lunedì 31 luglio 2017

La morte di Charlie Gard e i Mass Media.


Il 28 luglio 2017 al piccolo Charlie Gard è stata sospesa la ventilazione e il bambino è deceduto. La morte indotta è avvenuta in una sala di un hospice per malati terminali il cui indirizzo è rimasto ignoto per disposizione delle autorità giudiziarie.

Quasi tutti gli organi di stampa, purtroppo anche cattolici, hanno informato della morte di Charlie, come se il decesso fosse dovuto al naturale percorso della grave disfunzione che lo aveva colpito, nessuno ha informato correttamente che il bambino è stato ucciso. Si è trattato infatti di un chiaro caso di eutanasia infantile, dato che a Charlie è stata sospesa la ventilazione. Questa non è assolutamente da considerarsi una terapia – come anche  l’idratazione e l’alimentazione – e non provocava dolore. Il piccolo è stato ucciso e non accompagnato da medici e familiari alla sua morte naturale, perché qualcuno ha decretato che la sua vita non aveva più senso.

Alla base c’è una legge e una sentenza giurisprudenziale. Eluana Englaro era stata uccisa in assenza una legge, solo in presenza di una sentenza. La predisposizione di leggi sul fine vita avrebbe dovuto avere la funzione di evitare simili sentenze, invece le cose si  sono rovesciate ed ora questo tipo di sentenze di morte avvengono sotto la protezione della legge.

E’ orrendamente grave che la vita e la morte siano decise per legge dello Stato e tramite una sentenza di una Corte. Le nostre democrazie occidentali hanno ripristinato i Tribunali speciali che avevamo conosciuto durante le dittature totalitarie. Nessuno è padrone della vita, nessuno può decidere quando vale e quando no: se la politica si appropria di questo diritto stabilisce un criterio arbitrario davanti al quale non si potrà pretendere obiezione di coscienza ma solo inchinarsi davanti al potere stesso.

Sul piccolo Charlie non era in atto nessun accanimento terapeutico: non è infatti accanimento terapeutico mantenere in vita una persona o accompagnarla con cure palliative verso la sua morte naturale. La legge ha impedito ai genitori di tentare nuove cure sperimentali, facendo perdere tempo prezioso; ha anche perfino impedito di portare il bambino a casa forse nel timore che poi i genitori non staccassero la spina; ha decretato che la sua uccisione doveva avvenire in un luogo da mantenere ignoto, per evitare manifestazioni di protesta e tenere lontana la stampa che infatti si è poi dimostrata prona e servizievole. Sia il contenuto di tutta questa macchinazione, sia le modalità di esecuzione meritano tutto il nostro sdegno.

 

 Fonte: www.vanthuanobservatory.org

 

sabato 29 luglio 2017

Mons. Luigi Negri: Chiesa e omoeresia.



A poca distanza dal messaggio di sostegno alla processione di riparazione che si tiene domani a Rimini, l'arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio prende posizione con un lungo intervento su "La Verità".




“Se la Chiesa non giudica le situazioni di vita, in cui gli uomini sono talora costretti a vivere per l’arroganza del pensiero unico dominante, che ormai ha equiparato, di diritto e di fatto, l’omosessualità all’eterosessualità, la Chiesa si riduce ad essere una pura ‘terapia di sostegno’ che, con modi garbati e talora sofisticati, in realtà abbandona l’uomo a vivere il suo male, come se fosse bene. Questo processo, solo apparentemente caritatevole, oltre a essere un’evidente offesa alla dignità e alla responsabilità dell’uomo, è anche un’imperdonabile offesa a Dio e ai suoi diritti, cioè al bene profondo dell’uomo”. 

Mons. Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio, scrive oggi sul quotidiani La Verità una riflessione che fa irrompere nella Chiesa la questione della “omoeresia”, e il suo intervento arriva a ridosso del sostegno espresso al Comitato Beata Giovanna Scopelli che domani alle ore 10.30, con partenza da via San Giuliano, rizza il gonfalone della Santa Croce davanti alla processione riparatrice nei confronti del Summer pride.

Su quest’atteggiamento verso l’omoeresia si gioca molto della verità della Chiesa di fronte all’uomo, ma si gioca anche molto del destino dell’uomo di fronte a se stesso e alla realtà. Questo dibattito, cui abbiamo dato un contributo, ripropone l’attualità di un punto grandissimo del magistero del Vaticano II e di Paolo VI: la Chiesa è ancora “sommamente esperta di umanità”?”, si domanda Negri.

Le sue parole s’inseriscono nel filone inaugurato qualche mese fa dal card. Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna (che Negri ricorda all’inizio del suo intervento): “Egli ha parlato della possibilità di una mutazione del genoma del cattolicesimo, che avviene quasi senza colpo ferire e nella sostanziale mancanza di “cura” di troppa parte del mondo cattolico”. Aggiunge l’arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio che “il problema dell’omosessualità è un dato di partenza su cui non si formula un giudizio, o forse, più profondamente, si confonde il giudizio di fatto – l’estensione del fenomeno – con il giudizio sul valore. Come dire: l’omosessualità c’è, è diffusa, perciò anche per noi cattolici deve andare bene”.

