lunedì 28 marzo 2011

Salva 70 bambini dall'aborto per tener fede a un voto


di Raffaella Frullone


27-03-2011


Quante volte, soprattutto nel momento del bisogno, preghiamo il Signore con ardore chiedendo una grazia e facendo un voto? «Signore se mi fai questa grazia ti prometto che da oggi in poi mi impegno a …», «Signore se mi concedi quanto ti chiedo, ti prometto che rinuncio a …». E quante volte poi il voto è rimasto inadempiuto e delle nostre promesse non sono rimaste che parole vuote?


Oggi noi vi raccontiamo la storia di un uomo che, per tenere fede ad una voto fatto a Dio in un momento tragico, ha salvato le vite di 70 bambini e cambiato per sempre quella delle loro madri. Tong Phuoc Phuc è un 44enne vietnamita.


Nel 2001 viveva nella città costiera di Nha Trang con la moglie che aspettava il loro primogenito. La gravidanza però presentava delle complicazioni tali da mettere in serio pericolo le vite di mamma e figlio. Ecco che allora Phuc inizia a pregare, e incessantemente chiede al Signore che il figlio nasca sano e che sua moglie sopravviva al parto «Se mi concedi questa grazie Signore – supplicava – ti prometto che mi impegnerò ad aiutare gli altri». Non sapeva ancora quanto quella promessa avrebbe cambiato la sua e molte altre vite. Il parto si svolse senza problemi e il bambino nacque sanissimo, mentre la moglie di Phuc per riprendersi ebbe bisogno di una lunga permanenza in ospedale per le complicanze della gravidanza. Fu in quel periodo che Phuc notò qualcosa di strano: «Vedevo molte donne entrare in ospedale col pancione e uscire senza il loro bambino… quando ho realizzato che tutte quelle donne avevano abortito sono rimasto scioccato e ho deciso che dovevo assolutamente fare qualcosa». Da quel giorno Puch, che lavorava come muratore, inizia a risparmiare per riuscire a comprare un piccolo appezzamento di terreno fuori città. Poi inizia a recuperare feti abortiti dagli ospedali e dalle cliniche per seppellirli nel terreno e poter pregare per loro. All’inizio medici e infermieri pensavano fosse pazzo e anche la moglie era perplessa, soprattutto rispetto all’idea di risparmiare per costruire un cimitero per feti. Ma Puch era seriamente convinto e con costanza e determinazione bussava alle porte degli ospedali e portava via i corpicini abortiti, tanto che oggi sono 9000 i bimbi mai nati seppelliti nel suo cimitero «Questi bambini hanno un’anima – dice – e non voglio che la loro anima vaghi nel nulla senza che nessuno preghi per loro». Ma la parte più straordinaria del voto di Puch ancora doveva venire. In Vietnam l’aborto è molto diffuso. Il paese asiatico nel 2010 è entrato nella classifica dei dieci stati con la più alta diffusione dell’interruzione di gravidanza, fenomeno che interessa soprattutto le ragazze con meno di 19 anni.. Nel 2006 nel solo ospedale di Ho Chi Minh City sono stati praticati 114 mila aborti, numero di gran lunga superiore a quello delle nascite. Purtroppo molte donne vietnamite vedono l’aborto come una scelta obbligata dal momento che vivono in situazioni di estrema povertà, le minorenni inoltre, temono di non riuscire a crescere il bambino visto che ai rapporti prematrimoniali quasi sempre segue un allontanamento della giovane da parte della famiglia. Non solo, ad incidere è anche il numero degli aborti di figlie femmine, pratica cui i mariti costringono le mogli che non portano in grembo un erede maschio. Ecco che allora Puch decide di aprire la porta della sua casa alle madri in difficoltà accogliendo loro insieme ai lori piccoli. Il muratore garantisce loro un tetto e i pasti fino alla nascita del bambino e si impegna ad accogliere e allevare il piccolo fino al momento in cui la madre non si possa prendere cura di lui. Dal 2001 a oggi sono oltre 70 i bambini cui ha salvato la vita, 70 le donne alle quali è riuscito ad evitare il dramma dell’aborto soltanto parlando con loro mentre si recavano in ospedale con l’intenzione di interrompere la gravidanza. Almeno metà di queste donne hanno trascorso la gravidanza e i primi mesi di vita del bambino in uno dei due appartamenti che Puch ha allestito nel corso degli anni, anche grazie alle numerose offerte ricevute da chi veniva a conoscenza della sua storia. «A volte arrivo ad avere fino10-13 mamme che vivono qui con i loro bambini naturalmente. Quando i letti che ho a disposizione sono occupati, dormono sul pavimento. E’ difficile anche per loro ma appena si rendono conto della gioia della quale si sarebbero private rinunciando ad un figlio e del dramma che avrebbero vissuto, affrontano tutto con uno spirito ottimista. Cerco solo di dare agli altri la stessa gioia che il Signore ha dato a me». Minimizza Tong Phuoc Puch, recita filastrocche ad un bimbo mentre accarezza l’altro, rassicura le loro madri e le fa sentire parte di un’unica e grande famiglia. Ogni mattina cura i dettagli del cimitero che accoglie i feti come se fosse uno stupendo giardino, si ferma davanti alla statua della Vergine Maria e prega, poi lavora, torna a casa e si prende cura di tutte le vite che ha salvato o cambiato. Una storia straordinaria, ancor più straordinaria se si pensa a come è cominciata, con una supplica al Signore, con una grazia ottenuta, con una promessa mantenuta.


mercoledì 23 marzo 2011

Qumran: quanti errori su quei papiri


Qumran: tutto sbagliato, tutto da rifa­re? L’esclamazione bartaliana viene alla mente non appena chiusa l’ulti­ma pagina dell’avvincente Qumran. Le rovine della luna (Edb, pp. 224, euro 21), testo che fin dal sottotitolo mette la pulce nell’orecchio: «Il monastero e gli esseni: u­na certezza o un’ipotesi?». Un libro in cui il giovane – ma accreditato: insegna esegesi a Vienna e Innsbruck – Simone Paganini smonta a suon di prove e documenti prati­camente tutto ciò che sapevamo (o crede­vamo di sapere...) sulla scoperta archeolo­gica più sensazionale del Novecento, so­prattutto per quanto riguarda la storia del cristianesimo. E – proprio perché si tratta di un testo divulgativo, che forse per la prima volta in Italia rende disponibili al grande pubblico i risultati della ricerca scientifica più recente sul celebre sito – le sorprese so­no davvero molte. Tentiamone un catalogo quanto mai essenziale.

A Qumran non abitavano gli esseni. Incredibile, no?

Finora pensavamo che la lo­calità a nord-ovest del Mar Morto, nei cui dintorni – a partire dal 1946 – prima i be­duini e poi gli archeologi hanno scoperto 11 grotte più o meno stipate di antichi manoscritti, fosse un monastero abitato appunto dagli esseni: setta rigorista ebraica che pra­ticava celibato, assoluta purezza rituale, non­violenza, comunione dei beni e povertà. Non è così: scavi recenti (i primi infatti, dal pun­to di vista scientifico, sono da dimenticare...) hanno appurato che l’insediamento aveva piuttosto caratteri dapprima di avamposto militare, quindi di centro per la fabbricazio­ne di vasi per uso sacerdotale, ma anche di produzione agricola e commercio, persino con un certo lusso (vedi le molte monete rin­venute) incompatibile con gli usi esseni.

Qumran non era nel deserto

Un caposaldo della teoria essena consiste nel fatto che (più o meno a partire dal 130 a.C.) la setta – alla quale talvolta è stato acco­munato Giovanni Battista – si era rifugiata nel deserto in polemica con la corrotta clas­se sacerdotale di Gerusalemme, in una sor­ta di eremitaggio esclusivamente maschile di preghiera e copiatura dei testi sacri; e que­sto fino al 68 d.C., allorché i romani distrussero il sito, provocando (per nostra fortuna) l’abbandono delle grotte con i manoscritti. Ma ormai è dimostrato che Qumran era tutt’altro che solitario, anzi stava all’interno di un trafficato reticolo di strade e – pur es­sendo un centro di meno di 100 abitanti – conserva un cimitero di oltre mille tombe; le quali peraltro conservano cadaveri non so­lo maschili, ma pure di donne e bambini.

