lunedì 26 settembre 2011

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

foto tratta dal sito: Difendere la fede

SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Domplatz di Erfurt
Sabato, 24 settembre 2011
Cari fratelli e sorelle!
“Lodate il Signore in ogni tempo, perché è buono”: così abbiamo appena cantato prima del Vangelo. Sì, abbiamo veramente motivo per ringraziare Dio con tutto il cuore. Se in questa città torniamo indietro col pensiero al 1981, l’anno giubilare di sant’Elisabetta, trent’anni fa, ai tempi della DDR – chi avrebbe immaginato che il muro e il filo spinato alle frontiere sarebbero caduti pochi anni dopo? E se andiamo ancora più indietro, di circa settant’anni fino al 1941, ai tempi del nazionalsocialismo, nella Grande Guerra – chi avrebbe potuto predire che il “Reich millenario” sarebbe stato ridotto in cenere già quattro anni dopo?
Cari fratelli e sorelle, qui in Turingia e nell’allora DDR avete dovuto sopportare una dittatura “bruna” [nazista] e una “rossa” [comunista], che per la fede cristiana avevano l’effetto che ha la pioggia acida. Tante conseguenze tardive di quel tempo sono ancora da smaltire, soprattutto nell’ambito intellettuale e in quello religioso. La maggioranza della gente in questa terra vive ormai lontana dalla fede in Cristo e dalla comunione della Chiesa. Gli ultimi due decenni, però, presentano anche esperienze positive: un orizzonte più ampio, uno scambio al di là delle frontiere, una fiduciosa certezza che Dio non ci abbandona e ci conduce per vie nuove. “Dove c’è Dio, là c’è futuro”.

venerdì 23 settembre 2011

SOLO UN PAPA CI PUO' SALVARE. UN GRANDE DISCORSO NON MINIMALISTA SU RAGIONE E POLITICA IN OCCIDENTE


Da "IL FOGLIO" di venerdì 23 settembre 2011
Solo un Papa ci può salvare. Un grande discorso non minimalista su ragione e politica in occidente S olo un Papa ci può salvare. Da tempo Benedetto XVI, regnante con ardente intelligenza e millenaria malizia sulla chiesa cattolica, parlava di Dio, e invitava a pregare e a espiare le colpe personali e della chiesa. Il Ratzinger teologico-politico, quello delle grandi battaglie di cultura e del discorso di Ratisbona, sembrava essersi immerso nelle profonde acque della sola fede.
Faceva, il nostro amato Papa, quello che fecero i gesuiti all`inizio del Seicento, sotto il preposito Acquaviva, un geniale abruzzese, figlio del Duca d`Atri, che cercò di ricostruire in in, teriore Nomine e in nuove regole educative e di preghiera, la spiritualità dell`ordine che era messa in discussione dal multiforme contatto con il mondo, dopo la tempesta Luterana e il dramma del chiostro vissuto dal monaco agostiniano che aveva rotto l`unità del cristianesimo d`occidente con il suo tremendo genio religioso e la sua grandiosa eresia carica di modernismo.
Ieri, nello splendido discorso tenuto al Bundestag, il Parlamene to della sua patria, è riemerso in chiara, mite e fulgidissima luce - la luce dell`intelligenza e della ragione - quel formidabile professor Ratzinger che fu eletto alla guida della chiesa di Roma su una piattaforma di lotta intellettuale ed etica alla deriva relativista e nichilista dell`occidente moderno. Che solo un Papa può salvare (altro che il Dio oscuro di Martin Heidegger).
Benedetto ha sorpreso tutti. Niente affiato pastorale minimalista, niente catechesi ordinaria, e invece un energico, nitido e straordinario richiamo alla sostanza di ciò che è politico, pubblico, e alla questione filosofico-giuridica di come si possa fare la cosa giusta, condurre una vita giusta, reggere governi e stati giusti, fare leggi giuste in un mondo che non dipende più dalla tradizione, dall`autorevolezza intrinseca della fede, ma dalla democrazia maggioritaria.

