli 1 e 2, e nel rispetto della dottrina e della disciplina della Chiesa (art. 26).

Rispetto per i ministri ordinati

Tra i membri delle comunità c'è un prevalente sentimento di superiorità sulla base del solo far parte dei Neocatecumenali, sentimento che risulta in un atteggiamento sprezzante verso coloro che non stanno frequentando il Cammino o hanno smesso di partecipare agli incontri. Inoltre i catechisti delle comunità neocatecumenali sono stati sentiti ripetutamente criticare in modo sprezzante e irrispettoso il mio predecessore, diversi sacerdoti e perfino me, in maniera contraria alle buone maniere, alla buona condotta, al rispetto filiale e alla carità cristiana.


Il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici aveva offerto tre linee guida per le comunità Neocatecumenali nel presentare l'approvazione del movimento da parte della Santa Sede: obbedienza ai vescovi, riconoscimento del ruolo dei sacerdoti e fedeltà ai libri liturgici della Chiesa. Nella stessa occasione Carmen Hernandez, co-fondatrice del movimento, disse: "ciò che è importante NON è il Cammino Neocatecumenale, ma la CHIESA", continuando con l'invito ai membri del movimento di praticare l'umiltà.


Nel gennaio 2009, quando il Cammino Neocatecumenale ha celebrato il suo quarantesimo anno da associazione di laici cattolici, il Santo Padre ringraziò Dio per i frutti degli sforzi evangelici del Cammino ma ricordò ai suoi membri che la piena realizzazione di tale lavoro giunge con la docile adesione alle direttive dei vescovi e nella comunione con tutte le altre componenti del popolo di Dio. Ha incoraggiato i neocatecumenali a lavorare per l'unità, per fare di ogni comunità un punto vivente e ben integrato nel corpo mistico di Cristo.


In verità possiamo far nostra l'osservazione di Augusto Faustini che scrisse al Papa per lamentare che il fondatore del movimento, Kiko Arguello, "ha stabilito come devi essere, come devi sederti, come devi pregare, come devi cantare, come e cosa devi suonare, come devi confessarti, come devi fare la Comunione, come devi leggere le Sacre Scritture, stabilendo chiaramente che chiunque non faccia tutto questo è totalmente in errore" (Urquhart, Le armate del Papa, pag. 250).

Direttive

PERTANTO, considerando i fatti sopra menzionati e i principi dello Statuto, in virtù della mia autorità quale Arcivescovo di Lingayen-Dagupan, allo scopo di guidare e riorientare il Cammino Neocatecumenale in questa diocesi, io impongo una moratoria su tutte le catechesi iniziali del Cammino in questa arcidiocesi fino a quando il Delegato Episcopale, menzionato qui sotto, raccomanderà di togliere tale moratoria.


Non dovranno essere aperte nuove comunità e non dovranno essere accolti nuovi membri nel Cammino Neocatecumenale durante il periodo di moratoria che comincia dalla solennità della Pentecoste di quest'anno [2010] fino alla solennità della Pentecoste del 2011.


Allo stesso modo ordino che durante l'intero anno, a partire dalla solennità della Pentecoste di quest'anno [2010] fino alla solennità della Pentecoste del 2011, vengano letti i paragrafi dal 748 al 945 del Catechismo della Chiesa Cattolica riguardanti l'ecclesiologia, lettura da effettuarsi durante le celebrazioni settimanali della Parola di ogni comunità Neocatecumenale.


Inoltre ingiungo la recita dei cinque misteri del Santo Rosario prima della celebrazione settimanale della Parola, a partire dalla domenica di Pentecoste, in adesione a quanto richiesto dall'articolo 14, numero 4, degli Statuti.


In più, a far data da oggi, revoco il mandato canonico precedentemente accordato dall'Arcivescovo di Lingayen-Dagupan all'attuale "catechista itinerante" [neocatecumenale] di insegnare la fede cattolica entro i confini di questa giurisdizione ecclesiastica.

