domenica 31 gennaio 2010

3° Ricordati di Santificare le Feste!


Eliminato l'obbligo di “serrata” per cinque festività

Venerdì 15 gennaio 2010

In dirittura d'arrivo la modifica della legge regionale sul commercio, che precludeva l'apertura nei negozi in alcuni giorni festivi.


In particolare, il 1° gennaio, il 25 aprile, il 1° maggio, il 25 e il 26 Dicembre.

Ad annunciarlo, «con grande soddisfazione», è il presidente (Pdl) della commissione Industria e Commercio Nicola Rassu: è all'ordine del giorno del Consiglio regionale di martedì. Il 25 giugno la Commissione aveva approvato il testo unificato di due proposte di legge, la prima del consigliere Franco Cuccureddu, la seconda (disegno di legge) della Giunta regionale.

Il passaggio in Commissione ha visto il voto favorevole della maggioranza e l'astensione dei consiglieri del Pd. «In commissione abbiamo fatto un lavoro certosino», dice Rassu, «sentendo, oltre i proponenti, anche le associazioni di categoria e i sindacati». È emersa, in commissione, «una larga condivisione dell'esigenza di ampliare e di differenziare l'offerta di servizi al consumo nel territorio, adeguandola all'articolazione degli usi locali e dei flussi di turismo anche interno».

LE REAZIONI
La notizia è già uscita dal Palazzo di via Roma, incontrando i primi consensi. «Siamo soddisfatti», evidenzia Massimo Cadeddu, presidente della Confcommercio di Alghero. «Un provvedimento da noi auspicato e che tiene conto, finalmente, della vocazione di alcune realtà. La concertazione decentrata», dice Cadeddu, «è importante anche per i sindacati dei lavoratori. Si troveranno, insieme, le soluzioni più opportune».

L'ASSESSORE

L'assessore al Turismo e Commercio Sebastiano Sannitu commenta molto positivamente l'arrivo in una del provvedimento in aula. «Riteniamo che il turismo non si possa sviluppare se non si garantiscono i servizi essenziali». L'assessore evidenzia l'importanza dell'autonomia «riservata agli enti locali di valutare in merito all'apertura degli esercizi. Decisione che, nel periodo primaverile, avrà appunto un forte impatto nelle località a forte vocazione turistica». Per Nicola Rassu «è una vera rivoluzione che pone la Sardegna alla pari di altre regioni più attente alle esigenze dei consumatori e del comparto commerciale isolano che, da tempo, manifesta preoccupanti contrazioni».
(tratto da: L'Unione Sarda)

sabato 30 gennaio 2010

Decreto sul culto all’Eucaristia e degli altari



Introduzione


In conformità alle norme liturgiche stabilite nella «Institutio Generalis Missalis Romani» e nell’Istruzione sul Culto del Mistero Eucaristico del 1967, è necessario determinare alcuni punti di dettaglio, lasciati alle facoltà dei Vescovi, per precisare maggiormente il modo di agire nelle celebrazioni, rendere perciò evidente l’unità di tutti i credenti nel momento più grande della preghiera eucaristica. Qualora non facessimo di Nostra ordinaria autorità delle legittime determinazioni, non contro ma secondo la legge generale della Chiesa, si ingenererebbero facilmente abusi, difformità atte a creare ammirazione nei fedeli soprattutto nel culto dovuto alla santissima Eucarestia. E’ di fede che la SS.ma Eucarestia è un sacramento permanente e che rimane fino alla cessazione delle specie la presenza reale di Gesù Cristo, al quale è dovuto culto di latria ossia di adorazione.
Allo scopo di compiere questo nostro dovere e a completamento di altre disposizioni date in questi anni, riteniamo dover emanare talune norme riguardanti gli altari, il tabernacolo. Ciò che facciamo con il presente Nostro


DECRETO


Degli Altari
1. Le norme del Messale Romano (n. 259 - 267) circa gli altari riguardano gli altari da costruire e non quelli esistenti al momento della promulgazione delle norme stesse.
Tali norme però debbono essere tenute presenti e attuate nei lavori di adattamento alla nuova liturgia degli altari preesistenti.
2. Per gli altari si stabiliscono regole ben precise e si danno alcune indicazioni da seguire negli adattamenti.
3. Gli altari costruiti in materiale che non sia pietra o marmo, in linea di massima, possono essere facilmente sostituiti purché di scarso valore artistico, previa regolare e necessaria approvazione della nuova sistemazione da parte dell’Ordinario che verrà data dopo la presentazione di regolare disegno.
4. Gli altari costruiti con materiale pregiato (pietra, marmo, ecc.) possono essere adattati o sostituiti quando non abbiano valore artistico o non siano vincolati dalle leggi di tutela sui monumenti. Ogni opera che ha più di cinquanta anni è di per sé tutelata dalla legge. E’ necessaria la previa approvazione come sopra al n. 2.
5. Gli altari, di cui al n. 4, che soggiacciono ai vincoli delle leggi di tutela sui monumenti, possono essere adattati quando si siano ottenuti e il nulla-osta dell’Ordinario e quello scritto della Soprintendenza ai Monumenti.
6. I lavori di adattamento alla nuova liturgia degli altari preesistenti (Ved. «Istruzione sul Culto del Mistero Eucaristico» n. 24 e quella «Inter Oecumenici» n. 90-99) non possono prescindere da un attento e serio studio delle modifiche da introdurre per far in modo di avere l’altare versus populum. Si danno alcune indicazioni:
a) Soluzione possibile, ma da studiarsi con notevole impegno, è quella che prevede la possibilità di staccare la mensa e il frontone dell’altare per portarli più avanti in mezzo al presbiterio, lasciando tuttavia un congruo spazio tra l’altare e la parte retrostante, tanto più se l’ex-altare serve per la custodia del Santissimo Sacramento. Per questa parte deve essere studiato un altro frontone che completi il vuoto creato dalla parte anteriore dell’altare portata avanti.
b) Si può togliere la mensa e restringerla in modo che il frontone di essa sia retroatto al limite del Tabernacolo, lasciando un necessario aggetto sotto il Tabernacolo stesso In tal caso si dovrà costruire nel presbiterio, una nuova mensa, impostata architettonicamente in modo da raccordarsi coll’ex-altare retrostante, evitando così contrasti stridenti.
7. La nuova sistemazione dell’altare non deve rimpicciolire il presbiterio sì da permettere l’agiato svolgimento delle celebrazioni. «Il presbiterio attorno all’altare sia di ampiezza sufficiente a consentire un agevole svolgimento dei sacri riti» (Inter Oecumenici 26/9/1964).
8. I progetti, i bozzetti e i disegni relativi alle nuove sistemazioni debbono ottenere il consenso esplicito e scritto delle Commissioni diocesane di Liturgia e per l’Arte Sacra. Tale consenso non è operativo se l’Arcivescovo, al quale è riservato il giudizio globale della nuova sistemazione, non dà egli pure scriptis il consenso suo. E’ ovvio che i soprascritti consensi debbono essere dati prima dell’inizio di qualunque lavoro. Ottenuta l’autorizzazione dell’Ordinario il Parroco, per gli altari che stanno sotto il vincolo della tutela, farà richiesta alla locale Soprintendenza ai Monumenti ed ottenuto il Nulla-osta lo esibirà all’Ordinario prima dell’inizio dei lavori.
9. Gli altari debbono essere ornati secondo la loro natura e conformazione sia quanto alla grandezza che al numero dei candelieri completando ovviamente la razionale disposizione con l’uso di fiori e secondo le prescrizioni liturgiche.
10. Gli altari versus populum abbiano sempre, anche nel tempo in cui non si svolgono le azioni liturgiche i candelieri (non meno di due, o quattro, meglio sei), pur adottando la disposizione congrua perché «non impediscano ai fedeli di osservare comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare» (I.G.M.R. n. 269). Sono infatti i candelieri che distinguono l’altare cattolico dall’altare acattolico e ciò è della massima importanza.
11. Si consiglia, anche se la legge permette una maggiore libertà, di mantenere l’uso del Crocifisso sull’altare nella parte mediana in modo che il Celebrante e il popolo abbiano sempre visivamente ricordato che su quell’altare si celebra la rinnovazione dello stesso Sacrificio della Croce.
12. Non essendo stato abolito l’uso del palliotto o antependium dell’altare se ne consiglia l’uso per sottolineare sempre al popolo la ragione e la diversità dei tempi liturgici.
13. Gli altari provvisori, davanti all’altare stabile, sono proibiti. Un altare provvisorio può essere usato solo in caso di concelebrazione e deve essere posto fuori del presbiterio onde appaia meglio la straordinarietà. Può essere parimenti usato per le Prime Comunioni collettive e in questo caso va posto fuori del presbiterio in mezzo ai comunicandi. Ogni altare posticcio va immediatamente rimosso dopo le suddette celebrazioni.