I papiri non sono stati scritti a Qumran

Un po’ strano, in un monastero dove si co­piavano intensamente libri, trovare soltanto tre calamai in pietra e nemmeno un pezzettino minimo di per­gamena... Eppure è succes­so a Qumran, nonostante vi si siano conservate discrete quantità di altri antichi ma­teriali organici. Finora si pensava che gli oltre mille rotoli del Mar Morto (660 so­no quelli i cui frammenti permettono un’identifica­zione) fossero una sorta di libreria segreta degli esseni, che avevano tra­scritto e sigillato in vasi i loro scritti sacri per conservarli dalla distruzione; e invece non solo i manoscritti appaiono quasi tutti co­piati da mani diverse (uno scrivano per ogni libro?!?), ma il loro contenuto riflette ten­denze culturali e teologiche diverse e persi­no contrastanti: come se provenissero da u­na biblioteca molto aggiornata (per esempio quella del Tempio di Gerusalemme), trasfe­rita in fretta per salvarla dalla distruzione.

Ma gli esseni, poi, sono esistiti davvero?

La cosa curiosa è che, nei manoscritti di Qumran, la parola «esseno»... non esiste pro­prio! Anzi, per la verità non sappiamo nep­pure quale fosse il termine ebraico per definire la setta, visto che le uniche notizie su di essa giunte fino a noi dipendono da Giu­seppe Flavio, dunque dal latino e dal greco. E c’è persino una seria studiosa israeliana secondo la quale gli esseni non sono mai e­sistiti, in quanto sarebbe impensabile che nel giudaismo del tempo di Cristo 4000 per­sone potessero impunemente negare – con la loro castità – il primo precetto biblico: «Crescete e moltiplicatevi».
A Qumran non c’è il testo del Vangelo...
Per i cattolici il frammento qumranico più importante è il famoso 7Q5, nel quale alcuni studiosi hanno identificato un versetto del Vangelo di Marco: fatto di importanza ca­pitale per retrodatare la composizione dei Vangeli, avvicinandola quindi alla morte di Cristo. Secondo Paganini però si tratta di u­na tesi insostenibile: sulle 20 lettere del frammento, solo 7 sono ricostruibili con si­curezza e sulle 1127 combinazioni possibi­li appena il 2% potrebbe avere relazione con Marco. Conclusione: «Sicuramente non ci troviamo davanti a un testo cristiano», ma probabilmente a una genealogia greca. Tut­tavia i rotoli del Mar Morto, composti qua­si tutti prima della nascita di Gesù, restano importantissimi per il cristianesimo in quanto consentono di ricostruire il clima culturale e religioso in cui visse il Nazareno.

...ma nemmeno il complotto del Vaticano

Negli anni Novanta, basandosi sui numero­si «pasticci» combinati dalle équipes di stu­diosi che da un quarantennio avevano il mo­nopolio sui rotoli di Qumran, si diffusero va­ri bestseller d’impostazione «complottista» a sfondo anti-cattolico. La tesi fondamenta­le era: i manoscritti del Mar Morto non ven­gono pubblicati perché rivelano una verità «alternativa» su Cristo e dunque il Vaticano li sta boicottando. Ma la teoria è inconsi­stente poiché – spiega Paganini – «il Vatica­no non ebbe mai in nessun momento a che vedere con l’opera di pubblicazione dei ma­noscritti », che dal 1967 dipende dal gover­no israeliano. Eppure l’ipotesi «alla Dan Brown» resiste nella pubblicistica. Ma la storia dei ritrovamenti di Qum­ran è costellata da numerosi altri im­previsti incredibili, marchiani errori umani, ritardi ingiustificabili, esose contratta­zioni economiche (di numerosi frammenti non si conosce nemmeno l’esistenza perché sono finiti illegalmente in mani private), conflitti per­sonali e guerre vere e proprie tra nazioni... Mol­ti misteri sui rotoli sono dunque destinati a ri­manere tali, in quanto i dati che avrebbero po­tuto fornirci risposte sono irrimediabilmente perduti. Oggi comunque l’ipotesi più accredi­tata è quella che a Qumran abitassero alcune famiglie sacerdotali ebraiche, dedite alla fabbricazione di ceramica rituale «pura», e che proprio costoro avessero aiutato altri sacerdo­ti provenienti da Gerusalemme a nascondere la biblioteca del Tempio nelle grotte dei din­torni, fornendo loro anche le giare adatte per contenere i rotoli. Sarà così? «L’analisi dei ma­noscritti del Mar Morto – ammette Paganini – è appena agli inizi». E dunque...


fonte: Avvenire

La preghiera di quaresima di Sant Efrem il Siro.


«Signore e Sovrano della mia vita, non darmi uno spirito di pigrizia, di scoraggiamento, di dominio e di vana loquacità!


Concedi invece al tuo servo uno spirito di castità, di umiltà, di pazienza e di carità.

Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli.
Amen.»


Questa preghiera è attribuita a uno dei grandi maestri della spiritualità orientale:

sant’Efrem il Siro.
Si potrebbe definire come la preghiera di quaresima per eccellenza.
La si recita facendo un inchino alla fine di ciascuna delle sue tre parti.
Nella sua semplicità, sottolinea chiaramente gli aspetti del pentimento che costituiscono l’essenza del cammino quaresimale.
All’inizio essa presenta quattro punti negativi, che sono gli ostacoli da eliminare.


Lo spirito di pigrizia


Lo spirito di scoraggiamento


Lo spirito di dominio


Il parlare vano



Lo spirito di pigrizia è all’origine della malattia più pericolosa per la vita spirituale.

Questo spirito cattivo, impedisce ai nostri buoni desideri di svilupparsi e di realizzarsi.
Ci convince davanti alle nostre colpe ripetute, che nessun cambiamento è possibile. Lo stato di pigrizia è la radice di ogni peccato, perché avvelena l’energia spirituale alla sorgente.


La conseguenza della pigrizia è lo scoraggiamento, che è l’espressione più evidente dell’accidia. Il nostro padre provinciale, Benoît Grière, ci ha lasciato una bella spiegazione riguardo a questa malattia dello spirito.

Scrive tra l’altro: “…Non so se conoscete questo sentimento che rode il religioso e che i Padri greci chiamano accidia. Si tratta di un male subdolo che invade il cuore del monaco e che gli fa perdere ogni gusto per le realtà divine. Nelle malattie dell’anima, il termine che converrebbe meglio utilizzare per definire l’accidia è quello di depressione.

Ma l’accidia è, prima di tutto, una crisi spirituale che fa precipitare nella tristezza.

L’accidia è una specie di disgusto, di noia, per le “cose divine”.

Il monaco, il religioso, non trova più attrazione per la preghiera, per la relazione con Dio...»

Quando la nostra vita non è orientata verso Dio, inevitabilmente diventa egoista e centrata su noi stessi. Allora, si apre la via allo spirito di dominio che ci conduce a considerare la realtà, unicamente in funzione delle nostre idee, dei nostri desideri e dei nostri bisogni.

Attraverso l’esclusione di Dio dal centro della nostra vita, noi provochiamo una vera morte spirituale o più precisamente, il nostro suicidio spirituale.
Il suicidio spirituale consiste in questo: impedire alla parola di Dio di generare la vita nella nostra vita. Restiamo soli con la nostra parola, una parola vana, vuota, che diventa un chiacchierare sterile.

Questi quattro aspetti negativi, sono gli ostacoli da eliminare; ma solo la grazia di Dio può permetterci di realizzare questa purificazione.
«Concedi invece al tuo servo…»

Dopo questa constatazione dell’impotenza umana, la preghiera ci mostra gli scopi positivi del cammino di conversione, che sono anch’essi quattro:

La castità


L’umiltà


La pazienza


La carità



La castità si oppone al desiderio di possesso, che abita il nostro cuore.
Essa ci permette di comprendere la vita nella sua integralità.

La castità ci mette di fronte all’esigenza di riconoscere che da soli, non siamo capaci di realizzare i desideri profondi del nostro cuore e che tutto nella nostra vita è frutto della benevolenza divina.

La visione integrale della vita, che possediamo grazie allo spirito di castità, fa nascere in noi la virtù dell’umiltà, che è la capacità di vedere e di accogliere la verità.

L’umiltà ci fa tendere le mani verso Dio, nella consapevolezza che niente possiamo dire nostro e che tutto ci è donato.

La castità e l’umiltà sono seguite dalla pazienza.

Lo spirito di possesso ci spinge a volere tutto e subito, senza mai permetterci di sentirci veramente soddisfatti. Ci fa vivere continuamente nell’ansia, senza mai permetterci di accontentarci.

