mercoledì 28 aprile 2010

UBI PETRUS, IBI ECCLESIA


Riporto un'interessante articolo tratto DAL SITO: http://www.pliniocorreadeoliveira.it/


LA NOSTRA RIPARAZIONE, DENUNCIANDO IL NEMICO

Invitiamo i nostri visitatori a conoscere la missiva stilata dai co-fondatori della TFP i quali - come legittimi eredi della Contro-Rivoluzione pliniana e dinanzi all’evidente persecuzione religiosa in corso - si rivolgono al Sommo Pontefice animati dall’ardore e dallo stile cattolico militante del Fondatore, Plinio Corrêa de Oliveira.

Quindi, il responsabile e i collaboratori del sito aderiscono, toto corde, ed offrono la traduzione inedita di questo atto di fedeltà al Papa ed alla Santa Chiesa.

Palermo, 26 Aprile 2010
Festa della Madonna del Buon Consiglio


UBI PETRUS, IBI ECCLESIA

Omaggio filiale di solidarietà a Sua Santità Benedetto XVI

A sua Santità Benedetto XVI
Città del Vaticano

Beatissimo Padre,

Noi, sottoscrittori, brasiliani, inginocchiati dinanzi alla vostra Sacra Persona, veniamo a presentare alla Vostra Santità la nostra profonda e sincera solidarietà di fronte alle vili calunnie e turpi attacchi di cui è stata vittima in queste ultime settimane.

Con una ipocrisia che ha pochi precedenti nella Storia, gli stessi intellettuali, i leader politici e gli organi di stampa e di televisione che distruggono sistematicamente l’innocenza dei nostri bambini e degli adolescenti – per mezzo della diffusione incessante della pornografia e della promozione di una cultura nella quale “è vietato vietare” – oggi si strappano le vesti di fronte all’abuso sessuale di bambini praticato da un certo numero di sacerdoti e religiosi indegni. Peggio ancora: queste correnti così dette “d’avanguardia” osano incolpare di questi abusi ignobili la Chiesa stessa, la quale, mediante la sua incessante predicazione della morale evangelica, non soltanto sollevò il mondo pagano dal pantano di una corruzione morale sfrenata, ma, per venti secoli, fu il baluardo della virtù della purezza!

Quale autorità intellettuale e morale hanno questi aggressori per esigere l’abolizione del celibato ecclesiastico – proprio loro che glorificano la promiscuità sessuale dalla più tenera età; loro che distribuiscono preservativi ai giovani, incitandoli a praticare il “sesso sicuro”; che corrompono animi innocenti con le loro “lezioni di educazione sessuale” contrassegnate da una visione edonistica e dissoluta della sessualità; e che promuovono i rapporti omosessuali, volendo persino ridurre l’età legale per la loro approvazione?

Gli abusi sessuali commessi da sacerdoti e da religiosi non sono forse, per la loro immensa maggioranza, casi di sessualità con adolescenti, cioè, precisamente gli atti che i suddetti intellettuali, i leader politici e gli organi di stampa favoreggiano? Proprio loro che adesso attaccano la Chiesa e la vostra Sacra Persona?

Santo Padre, noi brasiliani siamo un popolo intuitivo, che sa leggere nell’intimo dei cuori: non ci lasciamo illudere dalle fallacie del crescente rimbombo mediatico che, nella persona del Papa, cerca, infatti, di abbattere lo stendardo che Egli impugna; ovvero, la bandiera immacolata degli insegnamenti morali di Colui che è, per tutta l’umanità, “il Cammino, la Verità e la Vita”.

I promotori di questa offensiva pubblicitaria vogliono evitare che i nostri contemporanei, delusi dalle ingannevoli promesse di felicità atea degli araldi della “modernità”, ascoltino gli insegnamenti tradizionali della Chiesa, incluse le vostre opportune denuncie sulla “dittatura del relativismo” la quale, nel nome dell’idolatria dell’uomo, mira ad eliminare qualsiasi freno alla libertà, legalizzando l’aborto e l’eutanasia, favorendo i rapporti prematrimoniali, il divorzio e lo pseudo matrimonio omosessuale.