Del Tabernacolo
14. Il Tabernacolo, in ragione della fede nell’Eucarestia e nella parte fondamentale di Questa per la vita della Chiesa e delle anime, deve avere sempre il massimo rilievo e mai deve ingenerare un confronto di inferiorità con qualsiasi altro elemento accolto nelle Chiese dalla legge e dalla tradizione. Per tale motivo l’Eucarestia si desidera sia sempre al centro della attenzione del popolo.
15. Buona soluzione, perché le motivazioni suddette siano sempre salvaguardate è la Cappella del Santissimo Sacramento, purché nobile e più decorata, idonea per permettere l’adorazione da parte dei fedeli. «Si raccomanda vivamente che il luogo in cui si conserva la Santissima Eucarestia sia situato in una Cappella adatta alla preghiera privata e alla adorazione dei fedeli» (I.G.M.R. n. 276).
16. L’Ordinario è disposto a concedere la collocazione della Santissima Eucarestia fuori dell’altare in taluni casi e alle seguenti condizioni:
a) che il Tabernacolo sia posto al centro dell’abside, del coro o della Cappella Maggiore;
b) sia collocato su un basamento congruo e non sopra un semplice supporto o una semplice colonnina. Tale basamento deve essere concepito in modo da dare anche visivamente, per la sua architettura, il senso della cosa grande, bella e nobile, atta a sorreggere il Tabernacolo. Si faccia dunque una scelta di materiale adatto, non dozzinale. Se il Tabernacolo è collocato nel muro esso dovrà avere un degno ornamento che ponga in risalto la dignità e la realtà della presenza Eucaristica;
c) sia costruita una scala di accesso di sufficiente ampiezza. Il Tabernacolo infatti va posto sufficientemente in alto da dare al popolo visivamente l’idea della sua eccellenza e in modo da superare sempre la statura del celebrante quando celebra all’altare versus populum;
d) dinanzi alla porticina, la quale deve essere di sicurezza per avere un Tabernacolo unico, fisso, inviolabile (I.G.M.R. n. 277) sia collocato un piccolo aggetto (mensola) per permettere la più comoda estrazione e la reposizione delle sacre Specie.
Il progetto definitivo del Tabernacolo extra altare, anche nei più piccoli particolari, deve avere l’approvazione dell’Ordinario.

Delle sedi per il Celebrante e per i Ministri
17. «La sede del Celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e l’assemblea. La cattedra è riservata al Vescovo. Si eviti ogni forma di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio nel posto più adatto perché essi possano compiere con facilita il proprio ufficio» (I.G.M.R. n. 271)
18. Nel caso in cui si abbia la collocazione del Tabernacolo fuori dell’altare al centro dell’abside, la sede del celebrante sia pure Vescovo, per la riverenza, dovuta non deve essere posta tra l’altare stesso e il Tabernacolo. In tale caso la sede va collocata lateralmente e su un solo gradino.
19. Se la sede del celebrante in fondo al presbiterio risulta troppo distante dai fedeli o per i troppi gradini deve assumere la forma di trono, da evitarsi, essa sia collocata lateralmente e su un solo gradino.
Le sedi per i ministri, salva una particolare configurazione del coro stabile, siano sempre in piano.

Della riverenza al Santissimo Sacramento
20. L’abuso di ridurre eccessivamente o al nulla l’uso delle candele nelle celebrazioni è pienamente riprovato.
21. Sia colla catechesi, che con appositi cartelli, esposti patentemente si richiamino sempre le regole per la adorazione al Santissimo Sacramento e il galateo in Chiesa, motivato soprattutto dalla Reale Presenza di Gesù Cristo.

Tali regole vertono:
— sul silenzio, eccettuato il caso di convenienza;
— sulla genuflessione attenta che deve farsi entrando ed uscendo o passando davanti al Tabernacolo.
— sulla priorità che deve avere l’adorazione al Signore presente prima di qualsiasi altro atto di pietà;
— sulla opportunità che la generosità dei fedeli nella offerta dei ceri e dei fiori sia rivolta anzitutto al Santissimo Sacramento, evitando la incresciosa e stonante impressione che ricevono i buoni fedeli quando osservano un certo squallore attorno all’altare ove sta la SS.ma Eucarestia a confronto di altri pur degnissimi oggetti di culto;
— sulla opportunità e sul metodo per la Visita al SS.mo Sacramento;
— sulla priorità della Santa Messa offerta per i vivi e per i defunti.
22. Tra i due modi consentiti dalla legge generale per accostarsi alla santa Comunione, quello più consentaneo alla mentalità delle nostre popolazioni, è quello di porsi in ginocchio. Si prescrive pertanto di distribuire la santa Comunione al fedele inginocchiato. Non è ammessa nella Archidiocesi la Comunione in piedi. Qualora si presentassero fedeli, abituati ad altro cerimoniale si invitano garbatamente, ma fermamente a uniformarsi alle disposizioni diocesane.
23. La santa Comunione sotto le due specie deve essere distribuita in piedi e soltanto nei casi in cui si verificano le condizioni poste dalla legge. (I.G.M.R. n. 242).
24. La funzione vespertina festiva va sempre conclusa colla breve Adorazione e Benedizione del SS. Sacramento.

Dato a Genova l’8 Dicembre 1974

+ Giuseppe Card. Siri
(fonte: http://www.cardinalsiri.it/)

venerdì 29 gennaio 2010

Il comunismo e il suo sistema genocida deve essere comparato al nazismo


Polonia: presentata una legge per mettere al bando tutti i simboli del comunismo
Chiunque li utilizza o ne è in possesso potrebbe rischiare fino a 2 anni di carcere

Le bandiere rosse potrebbero essere vietate in Polonia a partire dal prossimo anno (Ap)


MILANO - Vent'anni fa, dopo la caduta del Muro di Berlino, decisero di buttare giù le statue di Lenin e di Marx e di seguire le democrazie occidentali. Adesso i politici polacchi hanno presentato un breve emendamento che mette al bando qualsiasi simbolo comunista dal paese dell'Est europeo. Il Senato ha infatti approvato una modifica all'articolo 256 del codice penale che dichiara illegali tutti i simboli comunisti. Chiunque li utilizza o ne è in possesso rischia fino a due anni di carcere per aver commesso il reato di «glorificazione del comunismo». Il Presidente della Repubblica Leck Kaczynski lunedì prossimo dovrebbe firmare la legge che probabilmente entrerà in vigore dal prossimo anno. A questo punto anche indossare t-shirt con l'immagine di Che Guevara o solamente canticchiare l'Internazionale nelle strade di Varsavia sarà considerato un crimine in Polonia.