La pazienza nasce dall’esperienza della fedeltà di Dio, dal suo non deluderci mai, e dalla consapevolezza che la felicità si sedimenta nel nostro cuore col tempo ed è sperimentabile solo da chi acquista uno sguardo profondo ed integrale della vita.

Il cammino di conversione tocca l’apice quando si manifesta la virtù della carità, dono di Dio e frutto di ogni sforzo spirituale.

Il percorso quaresimale è infine riassunto nella domanda finale della preghiera:

«dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare mio fratello ».

L’orgoglio è la sorgente del male e ogni male è orgoglio.
Il cammino di quaresima ci conduce ai piedi della croce del Cristo, per riconoscere il nostro bisogno di essere guariti dalla sua misericordia e per essere a nostra volta misericordiosi verso i nostri fratelli.

sabato 19 marzo 2011

LE SETTE SANTE BENEDIZIONI



Mettersi alla presenza di Dio, chiedere a Padre Pio che ci conceda di pregare attraverso il Suo Cuore perché la nostra preghiera venga pienamente accettata presso la Divina Misericordia.

Sgomberare il cuore da rancori, odi e qualsiasi sentimento che è in contrasto con il precetto divino dell’ amore e se non riusciamo appieno, umiliarsi profondamente chiedendo che Gesù abbia misericordia anche di questo. Egli sa che fummo tratti dal fango e non siamo ancora come lui merita.

Le benedizioni possono essere fatte sia su di sé che su altri, anzi per sofferenze dovute ad azioni esterne è bellissimo e porta tanto giovamento a se stessi il benedire chi ci è stato causa di sofferenze fisiche o morali.

Nota: (nelle benedizioni che seguono il segno di croce si fa una sola volta).

1. Mi benedica la potenza del Padre Celeste + la sapienza del Figlio divino + l’amore dello Spirito + Santo. Amen.

2. Mi benedica Gesù crocifisso, per mezzo del suo preziosissimo Sangue. Nel nome del Padre + e del Figlio + e dello Spirito + Santo. Amen.

3. Mi benedica Gesù dal tabernacolo, per mezzo dell’amore del suo Cuore divino, Nel nome del Padre + e del Figlio + e dello Spirito + Santo. Amen.

4. Mi benedica Maria dal Cielo, Madre celeste e Regina e riempia la mia anima di un più grande amore a Gesù. Nel nome de Padre + e del Figlio + e dello Spirito + Santo. Amen.

5. Mi benedica il mio angelo custode, e tutti i santi Angeli vengano in mio aiuto per respingere gli attacchi degli spiriti maligni. Nel nome del Padre + e del Figlio + e dello Spirito + Santo. Amen.

6. Mi benedicano i miei Santi patroni, il mio santo patrono di battesimo e tutti i Santi del Cielo. Nel nome del Padre + e del Figlio + e dello Spirito + Santo. Amen.

7. Mi benedicano le anime del Purgatorio e quelle dei miei defunti. Che siano i miei intercessori presso il trono di Dio affinché io possa raggiungere la patria eterna. Nel nome del Padre + e del Figlio + e dello Spirito + Santo. Amen.

Discenda su di me la benedizione della santa Madre Chiesa, del nostro Santo Padre Papa ............, la benedizione del nostro vescovo……….,

la benedizione di tutti i vescovi e sacerdoti del Signore, e questa benedizione, così come viene diffusa da ogni Santo Sacrificio dell’altare, discenda su di me tutti i giorni, mi preservi da ogni male e mi dia la grazia della perseveranza e di una santa morte. Amen.

Queste bellissime benedizioni possono essere invocate sia su di se che sugli altri sostituendo il "discenda su di me" con "discenda su di te o su di voi" e si consiglia molto ai genitori sui propri figli e familiari malati e non. Invocare la benedizione di Dio è il compito di ogni cristiano perché Gesù ha raccomandato molto di benedire anche i propri nemici. Ricordiamoci il precetto "benedite e non maledite coloro che vi perseguitano affinché siate figli, veri figli del vostro Padre Celeste".

Benedizioni bellissime da fare su di sè o sugli altri sia vicini che lontani. Vi invito a chiedere queste benedizioni su di voi o mandarle sugli altri assieme ad una grande gratitudine a Dio. Egli infatti per la passione terribile di Suo Figlio Gesù, totalmente innocente, condannato ingiustamente a morte per noi e che ha versato tutto il suo sangue ora ci permette, come figli e come redenti di essere benedetti e di benedire.

Nota dell'autore: noi non solo possiamo, ma dobbiamo benedire ogni creatura con rendimento di grazie e ogni situazione della vita anche se avversa. Non possiamo però benedire con consacrazione le cose o le persone che servono o serviranno in modo permanete al culto divino o alla liturgia. Solo i presbiteri e diaconi possono farlo.

Fate per voi e per altri queste sante benedizioni facendole passare attraverso il Cuore di San Pio da Pietrelcina e chiedendogli che le faccia sue e operi al posto nostro unendosi alla nostra preghiera.

Preghiera per le persone avverse

Lava o Signore Gesù nel Tuo Preziosissimo Sangue i miei nemici e invia su di essi continuamente la Tua Santa Benedizione e la benedizione di Maria Immacolata unite a quelle di tutti gli angeli e di tutti i Santi. Anche io mi unisco a queste benedizioni e benedico me e loro nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Ripetere spesso nelle persecuzioni che vengono dalla malizia del prossimo. E’ una preghiera efficace e liberatoria più di quanto si pensi

fonte: Preghiere a Gesù e Maria

sabato 12 marzo 2011

San Francesco e i sanfranceschi


de Il Crociato

Di cuore ringraziamo il nostro collaboratore "Il Crociato" per la bella e stupenda lezione di "storia" che ci dà su San Francesco: ce lo presenta nella sua realtà (e attualità) più vera, e non come fanno certi francescani, indegni di questo appellativo.
Che San Francesco lo ricompensi.