Testo dell'omelia di papa Benedetto XVI all'Olympiastadion di Berlino


Pubblichiamo il testo dell'omelia di papa Benedetto XVI all'Olympiastadion di Berlino

Cari confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,


lo sguardo all’ampio stadio olimpico che voi riempite oggi in gran numero, suscita in me grande gioia e fiducia. Saluto con affetto tutti voi: i fedeli dell’Arcidiocesi di Berlino e delle Diocesi tedesche, nonché i numerosi pellegrini provenienti dai Paesi vicini. Quindici anni or sono, per la prima volta un Papa è venuto nella capitale federale Berlino. Tutti – anche io personalmente - abbiamo un ricordo molto vivo della Visita del mio venerato Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, e della Beatificazione del Prevosto del Duomo di Berlino Bernhard Lichtenberg – insieme a Karl Leisner – avvenuta proprio qui, in questo luogo.
Pensando a questi Beati e a tutta la schiera dei Santi e Beati, possiamo capire che cosa significhi vivere come tralci della vera vite che è Cristo, e portare frutto. Il Vangelo di oggi ci ha richiamato alla mente l’immagine di questa pianta, che è rampicante in modo rigoglioso nell’oriente e simbolo di forza vitale, una metafora per la bellezza e il dinamismo della comunione di Gesù con i suoi discepoli e amici, con noi.

giovedì 22 settembre 2011

«Esiste una sola famiglia»


«Esiste una sola famiglia», è rozza anche la Consulta?


di Marco Ciamei
22-09-2011

Oramai siamo tutti al corrente del polverone sollevato dalle recenti dichiarazioni di D’Alema sul matrimonio omosessuale, oltre che dalle sue successive immediate scuse per la presunta “rozzezza” della sua interpretazione dell’art. 29 della Costituzione.
Sorvoliamo un attimo sul comportamento ambivalente dell’uomo politico e sulla impressionante “capacità di fuoco” delle lobby omosessuali (…e poi ci vengono a criticare per l’Inquisizione di qualche secolo orsono!), concentriamoci piuttosto sulla presunta “rozzezza” dell’interpretazione secondo cui l’art. 29 della Costituzione impedirebbe il matrimonio tra omosessuali.
Dobbiamo passare davvero per rozzi se facciamo una simile affermazione?
Che ne dite se lasciamo la parola a chi, per competenza professionale e funzione istituzionale, davvero rozzo non può essere definito nelle materie giuridiche: la Corte Costituzionale.
Farà piacere sapere che il 15 aprile 2010 è stato pubblicato il testo integrale della sentenza n. 138 della Corte Costituzionale, con la quale sono stati “respinti” i ricorsi proposti da due coppie di omosessuali.
Vogliamo esaminarla insieme?
Come funzionano le decisioni della Corte Costituzionale.
Prima di tutto occorre spiegare brevemente come funziona un giudizio di legittimità costituzionale.
Uno o più cittadini si rivolgono ad un giudice per far valere quello che ritengono un proprio diritto. Questo giudice si trova a dover fornire una risposta positiva o negativa che richiede l’applicazione di una norma giuridica: questa norma, però, potrebbe essere ritenuta dallo stesso giudice in contrasto con la Costituzione.
In questo caso, dunque, il giudice rimette la “questione di legittimità costituzionale” davanti alla Corte Costituzionale, la quale deciderà in tre modi:
a) inammissibilità se la questione non può essere esaminata per motivi di procedura o semplicemente perché la Corte non si può pronunciare per come richiesto dal giudice rimettente;
b) manifesta infondatezza, se la questione non merita neppure di essere approfondita in quanto la norma denunciata dal giudice rimettente è con tutta evidenza rispettosa della Costituzione;
c) fondatezza o infondatezza, se la questione è tale da dover essere esaminata e, quindi, accolta o meno alla luce delle argomentazioni fornite dalla Corte.
Nel caso di fondatezza, la norma viene “espulsa” dall’ordinamento; nel caso di infondatezza, rimane intatta così come era.
Sorvoliamo su alcune ipotesi, diciamo così, “intermedie”: non ci interessano ora.