Quando un fatto, anche imponente nella sua diffusione, viene riconosciuto acriticamente come valore, si afferma sostanzialmente che non c’è più differenza fra bene e male e l’unico problema, per la Chiesa, diventa quello di un ‘accompagnamento'”, aggiunge Negri. “Non si pratica un giudizio per accompagnare, in modo autentico, ma ci si limita a un accompagnamento senza giudizio, che lascia gli omosessuali nella loro condizione, in qualche modo rafforzandone la percezione valoriale”.
Un pensiero che ha precedenti illustri. Nelle Lettere a una carmelitana scalza (a cura di Emanuela Ghini, Itaca, 2017), il card. Giacomo Biffi il 23 dicembre 1979 scriveva: “La comprensione e l’amore per le persone sono giusti e doverosi, purché restino iscritti nel robusto senso della verità della natura. Diversamente c’è la frantumazione di tutta la convivenza umana e non sarà più possibile stabilire niente sul giusto e sull’ingiusto, che non sia l’arbitrio di una legislazione statale”.

Un editoriale de Il Ponte, settimanale della Diocesi di Rimini, la butta sulla “tolleranza evangelica” e critica “le scelte ‘riparatorie’ di chi si sente nel giusto di fronte a chi in qualche modo vive una situazione di difficoltà e discriminazione”. La questione è un’altra. Quasi certamente mons. Negri non lo avrà letto quell’editoriale, ma quel che scrive su La Verità delinea una posizione diversissima: “La chiesa sembra non desiderare più di aiutare gli omosessuali a cambiare vita e a incominciare il lungo e doloroso cammino per assumere una condizione di vita in sintonia con l’antropologia che nasce dalla fede e si esprime nella carità”. Cosa deve essere, dire e fare, la Chiesa anche di fronte al tema della omosessualità? Risponde Negri che deve essere se stessa, cioè “incontro con la vita nuova, buona e vera, cui Gesù Cristo introduce tutti coloro che credono in Lui”.


Fonte: Rimini 2.0

venerdì 7 luglio 2017

L’ospedale di Londra chiede un’altra udienza per Charlie dopo i possibili nuovi trattamenti



Il Great Ormond Street Hospital di Londra si è rivolto all’Alta Corte per una nuova udienza sul caso del piccolo Charlie Gard «alla luce delle richieste relative a possibili altri trattamenti». Lo riportano Bbc e Sky News dopo che il Bambino Gesù di Roma ha inviato una lettera all’ospedale londinese chiedendo ufficialmente ai medici inglesi di poter somministrare al bimbo un protocollo sperimentale «che può funzionare». I medici londinesi ritengono che sia «giusto tentare» e «ringraziano le offerte di aiuto da Casa Bianca, Vaticano e dai nostri colleghi in Italia e Usa e altrove».




«Mi è giunta notizia che i ricercatori hanno messo a disposizione il loro trattamento per l’ospedale di Londra il quale pensa di poterlo verificare», ha spiegato in un videomessaggio dalla Repubblica Centrafricana, dove si sta occupando di bambini bisognosi, la presidente dell’ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, confermando che il Great Ormond Street Hospita sta pensando di verificare il protocollo.



L’ospedale pediatrico della Santa Sede aveva infatti inviato all’ospedale una lettera firmata da un gruppo di più di cinque scienziati internazionali in cui informavano la clinica di aver elaborato una terapia sperimentale per il bambino affetto da una grave malattia rara. Secondo il team di medici, guidati dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù, la terapia studiata per il piccolo potrebbe funzionare.



Intanto la mamma del bimbo, Connie Yates, non demorde e continua sui vari media del Regno Unito a lottare per suo figlio. In una serie di interviste ha detto che il neonato di 11 mesi ricoverato a Londra non sta soffrendo e che lei non potrebbe in nessun modo vederlo patire. La donna ha lanciato un appello direttamente alla premier britannica Theresa May: «Ci sostenga come stanno facendo gli altri», ha detto.

Fonte: La Stampa

sabato 1 luglio 2017

Caso Charlie Gard. I medici non sono demiurghi.

Charlie Gard


Luglio 1, 2017 Caterina Giojelli
Intervista al genetista Domenico Coviello
Luglio 1, 2017 Caterina Giojelli

«La scienza non sa tutto. La storia di Charlie Gard è la storia di un potere violento, quello esercitato dalla scienza di fronte all’ignoto: la scienza che non sa, non può aiutare Charlie, si avvale della legge per eliminarlo, eliminare un problema. Ma nessun medico può arrogarsi il diritto di emanare un simile verdetto. Non può sospendere la vita di un bambino solo perché “non è possibile guarirlo”, perché non sa “se soffre”, perché non sa “quali effetti potrebbe avere una terapia sperimentale sul bambino”. Altrimenti si aprono scenari di onnipotenza sull’ignoto». 

Domenico Coviello è il direttore del Laboratorio di Genetica Umana dell’Ospedale Galliera di Genova. 

Pur condividendo il parere di molti colleghi che hanno descritto come disperata la situazione di Charlie Gard, arriva però alla conclusione opposta: «Charlie Gard, stando alle conoscenze di cui disponiamo oggi, non si può guarire. E allora? Se non possono guarirlo, se la sua malattia è irreversibile – e questa pare essere l’unica certezza degli inglesi –, i medici si devono arrendere al loro compito che è quello di assistere il malato, fino alla fine. Non quello di accelerare l’esito finale e fatale della sua vita. I medici non sono demiurghi».