Quante volte ho assistito alla più turpe delle rappresentazione del più ortodosso dei Santi: quella che contamina la sua fede autenticamente cattolica di derivati di mondialismo ecumenico, di progressismo ambientalista, di pacifismo pilatiano.
Eppure parliamo di due opposti Francesco d'Assisi, uno dei quali appartiene alla divoratrice propaganda di sinistra, l'altro alla storia.
Ha detto Franco Cardini, certamente tra i più grandi medievisti al mondo, lo storico delle crociate:
"Francesco d'Assisi è il prodotto più rappresentativo ed ortodosso della Chiesa delle crociate [...]
Egli non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso.
Non era il precursore dei teologi della liberazione. Nè tantomeno fu l'araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo del villaggio che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. Gli voglio troppo bene, a Francesco, per vederlo ridotto così dai suoi sedicenti seguaci. No, Francesco era ben altro".
E putroppo, così è per davvero. Gli stessi frati minori e cappuccini sventolano questo grottesco gonfalone di sincretismo e inefficacia pastorale. Cui prodest?
Basta leggere le lettere scritte di suo pugno per averne messa a fuoco. Parole come "castigo", "inferno", "peccato", "punizione", "morte", "maledetti" sono un esempio del vasto campionario lessicale di una Chiesa custode e profeta di cui Francesco era parte.
Si legga la sua "Lettera ai Reggitori di Popoli" del 1220.
Nella biografia che di lui fa Tommaso da Celano si possono rimediare deliziosi aneddoti e caustiche frasi.
Francesco appartiene ad una Chiesa che contemplava e professava l'evangelizzazione, non il dialogo. Dopo la conversione, tutta la sua vita è segnata dall'ansia non di dialogare accademicamente con i mussulmani, ma di convertirli a Gesù Cristo.
Non andò in Oriente per diffondere l'irenismo (l'eresia teologica del "quieto vivere"), ma per predicare il Vangelo. Ci andò al seguito della Quinta Crociata, di cui fu cappellano.
Sfidò in una pubblica ordalia il sultano d'Egitto Malik al-Kamil; non potendo portare armi (non perchè fosse un pacifista, ma perchè semplicemente glielo vietava il suo status di chierico), lo sfidò a camminare sui carboni ardenti in nome del rispettivo dio.
Questo aspetto "bellico" di Francesco è ben acclarato e spiegato in Rite Expiatis di Pio XI, enciclica per il VII centenario della morte di S. Francesco.
Elogiò più volte cavalieri e paladini distintisi in battaglia, come si legge in Compilatio perusina, 103.
Il Serafico considerava lecita e anzi doverosa la Crociata, che era solito chiamare "la santa impresa" in quanto intervento militare necessario per restituire alla Cristianità i luoghi della Redenzione e contenere la protervia d'assalto turca.
Perfino nel "mieloso" Cantico delle Creature il santo chiosa alla fine "Guai a quelli che morranno ne li peccata mortali!"; e dicasi che il Cantico era comunque un manifesto anti-cataro, non un inno ecologista, in quanto l'eresia catara aborriva tutto ciò che era creato e corporeo (da qui la pratica del suicidio di massa).
È ancora Tommaso da Celano a fugare ogni dubbio sul presunto "spirito d'Assisi" e il suo ecumenismo sfrenato:
Francesco "era convinto che, prima di tutto e soprattutto, è assolutamente necessario conservare, venerare e vivere la fede della Santa Chiesa Romana, che è l'unica salvezza per tutti!". E aggiunge: "Tutti coloro che videro il Signore Gesù Cristo nella Sua umanità, ma non credettero che Egli era il vero Figlio di Dio, sono dannati. Parimenti, tutti coloro che oggi, pur vedendo il Sacramento del Corpo di Cristo consacrato sull'altare, non vedono nè credono che esso è veramente il SS. Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono dannati".
Più chiari di così...
A proposito ancora del sultano Malik, c'è una notizia straordinaria che ci deriva dai Fioretti di S. Francesco. Pare che Francesco riuscì a battezzare, privatamente, il sultano, che pertanto fu salvo per le opere e i meriti del santo. Ciò, con tutta probabilità, è dato che avvenne il 1° Settembre del 1219.
Nel congedare i suoi primi frati destinati al Marocco (dove fu martirizzato Fra' Daniele e gli altri), Francesco diede loro questa consegna: "Dio mi ha ordinato di mandarvi nel Paese dei saraceni per annunziare e confessare la Sua fede e combattere la legge di Maometto".
Non fu nemmeno un contestatore hippie, no-global e quant'altro. E quando ammoniva i signori del tempo, non certo metteva in discussione la legittimità del loro potentato, ma semplicemente ammoniva a rispettare i doveri verso Dio e la comunità; e la sua pratica di povertà deve essere letta non come un rifiuto della ricchezza tout court (nemmeno Gesù stesso aveva osato tanto, giacchè indossava una tunica tanto preziosa da essere contesa a dadi...), ma come rinuncia al mondo e a quello che è terreno per una completa dedizione alle cose celesti.
E siamo certi che avrebbe sicuramente rimproverato Robin Hood, giacchè si legge nella Vita seconda di Tommaso da Celano: "Non è lecito impossessarsi della roba altrui o distribuire ai bisognosi la proprietà degli altri".
Ultima perla.
A chi fosse in odium per la gerarchia ecclesiastica, rispondiamo che già queste poche righe dovrebbero confutare il suo prurito anticlericale; eppure aggiungiamo che anche il Serafico fu un "gerarca": era diacono!

fonte: Il Crociato

mercoledì 9 marzo 2011

Attende, Domine



Attende, Domine

Fonti: Liber Cantualis, p.71; adattamento italiano LD 588
Uso: ingresso
Forma musicale: inno e ritornello


Testo
Rit. Attende, Domine, et miserere,
quia peccavimus tibi.
1. Ad te, Rex summe, omnium Redemptor,
oculos nostros sublevamus flentes:
exaudi, Christe, supplicantum preces.
2. Dextera Patris, lapis angularis,
via salutis, janua caelestis,
ablue nostri maculas delicti.
3. Rogamus, Deus, tuam majestatem:
auribus sacris gemitus exaudi:
crimina nostra placidus indulge.
4. Tibi fatemur crimina admissa:
contrito corde pandimus occulta:
tua, Redemptor, pietas ignoscat.
5. Innocens captus, nec repugnans ductus,
testibus falsis pro impiis damnatus:
quos redemisti, tu conserva, Christe.

(Adattamento italiano)
Rit. A noi, tuo popolo, che a te ritorna,
dona la pace, Signore.
1. A te, Signore, che ci hai redento,
i nostri occhi solleviamo in pianto;
ascolta, o Cristo, l’umile lamento.
2. Figlio di Dio, capo della Chiesa,
tu sei la via, sei la porta al cielo,
con il tuo sangue lava i nostri cuori.
3. Tu sei grandezza, assoluto amore;
noi siamo terra che tu hai plasmato:
in noi ricrea la tua somiglianza.
4. Ti confessiamo d’essere infedeli,
ma il nostro cuore s’apre a te sincero;
tu, Redentore, guardalo e perdona.
5. Ti sei vestito del peccato nostro,
ti sei offerto come puro Agnello:
ci hai redenti, non lasciarci, o Cristo.
Il testo
Il testo latino, come l’adattamento in lingua italiana, fa riferimento al salmo 50 (Miserere) che sottolinea il carattere penitenziale del tempo di Quaresima. Allo stesso tempo, però, la supplica non è solo rivolta al Dio Padre ma anche a Cristo Redentore, colui che, in virtù del suo farsi carico dei nostri peccati, affronta e vince la morte facendo di noi un popolo di redenti. Il testo è composto in terzine di endecasillabi con rima AAB.
La musica
La melodia è nel V modo, quello che per noi oggi è diventato la scala maggiore. L'estensione è quella di una ottava, ideale per essere cantata da un’assemblea media. Il ritmo è sillabico, cioè strutturato sulla metrica del testo. Evitare quindi anche in italiano di strutturarlo in cellule ritmiche ma farsi guidare proprio dal fluire delle parole: un declamato collettivo.
Nel Repertorio nazionale di recente pubblicazione il canto viene riportato nella tonalità di re maggiore ma potrebbe essere eseguito anche un tono più basso (tonalità di do maggiore).
Quando e come utilizzarlo L'utilizzo migliore è la forma responsoriale con il ritornello affidato all'assemblea. In sede di studio o di insegnamento ad una assemblea media, curare soprattutto la seconda parte del ritornello (quia peccavimus), perché la melodia presenta due salti di quarta nella stessa direzione melodica che possono procurare qualche problema.
La strofa, che consigliamo di affidare ad una voce solista, si presta ad essere “molto cantata”; ma proprio per il carattere del canto, suggerirei di evitare di evidenziare questo aspetto e curare piuttosto una esecuzione di tipo salmodico evitando di enfatizzare il climax della strofa (Exaudi Christe...) già importante di suo. La solennità del canto si sposa bene con un eventuale accompagnamento lineare da eseguirsi con organo.
Per il suo carattere e la sua solennità la destinazione migliore è quella di inno di ingresso nel tempo di Quaresima, in quanto introduce molto bene al “clima” celebrativo del tempo liturgico.
Considerazioni
Si tratta di un canto responsoriale che nel Liber Usualis è inserito in appendice tra i “Canti vari”.
Il canto fa parte del repertorio gregoriano ed era quindi in uso nel tempo di Quaresima anche prima del Concilio. Per questo è ancora un canto conosciuto anche se poco usato ma, per il suo carattere e la particolare funzionalità, da riproporre e rivalutare.
Può essere eseguito anche nell’adattamento in italiano oppure eseguendo il ritornello in latino con le strofe in italiano: è un canto molto “duttile”. Una buona occasione di incontro e commistione tra vecchio e nuovo. La sapienza compositiva degli autori della tradizione, si può incontrare con la lingua viva del quotidiano, generando così un repertorio particolare che fa incontrare un genere musicale antico con un linguaggio celebrativo accessibile a tutti.
In questa particolare situazione il testo italiano sposa bene la melodia originale senza forzature e su questo aspetto si dovrà soffermare l'attenzione: una corretta e rispettosa esecuzione dovrà comunque mantenere la giusta naturalezza di esecuzione.
Silvio Catalini
Direttore Cappella Musicale della Cattedrale di Camerino

lunedì 7 marzo 2011

Una festa falsificata.


La storia ed il significato della festa delle donne
Intervista ad Alessandra Nucci, studiosa dei fenomeni legati al femminismo



ROMA, lunedì, 7 marzo 2005 (ZENIT.org).


La festa delle donne ha assunto nel corso degli anni una valenza ideologica sempre più forte, al punto da essere espressione di una cultura radicale che identifica la figura femminile come ribelle contro le caratteristiche naturali di madre e moglie.