lunedì 12 settembre 2011

Domus orationis vocabitur, ma non sempre è così…






Durante la celebrazione eucaristica domenicale, un pastore di una comunità evangelica -accorso per partecipare ad un rito nuziale e non, certamente, per cibarsi di Cristo, realmente presente nel mirabile Sacramento dell’Altare- si è seduto proprio davanti a me, verso gli ultimi posti.
Con molto dispiacere, ho notato che costui, durante la frazione del Pane, non ha fatto altro che stare con le mani in tasca, incurante evidentemente della presenza di Dio sull’Altare e nel Tabernacolo. Così, al termine della Santa Messa, con il garbo richiesto da Gesù quando parla della cosiddetta “correzione fraterna”, ho fatto notare al pastore il suo atteggiamento fisico, certamente poco rispettoso verso un luogo sacro, qual è un tempio. Con grande stupore ed incredulità, dopo aver cercato di difendersi, non ha potuto fare altro che scusarsi. Il problema, però, è un altro! Se costui, infatti, avesse voluto mettermi in seria difficoltà, avrebbe potuto tranquillamente farlo, evidenziando l’atteggiamento ambiguo verso l’Eucaristia da parte dei cattolici presenti: urla, utilizzo dei telefonini come se ci si trovasse dappertutto tranne che in un luogo sacro, abbigliamento da sfilata di moda, ed altri comportamenti di palese irriverenza verso la sacralità della liturgia stessa. E non solo.

In quell’occasione, cioè durante la Messa domenicale comunitaria, in cui solitamente vi è un coro che guida l’assemblea e la illumina nel canto -almeno così dovrebbe essere-, è stato dato totalmente spazio a due musicanti (un uomo e una ragazza) che con l’ausilio del pianoforte -e sottolineo pianoforte- se la sono cantata e suonata, escludendo completamente l’assemblea e trasformando, di fatto, la celebrazione eucaristica -di cui la musica è parte integrante- in un puro spettacolo da piano bar.

Più volte ho scritto che i peggiori atti di sciacallaggio liturgico avvengono specialmente durante i matrimoni e i funerali, ed è sempre vero! Come quando, durante una Messa nuziale, vennero propagate canzoni di Eros Ramazzotti e di Lucio Dalla o, in occasione di un funerale, altre di Renato Zero…

A questo punto, dobbiamo avere la consapevolezza che la partita tra la liturgia e tutto ciò che le è contrario non si gioca in Vaticano, nelle Cattedrali o nelle grandi Basiliche. La partita vera si gioca nelle piccole comunità dove, spesso, la distrazione dei parroci e la tiepidezza dei fedeli producono una miscela di irriverenza e di disinteresse nei confronti del sacro e autorizzano anche i non cattolici a comportarsi senza rispetto, come nel caso sopra riportato.

Purtroppo, stiamo sciupando il mistero eucaristico, riducendolo ai nostri capricci e alla nostra mentalità mondana, alla nostra sporcizia e alla nostra comodità. Ed anche il senso autentico del ministero del presbìtero nella liturgia si sta annacquando: ministranti -anche donne e bambini- che fungono da accoliti, aprendo e chiudendo il Tabernacolo, distribuendo l’Eucaristia e purificando il Calice prima dell’orazione finale; oppure da Diaconi, elevando assieme al presidente il Calice o la Patena durante la dossologia. Per non entrare, poi, nella questione dei cosiddetti “ministri straordinari” dell’Eucaristia: in questo caso, gli abusi abbondano esageratamente! Ricordo di aver scritto varie lettere, poco tempo addietro, ad un Ordinario Diocesano e a due Prefetti Vaticani per segnalare gli abusi che venivano compiuti in una Parrocchia nella quale, ormai, decine e decine di fedeli, a turno, mentre il celebrante se ne stava comodamente seduto, distribuivano l’Eucaristia, anche in modo non decoroso: una signora, un giorno, distribuì la Comunione tenendo il bambino in braccio, con il rischio che le potesse cadere le pisside dalla mano… Peccato che nessuno, tra le persone informate, abbia preso alcun provvedimento per risanare quell’assurda situazione. Ci troviamo di fronte, come si vede, ad un gravissimo momento di relativismo liturgico.

