venerdì 23 novembre 2012

LA PROFESSIONE NELL’OFS: DONO E IMPEGNO



LA PROFESSIONE NELL’OFS: DONO E IMPEGNO





Fr. Felice Cangelosi, ofm cap

I. LA PROFESSIONE DONO DELLO SPIRITO

I Fratelli e le Sorelle chiamati alla vita francescana nella Fraternità Secolare emettono la loro Professione durante una specifica celebrazione secondo il Rituale proprio dell’OFS. Questo aspetto è tutt’altro che trascurabile, perché la celebrazione costituisce il momento fondativo dell’essere del professo e simultaneamente è premessa dialogica per una risposta all’azione di Dio. Infatti, le conseguenze dell’impegno espresso dall’uomo con una promessa derivano da un  preimpegno e da una pre-compromissione di Dio nei confronti dell’uomo.
La celebrazione della Professione testimonia tutto questo, perché è azione di Dio ed evento salvifico. Essa è un momento in cui la salvezza raggiunge i fedeli: 
1. abilitandoli a emettere la promessa di vita evangelico-francescana
 2. producendo in essi particolari effetti di grazia, che li deputano a specifici compiti in seno al popolo di Dio.
Solo un uomo santificato nell’azione liturgica, dove sperimenta pienamente l’immensità e la forza  dell’amore di Dio, può essere capace di una risposta di amore. D’altra parte nella celebrazione si riflette il sentire della Chiesa circa la Professione nell’Ordine Francescano Secolare. La liturgia, infatti, è sempre confessione della fede, poiché in essa, cioè nel suo compiersi durante l’azione rituale, la Chiesa proclama in maniera autentica la propria fede nel Mistero della Salvezza che si attua nei fedeli e per i fedeli.

 1. La grazia della Professione
Chi emette la Professione nell’OFS dice: «poiché il Signore mi ha dato questa grazia, rinnovo le mie promesse battesimali e mi consacro al servizio del suo Regno» (Formula della Professione).
La dedicazione al servizio del Regno avviene perché il Signore dona la grazia di consacrarsi alla causa del Regno. La Professione è grazia e dono dello Spirito. Non solo lo Spirito Santo è la sorgente della vocazione dei francescani secolari (Cost 11), poiché essi sono spinti dallo Spirito  a raggiungere la perfezione della carità nel proprio stato secolare (Regola 2); ma anche la Professione avviene ad opera del medesimo Spirito. Perciò le «Note preliminari» (cfr. n. 7) del Rituale affermano che «Il Rituale OFS... deve convenientemente manifestare il dono dello Spirito e il proposito di vita evangelica proprio dell’Ordine Francescano Secolare». Il riferimento va prima al dono dello Spirito e poi al proposito di vita evangelica, poiché questo non è pensabile né possibile senza la preveniente e ispirante grazia dello Spirito. Per la stessa ragione, i candidati dichiarano il loro proposito di vita evangelica dopo che su di essi è stato invocato lo Spirito Santo: «Volgi, o Signore, il tuo sguardo su questi tuoi servi, e infondi nei loro cuori lo Spirito del tuo amore affinché possano con la tua grazia custodire il proposito di vita evangelica» (RitualeII,30).

2. La Professione: azione della Chiesa

La Professione avviene per un intervento di Dio.
Ma poiché Dio agisce sempre attraverso Cristo, la cui sacrosanta Umanità è il punto di incontro tra Dio e l’uomo, e oggi Cristo vive ed opera attraverso la Chiesa, ne consegue che la Professione è simultaneamente azione di Cristo e della Chiesa, cioè di tutto il Corpo di Cristo: il Capo e le sue membra. È significativo il linguaggio delle Costituzioni (42,1), che definiscono la Professione un atto (azione) ecclesiale solenne, e del Rituale (Note preliminari, n. 13) che la dichiara di sua natura un fatto pubblico ed ecclesiale. Si tratta dell’uno e dell’altro: la Professione non è solo una azione, ma è anche un avvenimento o, meglio ancora, è un evento, un kairòs salvifico.