EMENDAMENTO – La nuova legge infatti proibisce espressamente tutte le immagini che inneggiano a sistemi antidemocratici: l'articolo afferma che è vietata «la produzione, la distribuzione, la vendita o il solo possesso di oggetti che richiamano al fascismo, al comunismo o ad altri simboli di totalitarismi». Uno dei principali promotori della norma è Jaroslaw Kaczynski, fratello gemello del Presidente della Repubblica e capo del partito di opposizione «Legge e Giustizia». Secondo Kaczynski questa legge è sacrosanta perché il comunismo è uno dei simboli negativi del '900: «Nessuna immagine del comunismo ha diritto di esistere in Polonia - ha spiegato ai media locali il leader dell'opposizione - Il comunismo e il suo sistema genocida deve essere comparato al nazismo». Molti storici polacchi condividono la tesi di Kaczynski: «Quello comunista era un sistema terribile e omicida che ha causato la morte di milioni di vite» ha dichiarato lo storico Wojciech Roszkowski. «Non è sbagliata la comparazione con il nazismo - sottolinea lo studioso polacco - e per questo i due sistemi e i loro simboli devono essere trattati allo stesso modo».

PASSATO CHE NON PASSA - Sebbene i comunisti non abbiano più alcuna influenza politica, in Polonia sembra che il passato non voglia proprio passare. Nelle scorse settimane la Polonia infatti è stato il Paese che più si è battuto contro la candidatura di Massimo D'Alema a Ministro degli Esteri dell'Ue. L'ambasciatore della Polonia presso la Ue Tombinski definì D'Alema «un problema» per il suo passato comunista e precisò che era più adatto a quest'incarico «una persona la cui autorità non può essere contestata a causa delle sue appartenenze politiche passate». Recentemente l'uscita dell'ultimo film del famoso regista Andrzej Wajda che racconta il massacro di Katyn durante la Seconda Guerra Mondiale ( i sovietici uccisero oltre 20.000 tra civili e soldati polacchi) ha suscitato un rinnovato odio contro gli oppressori russi.

LIBERTA' D'ESPRESSIONE - Come sottolinea il Times di Londra lo scopo dei politici polacchi è chiaro: «rendere invisibile il comunismo». Il ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski ha ribadito che il Palazzo della Cultura e della Scienza, il più alto grattacielo in Polonia, deve essere abbattuto solo perché è un regalo fatto da Stalin ai cittadini di Varsavia. Non importa che, nel corso degli anni, sia diventato una delle strutture simbolo della città: «Se lo abbattessimo, anche la Polonia avrebbe il simbolo della fine del comunismo come la Germania ha i resti del muro di Berlino. Poi in termini ecologici è anche una costruzione molto inquinante». La battaglia contro il comunismo ha comunque il sostegno della popolazione e della stampa: «Il punto centrale è dimostrare che non vi è nulla di romantico o di divertente nel comunismo» dichiara un cronista polacco al Times. «Il comunismo - prosegue il giornalista - non è stato un gioco. E neppure un’ideologia che riscaldava il cuore. Il comunismo invece fermava i cuori, li faceva appassire e li rendeva freddi».

Francesco Tortora


(Fonte: Corriere della Sera 27 novembre 2009)

mercoledì 27 gennaio 2010

Relativismo e verità


Che cos’è questo “relativismo” di cui tanto si parla? La panacea per una società più libera e tollerante? O un pericoloso virus che mina le basi della convivenza democratica?

La dottrina del cosiddetto relativismo è molto seducente: non esistono verità, ogni ideale si equivale, ognuno ha il diritto di seguirlo senza alcun vincolo. Dal che deriverebbe automaticamente il rispetto assoluto per le idee degli altri, la rinuncia ad ogni tentazione di imporre le proprie con la forza: dialogo e concordia assicurati. Tutto facile, no? La mentalità “relativista” emerge anche nelle discussioni quotidiane: può capitare che chi sostiene con convinzione una tesi, chi parla di “verità”, si senta etichettare pregiudizialmente come "dogmatico" (termine che invece, più propriamente, dovrebbe indicare chi rifiuta di discutere le proprie tesi); o come "intollerante" (termine che dovrebbe, piuttosto, indicare chi pretende di imporre la propria visione, anziché proporla al dibattito comune). Emerge allora una certa carica aggressiva del relativismo, che vuole coprire la sua banalità e superficialità.

Il fatto è che il relativismo è una costruzione astratta, che non dà risposta ai problemi concreti della vita e della convivenza civile.

La tesi per cui unica bussola dell'agire umano - nella sua sfera personale - dovrebbe essere "fa' ciò che desideri", senza nessuna riflessione seria sul bene oggettivo della persona, è una tesi che sembra salvaguardare la libertà individuale, ma non dà risposta al naturale desiderio di felicità e di infinito dell'uomo.

Inoltre, le verità di cui si discute (e che il relativismo mette in discussione) sono anche gli ideali e i valori della sfera sociale e civile. Non si tratta di decidere se preferiamo andare a vedere un film comico o drammatico, se è più piacevole la vacanza al mare o quella in montagna. Non si tratta di questioni destinate a rimanere confinate tra le poltrone di un qualsiasi circolo culturale. Materia del contendere, piuttosto, diventa la misura in cui valori sociali, civili e politici possano diventare fondamento comune della convivenza, evitare i conflitti, favorire la crescita sociale.


L'ipocrisia del relativismo

Le tesi sostenute dai relativisti sono spesso espressione di una certa dose di ipocrisia, in quanto mirano a mascherare secondi fini.

Dovremmo infatti porci una semplice domanda: è davvero possibile, a qualunque persona, agire e fare scelte sulla semplice base degli istinti, senza far riferimento ad una - almeno personale - idea di "vero", di "giusto"?
Ed è possibile, in una qualsiasi società, una convivenza serena priva di princìpî (ovvero ideali, o - con una connotazione positiva - valori) comuni, reciprocamente riconosciuti, posti alla base delle convenzioni e delle norme?
E' praticabile, insomma, il cosiddetto relativismo?
Un sano realismo ci dimostra di no.

In tutte le attività umane (insegnare, lavorare, legiferare, amministrare, giudicare) è necessario continuamente scegliere tra diversi interessi quelli meritevoli di tutela, in base ad un criterio di selezione. Tale criterio non richiede semplicemente una competenza "tecnica", ma è anche un criterio "valutativo": non esistono soluzioni “tecniche” o “neutrali”. Si sceglie, dunque, in base a principî, o valori. Valori che possono a loro volta entrare in conflitto, e richiedere una scelta in base ad una gerarchia, un ordine d'importanza.

Sostenere che si possa fare a meno di discutere dei valori comuni (o che i valori siano tutti uguali) è un grande imbroglio, serve a imporre alcuni princìpî (funzionali a interessi forti) spacciandoli come inevitabili, tecnici, neutrali, e sottraendoli al libero confronto culturale e democratico
La trappola logica del relativismo

L'ipocrisia del relativismo può mascherarsi anche perché si inserisce in una prospettiva culturale più complessa, in una 'deriva' di pensiero prigioniera di trappole logiche a volte inconsapevoli.

La questione dell'individuazione di valori comuni si lega alla questione se esista una verità (e non ci riferiamo principalmente alla Verità di Fede), e se questa sia conoscibile: sono quelli che i filosofi chiamerebbero "problema ontologico" e "problema gnoseologico".

L'utilizzo del concetto di 'verità' od 'oggettività', inoltre, fa temere molti che sia sottratto spazio alla libertà umana, che ci si affidi ad un cieco dogmatismo, che qualcuno voglia imporre con la forza la propria ideologia. La questione della verità, quindi, diventa anche "problema morale" e "problema politico".

I relativisti sovrappongono tutti questi piani con un ragionamento fallace (quello che potremmo definire un "paralogismo"), che recita in sostanza: "L'idea di verità è dogmatica e pericolosa per la libertà. Quindi, la verità non esiste".

Ebbene, questo ragionamento è innanzitutto basato su premesse false.

L'idea di verità è espressione di cieco dogmatismo?
Si tratta di un'asserzione che muove da un'interpretazione distorta del concetto di verità. Suppone erroneamente che la ricerca della verità debba essere sottratta al dialogo o al ragionamento.