Gli istigatori degli attacchi contro la Vostra Santità vogliono, in effetti, azzittire la vostra voce, poiché si innalza per difendere le radici cristiane della civiltà occidentale e per affermare il diritto della Chiesa Cattolica di intervenire nel dibattito pubblico sulle grandi questioni culturali e sociali contemporanee, alla luce del Vangelo. Il che contrasta con i piani di coloro che, nel nome del laicismo di Stato, vogliono persino eliminare dai luoghi pubblici il più sacro simbolo religioso – il crocifisso, che ci ricorda la sofferenza e la morte del nostro Divino Redentore.

I disseminatori delle false accuse secondo le quali la Vostra Santità avrebbe ammantato coloro che praticarono abusi sui bambini – a Monaco o nella Curia romana – sono, paradossalmente, quegli stessi che si indignarono della vostra Istruzione del 2005 proibendo l’accesso nei seminari ai candidati con radicata tendenza omosessuale, ossia, i candidati che hanno una maggiore probabilità statistica di abusare sessualmente degli adolescenti e o dei bambini.

Sono pure promotori dell’attuale campagna di calunnie le persone che non si conformano al fatto che la Vostra Santità, quando ancora Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, denunciò il comunismo come “la vergogna del nostro tempo” e condannò la Teologia della Liberazione di ispirazione marxista, che dilagava negli ambienti cattolici, e in relazione alla quale, la Vostra Santità ha ribadito, di recente, la propria opposizione, nel discorso ai Prelati delle Regioni Sud 3 e Sud 4 della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, in occasione della visita ad limina apostolorum.

Santo Padre: noi, cattolici brasiliani, sappiamo leggere, nelle false righe dei giornali, il significato più profondo del dibattito che è in corso. E, fedeli agli insegnamenti perenni della Santa Chiesa, aderiamo di tutto cuore ai “valori non negoziabili” promossi dalla Vostra Santità, cioè:

•l’inviolabilità della vita umana dal concepimento sino alla morte naturale;
•la sacralità della famiglia fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna;
•il diritto dei genitori ad educare i figli inculcando loro principi morali e religiosi veri.

Nel manifestare il nostro totale ripudio all’ignobile campagna di calunnie contro la vostra Sacra Persona e nel manifestarVi la nostra solidarietà, non siamo spinti soltanto dal sentimento filiale che anima i fedeli cattolici al vedere il dolce Vicario di Cristo in Terra attaccato dalle schiere del male. Infatti sappiamo bene che Ubi Petrus, ibi Ecclesia (Dov’è Pietro, lì è pure la Chiesa). Perciò, nel contempo vogliamo fare un atto di fede nella Chiesa Cattolica e, in particolare, in quegli insegnamenti perenni del suo Magistero che la “dittatura del relativismo” vuole vedere eliminati dalla nostra legislazione e dalle nostre vite.

Santità, in mezzo alla tempesta, i cuori di milioni di brasiliani Vi accompagneranno nella vostra coraggiosa difesa dei diritti di Dio e dei “valori non negoziabili”, con le loro preghiere, con il loro fervore filiale e con l’energia che gli viene dal sacramento della Cresima che li ha trasformati in autentici soldati di Cristo.

Sappiamo bene, Santità, e lo diciamo con dolore, che in questi momenti in cui la Chiesa dovrebbe affrontare con fermezza e coesione la tempesta che si annuncia, tuttavia ella si vede indebolita nel suo elemento umano dall’azione di correnti che si insinuano in essa, e che portarono agli impressionanti lamenti del Vostro Predecessore Paolo VI quando disse che “il fumo di satana” era penetrato nel Tempio di Dio, riferendosi inoltre ad un misterioso processo di “autodemolizione” in corso, dopo l’ultimo Concilio.

Ma questa situazione, lungi dal produrre scoraggiamento, rende ancor più inderogabile alle persone desiderose di rimanere fedeli con tutta l’anima agli insegnamenti evangelici di stringere le schiere attorno alla Cattedra di Pietro. Tra questi, noi ci includiamo umilmente, seguendo l’esempio del grande e indimenticabile leader cattolico brasiliano del secolo XX, il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira.