Delegato episcopale

Per dare corso alle sopramenzionate direttive, nomino PADRE MARIO DOMINIC SANCHEZ come mio delegato episcopale per le comunità Neocatecumenali nell'Arcidiocesi di Lingayen-Dagupan.


Il delegato episcopale è incaricato delle seguenti particolari funzioni: 1) implementazione della stretta osservanza delle direttive contenute in questo comunicato con la facoltà di imporre punizioni canoniche in nome dell'Arcivescovo quando pastoralmente necessarie; 2) supervisione di tutte le "convivenze" del Cammino Neocatecumenale tenute in questa giurisdizione ecclesiastica e verifica della regolarità delle confessioni tra i suoi membri, in conformità all'articolo 14 n. 1 degli Statuti; 3) estensione della cura pastorale e della carità a coloro che hanno smesso di partecipare agli incontri del Cammino a causa della scandalosa condotta dei leader locali in passato e stabilire attenzione pastorale ai membri malati e anziani che sono stati ritenuti non meritevoli di "fare il Cammino".


Il delegato episcopale è anche incaricato di verificare che la maniera di interrogare durante gli scrutini dei membri sia in accordo con la disciplina approvata dalla Chiesa, rispettando il diritto alla privacy e fatta entro i limiti della carità cristiana. Infine, gli chiedo di ispezionare la contabilità e l'amministrazione delle donazioni economiche fatte dai fedeli cattolici alle comunità e di farmene rapporto ogni tre mesi.

Ammonizione finale ed appello

Colgo l'occasione per riaffermare la mia convinzione che il Cammino Neocatecumenale, con il suo obiettivo di portare la gente alla comunione fraterna e alla maturità della fede attraverso il tripode di "Parola-Liturgia-Comunità", è un dono dello Spirito Santo alla Chiesa e alla società del nostro tempo.


Come tutti i doni, si deve aver cura del Cammino Neocatecumenale e proteggerlo dagli effetti del peccato originale che è in noi. Va difeso contro l'orgoglio e l'arroganza dei suoi leader. Coloro che seguono il Cammino non devono mai mancare di carità o deviare dalla via della verità.


La carità pastorale per i fedeli cattolici membri di tali comunità mi ha costretto a prendere queste decisioni per garantire la stabilità della nostra fede e la purezza dell'insegnamento che i fedeli hanno diritto di ricevere.


Mi sia consentito di concludere con queste parole della Sacra Scrittura: "Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce" (1 Pietro 5:1-4).


La pace sia con tutti voi! Amen!

Dalla Cattedrale di San Giovanni Evangelista, Dagupan City, 3 maggio 2010.

+ SOCRATES B. VILLEGAS, DD
Arcivescovo di Lingayen-Dagupan

(nostra traduzione dal sito web ufficiale dell'arcidiocesi di Lingayen-Dagupan, alcune evidenziazioni nostre)

Pubblicato da by Tripudio

giovedì 6 gennaio 2011

Consulta: nozze e unioni gay non sono equiparabili


6 Gennaio 2011
Nuovo stop della Corte costituzionale alla campagna pressante del movimento gay di ottenere il riconoscimento del matrimonio omosessuale per via giudiziaria. La Consulta con una decisione presa il 16 dicembre e depositata ieri con una ordinanza (la 4 del 2011), ribadisce infatti in modo molto netto quanto già stabilito in una sentenza di aprile e in una ordinanza di luglio del 2010: dichiara, cioè, che non possono essere considerate incostituzionali le norme del codice civile che non consentono il matrimonio tra le persone dello stesso sesso.
Una ennesima prova, dunque, che la insistenza programmatica dell’attivismo omosessuale non può modificare il senso delle leggi, quando si rispetta il significato autentico delle norme. Da notare infatti che la decisione del tribunale di Ferrara di interpellare la Consulta, nel dicembre del 2009, in merito alle richiesta di sposarsi di una coppia di lesbiche, fu commentata trionfalisticamente da un sito degli omosessuali organizzati: «La campagna di affermazione civile continua». Più sotto l’appello a tutte le lesbiche e gay a presentare richiesta di pubblicazioni matrimoniali, per poi poter impugnare il rifiuto. Ma con la ordinanza di ieri la Corte ha ritenuto, sotto il profilo dell’articolo 2 della Costituzione che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo nella sfera individuale e sociale, «inammissibile» la questione di legittimità degli articoli del codice civile che sanciscono che il matrimonio è solo tra un uomo ed una donna. La richiesta promossa dalla coppia di lesbiche è irricevibile, perché, spiega l’ordinanza, «diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata». «Infondata» poi è stato considerato il dubbio di costituzionalità a riguardo dell’articolo 3 della nostra carta fondamentale, sulla uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, richiamato nell’impugnazione delle norme del codice civile, insieme al 29 che riconosce la famiglia come società naturale.