Ancora: l'idea di verità è pericolosa per la libertà, allorché si traduce in valori che animano la convivenza civile?
I valori non devono certamente essere imposizione arbitraria di una parte, di una cultura; devono essere oggetto di un dibattito trasparente, che garantisca il massimo del consenso possibile; non devono comprimere libertà fondamentali; devono essere capaci di dare risposte efficaci alle esigenze delle realtà sociali nelle quali sono calati (risposte adeguate secondo i contesti storici e sociali, senza pericolose rigidità). Esistono quindi preoccupazioni di metodo legittime. Ma il relativismo fa esplodere queste preoccupazioni, arrivando a negare in radice - contro ogni realismo - l'utilità e la necessità dei valori nelle realtà sociali.

Alle preoccupazioni di metodo si aggiungono sovente preoccupazioni derivanti da esperienze storiche negative, nelle quali si sono imposti il fanatismo o l'ideologismo violento.
Ma, anche qui, il relativismo si rivela incapace di analizzare correttamente e comprendere le radici di questi fenomeni, pensando che, per evitare il pericolo che qualcuno strumentalizzi l'idea di verità a proprio vantaggio, se ne debba trarre la conseguenza che questa idea sia di per sé pericolosa o inesistente (come chi pensasse di abolire il linguaggio per evitare gli insulti, o vietare il sesso per evitare gli stupri).
Il relativismo, insomma, ignora completamente il contenuto della verità proclamata: esistono verità che liberano (il primato stesso riconosciuto alla libertà è una "verità") e verità che schiavizzano.

Partendo da una premessa falsa, il ragionamento relativista abbandona ogni logica allorché opera un collegamento forzato e capovolto ("affermazione del conseguente"): se l'effetto mi preoccupa, debbo... ignorare la causa!

Ebbene: posso essere convinto che una determinata "verità" non esista, o che sia deformata, o che debba essere tenuta in considerazione insieme con altre verità. Posso - debbo - cercare di dimostrare razionalmente queste mie convinzioni.
Ma non posso fingere che qualcosa non esista solo per timore di un danno conseguente, o per trarne convenienza!

Il relativismo inquina il dialogo logico-razionale (come l'abbiamo conosciuto dai tempi di Aristotele), negando che dal confronto di tesi diverse si possa arrivare ad una tesi comune. Il suo approdo è il nichilismo, il non credere in niente.

Le aporie cui perviene il relativismo non sono altro che l'esito finale di una lenta deriva di una parte significativa del pensiero moderno. Un percorso che ha condotto dapprima a negare l'esistenza delle verità filosofiche e morali, togliendo dignità alla metafisica (la disciplina che si occupa appunto dell'Essere e dell'uomo nella sua complessità); e poi, in alcuni casi, addirittura a negare la possibilità di qualsiasi conoscenza, anche scientifica...

Scritto da Giovanni Martino

continua: Europa Oggi




venerdì 22 gennaio 2010

Le calunnie contro Pio XII



Dopo la pubblicazione di un articolo che evoca lo «scandalo della beatificazione di Pio XII», il settimanale francese “Marianne” ha fatto marcia indietro sull'argomento.

"Pio XII agì come un uomo responsabile"

«Il nostro articolo del 2 gennaio “Il Papa che rimase in silenzio di fronte a Hitler”, che ha affrontato il tema della possibile beatificazione di Pio XII, ha suscitato reazioni» ─ osserva la redazione di “Marianne” ─ «anche tra i nostri cronisti abituali. Tra questi, Roland Hureaux considera che, di fronte all'Olocausto, Pio XII agì come un uomo responsabile anziché dare lezioni».
Nell'articolo, diffuso l'11 gennaio, Hureaux ricorda che i «dirigenti della Chiesa cattolica si situano dalla parte dell'etica della responsabilità. Perché, contrariamente a ciò che possono far pensare alcuni, i buoni cristiani non sono adolescenti tardivi, e la Chiesa cattolica ha responsabilità effettive: quella, tra il 1939 e il 1945, di milioni di cattolici ma anche di centinaia di migliaia di ebrei rifugiati nelle sue istituzioni!».
«È estremamente immaturo pensare che il Papa potesse parlare indiscriminatamente senza preoccuparsi di questa responsabilità», afferma. Secondo il giornalista di “Marianne”, «nulla permette di dire che, in relazione a quella situazione, il Papa avrebbe potuto, essendo meno “prudente”, migliorare l'equilibrio tra bene e male». «Serve una presunzione singolare da parte di coloro che non hanno vissuto le stesse circostanze né hanno mai esercitato analoghe responsabilità per presentare giudizi a questo proposito».
«Come ha detto Serge Klarsfeld, alcune parole solenni durante la retata degli ebrei di Roma avrebbero sicuramente migliorato la reputazione attuale di Pio XII. Ma che criminale sarebbe stato se, per forgiare la propria immagine davanti alla storia o anche per preservare l'onore dell'istituzione, avesse sacrificato la vita anche di uno solo delle migliaia di bambini ebrei rifugiati nei giardini di Castel Gandolfo e in tanti conventi!».
Roland Hureaux considera anche che bisognerebbe avere «una singolare ignoranza di quello che fu il regime nazista per immaginare che questo tipo di proclami avrebbero potuto commuoverlo». E aggiunge: «Come si può dire che il Papa non abbia detto nulla contro il nazismo, quando fu lo sherpa della redazione, dall'inizio alla fine, dell'Enciclica Mit brennender Sorge (1937)?».
Pio XII era «ossessionato dall'anticomunismo». «Come sono leggere queste parole! Dimenticano che tra l'agosto 1939 e il giugno 1941 Hitler e Stalin furono alleati, si portò a termine un piano di sterminio dei sacerdoti e delle élites polacche e centinaia di migliaia di cattolici polacchi vennero assassinate. Ma non ci fu alcuna protesta memorabile». «Perché? Non lo so».
«Egli sapeva che, di fronte alla “Bestia immonda”, non sarebbe servito a nulla cercare di intenerire. Bisognava limitare in modo prioritario i danni senza alimentare la sua ira».
«Di fatto – continua Roland Hureaux –, il vero mistero di Pio XII non è tanto il suo comportamento durante la guerra, ma la lettura che se ne è fatta 70 anni dopo. Com'è possibile che questo Papa, che era oggetto di elogi unanimi da parte del mondo ebraico (Ben Gurion, Golda Meir, Albert Einstein, Léo Kubowitski, segretario del Congresso Ebraico Mondiale, il Gran Rabbino di Roma, ecc.) e non era ebreo, possa essere oggi così vilipeso?».

(Fonte: Zenit, 19 gennaio 2010)

Il Csm rimuove il giudice Tosti




22 Gennaio 2010

LA DECISIONE DELLA MAGISTRATURA
Il Csm rimuove il giudice Tosti
Non voleva il Crocifisso in aula



Rimozione dall'ordine giudiziario. È la durissima sanzione inflitta dalla sezione disciplinare del Csm al giudice di Camerino, Luigi Tosti, per il suo rifiuto di tenere udienze nelle aule giudiziarie in cui è esposto il crocifisso.

Il magistrato, ribattezzato dalle cronache come il "giudice anti-crocifisso", era già stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio dal 2006, ed ora, dopo il verdetto di stamattina, non potrà più vestire la toga. Tosti era accusato di aver violato "i doveri istituzionali e professionali di diligenza e di laboriosità, con grave e reiterata inosservanza delle disposizioni relative alla prestazione del servizio giudiziario", si legge nel capo di incolpazione redatto dalla Procura generale della Cassazione, poiché si era "sottratto ingiustificatamente ed abitualmente dalle relative funzioni a lui conferite", astenendosi dal trattare 15 udienze tra il maggio e il luglio del 2005, e ancora fino al momento della sua sospensione, nonostante fossestato promosso l'azione disciplinare nei suoi confronti, "con dichiarazione di rifiuto di tenere l'udienza manifestata nello stesso giorno o nell'immediata prossimità", così determinando, si sottolinea ancora nel capo d'accusa, "la necessità delle relatove sostituzioni, grave perturbamento dell'attività d'ufficio ed estrema difficoltà del proseguio dell'attività giurisdizionale per i procedimenti a luiaffidati".