Il paradosso è che tale fenomeno continua ad avvenire proprio nel periodo in cui sulla Cattedra Petrina siede uno dei Pontefici che, più di ogni altro, sta mettendo la Chiesa in guardia dal relativismo: Benedetto XVI. Ma, come sappiamo, quando ad emergere è lo spirito di ribellione, di disobbedienza e di superbia, non si ascoltano nemmeno le parole di colui il quale parla nel nome di Cristo: Benedictus qui venit in nomine Domini!

A questo punto, allora, per porre rimedio a questa deriva liturgica, dovremmo meditare a lungo su ciò che avviene ai discepoli di Emmaus i quali, pur camminando in compagnia di Gesù, non sono nelle condizioni di poterlo riconoscere: “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (Lc 24, 16). Solo facendo l’esperienza eucaristica, gli stessi discepoli si rendono conto di trovarsi dinnanzi a Gesù risorto: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 30-31).

Perciò, solo dinnanzi a Gesù Eucaristia, quei discepoli diventano consapevoli anche del fatto che, ancor prima, mentre ascoltavano la voce del Signore ardeva il loro cuore. Ma questo, solo dopo averlo riconosciuto nel mirabile Sacramento dell’Eucaristia. Ecco perché risulta impensabile ogni atteggiamento di irriverenza verso il Santissimo Sacramento dell’Altare.

Ogni qual volta ridicolizziamo Gesù -perché di questo si tratta- non siamo nelle condizioni di riconoscerlo vivo e vero, nel Pane e nel Vino, nostro cibo e bevanda di salvezza. Come ho già avuto modo di scrivere in un mio recente articolo sull’Eucaristia nell’ambito del satanismo, in ogni profanazione eucaristica, Gesù, il buon pastore, è nuovamente costretto a subire l’umiliazione della colonna. Ma il suo preziosissimo corpo non è più dilaniato da verghe, da bastoni spinosi con nodi a punta, da cinghie munite di uncini all’estremità, bensì da forme irriguardose, compiute dalla creatura umana, quando diviene strumento nelle mani del male assoluto.

Gesù Eucaristia, pur subendo oltraggi gravissimi, rimane silenzioso, inerme. Il suo splendore e la sua luminosità non si affievoliscono solo perché, quale Agnello mansueto, vuole continuare ad elargire a noi, sue creature, il dono di averlo come nostro nutrimento. Ogni Domenica, al termine di molte celebrazioni, si potrebbe scrivere qualcosa. Ma, quasi sempre, gli articoli e le lettere vengono considerate “cose morte” da chi le riceve e, quindi, non bastano! Solo attraverso la preghiera si possono cambiare le cose.

“L’Eucaristia -scrive Giovanni Paolo II- è un dono troppo grande per sopportare ambiguità e diminuizioni”; e Alexandrina da Costa: “Quali crimini si commettono contro di me nella Eucaristia! Io vorrei molte guardie fedeli, prostrate davanti ai Tabernacoli, per non lasciarvi accadere tanti e tanti crimini”. Maria Santissima, eletta fin dal principio quale tabernacolo immacolato di Cristo, ci aiuti a crescere nella consapevolezza che la Chiesa, nata dal costato del suo Figlio, non può non vivere di Eucaristia e perché, divenendo sempre più coerenti con la nostra Fede, possiamo impegnarci -come auspicava il Missionario Apostolico Don Matteo Lamanna- nel dare ripari al Tabernacolo.


Stefano Cropanese



lunedì 5 settembre 2011

Il vero volto della “messa del Concilio”

Dalle messe “talk-show”, alle chitarre in chiesa, per arrivare a tabernacoli e crocifissi relegati in un angolo, balaustre e altari demoliti, tavolini al posto dell’altare “vero” pur di celebrare verso il popolo, liturgia incentrata sul celebrante-attore, comunione sulle mani, proibizione di inginocchiarsi, cartelloni colorati, testimonianze-omelie di laici durante la messa: queste e tante altre novità sono state introdotte proprio “in nome del Concilio”. Ok, ma non è chiaro a quale concilio si riferiscano, dal momento che il Concilio Ecumenico Vaticano II non parla di tutte queste cose. Anzi, rileggendo la Costituzione conciliare “Sacrosantum Concilium” emergono alcuni orientamenti dei padri conciliari, che invece i nostri parroci sembrano aver dimenticato “in nome del Concilio” – il quale però diceva:

36.1L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.