In altri termini per il "giudice delle leggi" è indiscutibile che per la Costituzione l’unico matrimonio possibile è quello tra un uomo ed una donna. Nella sentenza di marzo richiamata nella ordinanza di ieri infatti si affermò che i principi costituzionali vanno interpretati tenendo conto della evoluzione della società, ma non fino al punto da «incidere nel nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati quando fu emanata». L’ordinanza di ieri spiega, poi, che «l’articolo 29 della Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso, e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica», anche «perché le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». In conclusione siccome la unione tra due omosessuali non è affatto equiparabile alle nozze tra un uomo ed una donna, non vi può essere nessuna discriminazione nel fatto che il nostro ordinamento non prevede il matrimonio gay. Assai significativo, poi, il fatto che nella ordinanza pubblicata ieri, a differenza della sentenza precedente, non viene richiama affatto la Carta dei diritti fondamentali della Unione europea. Infatti è erroneo ritenere che quel documento estenda le competenze comunitarie, restando la normativa relativa al matrimonio di unica competenza delle legislazioni nazionali.

Pier Luigi Fornari

Fonte : Avvenire
© riproduzione riservata

domenica 2 gennaio 2011

Il Sultano sottopose a San Francesco D'Assisi un'altra questione:


FF. 2690-2691


II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca, dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici;


rispose il beato Francesco:


"Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato.

Gesù infatti ha detto: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino". Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima.

Altrove, oltretutto, è detto: "Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio.


Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete.
Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi".


Approfondimenti:


sabato 1 gennaio 2011

Dallo sfacelo attuale la riscoperta della Grazia





di Luigi Negri


30-12-2010


Ho riletto in questi giorni di festività natalizie i sermoni del grande papa Leone Magno sul periodo del Natale e mi ha stupito che nell’esegesi del brano del profeta in cui si dice che è “un popolo che camminava nelle tenebre”, san Leone appunta così: «Altro che tenebre, il nostro mondo è in sfacelo. E a questo mondo in sfacelo soltanto il Signore Gesù Cristo può portare l’inizio della novità».

Credo che la parola sfacelo serva benissimo a dire il giudizio su questo anno che finisce e - dal puro punto di vista naturale e umano - su quello che inizia. Io vorrei trovare una sola persona sensata, che abbia un minimo uso della sua ragione, che sia attenta al suo cuore, che possa affrontare l’inizio di questo anno con un minimo di positività.

Siamo assediati quotidianamente dalla barbarie: la barbarie di chi rapisce ragazzine e le fa sparire nel nulla.
La barbarie di questi delitti familiari, che dilagano nella vita della società e sono oggi il punto di maggiore incremento della cosiddetta criminalità.
La barbarie dell’attacco alla vita, di mancanza di rispetto della vita in tutte le sue stagioni, dall’inizio fino al momento della riconsegna della propria vita al mistero di Dio.
La barbarie della violenza sui bambini: io penso a tutti i bambini che quest’anno – non solo in Italia, ma certamente anche in Italia – non sono venuti al mondo, non sono stati ammessi alla vita, per affermare il principio totalmente irragionevole della violenza individuale dei loro genitori; penso a tutti i bambini che vengono violati nella loro innocenza e al terribile – e incredibile per la mia mentalità, per la mia generazione – commercio sessuale con i bambini.