In tal modo, spiega la Procura generale della Cassazione nell'incolpazione, rilevando che "tale condotta era persistita nonostante la messa a disposizione da parte del Presidente del Tribunale di un'aula priva di simboli religiosi", Tosti "è venuto meno al dovere fondamentale di svolgimento della funzione" ed ha "compromesso la credibilità personale ed il prestigio dell'istituzione giudiziaria".

Il "tribunale delle toghe" ha dunque accolto la richiesta, avanzata nella requisitoria di oggi, dal sostituto pg di Cassazione Eduardo Scardaccione, di rimuovere il giudice di Camerino dalla magistratura. Già in passato, Tosti, che stamane si è 'autodifesò davanti al Csm, era stato sanzionato in via disciplinare con un ammonimento, confermato dalle sezioni unite della Suprema Corte, per una lettera,inviata all'allora Guardasigilli Clemente Mastella, ritenuta offensiva nei confronti dei magistrati de L'Aquila - di fronte ai quali si stava svolgendo il processo a carico dell'ex giudice per omissione di atti d'ufficio - che non avevano rimosso il crocifisso dall'aula di udienza.

In sede penale, però, Tosti è stato assolto in via definitiva dall'accusa di omissione di atti d'ufficio per il suo rifiuto di tenereudienza nelle aule con il simbolo religioso: la Cassazione, nello scorso febbraio, annullò senza rinvio "perché il fatto non sussiste" la condanna a 7 mesi di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici inflitta all'ex magistratodalla Corte d'appello de L'Aquila, rilevando che la condotta di Tosti, che era stato sostituito da altri giudici, non aveva impedito lo svolgimento delle udienze. Nelle sue motivazioni, la Suprema Corte, aveva anche sottolineato che la questione del crocifisso nelle aule giudiziarie "ha una sua sostanziale dignità e meriterebbe un adeguato approfondimento" e che la circolare del ministero della Giustizia, risalente al 1926, che imponeva la presenza del simbolo religioso nelle aule, tenuto anche conto "dell'epoca a cui risale non sembra essere in linea con il principio costituzionale di laicità dello Stato e con la garanzia, pure costituzionalmente presidiata, della libertà di coscienza e di religione".
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Il 24 gennaio raccolta di fondi in tutte le chiese italiane.


INIZIATIVA CEI


Il 24 gennaio raccolta di fondi
in tutte le chiese italiane


La Chiesa italiana si mobilita a favore della popolazione di Haiti.

A livello nazionale è stata annunciata ieri dalla presidenza della Cei, che ha così voluto raccogliere l’accorato invito del Santo Padre, una raccolta straordinaria indetta per domenica 24 gennaio 2010 in tutte le chiese d’Italia. Le offerte si andranno così ad aggiungere ai due milioni di euro stanziati già mercoledì dalla stessa Cei, attraverso i fondi otto per mille destinati alle emergenze umanitarie. E come ricorda il comunicato che Avvenire pubblica integralmente in prima pagina, potranno essere effettuate tramite diversi canali.

Ma la mobilitazione sta coinvolgendo, a macchia d’olio, anche numerose Chiese locali. Da Torino l’arcivescovo, cardinale Severino Poletto, fa appello «a tutte le comunità cristiane diocesane affinché si proponga da domenica prossima, 17 gennaio, ai fedeli una colletta straordinaria a favore delle persone colpite da questa immane tragedia». Il porporato esprime, quindi, «una particolare vicinanza ai Padri Camilliani, presenti in diocesi, i quali hanno a Port-au-Prince un ospedale pediatrico e diversi ambulatori medici infermieristici e che sono stati provati da questo terremoto in quanto cinque studenti di teologia della loro comunità e altri seminaristi hanno perso la vita sotto le macerie insieme con l’arcivescovo, monsignor Miot. Per questo – aggiunge – indico fin da ora che parte della colletta diocesana sarà devoluta all’ordine religioso dei Camilliani a favore della loro comunità di Haiti e dei bambini ricoverati nell’ospedale di Port-au-Prince». «Confido – conclude il cardinale Poletto – che, come sempre, anche in questa dolorosa circostanza la Comunità torinese si dimostrerà sensibile a chi, già povero, è stato provato da questa calamità naturale».

Analogo l’appello dell’arcivescovo di Udine, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, che chiede a tutti di unirsi alla sua preghiera al Signore per le vittime e per i sopravvissuti e si appella alla generosità di tutti. Le persone, le associazioni e le comunità parrocchiali possono inviare il proprio contributo mediante un versamento sui conti del Centro Caritas dell’arcidiocesi di Udine Onlus, Via Treppo 3 - 33100 Udine. Le coordinate bancarie sono: Iban IT 45 U 02008 12310 000001515712. In alternativa, le coordinate postali sono: c/c n. 51029056 con la causale «Emergenza Terremoto Haiti».

Una sottoscrizione tramite conto corrente postale è invece la via di aiuto scelta dalla Caritas diocesana di Catania, che ha aperto una sottoscrizione per aiutare Haiti. Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte alla Caritas diocesana di Catania tramite il conto corrente postale numero 11105954 specificando «Emergenza terremoto Haiti». È possibile anche fare un bonifico sul conto corrente Bancoposta della Caritas diocesana di Catania, codice Iban IT 95 NO 760116900000011105954.

Mobilitazione anche da parte della diocesi di Savona-Noli, dove il vescovo, monsignor Vittorio Lupi, che è anche delegato della Conferenza episcopale ligure per la carità, ha messo a disposizione alcuni conti correnti bancari e postali per le offerte. Le donazioni si possono fare presso l’Ufficio Caritas diocesana in via Mistrangelo 1/1 bis a Savona dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 12, o con bonifico bancario intestato a Diocesi di Savona-Noli / Caritas Diocesana IBAN: IT67 E063 1010 6030 0000 0891 480 Causale: «Emergenza terremoto Haiti».

Anche da Brescia la Caritas diocesana fa sapere che sono attivi alcuni canali di offerta. Tra questi il c/c postale n. 10510253 intestato proprio a Caritas Bresciana.

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domenica 17 gennaio 2010

Alexis Carrel - La scienza davanti alla Verità



«Vergine dolce che soccorri gli infelici, proteggimi. Io credo in Te. (…) Il Tuo nome è più dolce del sole del mattino. Prendi Tu il peccatore inquieto dal cuore in tempesta che si consuma nella ricerca delle chimere. Sotto i consigli profondi e duri del mio orgoglio intellettuale giace, ancora soffocato, il più affascinante di tutti i sogni, quello di credere in Te, di amarti come i frati dall’anima candida».

Questa bella preghiera è stata composta da un grande scienziato, il medico francese Alexis Carrel, premio Nobel nel 1912 grazie alla scoperta di un particolare punto di sutura che poi ha permesso la pratica della trasfusione di sangue, pratica che ha salvato e che salva tante vite umane. Il dottor Carrell era agnostico, ma fu convertito grazie a un viaggio a Lourdes dove poté constatare ciò che egli riteneva inconstatabile.

Alexis Carrel nacque a Lione nel 1873. La sua famiglia era di commercianti benestanti. Rimasto orfano di padre, a cinque anni lasciò Lione per andare a vivere in campagna con la mamma. Tornò poi a Lione per gli studi liceali e per frequentare la Facoltà di Medicina.
Furono propri gli studi universitari a spingerlo ad abbandonare le convinzioni religiose ricevute dall’educazione familiare per abbracciare la filosofia positivista e materialista. Conservò però sempre una forte nostalgia verso le certezze della sua fanciullezza, soprattutto avvertiva l’inquietudine che gli procuravano quelle nuove convinzioni positiviste, incapaci di dare una persuasiva risposta al senso della vita e della morte.