3. Professione e Fraternità

Fermo restando che la Professione, di sua natura, è un fatto ecclesiale, un’azione di Cristo e della Chiesa, c’è da chiedersi chi sono i soggetti che concretamente pongono tale azione o, meglio, come e in chi si rende visibile e si manifesta l’azione di Cristo e della Chiesa?
Per Chiesa il Rituale intende una concreta assemblea liturgica, costituita dal popolo e dalla comunità dei fratelli ossia dalla fraternità locale dell’Ordine Francescano Secolare. La fraternità locale primieramente rende visibile la presenza e azione della Chiesa nella Professione. Quindi «La Professione, dal momento che di sua natura è un fatto pubblico ed ecclesiale, si deve celebrare alla presenza della fraternità» (Rituale, Note preliminari, n. 13). La ragione ultima di tale disposizione si trova nella realtà della fraternità locale: essa è un segno visibile della Chiesa, che è comunità di fede e di amore (cfr. Regola 22; Rituale II, 29 d). La fraternità locale è/deve essere un genuino cenacolo ecclesiale. In virtù di questa stessa intrinseca ragione, “i francescani secolari, raccolti in fraternità e in unione di spirito con tutto il popolo di Dio, celebrano il mistero della salvezza a noi rivelato e comunicato in Cristo, con preghiere e rendimento di grazie e rinnovando le loro promesse di vita nuova” (Rituale, Note preliminari, n. 3). Per questa ragione, la Professione si emette davanti alla fraternità radunata e la fraternità accoglie la richiesta dei candidati, essendo la Professione un dono che il Padre fa alla stessa fraternità associandole nuovi membri. Grata per il dono, la Fraternità si unisce alla preghiera dei profitenti, affinché lo Spirito Santo porti a compimento l’opera da lui iniziata.
Il Rituale sviluppa ulteriormente i rapporti con la Fraternità, creati dalla Professione o promessa di vita evangelica. La Professione produce la «incorporazione nell’Ordine Francescano Secolare»; implica quindi l’inserimento vitale in una famiglia, quella Francescana, con tutte le conseguenze derivanti dalla appartenenza alla stessa famiglia spirituale. Simultaneamente la Professione determina una reciprocità di atteggiamenti, sentimenti, relazioni, doveri, diritti, ecc. Le «Note preliminari» (n. 14) del Rituale, parlando della natura della Professione nell’OFS, dicono che questa comporta la «fiducia del candidato, che poggia sull’aiuto della Regola dell’OFS e della Fraternità. Infatti il candidato si sentirà guidato e aiutato dalla Regola approvata dalla Chiesa e proverà la gioia di partecipare al cammino della vita evangelica con molti fratelli dai quali può ricevere ma ai quali può anche dare qualcosa. Incorporato nella Fraternità locale, che è una cellula della Chiesa, egli apporterà il suo contributo al rinnovamento di tutta la Chiesa». In queste affermazioni del Rituale si scorge: 
 - la fondazione liturgica della Fraternità, che è appunto una reciprocità, precisamente come la intendeva S. Francesco;
- la fondazione liturgica dell’appartenenza all’Ordine Francescano Secolare.
Per questo motivo nella formula della Professione s’invoca: «La grazia dello Spirito Santo, l’intercessione della beata Vergine e di S. Francesco e la fraterna comunione mi siano sempre di aiuto, affinché raggiunga la perfezione della carità cristiana» (Rituale II,31). 
«La medesima istanza è espressa dal ministro della Fraternità che riceve la Professione:  Rendiamo grazie a Dio. Come ministro ti ricevo in questa Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare. La tua incorporazione in essa è motivo di gioia e di speranza per tutti i fratelli» (Rituale II, 32).
Dai testi citati emergono due valenze fraterne della Professione nell’Ordine Francescano Secolare.
1. La Professione comporta e produce l’affidamento o la consegna del candidato alla Fraternità. Con la Professione si viene a stabilire una alleanza con i Fratelli, cui non è mai lecito venir meno. La sacralità della Professione, attraverso cui si contrae un impegno perpetuo con Dio (cfr. Regola 2; Cost 42,2), ha degli essenziali risvolti fraterni da intendere e vivere proprio alla luce del medesimo «patto giurato» con Dio.
 2. Con la sua fondazione liturgica, la Professione determina la incorporazione a una fraternità locale e, per mezzo di essa, all’Ordine Francescano Secolare. 
Si viene così a percepire come la realtà derivante dalla celebrazione della Professione non è di natura anagrafica («non ci si iscrive all’OFS»), anche se è necessario redigere l’atto della Professione. Pur avendo valenze giuridiche, il concetto e la realtà dell’incorporazione supera le stesse connotazioni e indica l’inserimento in un corpo vivente e la fusione con il medesimo organismo, in cui si viene a costituire una unica realtà. L’incorporazione comporta la trasformazione di più realtà in una sola attraverso un processo di assorbimento e di assimilazione.
Essa non è pensabile semplicemente in termini addizionali (uno + uno), perché determina un rapporto di estensione dell’uno (il candidato) nell’altra (la fraternità) e viceversa, per dare  origine a un essere vivente più grande e più completo.
A ragione, a conclusione del rito di iniziazione, il ministro si rivolge ai nuovi membri della fraternità dicendo loro: «accrescete la nostra fraternità di numero e di virtù con la vostra  presenza e con la vostra comunione» (Rituale I,16).
Quindi i rapporti fondati con la Professione e dalla Professione sono di ordine spirituale ed ecclesiale, dal momento che la fraternità locale cui il candidato viene incorporato, è «la cellula prima di tutto l’Ordine e segno visibile della Chiesa, comunità di amore» (Regola 22; cfr. Cost
47,1).
 4. I ministeri nella celebrazione della professione
L’azione della Chiesa-Fraternità celebrante si specifica in una molteplicità di ministeri, esercitati da persone che, all’interno dell’assemblea liturgica, sono chiamati a svolgere particolari funzioni. 
4.1. I candidati
L’azione di Cristo e della Chiesa si esprime nella persona dei candidati, che pongono l’atto  della Professione facendo la promessa di vita evangelica. Essi sono dei battezzati. Conseguentemente la Professione è una azione sacerdotale, propria di chi, in forza del Battesimo, è già inserito nella Chiesa, Corpo Sacerdotale, ed è conformato a Cristo, sacerdote, re e profeta.  
 I Candidati sono o dovrebbero (debbono) essere dei confermati. Conseguentemente la Professione è l’azione sacerdotale, propria di chi, avendo nuovamente ricevuto il dono dello Spirito nella Confermazione, è stato abilitato e deputato a celebrare l’Eucarestia e i Sacramenti, a collocare la propria vita in posizione sacerdotale-cultuale e, conseguentemente, a porre l’atto sacerdotale della Professione.

4.2 Il ministro della Fraternità
L’azione della Chiesa si rende visibile concretamente ancora nella presenza del ministro della Fraternità. Ciò è detto chiaramente dalle Costituzioni e dal Rituale: «La Professione è ricevuta dal ministro della Fraternità locale, o da un suo delegato, a nome della Chiesa e dell’OFS» (Cost 42,3). 
«La Chiesa, mediante il sacerdote e il ministro, che rappresenta la fraternità, accetta la
promessa e la Professione...» (Rituale, n. 9). 
La Chiesa opera mediante il sacerdote e mediante il ministro, che rappresenta la fraternità e la Chiesa. Il Rituale definisce con maggiore chiarezza il ruolo del ministro della Fraternità e del presbitero che presiede la celebrazione, quando afferma: 
«La promessa di vita evangelica è ricevuta dal ministro, in nome della Chiesa e della fraternità. Al rito presiede il Sacerdote come testimone della Chiesa e dell’Ordine» (n. 16). Nella celebrazione della Professione il ministro della Fraternità esercita un vero e proprio ministero liturgico e ha la funzione di «segno»: egli rende visibile e manifesta la presenza e l’azione della  Chiesa, mentre la stessa Chiesa e la fraternità ricevono la Professione attraverso il ministro.
4.3 Il presbitero
Anche il presbitero che presiede la celebrazione è definito «testimone della Chiesa e dell’Ordine» (Rituale, Note preliminari, n. 17).
Per comprendere la natura di tale testimonianza, è necessario superare le categorie giuridiche, perché l’azione o l’evento della Professione è di natura sacramentale. Conseguentemente la testimonianza del presbitero non è giuridica, ma più propriamente sacramentale e di  santificazione. Certamente, nella celebrazione della Professione il presbitero ha un ruolo di garante. Di fronte ad avvenimenti decisivi, che coinvolgono e interessano l’esistenza dei  cristiani, la Chiesa assume sempre un atteggiamento di trepidazione. Nelle azioni liturgico sacramentarie si evidenzia la realtà dell’Ecclesia mater, legittimamente preoccupata della sorte dei suoi figli. Da qui derivano e qui trovano la loro giustificazione gli scrutini o le interrogazioni rivolte ai genitori prima del Battesimo, ai cresimandi, agli ordinandi, ai nubendi prima del consenso matrimoniale, ai profitenti prima di emettere i voti religiosi o il propositum castitatis. Da qui scaturiscono e sono giustificate anche le interrogazioni che vengono rivolte a coloro che intendono fare la Professione nell’Ordine Francescano Secolare.

Porre tali domande e riceverne risposta compete al presbitero, perché è per suo tramite che la
Chiesa vuole essere rassicurata sulla consapevolezza del significato della Professione da parte di coloro che desiderano far parte dell’Ordine Francescano Secolare e sulle loro reali intenzioni. Non solo; in quanto azione ecclesiale e proprio perché tale, la Professione nell’Ordine Francescano Secolare ha bisogno di essere confermata dalla Chiesa. Anche tale conferma è di pertinenza del presbitero, il quale, dopo che i candidati hanno letto la formula della Professione, dice: «Confermo le vostre promesse in nome della Chiesa» (Rituale II, 33).
Conseguentemente il presbitero nella celebrazione della Professione è: 
a) testimone, che attesta e manifesta la presenza e azione della Chiesa;

b) garante, che rassicura la Chiesa sull’idoneità dei candidati;

c) ratificatore, che conferma le promesse in nome della Chiesa.