E poi che dire? La miseria della vita politica ha raggiunto livelli di assoluta incredibilità. Viene la voglia di non vedere più queste facce da qualsiasi parte siano, perché il proprio istinto diventa l’unica ragione ammantata di bene comune; ma poi non hanno neanche più il coraggio di parlare di bene comune. Sono mesi che gli uomini politici non usano più questa espressione, forse con l’unica eccezione del presidente del Consiglio nella sua lettera di auguri al Santo Padre.


E il mondo culturale? Che litiga sulle prebende delle varie case editrici e sull’appalto dei treni? Che fa consistere il valore artistico di un’opera nella sua capacità di mettere in crisi questo presunto regime?

Della magistratura non dico niente, perché con il clima pesante che c’è, anche se vescovo, posso finire persino in galera solo perché osare dare un giudizio viene subito equiparato all’insulto, come è accaduto a personaggi politici ben più autorevoli di me.

Io vorrei che andassimo a cercare un punto di positività. E’ qui che emerge con chiarezza anche quest’anno l’assoluta inconsistenza dei sentimenti di benevolenza, di positività, di ottimismo che uno chissà perché in queste ore dovrebbe andare a trovare chissà dove. Anche perché cercando di penetrare nel profondo di quello che io chiamo coscienza e cuore, la maggior parte dei nostri fratelli uomini ci trova il vuoto. La coscienza e il cuore sono stati estirpati, al loro posto c’è una struttura di reazione alla mentalità massmediatica che viene sostanzialmente imposta come l’unica novità di vita possibile, Grande Fratello docet.

Allora, amici miei, converrà che noi ritorniamo alla grande saggezza della Chiesa che non ha mai festeggiato il primo dell’anno, il primo giorno dell’anno civile. Festeggia invece l’ottavo giorno della Nascita del Signore, che significa dunque che è l’Eterno diventato parte della nostra vita e della nostra storia che dà senso a questo scorrere del tempo mettendo dentro il mondo una minoranza. Una minoranza di persone però che credono nel mistero di Cristo e che dal Mistero di Cristo traggono la chiarezza dei loro giudizi, l’energia della loro azione, il senso dell’utilità della loro vita, la capacità di leggere le prove – anche quelle difficili – come strumento pedagogico – misterioso ma reale – per un cammino di verità, di bellezza, di bene, di giustizia.

Noi non festeggiamo il primo dell’anno, noi ci accingiamo ad affrontare questo primo giorno dell’anno civile con la consapevolezza che la positività viene prima di questo. E’ data dal mistero del nostro essere popolo di Dio, che proprio perché è popolo di Dio – e non nasce dalla carne e dal sangue, ma da Dio è generato – può mangiare e bere, vegliare e dormire, vivere e – ahimé – un giorno morire nella consapevolezza però che ha vissuto e vive una vita straordinariamente positiva perché abitata dal Mistero che fa buone tutte le cose.

Dico raramente Buon Anno, perché preferisco dire “A Dio”, cioè preferisco consegnare le mie giornate e le giornate di quelli che mi stanno accanto all’unico che può dare senso, significato e bellezza al nostro tempo. «Il tempo non produce nulla di buono»: non è l’agostinismo deteriore, è il realismo. Mai come in questi tempi si stanno avverando le più terribili profezie dei più pessimisti fra i profeti d’Israele. Ma forse questa terribile realtà in cui viviamo ci fa capire la Grazia della fede. Diceva il nostro grande Sant’Ambrogio, quello cui pur da lontano, da lontanissimo, cerco di ispirare la mia vita di vescovo: «Non sarebbe valsa la pena di nascere se Cristo non ci avesse poi salvati».

Tanti saluti ai lettori della Bussola quotidiana che mi auguro siano in aumento.

* Vescovo di San Marino-Montefeltro
fonte: La Bussola Quotidiana