Lui stesso, dopo la conversione, scrisse di quel periodo parlando di sé in terza persona: «Assorbito dagli studi scientifici, affascinato dallo spirito della critica tedesca, [Carrel] s’era convinto a poco a poco che al di fuori del metodo positivo, non esisteva certezza alcuna. E le sue idee religiose, distrutte dall’analisi sistematica, l’avevano abbandonato, lasciandogli il ricordo dolcissimo di un sogno delicato e bello. S’era allora rifugiato in un indulgente scetticismo (…) La ricerca delle essenze e delle cause gli sembrava vana, solo lo studio dei fenomeni, interessante. Il razionalismo soddisfaceva interamente il suo spirito; ma nel fondo del suo cuore si celava una segreta sofferenza, la sensazione di soffocare in un cerchio troppo ristretto, il bisogno insaziabile di una certezza».

La decisione di andare a Lourdes
In quegli anni, negli ambienti medici, si discuteva molto di Lourdes e dei miracoli che vi avvenivano. C’era chi ci credeva e c’era chi era profondamente scettico. Nel 1894, il famoso scrittore Emile Zola, dopo esser stato a Lourdes e pur essendo stato testimone di fatti inspiegabili, aveva scritto un libro in cui negava decisamente la veridicità delle apparizioni.

Anche Carrel, nel suo positivismo, era convinto che quelli di Lourdes fossero solo sedicenti “miracoli”, in realtà guarigioni frutto di autosuggestione. Volle però andare a constatare di persona e, nel 1902, partecipò come medico a un pellegrinaggio, occasione che gli fu offerta da un collega che aveva dovuto rinunciare all’ultimo momento. Da questo viaggio venne fuori un libro che ebbe il titolo di Viaggio a Lourdes.

L’incontro con Marie Ferrand
Alexis Carrel era in incognito. Solo pochi conoscevano la sua identità. Voleva solo constatare e aiutare qualche malato. Nel suo scompartimento giaceva una giovane donna, Marie Ferrand (chiamata così nel libro, ma in realtà si chiamava Marie Bailly). Era gravissima: ventre gonfio, pelle lucida, costole sporgenti, addome teso da materia solide, sacca di liquido che occupava la regione ombelicale, febbre alta, gambe gonfie, cuore veloce. Si trattava di peritonite tubercolare.
Dolori tremendi! Il dottor Carrel le praticò un’iniezione di morfina. «Avete ancora i genitori?», le domandò gentile il medico. «No, sono morti di tubercolosi da alcuni anni», rispose la donna.

Dall’età di quindici anni, ella era tubercolotica. I medici che la tenevano in cura dicevano che ormai era all’ultimo stadio. Ella però, pur sentendosi alla fine, era convinta che la Vergine, a Lourdes, le avrebbe concesso qualcosa d’importante: se non la guarigione, almeno la forza per morire in pace.

Il dialogo con un amico credente
Arrivato a Lourdes, incontrò un suo vecchio compagno di collegio, nel suo libro-diario ne riporta solo le iniziali: A.B. Gli chiese: «“Sai se qualche malato è guarito, stamane, nelle piscine?” “No, nessuno. Però vidi un miracolo davanti alla grotta. Una suora che camminava con le stampelle arrivò, si fece una gran segno di croce, bevve l’acqua della fonte miracolosa… Subito il suo viso s’illuminò, buttò via le stampelle, corse agile alla Grotta, gettandosi in ginocchio davanti alla Vergine… Era guarita”. “La sua guarigione – fece Carrel – è un caso interessante di autosuggestione!”. “Quali sono – ribatté l’amico – le guarigioni che, se le constatassi, ti farebbero riconoscere l’esistenza del miracolo?”. “La guarigione improvvisa di una malattia organica – rispose Carrel – Una gamba tagliata che rinasce. Un cancro scomparso, una lussazione congenita che improvvisamente guarisce. Allora sì che crederei! Se mi fosse concesso di vedere un fenomeno tanto interessante, tanto nuovo, sacrificherei tutte le teorie e le ipotesi del mondo. Ma non il minimo timore di arrivare a questo…

C’è una ragazza, Marie Ferrand, presso la quale mi hanno chiamato dieci volte ed è in pericolo di vita. È tisica, ha una peritonite tubercolare all’ultimo stadio. È in uno stato pietoso. Temo che mi muoia tra le mani. Se questa ammalata guarisce, sarebbe veramente un miracolo. Io crederei a tutto e mi farei frate”».

Avviene l’inspiegabile
Nella Sala dell’Immacolata (riservata ai malati più gravi) tutto era pronto per la funzione presso le piscine. Il dottor Carrel si avvicinò al lettino della “sua” ammalata, Marie Ferrand. La visitò rapidamente: il cuore stava per cedere, era alla fine. Il medico le praticò un’iniezione di caffeina, poi disse ai presenti senza farsi sentire dall’ammalata: «È una peritonite polmonare all’ultimo stadio. Figlia di genitori morti di tubercolosi in giovane età, è tisica dall’età di 15 anni. Può darsi che viva ancora per qualche giorno, ma è finita». Anche un altro medico confermò la diagnosi nefasta di Carrel.

Alla piscina non fu possibile immergere Marie Ferrand. Le fecero alcuni lavaggi al ventre. La portarono davanti alla Grotta. L’aspetto della donna era sempre cadaverico. Erano circa le 14.30.
Carrel osservava il volto dell’ammalata: gli parve più normale, meno livido. Gli sembrava avere un’allucinazione, continuò ad osservarla. Le contò le pulsazioni e i respiri al polso. La respirazione sembrava rallentata. Il volto di Marie Ferrand continuava a cambiare. I suoi occhi sembravano catalizzati verso la Grotta.
C’era in lei un sensibile miglioramento, non lo si poteva negare. Lo stupefacente, però, avveniva adesso: Carrel vide a poco a poco la coperta abbassarsi al livello del ventre. Il gonfiore spariva. Si sentì impallidire. Alle 15 la tumefazione era ormai scomparsa. Carrel credeva d’impazzire.

Si avvicinò alla donna, ne osservò la respirazione, guardò il collo. Il cuore batteva regolarmente. Le domandò: «Come vi sentite?». Marie rispose sottovoce: «Benissimo. Non sono molto in forze, ma sento che sono guarita».
Carrel così ha scritto, sempre parlando di se stesso in terza persona: «Il medico non parlava più; non pensava più. Il fatto inatteso era totalmente contrario a tutte le previsioni, che egli credeva di sognare… Si alzò, traversò le file serrate dei pellegrini, i quali gridavano invocazioni che egli a stento sentiva, e se ne andò. Erano circa le 16. Quel ch’era accaduto era la cosa impossibile, la cosa inattesa, il miracolo».

L’inizio di una nuova vita
Marie Ferrand, guarita, fu portata all’ospedale diretto dal dottor Boissaire, lo scienziato che difendeva la veridicità di Lourdes. Carrel tornò a visitarla e dovette constatarne la inspiegabile guarigione. Lo stesso fecero altri medici.
Marie era felice e diceva: «Andrò dalle suore di San Vincenzo, loro mi accoglieranno e io assisterò i malati». Carrel era commosso. Uscì dall’ospedale. Era ormai notte. Si recò alla Basilica e vi entrò. Scorse il suo amico A.B. e cominciarono a parlare. Mentre il medico fissava la statua dell’Immacolata, l’amico gli chiese: «Sei convinto, ora, filosofo incredulo?». Carrel si limitò a rispondere: «Una giovane moribonda è stata guarita sotto i miei occhi in pochi istanti. È una cosa meravigliosa, è un miracolo». A.B. concluse a mo’ di battuta: «Ma non è meno vero che ora sei obbligato a vestire il saio! Addio».
Carrel rimase solo e fu allora che pronunziò quelle parole che abbiamo posto all’inizio: «Vergine dolce che soccorri gli infelici, proteggimi. Io credo in Te…».
Il medico positivista, diventato credente, dedicò poi l’intera sua vita alla scienza (come abbiamo già detto, fu insignito del Nobel nel 1912) e a propagare la devozione alla Vergine di Lourdes. In tarda età fu ingiustamente accusato di collaborazionismo con il governo filonazista di Vichy. Fu un’accusa che lo prostrò molto e lo condusse, il 5 novembre 1944, ad un infarto che gli fu fatale.