5. Il dono dello Spirito nella celebrazione della Professione

Il ruolo del presbitero non è solo questo, ma va oltre per raggiungere soprattutto la funzione di
santificare, che è propria delle azioni liturgiche. Anche la celebrazione della Professione nell’Ordine Francescano Secolare è finalizzata alla santificazione di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo sull’esempio di san Francesco d’Assisi rimanendo ne loro stato secolare. La santificazione è sempre opera del Padre, ma passa attraverso la mediazione di Cristo e della Chiesa, e si realizza nello Spirito Santo. La mediazione di Cristo e della Chiesa, poi, si manifestano soprattutto nell’azione del presbitero, perché è lui solo che agisce in persona Christi. Alla luce di queste premesse il Rituale della Professione afferma:

«La Chiesa mediante il sacerdote e il ministro, che rappresenta la fraternità, accetta la
promessa e la Professione. Con la sua pubblica preghiera la Chiesa impetra loro gli aiuti e le
grazie da Dio; su di loro impartisce la sua benedizione e associa la loro promessa o
Professione al sacrificio eucaristico» (Note preliminari n. 9).

Gli elementi che scaturiscono dal dettato del Rituale risultano veramente fondamentali per comprendere la funzione della Chiesa nella celebrazione della Professione. Il testo, infatti, ripropone la necessità della conferma della Professione da parte della Chiesa, ma nello stesso tempo evidenzia che la Chiesa è presente alla celebrazione della Professione per pregare, per invocare. La Chiesa impetra per i candidati gli aiuti e la grazia di Dio, e soprattutto impartisce su di loro la benedizione.
Nell’azione liturgica della Professione nell’Ordine Francescano Secolare lo Spirito Santo viene
invocato, così come è invocato nella celebrazione dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti, nella Professione religiosa, nella Consacrazione delle Vergini, ecc. La celebrazione della Professione si configura pertanto come epiclesi [1], proprio in forza della invocazione ecclesiale che richiede  il dono della grazia e l’effusione (infunde) dello Spirito su coloro che sono stati chiamati a seguire le orme di Cristo nella vita evangelica francescana.
In ogni celebrazione liturgica, e quindi anche nella celebrazione della Professione, lo Spirito invocato viene, si rende presente, opera e trasforma. Perciò la Professione viene a configurarsi come una Pentecoste, una effettiva epifania dello Spirito che consacra e trasforma coloro che pongono la promessa di vita evangelica nell’Ordine Francescano Secolare. 

6. Professione ed Eucaristia
Tramite il presbitero la Chiesa associa la promessa o Professione al sacrificio eucaristico. A questo aspetto il Rituale riserva una attenzione particolare, prescrivendo che il «Rito della Promessa di vita evangelica o Professione» è «da celebrarsi durante la Messa». 
All’interno dell’Eucaristia, la celebrazione della Professione esprime l’intrinseca dimensione 
oblativo-sacrificale della Professione di vita evangelica nell’Ordine Francescano Secolare. 
Nella Professione, manifestata davanti alla Fraternità e alla Chiesa, si manifesta la realtà di sacerdoti e vittime, propria dei candidati i quali, facendo la promessa di vita evangelica, mettono interamente se stessi a disposizione di Dio e pongono il proprio corpo (persona) sull’altare del sacrificio di Cristo come vittima santa, gradita a Dio. Si evidenzia in ciò l’intimo rapporto tra la Professione e l’Eucaristia, in cui simultaneamente si rende sacramentalmente presente sia il sacrificio che il Cristo-sacerdote fa di se stesso al Padre sia il sacrificio che i neoprofessi fanno di sè al Padre. Quanto affermiamo della celebrazione della Professione ha valore anche per la vita che si diparte dalla medesima azione rituale, perché questa è il fondamento di una esistenza cristiana intrinsecamente segnata da una connotazione liturgica e polarizzata alla permanente glorificazione di Dio.
La Professione, infatti, non è un atto istantaneo, non è un’azione isolata dalla vita; è, invece, un impegno della vita e per la vita. L’atto della Professione, di per sé circoscritto nel tempo, determina una nuova situazione esistenziale, colloca nello «stato» dei professi, e questo è una condizione permanente, che va vissuta alla luce della sua azione fondativa nella celebrazione, intrinsecamente legata all’Eucaristia.
Ne consegue che il rapporto Professione-Eucaristia va vissuto durante tutta la vita, la quale acquisisce piena autenticità se e quando è ritmata dall’Eucaristia (ab Eucharistia ad Eucharistiam). Per tale ragione, introducendo la celebrazione della promessa di vita evangelica o Professione, un confratello secolare o lo stesso celebrante ammonisce i presenti con queste o simili parole: «Nel rendimento di grazie (eucaristia) al Padre per Cristo, oggi si aggiunge una nuova motivazione di gratitudine... Chiamati alla sequela di Cristo, il quale offrì se stesso al Padre ostia vivente per la vita del mondo, siamo insistentemente invitati, in modo particolare oggi, a unire la nostra offerta all’offerta di Cristo» (Rituale II,24). Nell’Eucaristia infatti, deve manifestarsi sacramentalmente la perpetua oblazione, già espressa al momento della Professione; e dall’Eucaristia deve profluire sulla vita dei professi l’efficacia del sacrificio di Cristo, che conferma e suggella l’impegno della vita evangelica, costantemente riproposto affinché la vita del francescano secolare assuma il ritmo di uno sviluppo sempre maggiore alla luce del medesimo avvenimento iniziale della Professione.
7. Battesimo e Professione

In quanto azione della Chiesa, la Professione di vita evangelica nell’Ordine Francescano Secolare produce degli effetti ecclesiali. Lo afferma chiaramente la Regola in uno dei suoi articoli più densi di contenuto teologico:
«Sepolti e risuscitati con Cristo nel Battesimo che li rende membri vivi della Chiesa, e ad essa
più fortemente vincolati per la Professione, si facciano testimoni e strumenti della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola» (Regola 6). L’elemento primario, emergente da questo fondamentale dettato delle Regola, è il rapporto Battesimo-Professione, dal quale conseguono le relazioni del francescano secolare con la Chiesa. Sul rapporto Battesimo-Professione insistono tanto le Costituzioni quanto il Rituale. I testi legislativi e liturgici dell’Ordine Francescano Secolare ripropongono alla mente e al cuore dei francescani secolari la realtà del Battesimo. Esso è grazia e dono inestimabile, che:
- produce una consacrazione;- configura sacramentalmente al mistero pasquale di Cristo morto, sepolto e risuscitato;
- rende membri vivi della Chiesa-Popolo di Dio.