Dopo decenni in cui questa ideologia ha prevalso, sembra ora emergere una cultura nuova che fa riferimento all’insegnamento ed alla concezione antropologica cristiana.

Per saperne di più, ZENIT ha intervistato la dott.ssa Alessandra Nucci, Direttrice della rivista "Una Voce Grida...!" e studiosa dei fenomeni che fanno riferimento al femminismo e all’ecofemminismo.

La Nucci è anche Responsabile per l´area "Donna e culture" del Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa (GRIS).

Qual è la storia ed il significato dell'8 marzo. E' una vera festa per le donne?

Nucci: La mitologia femminista ha tramandato per decenni il racconto che la data dell’8 marzo fu scelta alla seconda Conferenza internazionale di donne socialiste a Copenhagen, nel 1910, per commemorare il massacro di oltre cento operaie di una camiceria di New York, intrappolate in un incendio appiccato dal padrone della fabbrica per vendicarsi di uno sciopero.

Qualche anno fa qualcuno è andato a spulciare le cronache vere, e si è saputo che un tale terribile incendio ci fu, ma che non era riconducibile né a scioperi né a serrate, che fece vittime anche fra gli uomini, e che avvenne nel 1911, un anno dopo Copenhagen.

Così adesso noto che le versioni che vengono avanzate si sono diversificate, cercando sempre però di ricordare qualche evento negativo che sarebbe avvenuto in America. In realtà, l’istituzione dell'8 marzo come Festa della donna risale alla III Internazionale comunista, svoltasi a Mosca nel 1921, dove fu lanciata da Lenin come "Festa internazionale delle operaie", in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo.

Il racconto di un 8 marzo istituito in memoria un massacro frutto di odio classista e capitalista fu opera del Partito Comunista Italiano, che nel 1952, in piena Guerra Fredda, pubblicò la cronaca di questo incendio vero, ma manipolato in chiave anti-americana. La versione fu ripresa dall'Unione Donne Italiane, il settore femminile della Cgil, per organizzare quell’anno la festa dell’8 marzo, e poi dalla Cgil stessa, che vi ricamò ulteriormente, aggiungendo altri personaggi al racconto due anni dopo.

La vicenda è indicativa dell’egemonia cercata, e alla lunga ottenuta, dalla sinistra italiana sulle istanze delle donne, dove spesso oggi anche la voce di chi di sinistra non è raccoglie gli stessi temi, le stesse parole d’ordine. Così l’8 marzo in Italia è effettivamente sentita come festa generica di tutte le donne.

Proprio in questi giorni si sta discutendo a New York (Pechino+ 10), della Piattaforma per l’Azione votata alla conferenza ONU di Pechino (1995) sui diritti della donna.


C'è una notevole polemica che riguarda l'aborto, per molti è un diritto, un atto di libertà e di progresso dell'universo femminile. Lei che ne pensa?

Nucci: Quando in Italia, negli anni Settanta, si tenne il referendum sull’aborto, furono in molti a votare per la sua liberalizzazione perché convinti della necessità di mettere fine a un numero altissimo di aborti clandestini. Oggi però siamo andati ben oltre questo concetto di "male minore", e un certo tipo di femminismo radicale ha dato all’aborto la dignità di vessillo di libertà, una conquista di cui andare molto fieri. C’è chi, addirittura, ne vuole fare un diritto umano, in nome della vita. La vita della donna, naturalmente, senza aver riguardo alla vita del figlio.

La donna si vuole presentare come minacciata non solo dall’incidenza della mortalità per aborti clandestini, che si presume altissima, ma anche dal fatto stesso della gravidanza e della maternità. E’ incredibile come in un’epoca in cui si vuole che tutto sia "naturale" e "olistico", si voglia a tutti i costi manipolare la naturale fisiologia della donna, scorporandone la maternità come fosse un aspetto aggiuntivo.

Sta preparando un libro sul femminismo e sulle politiche antivita che alcune agenzie delle Nazioni Unite hanno praticato dalla fine degli anni Sessanta. In che modo la cultura femminista è stata strumentale all'applicazione di programmi per la riduzione delle nascite?

Nucci: Le politiche demografiche delle Nazioni Unite nascono dalla volontà di prevenire quella che viene percepita come un’imminente catastrofe demografica, nonostante i dati dicano il contrario. Non vi è dubbio però che il rinfocolato femminismo degli anni Novanta abbia prestato a queste politiche una nuova legittimità e militanza, specie con il vessillo dei "diritti riproduttivi".

Secondo queste femministe, appartenenti a delegazioni governative e non-governative, ma anche inserite a tanti livelli diversi dello stesso sistema ONU, è di somma importanza liberalizzare l’aborto e inondare il mondo di contraccettivi, perché il bene primario della donna - che lo sappia o no - consisterebbe nel ridurre la maternità ad un’opzione marginale rispetto alle cose veramente importanti della vita.

Che cosa pensa della Carta della Terra che secondo alcuni dovrebbe sostituire la Dichiarazione dei Diritti Universali dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948?

Nucci: Non saprei esprimermi meglio del Professor Michael Schooyans, per dire che la Carta della Terra è uno strumento ideologico anti-cristiano, utile a "legittimare politiche di controllo demografico su scala mondiale, specialmente nei confronti dei più poveri".

Nell'estate dello scorso anno la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento in cui analizza l'ideologia femminista e la confronta con la cultura cristiana. Qual è il suo parere in proposito?

Nucci: Il documento firmato dal cardinal Joseph Ratzinger e dall’arcivescovo Angelo Amato ha il pregio di mettere in guardia le donne dal rischio di favorire la creazione di una società dove le condizioni dell’umanità, e quindi della donna stessa, saranno molto peggiori di adesso. Bisogna rendersi conto che le campagne che riguardano la donna in realtà prendono di mira tutta la società. Adesso se ne rendono conto in poche, ma basterà che le donne ne diventino pienamente consapevoli: allora saranno in grado, insieme agli uomini, di ribaltare l’intero corso della storia.


fonte: Zenit

sabato 5 marzo 2011

La risata di Dio e la satira nichilista




di Rodolfo Casadei

05-03-2011


Spiega Umberto Eco ne Il nome della rosa che se è possibile ridere di tutto, si deve poter ridere anche di Dio, e questa è la suprema garanzia contro ogni dogmatismo. Secondo un vecchio proverbio yiddish le cose stanno esattamente all'incontrario: «l'uomo pensa, Dio ride». L'umorismo deve solo decidere da quale di queste due posizioni vuole prendere le mosse. Se muoverà dalla prima, sarà un umorismo nichilista, blasfemo e violento. Se resterà in sintonia con la seconda, assolverà la sua funzione antidogmatica, di relativizzazione dei poteri terreni, sia quelli secolari che quelli clericali; servirà a difendere il popolo e gli individui dalle pretese di altri individui e altri popoli che si atteggiano a divinità incarnate. Se darà retta a Umberto Eco, partorirà i Vauro che cercano di far ridere coi cadaveri dei terremotati dell'Aquila, il Calvario ridotto a macchietta, i preti etichettati come tutti indistintamente pedofili, o le analoghe bassezze dei Daniele Luttazzi. Se darà retta alla saggezza ebraica, produrrà i Rabelais, i Montaigne e, venendo al giorno d'oggi, i Paolo Cevoli e i Gioele Dix.

Il vero umorismo prende le mosse dalla risata di Dio che ride dell'uomo, non dalla risata dell'uomo che deride Dio. Dio ride della presunzione umana di poter governare gli eventi col pensiero, della pretesa dell'uomo di capire e di spiegare l'agire divino; ride dell'illusione dell’uomo di essere sempre al centro di quel che accade. Il monito di Jahvé attraverso Isaia, «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» suona drammaticamente solenne e un po' arcigno. La saggezza rabbinica ne ha portato alla luce il contenuto ironico. Dio ride dell'uomo che si crede chissà chi, che crede di incarnare compiutamente Ragione, Storia, Potere, Libertà, Fede, ecc. Che crede di essere Dio o che Dio sia al suo servizio. Se l'uomo udisse la risata divina, sarebbe più modesto, comprenderebbe che le altre persone e il creato non sono a sua disposizione, mostrerebbe maggiore empatia. E se l’uomo che ode la risata fosse un re o un papa, governerebbe meglio o sarebbe un pastore migliore. Se il re o il papa sono duri di orecchi, viene in soccorso dell'umanità l'umorista, che provvede a rendere udibile a tutti la risata divina.