36.2 Dato però che, sia nella messa che nell’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.

116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica, a norma dell’art. 30.

Insomma la “Messa del Concilio” sarebbe più o meno questa:





fonte: Continuitas

domenica 4 settembre 2011

Stanno estromettendo Gesù dalle chiese.



















Un giorno, conversando con amici, Ratzinger (ancora cardinale) se ne uscì con una battuta: “Per me una conferma della divinità della fede viene dal fatto che sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.
Se ne sentono infatti di tutti i colori. Non c’è solo il prete che – è notizia di ieri – in una basilica della Brianza diffonde una preghiera islamica in cui si inneggia ad Allah.

Ci sono quelli che consigliano la lettura di Mancuso o Augias… E si trovano “installazioni” di arte contemporanea nelle cattedrali che fanno accapponare la pelle.

D’altra parte pure i cardinali di Milano hanno dato sfogo alla “creatività”.

Leggo dal sito di Sandro Magister: “Nel 2005, l’11 maggio, per introdurre un ciclo dedicato al libro di Giobbe è stato chiamato a parlare in Duomo il professor Massimo Cacciari: oltre che sindaco di Venezia, filosofo ‘non credente’ come altri che in anni precedenti avevano preso parte a incontri promossi dal cardinale Martini col titolo, appunto, di ‘Cattedra dei non credenti’. Cacciari ha tessuto l’elogio del vivere senza fede e senza certezze”.

Insomma nelle chiese si può trovare di tutto. Tranne la centralità di Gesù Cristo.

Infatti – nella disattenzione generale – i vescovi italiani hanno estromesso dalle chiese (o almeno vistosamente allontanato dall’altare centrale e accantonato in qualche angolo) proprio Colui che ne sarebbe il legittimo “proprietario”, cioè il Figlio di Dio, presente nel Santissimo Sacramento.

Non sembri una banale battuta. Al Congresso eucaristico nazionale che si sta aprendo ad Ancona dovrebbero considerare gli effetti devastanti prodotti dall’incredibile documento della Commissione Episcopale per la liturgia del 1996 che è il vademecum in base al quale sono state progettate le nuove chiese italiane e i relativi tabernacoli, o sono state “ripensate” le chiese più antiche.

Non si capisce quale sia lo statuto teologico di cui gode una Commissione della Cei (a mio avviso nessuno). Ma la cosa singolare è questa: che nell’ambiente ecclesiastico – a partire da seminari e facoltà teologiche – trovi legioni di teologi pronti (senza alcuna ragione seria) a mettere in discussione i Vangeli (nella loro attendibilità storica) e le parole del Papa, ma se si tratta di testi partoriti dalle loro sapienti meningi, e firmati da qualche commissione episcopale, ti dicono che quelli devono essere considerati sacri e intoccabili.

Dunque in quel testo del 1996, fra le altre cose discutibili, si “consiglia vivamente” di collocare il tabernacolo non solo lontano dall’altare su cui si celebra, ma pure dalla cosiddetta area presbiterale. Relegandolo “in un luogo a parte”.

Le motivazioni – come sempre – sono apparentemente “devote”. Si dice infatti che il tabernacolo potrebbe distrarre dalla celebrazione eucaristica.

Motivazione ridicola e – nella sua enfasi sull’evento celebrativo a discapito della presenza nel tabernacolo – anche pericolosamente somigliante alle tesi di Lutero.

L’effetto inaudito di queste norme è il seguente: nelle chiese si assiste da qualche anno a un accantonamento progressivo del tabernacolo, cioè del luogo più importante della chiesa, quello in cui è presente il Signore.

Prima lo si è collocato in un posto defilato (una colonna o un altare laterale), quindi in una cappella, parzialmente visibile. Alla fine probabilmente sarà del tutto estromesso dalle chiese.

Come risulta essere nell’incredibile edificio di San Giovanni Rotondo in cui è stato portato il corpo di san Pio.

L’edificio, progettato da Renzo Piano, non ha inginocchiatoi e la figura centrale e incombente è l’enorme e spaventoso drago rosso dell’apocalisse rappresentato trionfante nell’immensa vetrata: ebbene il tabernacolo lì non c’è.