L’adesione all’Ordine Francescano Secolare e la Professione in esso, sono finalizzati a «vivere con più intenso impegno e diligenza la grazia e la consacrazione battesimale» (Rituale I,12). l’impegno e la diligenza nel vivere il Battesimo, di per sé richiesti a tutti i cristiani, per i francescani secolari, dopo la Professione, si pongono come conseguenza di un’azione liturgica e di un evento salvifico che incide sullo stesso Battesimo. Ci sembra, pertanto, di poter affermare che se è vero che il Battesimo è «uno» e la Professione non si pone come un «nuovo» Battesimo, è anche vero che la Professione produce degli effetti particolari sull’organismo soprannaturale del cristiano, generato dal Battesimo. Il Rituale mette in luce l’azione specifica della Professione sul Battesimo, utilizzando i verbi rinnovare, manifestare, attuare.
7.1 Memoria del Battesimo
La Professione richiama alla memoria la consacrazione e le promesse del Battesimo. Per tale ragione, con assoluta precisione, la Professione nell’Ordine Francescano Secolare è stata definita «Memoria del Battesimo». Però il termine «memoria» non va inteso nel senso comune, secondo il quale noi «ricordiamo», cioè andiamo da noi al nostro passato, bensì secondo un movimento che dal passato raggiunge il presente, per cui quanto è accaduto nel passato, per la potenza dello Spirito Santo, è reso ora presente ed efficace. C’è qui il senso biblico di «memoriale», ed è alla luce di esso che bisogna intendere la Professione come memoria vivente del Battesimo. In tal senso «fare memoria» significa ritornare al Battesimo, ma anche permettere che il Sacramento da cui ha avuto inizio la vita nuova rinnovi la vita attuale.
7.2 Attuazione del Battesimo
La Professione, pertanto, comporta un particolare modo di reviviscenza del sacramento del Battesimo e un rinvigorimento del medesimo. Difatti il Rituale (Note preliminari, n. 1) parla dell’«inestimabile dono del Battesimo» che «in loro si manifesta e in maniera sempre più piena e fruttuosa si attua».Il linguaggio usato è molto simile a quello che i documenti del Concilio Vaticano Il e del Postconcilio adoperano parlando della Professione dei religiosi: essa è «una speciale consacrazione che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale, e ne e una espressione più perfetta» (PC 5 a). Tanto la Professione dei religiosi quanto quella dei francescani secolari è da ritenere una epifania del Battesimo non solo, ma anche una sua attuazione più piena e fruttuosa o una espressione più perfetta. Si viene così a percepire come la Professione produca una fruttificazione, un rafforzamento e un arricchimento del Battesimo. Nella celebrazione della Professione la specifica vocazione francescana secolare, suggellata dall’azione corroborante dello Spirito, arricchisce l’organismo battesimale e gli conferisce pienezza per la testimonianza a Cristo e l’edificazione del Corpo ecclesiale. Quindi attraverso la Professione le potenzialità implicite nel Battesimo vengono esplicitate e portate ad attuazione, perché la Professione agisce sul Battesimo, vi incide, lo segna e lo sviluppa, fonda una novità e produce una nuova effusione dello Spirito.
8. Il rapporto con la Chiesa

Il rapporto fondamentale del cristiano con la Chiesa viene stabilito dal Battesimo, poiché è questo che inserisce nel Popolo di Dio-Corpo di Cristo i figli generati dall’acqua e dallo Spirito.
Dalla Professione nasce un nuovo rapporto con la Chiesa, o meglio, il fondamentale rapporto
battesimale, rinnovato già e perfezionato nella Cresima, viene reso più «forte» e più «stretto». Dice, infatti, la Regola dell’Ordine Francescano Secolare:
«Sepolti e risuscitati con Cristo nel Battesimo che li rende membri vivi della Chiesa, e ad essa più fortemente vincolati per la Professione...» (Regola 6). Vi fa eco il Rituale quando chiede ai profitenti: «Fatti membri del Popolo di Dio con il Battesimo, irrobustiti nella Cresima con un nuovo dono dello Spirito, ... volete legarvi più strettamente alla Chiesa... ?» (II, 29). Dai testi adesso riferiti non si deduce che la Professione fondi un nuovo rapporto con la Chiesa; semplicemente si intende affermare che la Professione nell’Ordine Francescano Secolare sviluppa e intensifica il rapporto del battezzato-confermato con la Chiesa. Ma dal vigore di  linguaggio dei testi si arguisce anche la profondità della relazione del francescano secolare professo con la Chiesa. Pur non essendo diversa da quella del semplice battezzato-confermato, essa è una relazione più forte e più stretta (fortius et arctius).
9. Testimoni e strumenti della missione della Chiesa

Piuttosto i documenti si preoccupano di mettere in relazione il vincolo più forte con la Chiesa, scaturito dalla Professione, con la missione ecclesiale dei francescani secolari. Infatti: 
- «Sepolti e risuscitati con Cristo nel Battesimo che li rende membri vivi della Chiesa, e ad essa più fortemente vincolati per la Professione, si facciano testimoni e strumenti della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola». 
- «Ispirati a S. Francesco e con lui chiamati a ricostruire la Chiesa, s’impegnino a vivere in piena comunione con il papa, i vescovi e i sacerdoti in un fiducioso e aperto dialogo di creatività apostolica» (Regola 6) Quanto enucleato dalla Regola, viene ampliato e sviluppato dalle Costituzioni e dal Rituale, e dall’insieme dei documenti emergono i tratti essenziali della missione dei francescani secolari, intrinsecamente finalizzata alla costruzione della Chiesa. Il ricorso frequente dei documenti ai termini costruire-costruzione è particolarmente significativo, perché evoca immediatamente la missione affidata a Francesco dal Crocifisso di S. Damiano ed è tipico del Francescanesimo e della sua specifica indole ecclesiale. Francesco e i suoi figli hanno ricevuto dal Signore il dono di immergersi nel tessuto vitale del Popolo di Dio, affinché questo possa ergersi sul mondo e vivere in esso quale «sacramento universale di salvezza». Tuttavia, la missione dei francescani secolari non si definisce in funzione di particolari attività da svolgere, bensì in ragione del loro essere. «La fedeltà al proprio carisma francescano e secolare, e la testimonianza di aperta e sincera fratellanza sono il loro principale servizio alla Chiesa. Siano in essa riconosciuti per il loro «essere» dal quale scaturisce la loro missione» (Cost 100,3). Conseguentemente l’interesse della Regola, delle Costituzioni e del Rituale è quello di evidenziare l’istanza di un autentico vissuto ecclesiale, conforme al vincolo più forte e più stretto che i francescani secolari, tramite la Professione, hanno contratto con la Chiesa. Esso è soprattutto un vincolo di comunione; e questo è l’elemento base della Chiesa che va affermato a livello concreto ed esistenziale, nella vita di ogni giorno. Il dovere della testimonianza, cui prima il Battesimo e poi la Professione destinano i francescani secolari, scaturisce precisamente dall’intima essenza della Chiesa, che è comunione di fede e di amore. L’insistenza di Regola e Costituzioni sulla testimonianza deve rendere i Fratelli e le Sorelle dell’Ordine Francescano Secolare sempre più consapevoli che la loro esistenza nella Chiesa è giustificata solo dall’autenticità della vita. Ai Fratelli e alle Sorelle della Penitenza è chiesto di offrire continuamente, in tutte le circostanze della vita, la prova suprema della loro fedeltà a Dio, di rendere conto al mondo della speranza che è in loro, di attestare in maniera indiscussa la loro fedeltà alla alleanza sancita con la Chiesa e con la Fraternità nel momento della loro Professione. Pertanto, tutte le indicazioni sul dovere di essere testimoni della missione della Chiesa e di annunciare Cristo con la vita e con le parole, e di esprimere «il loro apostolato preferenziale» con «la testimonianza personale nell’ambiente in cui vivono» e con il servizio nella edificazione del regno di Dio nelle realtà terrestri», contenute nella Regola, nelle Costituzioni e nel Rituale, vanno accolte e tradotte in pratica nella piena consapevolezza della ricchezza di contenuto richiamato dal tema della testimonianza cristiana, che è «il» dovere fondamentale dei discepoli del Signore.