Tra qualche settimana, in occasione del decimo anniversario della beatificazione di Giacinta, e nell’anno in cui si commemora il centenario della sua nascita, la Vostra Santità calpesterà il suolo della nostra Madre Patria, il caro Portogallo, dove la Madonna parlò in portoghese ai tre pastorelli di Fatima.

Ricorderemo, allora, la visione profetica che proprio Giacinta ebbe nell’ultimo periodo della sua breve esistenza e che tanto la fece soffrire:

“Ho visto il Santo Padre in una casa molto grande, in ginocchio davanti ad un tavolo, piangente con le mani sul viso; fuori dalla casa vi era molta gente e alcuni gli tiravano pietre, altri gli lanciavano imprecazioni e gli dicevano molte brutte parole. Povero Santo Padre, dobbiamo pregare molto per lui!”.

Starà giungendo quell’ora? È una domanda che si pone e perciò, con gli stessi sentimenti di Giacinta, chiediamo alla piccola veggente e alla Madonna di Fatima che intercedano presso a Nostro Signore Gesù Cristo ed ottengano per la Vostra Santità insigni grazie di discernimento e di fortezza, con le quali possa condurre la Barca di Pietro con mano sicura, in mezzo allo “tsunami” pubblicitario, col quale pretendono affondarLa. Uno sforzo vano, perché sappiamo che, infine, seconda la promessa indefettibile di Nostro Signore, “portae inferi non praevalebunt” (le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa).

Rivolgendo a Dio questa preghiera dal più profondo del cuore, deponiamo ai piedi di Vostra Santità i nostri più rispettosi e filiali omaggi.



Questa sottoscrizione è una iniziativa dell'Instituto Plinio Corrêa de Oliveira avallata da tutti i brasiliani sottoscrittori del documento, in difesa del Papato e della Santa Chiesa.

www.pliniocorreadeoliveira.it



venerdì 23 aprile 2010

Le Litanie dell'Umiltà


"L'umiltà è quella virtù per cui si va su, mentre si va giù" (Sant'Agostino )



Le litanie dell'umiltà dovrebbero essere recitate spesso dai credenti perchè chiedono ed ottengono quella virtù che è già segno di santità. Recitato dopo la Confessione, inoltre, il formulario seguente, offre all'anima perdonata un valido sostegno per il proposito di non peccare più. Il cardinale Merry del Val (segretario di stato di San Pio X) le recitava ogni giorno dopo la celebrazione della santa Messa.


Signore, pietà Signore, pietà
Cristo, pietà
Signore, pietà
Cristo, ascoltaci
Cristo, esaudiscici
Padre del cielo, che sei Dio abbi pietà di noi
Spirito Santo, che sei Dio
Santa Trinità, unico Dio

Dal desiderio di essere stimato liberami, Signore
Dal desiderio di essere lodato
Dal desiderio di essere esaltato
Dal desiderio di essere ricercato
Dal desiderio di essere amato
Dal desiderio di essere onorato
Dal desiderio di essere preferito agli altri
Dal desiderio di essere consultato
Dal desiderio di essere approvato

Da ogni odio e da ogni invidia liberaci, Signore
Da ogni risentimento e rancore
Da ogni rivalsa
Da ogni pregiudizio
Da ogni forma di egoismo
Da ogni ingiustizia e da ogni viltà
Da ogni tendenza a giudicare e condannare
Dalla mormorazione e dalla critica
Da ogni giudizio affrettato e da ogni calunnia
Dall'orgoglio e dalla ostentazione
Da ogni permalosità e impazienza
Dalla tendenza ad appartarci
Dal sospetto e dalla sfiducia
Da ogni cattiva disposizione
Da ogni forma d'indifferenza
Da ogni prepotenza
Da ogni scortesia e sospetto
Da ogni suggestione del demonio
Da ogni offuscamento delle passioni