Quando Montaigne scrive che anche i re scoreggiano, o quando scrive che per quanto sia alto il trono su cui siede il re, ci siede col culo, lo scopo è relativizzare i poteri terreni, aiutare a non confondere l'umano col divino. Disse Milan Kundera ricevendo il premio Gerusalemme per la letteratura quasi trent'anni fa: «Amo immaginare che François Rabelais abbia udito un giorno la risata di Dio, e che così sia nata l'idea del primo grande romanzo europeo. (...) L'arte ispirata dal riso di Dio è, per essenza, non tributaria, ma contraddittoria delle certezze ideologiche».

Si può discutere all'infinito sulla tiepida religiosità di Montaigne e di Rabelais, ma è certo che il loro umorismo ante litteram non era diretto a ridimensionare Dio, ma a ridimensionare l'uomo che tende a farsi Dio. Soprattutto se è uomo di potere. I fautori della derisione di Dio come necessaria premessa della satira contro i potenti affermano che ridere di Dio è necessario per abbattere il dogmatismo. Ma il dogmatismo non l'ha inventato Dio, l'hanno inventato gli uomini per difendere le loro posizioni di potere. Perciò la derisione di Dio non ci libera dal dogmatismo, ma piuttosto dal rispetto per tutto ciò che ha valore; dall'idea stessa che ci sia qualcosa che vale e perciò merita rispetto. Nella satira contemporanea la dissacrazione non è un mezzo, ma un fine. Attraverso la dissacrazione si mostra che non c'è nulla che meriti rispetto e timore reverenziale. E come potrebbe esserci, se è stata inquinata la fonte della sacralità (Dio)? Annientata l’origine del sacro, niente più è sacro.

Non appena si gratta un po' la vernice sgargiante della satira politica, quel che si trova è un nichilismo di fondo. Un nichilismo che tutto avvolge e che di fronte a nulla si arresta. L'enfasi sul carattere greve della nostra corporeità, che da Plauto a Rabelais svolge la funzione di moderare l'orgoglio umano, precipita nella profanazione di cadavere. Per fare satira sul proposito governativo di stimolare l’economia con un provvedimento sospettato di sanare abusi edilizi, l’aumento delle cubature delle unità immobiliari di residenza, Vauro evoca l’aumento delle cubature dei cimiteri intorno all’Aquila, pochi giorni dopo il rovinoso terremoto, con il disegno di una bara smisurata. Per satireggiare su Berlusconi, che anche dopo morto potrebbe occupare gli schermi televisivi con messaggi pre-registrati, Luttazzi scrive: «Sei morto, Silvio. I vermi ti stanno mangiando. Per una volta, lascia che parli qualcun altro». E degli omaggi alla salma: «Le spoglie di Berlusconi dovrebbero giungere stanotte al Quirinale, dove resteranno esposte finchè l’odore o Maurizio Costanzo lo consentiranno».

Nessuno, da Plauto a Rabelais, aveva mai fatto questo. Ci volevano gli umoristi nichilisti del XXI secolo. I quali si difendono dalle accuse rivendicando la loro storica funzione di cani da guardia contro gli eccessi del potere. Il punto è che nel frattempo la storia ha camminato, il tempo delle monarchie assolute è finito, così come quello delle repubbliche oligarchiche. Siamo in democrazia, che per quanto imperfetta possa essere nella sua realizzazione politica, appare indubbiamente egemone sul piano culturale: l’idea dell’eguaglianza assoluta degli individui, che implica la criticabilità continua e all’infinito di chi detiene responsabilità di governo, anche quando la critica è esercitata nei modi necrofili di un Vauro o di un Luttazzi, domina incontrastata. Perché se non fosse illimitatamente criticabile, così va il ragionamento, l'uomo di governo non sarebbe più uguale, ma privilegiato rispetto agli altri individui. Le sentenze della Corte costituzionale che hanno bocciato in tutto o in gran parte leggi che mettevano dei limiti alla processabilità delle alte cariche dello Stato hanno confermato l’egemonia dell’idea egualitaria anche in ambito giuridico. In nome della democrazia, ovvero dell’idea di uguaglianza ad essa sottesa, la satira politica non deve avere limiti, e di fatto non ne ha.

Questo però, paradossalmente, crea una situazione dove il principio egualitario è violato: agli umoristi è permesso ciò che a nessun altro è permesso. Se un comune cittadino ingiuriasse gli uomini politici nello stesso modo in cui lo fanno loro, verrebbe querelato e infine condannato. Invece qualunque tentativo di punire o di limitare la libertà d’espressione degli umoristi viene respinto. Dal 1997 in Italia non si registra virtualmente alcuna sentenza giudiziaria di condanna definitiva di umoristi per battute o vignette su temi politici o religiosi. L'unico problema che possono avere è quello di essere allontanati da trasmissioni televisive, per il timore delle emittenti di perdere introiti pubblicitari o di doversi impegnare in costose controversie giudiziarie (anche se è certo che si concluderebbero con l'assoluzione del denunciato). Pesi massimi come Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi hanno dovuto ritirare la loro querela o hanno perso la loro causa per diffamazione. Vauro se l'è cavata con una settimana di sospensione televisiva per la sua vignetta sui cimiteri post-terremoto dell'Aquila; Daniele Luttazzi fu allontanato da La7 per aver attaccato Giuliano Ferrara che collaborava con la stessa tivù, non per i contenuti delle sue battute.

Il potere giudiziario italiano ha stabilito che gli esponenti politici non hanno diritto ad alcuna forma di immunità, nemmeno quando ricoprono alte cariche istituzionali, ma gli autori di satira invece sì. Suona scandaloso ma non strano, perché ciò interpreta perfettamente la deriva nichilista e profanatrice dello spirito democratico del tempo. Gli autori di satira sono diventati divinità intoccabili perché assolvono una funzione carissima allo spirito del tempo: mostrare che non esiste alcuna eccellenza da riconoscere come tale, alcuna superiorità a cui inchinarsi, alcuna grandezza davanti a cui arrestarsi. L'egualitarismo non tollera infrazioni al suo ordine omologatorio, e gli umoristi sono gli inflessibili azionatori della ghigliottina democratica che ristabilisce identiche misure per tutti.

Scrive Alain Finkielkraut: «Il riso contemporaneo proclama alto e forte l'ideale della de-idealizzazione. Che l'uomo superi infinitamente l'uomo, che egli possa avere una vocazione spirituale, che non sia ridotto alle sue funzioni organiche, ecco una possibilità che questo riso intende far scomparire dal mondo. Esso si accanisce contro la trascendenza, non tollera alcun genere di eminenza, bracca la grandezza sotto qualunque forma si manifesti, vendica la mediocrità dell'affronto che la superiorità gli infligge (…) I buffoni che un tempo avevano l'ufficio di opporre resistenza ai re, sono oggi i re adulati e temuti della democrazia radicale. Essi propagano, sotto le macerie della promessa comunista, il calore revanscista della comune bassezza».

A questo punto si capisce bene perché satira contro i politici e satira antireligiosa vadano a braccetto. Colpe ed errori dei politici sono solo un pretesto per negare il simbolismo del loro ruolo: l'essere un'incarnazione dell'autorità, il loro rimandare a un'idea di ordine gerarchico della realtà. E questo vale a maggior ragione per il sacro e i suoi rappresentanti terreni. Che sono quanto di più contrario si possa immaginare alla democrazia intesa come “comune bassezza”. Scrive Roger Scruton: «La dissacrazione è una specie di difesa dal sacro, un tentativo di distruggere le sue pretese. Nella presenza di cose sacre le nostre esistenze sono giudicate, e per sfuggire a quel giudizio noi distruggiamo la cosa che sembra giudicarci».

Dunque bisogna dire che tutti i preti sono pedofili e che il Papa è il loro complice al fine di rendere inattendili e inincidenti i giudizi del magistero della Chiesa. Fa niente se il prezzo del sollievo amorale di poter sfuggire a quel genere di giudizi è che tutto diventerà profanabile e di fatto profanato: corpi dei viventi, membra dei defunti, simboli religiosi, ecc. E se gli umoristi si trasformeranno, da coscienza critica dei potenti, in professionisti del linciaggio. Come scrive Finkielkraut, la soppressione satirica del sacro coincide con l'ennesima resurrezione del più primitivo dei meccanismi sacrali, il sacrificio del capro espiatorio: «Il riso dell'umorismo scombussola le unioni sacre, il riso dei buffoni odierni indica le vittime sacrificali; il primo sfida il branco, il secondo lo scatena».

fonte: La Bussola Quotidiana

venerdì 4 marzo 2011

I feti sono bambini, chiamiamoli col loro nome.