II. L’IMPEGNO DELLA PROFESSIONE

10. Consacrazione

La formula di Professione nell’Ordine Francescano Secolare recita: NN.. poiché il Signore mi ha dato questa grazia, rinnovo le mie promesse battesimali e mi consacro al servizio del suo  Regno» (Rituale II,31) In precedenza le «Note preliminari» del Rituale affermano: «La natura  della promessa di vita evangelica è questa: rinnovazione della consacrazione e delle promesse battesimali e della Cresima. Ciò significa: consacrazione a Dio, nel suo Popolo, con tutte le conseguenze derivanti da essa a riguardo della vita di unione con Dio e dell’adesione al suo piano salvifico, mediante la consacrazione, che si vive nel mondo» (14a). Il Rituale usa il verbo consecrare, attribuendogli il significato di dedicare, riservare, destinare a Dio e al suo esclusivo servizio una cosa o una persona. Va da sé che nel contesto specifico del Rituale dell’Ordine Francescano Secolare si tratta di persone e, conseguentemente, sono queste stesse che debbono, in piena libertà, e, quindi, anche con piena cognizione, offrirsi e donarsi al Signore. Sotto questo profilo la Professione è l’atto con cui una persona si mette nelle mani di Dio e si lascia da lui prendere, con la conseguenza che dal preciso momento della Professione la stessa persona non si appartiene più, ma si considera totalmente presa, come espropriata, a piena totale, incondizionata disposizione di Dio. In forza della Professione la persona è proprietà di Dio, e perciò è «sacra». In realtà però il verbo consecrare e il corrispondente sostantivo consecratio, propriamente indicano l’atto con cui Dio prende possesso della persona (che, abilitata dal suo dono di grazia con il quale Egli la attira, gli si dona totalmente) imponendole il suo sigillo e costituendola, sua proprietà esclusiva. Di per sé il valore della consacrazione sta nella sua dimensione discendente: l’uomo viene consacrato, riceve la consacrazione da Dio, che lo trascina a sé e lo trasforma interiormente perché possa vivere le esigenze di un mondo superiore.

11. Il valore della Professione nell’OFS

Qui si innesta anche il valore del termine Professione e della espressione Promessa di vita evangelica, presenti nella Regola, nelle Costituzioni e nel Rituale dell’Ordine Francescano Secolare per indicare l’impegno che i Francescani secolari assumono nella celebrazione della Professione. Questi termini, soprattutto, Professione comunemente vengono adoperati per indicare l’impegno di quei christifideles, che si obbligano davanti a Dio e alla Chiesa con i voti di obbedienza, povertà e castità, emessi normalmente in un Istituto di Vita Consacrata, eretto canonicamente dalla competente autorità ecclesiastica (CIC, can. 573,1-2) e quindi che il significato da essi assunto nel contesto della vita religiosa è il più vicino a quello che i medesimi termini hanno nelle attuali fonti legislative e liturgiche dell’Ordine Francescano Secolare. Nella Regola, nelle Costituzioni e nel Rituale dell’Ordine Francescano Secolare gli stessi termini  indicano l’impegno, anch’esso assunto davanti a Dio e alla Chiesa, di osservare il Vangelo alla 
maniera di S. Francesco, espresso da parte di laici (sposati e non sposati) e di membri del clero
secolare, i quali, tanto gli uni che gli altri, normalmente non sono legati dai voti di obbedienza, povertà e castità, né si obbligano con i medesimi, ma intendono vivere nelle comuni condizioni dello stato secolare. Il linguaggio della Regola, delle Costituzioni e del Rituale, e la realtà che con esso si esprime non costituiscono una novità, perché da sempre la stessa legislazione dell’Ordine Francescano Secolare e tutte le fonti che lo riguardano hanno adoperato i termini promessa, proposito, Professione.Il Memoriale Propositi parla ripetutamente di promissio, promittere. Nel titolo del secondo capitolo della Supra Montem è presente il termine  professione, ma il testo del medesimo capitolo ritorna alla terminologia del Memoriale Propositi. Tuttavia, tanto in questo come nella Supra Montem, la promissio è ritenuta una vera e propria Professione, con la quale, dopo l’esame, la vestizione e l’anno di prova, si concludeva l’iniziazione all’Ordine. I quattro elementi del periodo iniziatico, adesso elencati, sono indicati nel Memoriale, almeno a cominciare dal 1228, e si riscontrano in tutte le Regole dei Penitenti francescani del Duecento, anche se con varianti dovute alle diverse circostanze. Questo modo di procedere nei confronti dei candidati alla vita nella fraternità non fu esclusivo dei Penitenti francescani; anzi, esso rispecchia fedelmente sia la mentalità del tempo sia la legislazione ecclesiastica allora valida per tutti i “religiosi”.
Compiuto l’anno della prova, la promessa costituiva l’ingresso canonico definitivo nella fraternità, e da questa non si poteva più uscire se non per entrare in un Ordine “religioso” approvato. Questa prescrizione è presente nella legislazione di tutti i religiosi di allora, e indica la stima non solo per la Regola di un dato Istituto, ma anche per la vita stessa che in esso si conduceva con il sostegno della Regola. Gli impegni della promessa-Professione, infatti, sono  per tutta la vita e possono mutare solo in ragione di una crescita di intensità. Quanto adesso evidenziato, in margine alla primitiva legislazione del Terzo Ordine Francescano, ci porta ad enucleare gli elementi costituivi della Professione dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza. Essa comporta:

a) un obbligo contratto davanti a Dio;

b) l’impegno di osservare una forma di vita o Regola;

c) l’incorporazione definitiva all’Ordine.