Dal timore di essere umiliato liberami, Signore
Dal timore di essere disprezzato
Dal timore di essere rifiutato
Dal timore di essere calunniato
Dal timore di essere sospettato
Dal timore di essere dimenticato
Dal timore di essere schernito
Dal timore di essere ingiuriato
Dal timore di essere abbandonato

Che gli altri siano amati più di me Gesù, datemi la grazia di desiderarlo!
Che gli altri siano stimati più di me
Che gli altri possano crescere nell'opinione del mondo e che io possa diminuire
Che gli altri possano essere prescelti ed io messo in disparte
Che gli altri possano essere lodati ed io dimenticato
Che gli altri possano essere preferiti a me in ogni cosa
Che gli altri possano essere più santi di me, purché lo divenga santo in quanto posso

San Giuseppe, protettore degli umili prega per me
Sa Michele Arcangelo, che fosti il primo ad abbattere l'orgoglio prega per me
O Giusti tutti santificati specialmente dallo spirito di umiltà pregate per me
O Gesù, la cui prima lezione è stata questa: "Imparate da me che sono mite e umile di Cuore" insegnami a divenire umile come lo sei Tu

Perchè vogliamo veramente bene ai nostri fratelli Esaudiscici, Signore
Perchè siamo tra noi un cuore solo e un'anima sola
Perchè i nostri sentimenti siano come quelli del tuo cuore
Perchè rimaniamo uniti nello spirito
Perchè siamo concordi nell'azione
Perchè sappiamo comprenderci
Perchè sappiamo ammettere i torti e perdonarci reciprocamente
Perchè diveniamo servi premurosi gli uni degli altri
Perchè siamo sempre sinceri e aperti fra di noi
Perchè nelle nostre case regni la gioia della carità
Perchè nella nostra carità il mondo veda il Signore
Perchè nella nostra Patria regni la concordia
Perchè cessino le lotte di classe
Perchè la giustizia sociale sia compiuta nella carità
Perchè tutti gli uomini si amino

Gesù, che sei venuto sulla terra per servire gli uomini rendi il nostro cuore simile al Tuo
Gesù, che hai amato i poveri
Gesù, che hai consolato i sofferenti
Gesù, che hai sofferto per i peccatori
Gesù, che hai parlato dolcemente a chi ti schiaffeggiava e ti tradiva
Gesù, che hai raccolto l'invocazione del ladrone
Gesù, che hai lodato il buon Samaritano
Gesù, che sei morto sulla croce
Gesù, che continui a rinnovare il tuo sacrificio d'Amore per noi
Gesù, che ti fai cibo per sostenerci nel nostro cammino

Santa Maria, Vergine piccola ed umile prega per noi
Santa Maria, Vergine piena d'Amore e di carità


Agnello di Dio, che vivi nell'Amore del Padre
abbi pietà di noi
Agnello di Dio, che hai portato agli uomini
l'amore del Padre
esaudiscici
Agnello di Dio, che t'immoli per amore
degli uomini
convertici


Perdonaci, o Signore tutti i nostri peccati
come noi perdoniamo a coloro che ci hanno offeso.


Preghiamo:
O Dio, che resisti ai superbi e dai la grazia agli umili: concedici la virtù della vera umiltà, di cui l'Unigenito tuo Figlio s'è fatto esempio, affinchè non provochiamo mai il tuo sdegno con l'orgolgio, ma otteniamo piuttosto il dono del tuo Amore ubbidendo umilmente alla tua Parola. Per Cristo nostro Signore.
Amen.


Fonte: Preghiamo con le Litanie:pag.282: ed. Shalom

Quando l'Angelus si recitava in ginocchio....


Storia dell’ “Angelus”

L’ “Angelus” deriva la sua origine dall’ambiente francescano.