A lui si deve una famosa frase che esprime bene il realismo cristiano e l’umiltà che dovrebbe contrassegnare ogni ricerca scientifica: «Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità».

mercoledì 13 gennaio 2010

Anniversario delle Apparizioni dell’Angelo del Portogallo



2006 - Il 90° anniversario delle Apparizioni dell’Angelo del Portogallo ai tre pastorelli

Ci è sembrato opportuno ricordare ai nostri lettori l’inizio della storia di questo avvenimento epocale, cioè le sei apparizioni della Madonna a Cova da Iria nel 1917. Come forse pochi ricordano, esse furono precedute dalle apparizioni dell’Angelo del Portogallo (o della Pace) ai piccoli veggenti Lucia, Giacinta e Francesco. Questo fatto è stato commemorato il 10 giugno scorso, nel Santuario di Fatima, con un pellegrinaggio di numerosissimi bambine e bambini – circa 30mila e provenienti da diverse zone del Portogallo, nonché dall’arcipelago di Madeira e delle Azzorre – ed ha avuto come motto «Non abbiate paura. Sono l’Angelo della Pace», cioè l’espressione utilizzata dal celeste inviato di Dio ai tre pastorelli.
Anche questa soprannaturale preparazione a Colei che »è venuta dal cielo» fa parte integrante del «più importante avvenimento del XX secolo», il quale deve essere per noi luce e speranza in mezzo al caos del mondo contemporaneo.
Prima delle apparizioni della Madonna, Lucia, Francesco e Giacinta - Lucia de Jesus dos Santos, e i suoi cugini Francisco e Jacinta Marto, tutti residenti nel villaggio di Aljustrel, parrocchia di Fatima - ebbero tre visioni dell'Angelo del Portogallo, o della Pace.

Prima apparizione dell'Angelo
La prima apparizione dell'Angelo avvenne nella primavera o nell'estate del 1916, in un antro, o grotta, del colle del Cabeço, vicino ad Aljustrel, e si svolse nel modo seguente, come narra suor Lucia:
«Giocavamo da qualche tempo, ed ecco che un vento forte scuote le piante e ci fa sollevare lo sguardo per vedere che cosa succedeva perché la giornata era serena. Allora cominciammo a vedere a una certa distanza, sulle piante che si stendevano in direzione dell’oriente una luce più bianca della neve, con l'aspetto di un giovane trasparente, più splendente di un cristallo attraversato dai raggi del sole. A misura che si avvicinava, ne venivamo distinguendo i tratti: un giovane dai 14 ai 15 anni, di una grande bellezza. Eravamo sorpresi e quasi rapiti. Non dicevamo parola. Giunto vicino a noi disse:
- «Non abbiate paura. Sono l'Angelo della Pace. Pregate con me».
E inginocchiatosi a terra, curvò la fronte fino al suolo. Spinti da un moto soprannaturale, lo imitammo e ripetemmo le parole che gli udimmo pronunciare:
- «Dio mio! Credo, adoro, spero e vi amo. Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non vi amano».
Dopo avere ripetuto questo tre volte, si alzò e disse:
- «Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria sono attenti alla voce delle vostre suppliche».
E scomparve.
L'atmosfera soprannaturale che ci avvolse era tanto intensa che quasi non ci rendevamo conto, per un lungo lasso di tempo, della nostra stessa esistenza, restando nella posizione in cui ci aveva lasciato, e ripetendo sempre la stessa preghiera. La presenza di Dio si sentiva così intensa e intima che non osavamo parlare neppure fra di noi. Il giorno seguente, sentivamo lo spirito ancora avvolto in questa atmosfera, che andò scomparendo soltanto molto lentamente.
Di questa apparizione, nessuno pensò di parlarne, né di raccomandarne il segreto. Essa lo impose da sé. Era così intima, che non era facile pronunciare su di essa la minima parola. Ci fece anche, forse, maggiore impressione, per il fatto che fu la prima manifestazione di questo tipo».

Seconda apparizione dell'Angelo.
La seconda apparizione avvenne nell'estate del 1916, sul pozzo della casa dei genitori di Lucia, presso cui i bambini giocavano. Così narra suor Lucia ciò che l'Angelo disse loro - a lei e ai suoi cugini - in quella occasione:
- «Che fate? Pregate! Pregate molto! I Cuori santissimi di Gesù e di Maria hanno su di voi disegni di misericordia. Offrite costantemente all'Altissimo preghiere e sacrifici».
- «Come dobbiamo fare a sacrificarci? », chiesi.
- «In tutti i modi possibili, offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirate così sulla vostra patria la pace. Io sono il suo angelo custode, l'Angelo del Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate con sottomissione la sofferenza che il Signore vi manderà».
E scomparve.
Queste parole dell'Angelo si incisero nel nostro spirito, come una luce che ci faceva comprendere chi era Dio; come ci amava e voleva essere amato; il valore del sacrificio, e come gli era gradito; come, per riguardo a esso, convertiva i peccatori».

Terza apparizione dell'Angelo
La terza apparizione avvenne alla fine dell'estate o all'inizio dell'autunno del 1916, di nuovo nella grotta del Cabeço, e si svolse nel modo seguente, sempre secondo la descrizione di suor Lucia:
«Appena vi giungemmo, in ginocchio, con i volti a terra, cominciammo a ripetere la preghiera dell'Angelo: «Dio mio! Credo, adoro, spero e vi amo, ecc.» Non so quante volte avevamo ripetuto questa preghiera, quando vedemmo che su di noi brillava una luce sconosciuta. Ci alzammo per vedere cosa succedeva, e vedemmo l’Angelo con un calice nella mano sinistra e sospesa su di esso un’Ostia, dalla quale cadevano nel calice alcune gocce di sangue. Lasciando il calice e l’Ostia sospesi in aria, si prostrò a terra vicino a noi e ripeté tre volte la preghiera:
- «Trinità santissima, Padre, Figliolo e Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui è offeso. E per i meriti infiniti del suo santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, vi chiedo la conversione dei poveri peccatori».
Poi sollevandosi prese di nuovo il calice e l’Ostia, e diede l’Ostia a me e ciò che conteneva il calice lo diede da bere a Giacinta e a Francesco, dicendo nello stesso tempo:
- «Prendete e bevette il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro delitti e consolate il vostro Dio».
Di nuovo si prostrò a terra e ripeté con noi altre tre volte la stessa preghiera:
«Trinità santissima ecc.
» E scomparve.
Portati dalla forza del soprannaturale, che ci avvolgeva, imitavamo l’Angelo in tutto, cioè prostrandoci come lui e ripetendo le preghiere che lui diceva. La forza della presenza di Dio era così intensa, che ci assorbiva e ci annientava quasi completamente. Sembrava che per un grande lasso di tempo ci privasse perfino dell’uso dei sensi corporali.
In quei giorni facevamo le azioni materiali come portati da questo essere soprannaturale che a ciò ci spingeva. La pace e la felicità erano grandi, ma soltanto interiori, con l'anima completamente concentrata in Dio. Anche la stanchezza fisica che ci prostrava era grande.
Non so perché, le apparizioni della Madonna producevano in noi effetti molto diversi. La stessa gioia intima, la stessa felicità e pace. Ma, invece di questo abbattimento fisico, una certa agilità espansiva; invece di questo annientamento nella divina presenza, un esultare di gioia; invece di questa difficoltà nel parlare, un certo entusiasmo comunicativo. Ma, nonostante questi sentimenti, sentivo la ispirazione a tacere, soprattutto alcune cose. Negli interrogatori, sentivo la ispirazione interiore che mi indicava le risposte che, senza mancare alla verità, non scoprissero ciò che per il momento dovevo occultare» .
(cfr. «Fatima, Messaggio di tragedia o di speranza?» (Antonio A. Borelli, Ed. Luci sull’Est, 2004, pag. 15 a 19).

"Pregate, pregate moltissimo!
Il Sacro Cuore di Gesù e Maria
hanno per voi propositi misericordiosi.
Offrite sempre all'Altissimo preghiere e sacrifici."
(L'angelo ai tre Pastorelli)

Portogallo che cosa ne hai fatto del Messaggio di Fatima?