11 Febbraio 2008 .

di Carlo Bellieni

Nell’attuale dibattito sulla prematurità, si discute se rianimare i piccoli neonati e si sente dire che chi si applica in questo invece vuole rianimare i feti. Intanto chiariamo che al momento della nascita si deve usare il termine neonato, e che nessuno pensa certo di rianimare un neonato che non è maturo per sopravvivere; ma dobbiamo chiarire qualcosa a proposito dell’innata paura verso il termine “feto”. Purtroppo chiamando feto il neonato sembra che si intervenga su un “essere” estraneo, perché associamo la parola feto con qualcosa di confuso e “altro”.

“Feto” è una parola fragile. La usiamo per convenzione, ma proviamo a riflettere su tre punti e molte cose si chiariranno:

1) Lo chiamiamo feto un minuto prima del parto e bambino un minuto dopo. Cosa è cambiato? Sul piano fisico quasi nulla. E’ arrivata la luce agli occhi ed è entrata l’aria nei polmoni. Si è chiuso (e non sempre) un canale tra aorta e arteria polmonare e poco più. Non sono cambiamenti sostanziali: anche prima di nascere il bambino si succhiava il pollice, poteva sentire il dolore, aveva memoria, sentiva le voci, gli/le batteva il cuore. Su questo si può trovare ampia documentazione scientifica. Certo: ora l’ossigeno arriva dall’aria e non dal cordone ombelicale… ma sono differenze strutturali, non di sostanza.

2) Ma da dove viene la parola “feto”? In realtà la distinzione tra “feto” (prima di nascere) e “bambino” (dopo il parto) è recente. Il termine “feto” deriva da una radice indoeuropea che significa “succhiare”, e la parola “fetus” in epoca romana significava “frutto” oppure “progenie” (Catullo indicava come “dulces musarum fetus” i figli delle muse, cioè le poesie). Insomma, i romani non avevano un termine per indicare il bambino nascituro… perché sapevano bene che era un “puer”: già in epoca romana il bambino non ancora nato poteva ereditare e la lex Cesarea istituì il diritto del figlio di nascere anche per via operatoria (da qui il termine “parto cesareo”) se la madre stava per morire. Questa coscienza della continuità della vita proseguì nel tempo e appare chiara anche dai famosi disegni di Leonardo da Vinci che mostrano il bambino prenatale, e ne illustrano l’inequivocabile umanità, associandovi la parola “putto”, cioè “bimbo”.

Eppure ad un certo punto della storia, si è verificata questa cesura, che ha un peso che va ben oltre lo scopo “descrittivo”: qualcuno ha usato un termine che fino ad allora era un sinonimo di “figlio” (“feto”, appunto) per indicare qualcosa che, nella sua idea, figlio non è ancora. I termini “bambino”, “adolescente”, “anziano”, “adulto” descrivono gli stadi di sviluppo di qualcuno che tutti riconosciamo come “persona”; invece il termine “feto” serve a denotare un minor livello di diritti. Sottolinea questa spersonalizzazione del termine il fatto che il termine “feto” non abbia un corrispettivo femminile: è una forma “neutra”, che come tale non ha la caratterizzazione sessuale che è la principale caratteristica della persona.

3) D’altronde anche il termine “embrione” dovrebbe veder riparata la stessa ingiustizia, dato che più che una parola è una specie di aggettivo che vuol dire “che fiorisce dentro” (en- brỳein), il cui soggetto, evidentemente è “il bambino”, ed ha la stessa origine della parola “brio”, che esprime, come tutti sanno “vita ed esuberanza”: altro che “umano in progetto” o “diritto dei genitori”.

Ma perché dobbiamo usare per il bambino prenatale un termine dirottato dal suo significato originario? Forse perché tutti noi usiamo termini stigmatizzanti per indicare qualcuno che “non è dei nostri”. E’ un fenomeno dell’antilinguaggio –spesso inconscio-, come lo definiva Orwell: un bambino è un bambino, ma se lo chiamiamo feto…

Lasciamo il termine feto ai ricordi del secolo scorso! Può forse servire in qualche discussione nostalgica, ma deve ritornare la nostra lingua ad usare i termini giusti. Lasciamo la nostra vista e il nostro cervello concordino sull’evidenza e iniziamo a chiamare i bambini per quello che sono… semplicemente bambini, anche se sono piccolissimi, nascosti nell’utero, talora malati: la scienza non serve a questo? E impariamo a discutere su come curarli – prima e dopo la nascita -, su come soccorrerli e far progredire la ricerca scientifica nel loro esclusivo interesse, invece di passare il tempo a discutere se far venir meno il nostro obbligo di assistere chiunque. I bambini e le loro famiglie ce ne saranno grati.


martedì 1 marzo 2011

Centro di Accoglienza Maternità e Post Aborto


Senza Scelta? Non è vero!


Il Centro di Accoglienza per la Maternità e il Post aborto de Il Dono onlus è una struttura residenziale di tipo familiare che ruota intorno ad un Centro di Ascolto. E' caratterizzata dalla convivenza di ragazze che portano avanti una gravidanza indesiderata o che, avendo già fatto un percorso di sensibilizzazione con l’Ass. Il Dono onlus e trovandosi in situazione di difficoltà familiare e/o economica, si trovino a dover allevare un figlio da sole; e dalla presenza non residente di donne che abbiamo avuto un’esperienza di Interruzione Volontaria di Gravidanza (ivg) e desiderino intraprendere un percorso di counselling psicologico, umano e spirituale.

Le ragazze insieme ai propri figli (sia che l’abbiano già partorito, sia che il bambino non sia ancora nato) costituiscono un nucleo che da qui in poi chiameremo Famiglia. Saranno affiancate da un’equipe di operatori professionali e non che svolgeranno nei loro confronti una funzione educativa e di supporto. Il Centro di accoglienza nasce all’interno dell’Ass. Il Dono onlus quale indispensabile luogo dove potere garantire a tutte quelle mamme e alle donne in stato di bisogno che si sono rivolte all’Associazione un sostegno concreto.

Utenza

Donne italiane (maggiorenni) incinte, che si siano rivolte all’Ass. Il Dono onlus perché orientate all’aborto come soluzione estrema della loro condizione e che si trovino in una evidente situazione di abbandono totale o parziale, disorientamento o solitudine. Donne italiane o straniere che avendo subito un’IVG senta il bisogno di un sostegno umano, psicologico e spirituale.

Obiettivi


1 - Sostegno alla gravidanza


• L’obiettivo principale è quello di assicurare alle ragazze madri che stanno portando avanti una gravidanza nonostante siano prive di mezzi, la possibilità di un reinserimento nella società. Questo obiettivo ci sembra il più importante in quanto ha una duplice valenza: la prima e più immediata è quella di garantire serenità e accoglienza a quelle donne che nonostante le difficoltà hanno scelto di mettere al mondo il loro bambino e la seconda, indiretta, quella di potere essere un punto di riferimento, una speranza in più per quelle donne che per problemi di natura economica o familiare pensano all’aborto come soluzione della loro condizione.

• Offrire alle madri oltre al sostegno nei loro compiti genitoriali anche un indirizzo competente nella ricerca di un lavoro, di una nuova abitazione che permetta loro la realizzazione di una totale indipendenza

• Creare uno spazio di crescita anche come genitore partendo dalle più elementari nozioni di gestione di un neonato.

• Favorire il ricongiungimento con le famiglie di origine e/o i padri dei bambini qualora sussistano il desiderio e le condizioni per ricomporre il nucleo familiare.

• Permettere attraverso un servizio di baby-sitting il normale svolgimento delle attività studentesche e lavorative della donna.


2 - Sostegno alle conseguenze psicologiche dell’aborto volontario


• L’obiettivo è offrire un servizio di counselling psicologico, umano e spirituale alle donne che abbiano affrontato una IVG e stiano soffrendo per le sequele da essa derivate o che comunque si trovino a non poter condividere questa dolorosa esperienza nella famiglia o nel loro ambito sociale per pregiudizi o per qualunque forma di incomprensione ed abbandono.