San FRANCESCO D’ASSISI (+1226) fu talmente impressionato durante il suo viaggio missionario in Oriente dai richiami alla preghiera, che il muezzin ripeteva cinque volte al giorno dall’alto del suo minareto, che pensò di simili tempi di preghiera anche in Occidente. Così scrisse in una lettera ai superiori (guardiani): “Insegnate e predicate a tutte le persone il dovere di lodarlo perché, a tutte le ore e al suono delle campane, lodi e azione di grazie siano rese sempre e in ogni luogo della terra a Dio onnipotente”. Espresse questo augurio in uno scritto ad un governatore del popolo. Fra Benedetto SINIGARDI (+1282), compagno di San Francesco, fece cantare l’antifona mariana “Angelus Domini” nel suo monastero di origine in Arezzo, dopo il suo soggiorno in Terra Santa verso il 1241. Nel 1251 il Capitolo Generale del nostro Ordine decise che, dopo la “Salve Regina” della sera, la strofa “Ave Maria” e l’orazione “Concede nos” devono essere recitate in ginocchio (nel 1325 il Capitolo Generale aumenta il numero delle “Ave Maria “ a tre). In occasione del Capitolo Generale del 1263 a Pisa, san Bonaventura (+1274), come Maestro Generale dell’Ordine francescano, dà ai suoi confratelli questo consiglio: I fratelli devono insegnare ai fedeli a salutare tre volte la Vergine Maria, la sera, quando nel monastero è l’ora di andare a Compieta. Essi devono farlo con le stesse parole con le quali l’Angelo Gabriele salutò Maria, cioé con l’ ‘Ave Maria’ (cf. Lc 1,38). Abbiamo qui la prima menzione dell’ “Angelus” e più precisamente, la sera. Dalla rappresentazione largamente diffusa nel Medioevo, era esattamente la sera che “l’Angelo del Signore aveva portato l’annuncio a Maria”. Il Capitolo Provinciale francescano che si tenne a Padova nel 1294 ordinava ai confratelli quanto segue: In tutti i conventi la sera si suoneranno le campane tre volte brevemente per onorare la Madre di Dio. Tutti i confratelli in quel momento dovranno inginocchiarsi e pregare per tre volte: ‘Ave Maria, gratia plena’ . All’inizio del XIV° secolo, suonare l’Angelus era già una pratica usuale nelle diverse regioni d’Europa, così come a Roma nel 1327. Questo suono di campane della sera aveva nello stesso tempo un’altra ragione pratica, in quanto era il segno della “estinzione del fuoco” (“ignitegium”, “coprifuoco”, “salvaterra”) e della chiusura delle porte della città. Il papa Giovanni XXII (+1334) nel 1318 ordinò che ai tre rintocchi quotidiani della sera, Maria la Madre di Dio sia salutata con tre “Ave Maria” in ginocchio e accordò a tale preghiera una indulgenza. Del resto, è solo nel XIV secolo (e in alcune regioni nel XVI secolo soltanto) che l’ “Ave Maria”, con l’aggiunta della seconda parte, prese la forma che oggi conosciamo.

Nell’Abbazia di Montecassino e nei monasteri che ne dipendevano, si aveva, verso la fine del XIII secolo, l’usanza di suonare le campane per la preghiera dell’ “Ave Maria”, non solo la sera, ma anche al mattino, a Prima. Dall’anno 1317/1318 abbiamo notizia di un richiamo alla preghiera con il suono delle campane, al mattino, nella città di Parma, nell’Italia settentrionale, dove ormai il ricordo fu legato in questo modo al grande avvenimento della nostra salvezza, la Risurrezione di Gesù. Verso la metà del XV secolo, l’ “Angelus” del mattino veniva introdotto in Europa, in pratica ovunque.

Più tardi si impose il richiamo alla preghiera a mezzogiorno, e cioè soltanto nel XVI/XVII secolo. La sua tradizione proviene da Praga precisamente nel 1386. Poiché a mezzogiorno si pensava alla crocifissione di Gesù, in un primo tempo non fu suonata il venerdì santo. Nel 1456, papa Callisto III (+1458) comandò di suonare la campana quotidianamente, tra Nona e Vespri e di recitare un Padre Nostro e tre “Ave Maria” per la salvezza della cristianità. Nel 1472, il re di Francia, Luigi XI (+1483) invitò a pregare a mezzogiorno con tre “Ave Maria” per l’unità e la pace del regno. Nel 1518, papa Leone X stabilì la preghiera dell’Angelus a mezzogiorno. In Germania l’Angelus a mezzogiorno fu introdotto nel XVII secolo.