Gli stessi elementi sono costituivi anche della Professione dei religiosi e ciò induce a rienere che il propositum vitae o la promissio dei Penitenti Secolari francescani equivalgono ad una professione religiosa. Da ciò si deduce che, pur non trattandosi di Ordine religioso in senso stretto, la qualifica di “Ordine” conviene propriamente alla Fraternità Secolare Francescana. Se da un lato in essa non si richiede né la vita comune né i voti, dall’altro lo stesso “Ordine della Penitenza” ha una Regola approvata dalla Sede Apostolica, un noviziato e una Professione irreversibile: è, cioè, un Ordine religioso in senso lato o un Ordine Secolare. Conseguentemente i Penitenti francescani delle origini non sono dei “laici” o semplici fedeli; sono invece “religiosi secolari”, e in quanto tali appartenevano allo stato ecclesiastico. Infatti, il “laico” si contrappone al “chierico”, mentre il “secolare” si contrappone al “regolare”. E’ “secolare” colui che vive nel saeculum (mondo), sia esso un laico, un chierico e o un religioso. Invece è un“regolare” colui che vive in un monastero o in un convento o, comunque, in una comunità legata a una chiesa; il “regolare”, a sua volta, può essere religioso soltanto o anche chierico. Lungo i secoli, l’Ordine Francescano Secolare non solo ha mantenuto la terminologia (promissio, promittere) della primitiva legislazione, ma progressivamente è andato preferendo l’uso di Professione per indicare l’impegno di vita evangelica secondo la Regola approvata.
Da ciò si può dedurre che la forte convinzione delle origini, secondo cui la promessa dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza costituisce una vera e propria Professione, abbia costantemente accompagnato la coscienza dell’Ordine Francescano Secolare. La stessa lucida consapevolezza non solo rimane inalterata, ma viene evidenziata con maggior vigore e chiarezza nella Regola di Paolo VI e nelle successive Costituzioni approvate dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, nonché nel Rituale, anch’esso approvato dalla Congregazione dei Sacramenti e del Culto Divino.

Quindi la Professione nell’Ordine Francescano Secolare ha la dignità propria di un impegno solenne e religioso contratto con Dio e con la Chiesa, e non può ritenersi di rango inferiore rispetto a quella dei “religiosi”, salvo restando sempre che le due professioni differiscono contenutisticamente. Ciò però trova la sua origine e motivazione solo nella molteplice azione della grazia divina e nella diversità dei carismi. all’altro lato la Chiesa, approvando con la sua autorità apostolica la legislazione fondamentale che il Terzo Ordine Francescano si è dato nel corso dei secoli, ha sempre riconosciuto e convalidato il sentire dell’Ordine stesso circa il valore della Professione nella Fraternità Secolare Francescana. L’Ordine Francescano Secolare è un “Ordine laico, un Ordine vero, Ordo veri nominis” che costituisce “una scuola di perfezione cristiana integrale”, precisamente come ogni Istituto Religioso. In questo “Ordine vero” si emette una “vera Professione”, la quale, pur differenziandosi quanto al contenuto (i voti), da quella emessa negli Istituti Religiosi propriamente detti, ha dignità pari a questa.

12. Alla maniera di san Francesco

Il secondo elemento che contraddistingue la Professione nell’Ordine Francescano Secolare è dato dall’imprescindibile riferimento a San Francesco. Si promette, infatti, di vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, seguendone le orme, secondo il suo esempio e le indicazioni date da lui, raccolte oggi nella Regola dell’Ordine Francescano Secolare.
Non a caso ci si preoccupa di sottolineare che i francescani secolari intendono vivere il Vangelo
alla maniera di San Francesco e mediante questa Regola autenticata dalla Chiesa (Regola 2; Cost1,3; 8,1). La Professione nell’Ordine Francescano Secolare ha, quindi, questa intrinseca configurazione. Siamo di fronte ad una inquadratura o ad un’ottica particolare, da cui si evince che la vita dei francescani secolari dipende dal Vangelo mediato dalla ispirazione e dall’esperienza di Francesco d’Assisi, che fin dall’inizio della sua conversione lo prese come norma della sua vita e della sua azione.
È necessario però precisare che l’intenzione di San Francesco era semplicemente quella di ritornare al Vangelo di Gesù.Quindi ogni vocazione francescana è vocazione evangelico-francescana, non perché l’esperienza di Francesco pretenda di sostituire il Vangelo ma perché la sua mediazione consiste nel renderlo trasparente. Per i Francescani si tratta allora di ricopiare da Francesco e, come lui, di non conoscere altra Regola né altra vita oltre quella del Vangelo di Gesù, perché all’origine della nostra vocazione c’è la mediazione di Francesco.
La mediazione francescana del Vangelo si estende alla Regola dell’Ordine Francescano Secolare, a «questa Regola» (e non ad un’altra), in quanto «autenticata dalla Chiesa». Con la sua suprema approvazione, la Chiesa fa propria la Regola dell’Ordine Francescano Secolare (la Regola appartiene alla Chiesa; è res Ecclesiae) e con la sua autorità la propone ai francescani secolari. In tal modo la Chiesa non fa altro che trasmettere agli stessi francescani secolari l’annuncio evangelico della salvezza e propone quelle parole (evangeliche) che, per i credenti, sono spirito e vita. Pertanto per coloro che emettono la Professione nell’Ordine Francescano Secolare al fine di «raggiungere la perfezione della carità nel proprio stato secolare» (Regola 2), il riferimento a Francesco, alla Regola e alle Costituzioni, non è facoltativo, ma paradigmatico e normativo. Evidentemente tutto dipende dal modo di intendere e di vivere la vocazione francescana. Vera vocazione è quella che afferra tutto l’essere della persona, che diventa sostanza del medesimo essere personale, a tal punto che l’individuo non può autopensarsi e autodefinirsi se non in quanto chiamato e, nel caso specifico, in quanto chiamato alla vita evangelico-francescana. Regola e Costituzioni, quindi, non sono realtà estrinseche alla vita del francescano secolare, ma, in dipendenza dal Vangelo, sono esse stesse la vita del francescano secolare. Anzi, più che di Regola si dovrà parlare di «vita», assumendo in pienezza la concezione di San Francesco, per il quale la vita è osservare il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Ai suoi compagni e seguaci, sia religiosi/e che secolari, egli non ha inteso presentare delle norme da praticare, ma ha semplicemente proposto una vita, quella che scaturisce dal Vangelo. Conseguentemente nei suoi Scritti, Francesco, più che di Regola parla di «vita» («Questa è la vita del Vangelo di Gesù Cristo, che frate Francesco chiese dal Signor Papa Innocenzo gli fosse concessa e confermata»: Rnb; FF 2) e quando parla di Regola, a volte congiunge Regola e Vita (cfr Rb; FF 75). Per Francesco Regola è solo il Vangelo da vivere e osservare testualmente e integralmente. Deriva da ciò il dettato della Regola dell’OFS: «La Regola e la vita dei francescani secolari è questa: osservare il Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo, seguendo l’esempio di Francesco d’Assisi» (Regola 4). In conclusione, la Professione nell’Ordine Francescano Secolare in quanto promessa di vita evangelica alla maniera di San Francesco, intende mettere davanti agli occhi lo stile radicale, illuminato e gioioso, con cui Francesco ascolta il Vangelo e si impegna a viverlo.