Risorse strutturali ottimali


Per realizzare il progetto è necessaria una struttura con:

• min.2-max10 stanze preferibilmente con bagno di c.a. 20 mq. ciascuna: gli spazi individuali servono per garantire autonomia e intimità con il proprio figlio affinchè maturi da subito la consapevolezza di costituire un nucleo familiare unico e irripetibile. Per ogni Famiglia è previsto un posto letto in una stanza accogliente, che rispetti tutte le norme di igiene e sicurezza, che ciascuna Mamma potrà personalizzare e rendere più accogliente, e che permetta di sperimentare una relazione genitoriale protetta.

• 1 cucina-refettorio : occorrono spazi comuni che facilitino la socializzazione delle utenti tra loro, la diffusione di un senso di solidarietà reciproca e che stimolino la responsabilizzazione di ciascuna Famiglia all’interno della collettività. Una cucina con refettorio che permetta di contenere almeno tutte le Famiglie contemporaneamente, dove organizzare i pasti, dove poter accedere a risorse comuni come televisione, telefono, lavatrice, frigorifero, ecc.

• 1 locale magazzino: occorre uno spazio da poter utilizzare come dispensa collettiva

• E’ auspicabile la presenza di un giardino dove sia possibile portare avanti attività che si svolgono all’aperto: giardinaggio, cura del verde, giochi, ecc.

• una Baby room: occorre uno spazio da poter destinare ad asilo nido in cui a rotazione le ragazze non autonome ed i volontari possano prendersi cura dei bambini delle residenti lavoratrici o studentesse. La stanza fornita di zona fasciatolo e di zona attività,e, ove esso sia disponibile, sarà direttamente collegata col giardino.

• Una stanza funzioni da Direzione/Segreteria e da Centro di Ascolto dove poter effettuare la prima accoglienza, dove poter svolgere colloqui individuali e dove sia presente un armadio assicurato con una chiave che custodisca tutto il materiale sensibile relativo a ciascuna ospite, verbali, registri, documenti relativi al Centro di accoglienza, ecc. nel rispetto delle vigenti leggi sulla tutela dei dati personali.

Risorse umane


1 responsabile legale del progetto

10 volontari (di ambo i sessi): a rotazione che si occuperanno della prima accoglienza, delle attività di gruppo, di favorire una costruttiva convivenza tra le Famiglie, dell’organizzazione della giornata lavorativa e casalinga, degli incontri formativi settimanali e mensili

4 Suore: residenti e permanenti che si occupino della direzione, delle pulizie, della mensa e della portineria

1 sacerdote di riferimento

1 ginecologo

1 ecografista con relativa strumentazione

1 puericultrice

2 psicologi

Il lavoro svolto da questi operatori dovrà essere integralmente volontario e dettato dall’adesione agli stessi principi che muovono il Dono.

Modalita' di accesso


• L’accesso avviene attraverso la segnalazione da parte de Il Dono onlus

• I posti disponibili sono 10.

• All’ingresso nella struttura si svolgerà il Colloquio Preliminare per proporre e discutere i motivi e gli obiettivi della permanenza nel Centro di accoglienza, definire ruoli, compiti e orari delle attività.

• Tra i criteri che orienteranno la scelta ci dovrà essere anche la salvaguardia delle altre utenti già ospiti del Centro di accoglienza, laddove il nuovo ingresso dovesse risultare potenzialmente dannoso per la collettività.


Programma e Attività

Il Centro di accoglienza funzionerà come una comunità dove ciascuna Famiglia parteciperà ad un unanime progetto educativo. Le attività del Centro di accoglienza saranno organizzate seguendo il normale ritmo di vita di una comunità familiare pur tuttavia tenendo in considerazione i personali ritmi quotidiani delle ragazze laddove siano lavoratrici e/o studentesse. Ciò significa che ciascuna madre-studentessa dovrà frequentare la scuola/corso/università nella quale sarà impegnata cosi come ciascuna madre-lavoratrice dovrà rispettare il proprio orario lavorativo. Qualora non dovesse sussistere né l’una né l’altra condizione (scolastica/ lavorativa), in accordo con le ragazze stesse, si procederà con un programma di orientamento all’inserimento lavorativo.

L’orario di uscita è stabilito tra le 7.00 e le 20.00 (qualunque variazione deve essere concordata con gli operatori del Centro di accoglienza)
Per ciascuna ospite che arriva al Centro di accoglienza sarà prevista una scheda sulla quale verrà riportato il progetto formativo che in accordo con gli operatori intende svolgere
Le ospiti qualora prive di reddito possono fare totale affidamento alla struttura che le ospita garantendo comunque un impegno nella ricerca attiva di una occupazione; qualora occupate possono partecipare alla vita collettiva con una libera offerta
Ogni ospite viene motivata al rispetto, alla pulizia e alla gestione del Centro di accoglienza così da creare un clima favorevole al raggiungimento della piena autonomia e alla condivisione della vita in comunità.
Visti gli obiettivi che si propone il Centro di accoglienza sarà sostenuto e, anzi, favorito il mantenimento dei rapporti con i familiari in vista di un possibile rientro presso il nucleo di appartenenza. La presenza di psicologi qualificati servirà a garantire anche questa opportunità. Per questo motivo le Famiglie potranno ricevere visite da parenti o amici, sempre nel rispetto delle esigenze delle altre ospiti e con l’accordo degli operatori.
Le madri che avranno la giornata libera contribuiranno alla gestione del Centro di accoglienza accudendo i bambini
Non è ammesso l’uso di qualsiasi tipo di droga, alcolici, stupefacenti, ecc., dentro e fuori Casa. È proibita qualunque forma di violenza e aggressività anche verbale.
L’accoglienza effettuata dal Centro di accoglienza è temporanea e si protrarrà per un massimo di 3 anni dal parto. Durante la permanenza nel Centro di accoglienza oltre alle normali attività che si svolgono all’interno del Centro di accoglienza sono previsti:

1 incontro di gruppo al mese aperto a tutti (sia interni che esterni al Centro di accoglienza), durante i quali si affronteranno tematiche relative alla gravidanza, al parto, alle dinamiche di coppia di fronte ad una gravidanza, ecc.
1 incontro alla settimana per le donne ospiti del Centro di accoglienza relative a: eventuali problematiche dovute alla convivenza,…
Implementazione delle capacità e delle competenze degli operatori coinvolti nella struttura con incontri di formazione permanente sia dentro Il Centro di accoglienza che avvalendosi di occasioni formative esterne (convegni, seminari, corsi di formazione, stage, …)
Promozione di un lavoro di auto-aiuto nella cura dei bambini della madri lavoratrici o studentesse, ospiti del Centro di accoglienza, nelle ore della loro assenza.
Un percorso di Guarigione rivolto alle donne che hanno interrotto una gravidanza. Gli incontri avranno cadenza settimanale, saranno tanto individuali che di gruppo, e saranno facilitati da personale preparato e da psicologi appositamente formati sulle problematiche inerenti l’aborto e le sue ripercussioni sulla persona.
Attività relative al Centro di Ascolto:

Il Centro di Ascolto è la prima struttura di accoglienza del Centro di accoglienza de IL DONO onlus ed attorno ad esso ruota tutta l’attività del Centro di accoglienza. Rivolto tanto alle mamme in difficoltà che alle donne che hanno subito un’IVG il Centro di Ascolto prevede, al di là degli incontri di approccio finalizzati alla permanenza nel Centro di accoglienza, la possibilità di rivolgere un sostegno umano e psicologico rivolto a chi, tanto incinta che dopo un aborto, non abbia necessità di restare all’interno della struttura. In esso avviene il primo colloquio con le ragazze madri, si studiano i sostegni più adeguati, e tramite esso si inizia il Percorso di Guarigione per le donne che hanno subito una IVG.

Al fine di promuovere un adeguato sostegno, ed al termine del percorso di Guarigione offerto dall’Associazione IL DONO onlus, sarà cura dell’Associazione stessa - qualora l’interessata lo desideri – promuovere l’inserimento all’interno del Centro di Ascolto stesso, affinché, insieme ad un nostro operatore o con un responsabile dell’associazione le donne che hanno vissuto la triste esperienza di un aborto volontario possano collaborare nel sostenere chi si rivolge a noi in dubbio se portare avanti o meno la gravidanza, perché la loro sofferenza possa esser messa al servizio degli altri.

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Per informazioni:
Ass. Il Dono Onlus – Roma Via Val Trompia, 56
www.il-dono.org

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