Non so a chi sia venuto in mente questo progressivo occultamento dei tabernacoli nelle chiese (che avrebbe fatto inorridire padre Pio). Esso non corrisponde affatto all’insegnamento del Concilio Vaticano II, visto che l’istruzione post-conciliare “Inter Oecumenici” del 1964 affermava che il luogo ordinario del tabernacolo deve essere l’altare maggiore.

E non piace nemmeno al Papa come si vede nell’Esortazione post sinodale “Sacramentum Caritatis” dove egli sottolinea il legame strettissimo che deve esserci fra celebrazione eucaristica e adorazione.

Sottolineatura emersa dall’XI Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005 che ha richiesto la centralità ed eminenza del tabernacolo.

Basterà per tornare sulla retta via? Nient’affatto. Come dimostra il comportamento – a volte di aperta contestazione al Papa – tenuto da certi vescovi quando il suo famoso “Motu proprio” ha restaurato la libertà di celebrare anche con l’antico messale.

Purtroppo le idee sbagliate dei liturgisti “creativi” continueranno a prevalere sul papa, sul Concilio e sul Sinodo (forse faranno strada anche altre balordaggini come la “prima comunione” a 13 anni). Fa da corollario a questa estromissione di Gesù eucaristico dalle chiese, la stupefacente pratica del biglietto di ingresso istituito perfino per alcune Cattedrali. Degradate così a musei.

La protestantizzazione o la museizzazione delle chiese è un fenomeno dagli effetti spaventosi per la Chiesa Cattolica. Si dovrebbero prendere subito provvedimenti.

Per capire cosa era – e cosa dovrebbe essere – una chiesa cattolica voglio ricordare la storia di due persone significative.

La prima è Edith Stein, una donna straordinaria, filosofa agnostica, di famiglia ebrea, che divenne cattolica, si fece suora carmelitana ed è morta nel lager nazista di Auschwitz.

E’ stata proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1998 e nell’anno successivo compatrona d’Europa.

La Stein ha raccontato che un primo episodio che la portò verso la conversione accadde nel 1917 quando lei, giovinetta, vide una popolana, con la cesta della spesa, entrare nel Duomo di Francoforte e fermarsi per una preghiera:

“Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l’accaduto”.

Lì infatti c’era Gesù eucaristico.

Un altro caso riguarda il famoso intellettuale francese André Frossard. Era il figlio del segretario del Partito comunista francese.

Era ateo, aveva vent’anni e quel giorno aveva un appuntamento con una ragazza. L’amico con cui stava camminando, essendo cattolico, gli chiese di aspettarlo qualche istante mentre entrava in una chiesa.

Dopo alcuni minuti Frossard decise di andare a chiamarlo perché aveva fretta di incontrare “la nuova fiamma”. Lo scrittore sottolinea che lui non aveva proprio nessuno dei tormenti religiosi che hanno tanti altri.

Per loro, giovani comunisti, la religione era un vecchio rottame della storia e Dio un problema “risolto in senso negativo da due o tre secoli”.

Eppure quando entrò in quella chiesa era in corso un’adorazione eucaristica e, racconta, “è allora che è accaduto l’imprevedibile”.

Dice:

“il ragazzo che ero allora non ha dimenticato lo stupore che si impadronì di lui quando, dal fondo di quella cappella, priva di particolare bellezza, vide sorgere all’improvviso davanti a sé un mondo, un altro mondo di splendore insopportabile, di densità pazzesca, la cui luce rivelava e nascondeva a un tempo la presenza di Dio, di quel Dio, di cui, un istante prima, avrebbe giurato che mai era esistito se non nell’immaginazione degli uomini; nello stesso tempo era sommerso da un’onda, da cui dilagavano insieme gioia e dolcezza, un flutto la cui potenza spezzava il cuore e di cui mai ha perso il ricordo”.

La sua vita ne fu capovolta. “Insisto. Fu un’esperienza oggettiva, fu quasi un esperimento di fisica”, ha scritto. Frossard è diventato il più celebre giornalista cattolico. In una chiesa di oggi non avrebbe incontrato il Verbo fatto carne, ma le chiacchiere di carta.

Antonio Socci



Da Libero, 3 settembre 2011
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