13. La vita evangelica per la sequela Christi

Le Note preliminari del Rituale dell’Ordine Francescano Secolare si aprono con questa affermazione: «Molti uomini e donne, sposati e non sposati, e molti sacerdoti diocesani,  chiamati da Dio..., seguendo l’esempio e la norma di Francesco d’Assisi.., promettono di mettersi al seguito di Gesù Cristo e di vivere l’Evangelo in Fraternità, abbracciando l’Ordine Francescano Secolare» (Note preliminari, n. 1). Il Rituale congiunge la sequela Christi e la vita evangelica, perché lo scopo dell’osservanza del Vangelo è precisamente quello della sequela. Difatti è questa l’intuizione carismatica di San Francesco, per il quale la sequela Christi dipende dalla osservanza del Vangelo. Francesco, infatti, conosce Cristo e fa l’esperienza personale di Cristo attraverso il Vangelo, come d’altronde fa la Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo, nel Vangelo riconosce Cristo e con fede ne accoglie le opere e le parole. Anticipando di parecchi secoli l’insegnamento del Concilio Vaticano Il, Francesco sente nel Vangelo la presenza di Gesù Cristo. Egli ha la vivissima consapevolezza che il Signore gli parla direttamente, oltre i limiti di spazio e di tempo, attraverso la parola biblica. In essa vede come il  prolungamento dell’Incarnazione del Verbo che gli manifesta la divina volontà e verità. Conseguentemente per Francesco la verità del Vangelo non è una cosa da sapere, ma una persona viva da seguire, una vita da vivere con questa persona, con Cristo. Per questa precisa ragione Francesco, istituendo la sua fraternità, non ha voluto assolutamente riferirsi ad altre Regole precedenti. Accettando il Vangelo, Francesco accoglie la persona stessa di Cristo, che gli parla e lo invita a seguirlo in tutto. Il senso della sequela acquista quindi la massima concretezza per Francesco; per lui si tratta di: seguire la povertà di Cristo; seguire l’umiltà di Cristo; seguire la vita  di Cristo; seguire i precetti di Cristo; seguire la dottrina di Cristo; seguire la volontà di Cristo; seguire la bontà di Cristo; seguire lo spirito della Scrittura; seguire il Buon Pastore; seguire le orme di Cristo. Quest’ultima espressione riveste una particolare importanza per Francesco. Egli l’ha trovata nella prima Lettera di S. Pietro, ma dall’Apostolo Francesco ha ricavato soprattutto l’urgenza di seguire le orme di Cristo, poiché «Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, affinché ne seguiate le orme». Il significato della sequela viene quindi centrato sull’avvenimento per eccellenza della vita di Gesù: la sofferenza e la morte del Servo del Signore, subite ingiustamente per la salvezza del mondo. Come per Pietro, così anche per Francesco seguire Cristo non significa riproporre i fatti e i gesti della vita terrena del Signore, ma piuttosto impostare tutta la vita sull’insieme delle esigenze evangeliche, condividendo e imitando l’agire di Dio che si è annientato fino alla morte di Croce per la salvezza del mondo.

14. Cristo, centro della vita

Alla luce delle precedenti considerazioni si comprende il dettato della Regola dell’Ordine Francescano Secolare, quando afferma che San Francesco d’Assisi «del Cristo fece  l’ispiratore e il centro della sua vita con Dio e con gli uomini». E’ un’implicita esortazione a coloro che emettono la Professione nell’Ordine Francescano Secolare, affinché abbiano a fare altrettanto. Ma la Regola offre anche una mirabile proclamazione cristologica, affermando: «Cristo, dono dell’amore del Padre, è la via a Lui, è la verità nella quale lo Spirito Santo ci introduce, è la vita che egli è venuto a dare in sovrabbondanza», Questa affermazione posta all’inizio della Regola deve suscitare nei Fratelli e Sorelle secolari una contemplazione piena di amore del «dono dell’Amore del Padre», deve orientare costantemente lo sguardo verso Gesù, deve determinare una costante verifica della propria esistenza attraverso il confronto con Colui che è la via, la verità e la vita. Come per Francesco, così anche per i francescani secolari la sequela di Cristo nasce dall’amore per Lui, un amore totale e radicale che porta all’imitazione della persona amata e all’unione che conforma alla stessa persona amata. La Regola propone precisamente questo programma quando al n. 10 afferma: “Unendosi all'obbedienza redentrice di Gesù, che depose la sua volontà in quella del Padre, adempiano fedelmente agli impegni propri della condizione di ciascuno nelle diverse circostanze della vita, e seguano Cristo, povero e crocifisso, testimoniandolo anche fra le difficoltà e le persecuzioni”. In conclusione, per i Francescani Secolari seguire Cristo e conformarsi a Lui significa mettere in  atto l’impegno della professione di osservare il Vangelo alla maniera di San Francesco vivendo tutte le esigenze del Vangelo fino in fondo, usque in finem, compresa la morte, e aprirsi, così, alle promesse proclamate della stesso Vangelo.
15. L’identità penitenziale originaria

L’annunzio evangelico si apre con l’appello alla conversione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). La dimensione penitenziale sta nel cuore del Vangelo ed è essenziale alle vita evangelica. Per tale ragione, i Francescani Secolari,p promettendo di vivere il Vangelo, in virtù del loro carisma originario si impegnano a condurre una vita penitenziale. Come già sottolineato, essi promettono  di vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco e mediante questa Regola autenticata dalla Chiesa (Regola 2; Cost 1,3; 8,1).
Ma «La presente Regola, dopo il Memoriale propositi (1221) e dopo le Regole approvate dai
Sommi Pontefici Nicolò IV e Leone XIII, adatta l’Ordine Francescano Secolare alle esigenze ed attese della santa Chiesa nelle mutate condizioni dei tempi» (Regola 3). Questo testo esprime il legame della Regola attuale con le precedenti legislazioni dell’OFS: la Regola si colloca nell’alveo fecondo della storia plurisecolare del Movimento Francescano secolare
e, soprattutto, si ricollega alla ispirazione originaria dello stesso Movimento, espressa nelle «nuove leggi della penitenza» (LM 6; FF 1073) date da Francesco. Molto probabilmente  queste «nuove leggi» coincidono in tutto o in parte con la Lettera ai Fedeli. Fu precisamente grazie a queste «nuove leggi» che anche i Penitenti salirono ad uno stato di «non mediocre perfezione» (Giuliano da Spira, Vita di san Francesco). Per tale ragione come Prologo della nuova Regola, sotto il titolo «Esortazione di san Francesco ai Fratelli e alle Sorelle della  penitenza, è stata inserita la recensio prior della stessa Lettera ai Fedeli, che a buon diritto deve ritenersi la sorgente ispirativa e costitutiva di tutta la tradizione e la spiritualità dell’OFS. In  ambedue le recensioni (prior e posterior) della stessa Lettera, Francesco chiede ai laici che lo vogliono seguire, con insistenza e come cosa naturale, una forma radicale di vita cristiana, e si sforza di ottenere da questi cristiani un rinnovamento della vita secondo la forma del santo Vangelo. Raramente la forma di vita francescana, che deve unire i frati minori, le “povere dame” e i “Fratelli e le Sorelle della Penitenza”, è stata presentata in modo tanto chiaro, ampio profondo come avviene in questa Lettera. Per opera dello Spirito del Signore, qui vengono radicalmente cambiati i valori di una vita umana puramente naturale, che è poi la vita terrena seguita dalla quasi totalità dei cristiani, nonostante il  discorso della montagna, nonostante il Vangelo. Da quelli che lo seguono, Francesco esige senza compromessi quello che il  cristianesimo ha di radicale e di contro natura. Con sorprendente naturalezza, al posto dello “spirito della carne”, e cioè dello io umano - egoista, autoritario, che si vuole mettere in evidenza -, egli mette lo “Spirito del Signore”, cioè pensare, volere, vivere e operare secondo il Vangelo genuino. Questo modo di vivere è la “Metánoia”, lo “agere poenitentiam” di san Francesco! È questa la scaturigine della penitenza intesa in senso francescano. Quindi i Francescani Secolari: “Quali «fratelli e sorelle della penitenza», in virtù della loro vocazione, sospinti dalla dinamica del Vangelo, conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che lo stesso Vangelo designa con il nome di «conversione», la quale, per la umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno” (Regola 7).
16. Secolarità