Non avevo proprio voglia di leggere questa notizia!!


Portogallo
che cosa ne hai fatto
del Messaggio di Fatima?




Il Parlamento portoghese ha approvato questa mattina un disegno di legge del governo socialista che legalizza il matrimonio tra omosessuali, ma ha respinto la proposta di permettere l’adozione per coppie dello stesso sesso. Il provvedimento ha potuto contare sull’appoggio di tutta la sinistra. Respinta una proposta di referendum popolare avanzata da più di 90mila cittadini. Il primo ministro socialista José Socrates ha commentato la decisione come "un momento storico" per il Portogallo che da anni "combatte contro la discriminazione e l'ingiustizia sociale nella società". Ad aprile potrebbe essere già celebrato il primo “matrimonio” gay. Al momento sono cinque i paesi europei dove è possibile il matrimonio fra persone dello stesso sesso: Belgio, Olanda, Spagna, Svezia e Norvegia.
Certo che questa è una preparazione «adeguata» per la prossima visita del Papa a maggio.



(fonte: Fattisentire.net)



lunedì 11 gennaio 2010

Valore apologetico della Sacra Sindone



Che significato, che valore può avere la Santa Sindone per il cristiano di oggi? La Sindone non è solo una straordinaria reliquia del nostro Redentore. Essa è anche latrice di un messaggio ammonitore riservato dalla Divina Provvidenza al nostro tempo: un messaggio apologetico, che ci aiuta a testimoniare e difendere la Fede dalla incredulità ed empietà della mentalità moderna.

di Guido Vignelli
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L’uomo contemporaneo idolatra la ragione, la scienza e soprattutto la materia, per cui rifiuta ogni manifestazione del soprannaturale, nella pretesa di credere solo a ciò che vede, tocca, prova. Ebbene, la Sindone costringe l’uomo d’oggi a vedere, toccare e provare una testimonianza documentaria dell’evento soprannaturale per eccellenza: la Passione e la Resurrezione del Signore; una testimonianza trasmessa dalla tradizione ma confermata dalla ragione, dalla scienza, dalla storia.

La Sindone testimone della Fede
Viviamo in un’epoca in cui la divina Rivelazione viene negata, la Sacra Scrittura “demitizzata”, la storia sacra revisionata, il miracolo irriso. Ebbene, la Santa Sindone ci ricorda che la Fede cristiana non solo è vera, ma è anche storicamente fondata, razionalmente giustificabile, moralmente credibile, apologeticamente difendibile dalle accuse e dagli equivoci.
Nella nostra epoca, la Religione stessa viene rinchiusa nel ghetto della opinione soggettiva, della sensibilità personale, della pratica privata. Ebbene, la Santa Sindone ci ricorda che la Fede non consiste in una “esperienza” individuale e sentimentale, dunque arbitraria e incomunicabile, bensì nell’adesione razionale (“rationabile obsequium”, come dice San Paolo) ad una Verità testimoniata dai fatti storici, ricevuta dalla Chiesa e infine, ma solo infine, vissuta di persona.

La Sindone testimone della Resurrezione
La Sindone non è solo un drammatico documento della Passione e Morte del Salvatore, ma ci offre anche una sorprendente testimonianza della Sua Resurrezione.
Gli stessi scienziati, difatti, non possono spiegare come l’immagine del Crocifisso si sia impressa sul lino; essi ipotizzano che solo una misteriosa e potente esplosione di energia, una irradiazione improvvisa e sfolgorante proveniente dal cadavere, abbia impresso l’immagine in negativo sul sudario. Insomma, solo il ritorno in vita del defunto può spiegare l’origine della Sindone.
La testimonianza che la Sindone dà alla Resurrezione costituisce un ulteriore ammonimento alla mentalità moderna, che è abituata a separare il materiale dallo spirituale, il naturale dal soprannaturale, il reale dal simbolico.
Questa mentalità può ammettere solo una resurrezione spirituale, che testimoni il potere soggettivo della fede umana, ma non riesce ad ammettere una resurrezione corporale, che testimoni il potere oggettivo di un Dio incarnato, padrone della realtà e protagonista della storia.
Eppure, come sappiamo, la Resurrezione costituisce la suprema testimonianza resa dalla divina onnipotenza alla divinità del Cristo, padrone assoluto dello spirito e della materia, della vita e della morte: una Resurrezione non solo simbolica, allegorica o spirituale, come pretendono oggi molti teologi, bensì reale, fisica, corporea, storicamente avvenuta.

La Sindone testimone della Chiesa
La Sindone ci trasmette un ulteriore messaggio. Nel considerare sia la vita di Cristo che quella della Sua Chiesa, non dobbiamo separare la morte dalla resurrezione, la sconfitta dalla vittoria, l’umiliazione dal trionfo; nella prospettiva cristiana, le prime sono in funzione delle seconde. Lo stesso Redentore ci ha avvisato che, se c’è un tempo riservato alla mortificazione e alla umiliazione, poiché “lo Sposo è assente”, questo tempo va vissuto in attesa del tempo riservato alla gioia e alla festa, poiché “lo Sposo è presente”, è tornato.
La Santa Sindone ci rievoca il momento più buio della storia, quello che va dalla sera del venerdì di Passione all’alba della domenica di Resurrezione. Durante questo periodo, il Corpo del Divin Salvatore giaceva inerte e sanguinante nel sepolcro, apparentemente abbandonato da Dio e privo della sua divina vitalità, per cui perfino la Chiesa neonata dubitava del proprio Fondatore e di se stessa. Eppure la Madonna restava salda nella fede, paziente nelle prove, attendeva vigile e fiduciosa la Resurrezione, racchiudendo nel suo Cuore Immacolato il germe spirituale dell’intero Corpo Mistico.
Viene spontaneo paragonare quella hora tenebrarum alla nostra epoca, nella quale la Chiesa appare provata da una drammatica crisi, esterna e interna. Anche oggi moltissimi dubitano della divinità della Chiesa, vedendola umiliata, disprezzata e ferita, anzi fredda e come spenta, quasi spogliata della sua santità e apparentemente abbandonata da Dio.
Eppure ancor oggi vi sono anime che, imitando le virtù della Madonna, rimangono salde nella fede, pazienti nelle prove, vigilanti nelle tenebre, fiduciose nella Resurrezione. Queste anime fedeli sanno vedere nella Sindone una rinnovata testimonianza della storicità della Redenzione, della verità della Fede, della immortalità del corpo Mistico di Cristo.
Pertanto esse attendono vigili e fiduciose la riscossa della Chiesa, la sua rivincita, il suo trionfo dopo secoli di umiliazioni e di sconfitte; e questa convinzione le rafforza nella fede, le rianima nella speranza, le infiamma nella carità. Come i primi cristiani nell’epoca delle persecuzioni, anch’esse, «pur non vedendo, hanno creduto» (Gv., 20, 30); meritano quindi di vedere ciò in cui credono e per cui lottano.


(fonte: Radici Cristiane - RC n. 22 - Febb/Marzo 2007)
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mercoledì 6 gennaio 2010


Solennità Epifania del Signore 2010


Umiltà contro la presunzione del mondo!






Cari fratelli e sorelle!

Oggi, Solennità dell'Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l'intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc'anzi ascoltato, pongono l'una accanto all'altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell'Antico e del Nuovo Testamento. Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.

Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l'evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l'adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell'accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall'Oriente che vanno a farGli visita. Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l'episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E', quindi, comprensibile che il cuore e l'anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell'evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.

In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l'evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall'Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell'uomo. In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell'amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l'esperienza stessa dei Magi.

Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall'incenso e dalla mirra, e neppure l'oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo.

Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l'hanno accolta Sant'Agostino ricorda: "Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti" (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).

Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s'irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell'amore, che trasfigura il mondo. Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant'Agostino: "è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili" (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).

Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell'idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell'intimo dall'avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.

Alla fine, quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!

© Bollettino Santa Sede - 6 gennaio 2010