Il Rituale dell’Ordine Francescano Secolare parla espressamente di «consacrazione che si vive nel mondo» e di «volontà di vivere nel mondo e per il mondo» (Note preliminari 14a,d). D’altra parte la Regola sin dall’inizio si preoccupa di precisare l’ambito in cui i Fratelli e le Sorelle dell’Ordine Francescano Secolare, spinti dallo Spirito, intendono raggiungere la perfezione della carità: il proprio stato secolare (Regola 2). Stato secolare o Secolarità e mondo sono, pertanto, due coordinate essenziali per comprendere la specifica identità dei membri dell’Ordine Francescano Secolare e la loro particolare missione che scaturisce dalla Professione. La secolarità, innanzitutto, indica una condizione esistenziale e sociologica: è l’essere nel mondo come creature umane e comunità di uomini e donne. Sotto questo aspetto, la secolarità è una dimensione che appartiene all’esistenza umana e al situarsi in rapporto con gli altri; essa risiede in tutta la trama di relazioni geografiche, storiche, culturali e sociali in cui si è nati e si vive. La secolarità è un dato nativo, indipendente dalla libera scelta dell’individuo: secolari si nasce, non si diventa.
C’è però anche una dimensione teologica della secolarità. In tal senso essa è l’assunzione consapevole della propria condizione nativa per farla diventare il «segno» e il «luogo» specifico, la dimensione qualificante della propria vocazione, nell’accoglienza del «già» e del «non ancora» dell’eschaton di Cristo e della Chiesa. Sotto questo aspetto la secolarità deriva dall’accettazione dell’intervento di Dio nella storia umana e del suo «farsi», e si esprime come riconoscimento di un mondo (il saeculum) in cui opera lo Spirito per la «ricapitolazione» di tutte le cose in Cristo. A questo livello la secolarità non è più un dato solo nativo, ma indica la libera scelta di chi, nella fede, intende porre la propria esistenza a servizio del Regno di Dio. Così, la propria condizione esistenziale e sociologica assume uno spessore teologico, diventa una via specifica per realizzare e testimoniare la salvezza. In tal senso si può legittimamente parlare anche di «stato secolare che viene consacrato a Dio», poiché è questo stesso stato che viene a Lui dedicato, posto nelle sue mani quale strumento di cui servirsi per l’affermarsi della salvezza nel mondo. A sua volta, il mondo stesso assume una valenza teologica. Alla luce della Gaudium et Spes, il mondo è «l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo Crocifisso e risorto, con la sconfitta del maligno, liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento» (GS 2). L’essere e l’azione dei laici e dei francescani secolari si pone all’interno di questo contesto di «mondo». Vivendo nel mondo, essi tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo, operando all’interno del mondo. I francescani secolari, assieme a tutti i fedeli laici, sono chiamati a condurre la propria vita nelle situazioni ordinarie del mondo, e all’interno dello specifico ambito «mondano» partecipano della missione evangelizzazione della Chiesa. L’amore del cristiano per il mondo sgorga, pertanto, dal desiderio di entrare più profondamente nell’amore di Dio per il mondo e partecipare così in prima persona all’attuazione di quell’amore che il Padre ha rivelato inviando il suo Figlio unigenito nel mondo. Conseguentemente il mondo diventa il «luogo» in cui vivere la sequela Christi e in cui santificarsi: non malgrado o nonostante
l’inserzione nel mondo, ma proprio in esso e mediante esso (in saeculo et ex saeculo).Tuttavia, l’Incarnazione, che pure testimonia l’amore di Dio per il mondo, è il mistero che fa comprendere il modo in cui il mondo stesso deve essere ordinato secondo Dio e cambiato
dall’interno. L’Incarnazione è avvenuta attraverso una kénosis nascosta, con la spogliazione del Figlio di Dio umiliatosi fino alla immolazione della Croce. Chi vuole essere discepolo di Cristo, deve rinnegare se stesso, prendere ogni giorno la sua croce e seguirlo, per essere, alla fine, crocifisso al mondo. Il mondo, infatti, può essere cambiato solo con l’ascesi della sequela, perché è l’uomo nuovo, redento da Cristo e purificato costantemente dalla penitenza, che edifica la nuova società; è l’uomo nuovo che dà vita ad uno sviluppo a servizio dell’uomo e non contro l’uomo. Professando una forma di vita evangelica, vivendo la loro consacrazione a Dio al mondo e per il mondo, e «trasferendo nelle realtà terrene l’autentico spirito del Vangelo» (Rituale, III. 46), i francescani secolari testimoniano che la santificazione del mondo passa necessariamente attraverso la santificazione dell’uomo, perché questo mondo può essere trasformato solo con lo spirito delle beatitudini (cfr. LG 31).
[1]

Epiclesi è un termine greco con cui si indica l’invocazione a Dio Padre per il dono dello

Spirito prima sui doni presentati dalla comunità e poi sulla stessa comunità riunita in preghiera.

Nella Eucaristia, dopo aver ripetuto le parole di Gesù nell'ultima cena, il sacerdote invoca il Padre

perché invii lo Spirito Santo per trasformare il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo. In senso

generale, è il gesto dell'imposizione delle mani mentre si invoca lo Spirito Santo. In tutti i

sacramenti della Chiesa cattolica c'è sempre un'epiclesi.

2 commenti:

  1. Io sono oblata benedettina e credo che ogni battezzato laico debba fare una scelta del genere, secondo le proprie inclinazioni e possibilità, proprio per permeare della vita di Cristo l'intero tessuto sociale. L'appartenenza, da parte di un laico sposato, ad una famiglia religiosa, ad un carisma, fortifica la fede ed il carattere, in modo tale da rendere visibile l'azione di Cristo nell'intera società; anche se indegni di tale grazia si diventa un esempio e di sostegno nello 'spazio' in cui ci si trova a vivere. Formare una rete di 'consacrati' laici finirà per arricchire il mondo intero! Un grande abbraccio

    RispondiElimina

Benvenuto, grazie del tuo contributo...