Dopo una serie di miracolosi interventi della beata Vergine Maria operati attraverso i secoli, si giunse alla recita dell'Angelus al mattino, mezzogiorno e sera in ginocchio.
Scrive Orsini ne La Vergine: "S. Carlo la praticava sempre in ginocchio, anche nelle pubbliche strade. Il che già da cento anni si praticava in tutta la Francia, almeno in quanto dell'Ave Maria di mezzodi' per un particolare decreto dal Re Luigi XI che la volle indirizzata dai suoi sudditi ad implorare dall'Altissimo coll'intercessione di Maria la pace particolare del suo regno.
L'ordine suo era concepito cosi': "Si impone a tutti i francesi, cavalieri, uomini d'arme e plebei, di porsi sulle due ginocchia al suonarsi del mezzodi', di segnarsi divotamente e fare una preghiera alla Madonna per buona pace".
L'ordine fu eseguito con tanta esattezza che al primo tocco dell'Angelus, nelle case, nelle strade, sulle vie maestre, non c'era francese che non si prostrasse per pregare Maria". Continua il Riva ne Il Divoto di Maria: "L'inginocchiarsi alla recita dell'Angelus Domini fu sempre costume universale resso i veri devoti ed é di dovere per chiunque intenda partecipare alle suddette indulgenze...senza obbligo di coscienza di essere fedeli a recitare L'Angelus Domini tre volte al giorno, anche sotto gli occhi del pubblico a chiara manifestazione della propria fede...qual viltà dunque sarebbe la vostra se per indegno rispetto umano vi reteneste dal prestare a Maria questo pubblico ossequio quando col tocco delle campane ve ne fa la Chiesa un invito cosi' formale".
Pio IX commendo' questa pratica arricchendola di indulgenze con il Copertum Nobis del 18 gennaio 1856.



domenica 18 aprile 2010

"Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini" (At 5,29)


L'omelia di Benedetto XVI durante la messa di giovedì 15 aprile con i membri della Pontificia Commissione Biblica

Cari fratelli e sorelle,
non ho trovato il tempo di preparare una vera omelia. Vorrei soltanto invitare ciascuno alla personale meditazione proponendo e sottolineando alcune frasi della Liturgia odierna, che si offrono al dialogo orante tra noi e la Parola di Dio. La parola, la frase che vorrei proporre alla comune meditazione è questa grande affermazione di san Pietro: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini" (At 5, 29). San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro "ordinamento": deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio è la libertà, l'obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all'istituzione.
E qui gli esegeti attirano la nostra attenzione sul fatto che la risposta di san Pietro al Sinedrio è quasi fino ad verbum identica alla risposta di Socrate al giudizio nel tribunale di Atene. Il tribunale gli offre la libertà, la liberazione, a condizione però che non continui a ricercare Dio. Ma cercare Dio, la ricerca di Dio è per lui un mandato superiore, viene da Dio stesso. E una libertà comprata con la rinuncia al cammino verso Dio non sarebbe più libertà. Quindi deve obbedire non a questi giudici - non deve comprare la sua vita perdendo se stesso - ma deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio ha il primato.
Qui è importante sottolineare che si tratta di obbedienza e che è proprio l'obbedienza che dà libertà. Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell'uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall'obbedienza a Dio. L'obbedienza non dovrebbe più esserci, l'uomo è libero, è autonomo: nient'altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l'uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un'istanza accessibile all'uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l'ultima parola alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso - lo sappiamo dalla storia del secolo scorso - può essere anche un "consenso nel male".
Così vediamo che la cosiddetta autonomia non libera veramente l'uomo. L'obbedienza verso Dio è la libertà, perché è la verità, è l'istanza che si pone di fronte a tutte le istanze umane. Nella storia dell'umanità queste parole di Pietro e di Socrate sono il vero faro della liberazione dell'uomo, che sa vedere Dio e, in nome di Dio, può e deve obbedire non tanto agli uomini, ma a Lui e liberarsi, così, dal positivismo dell'obbedienza umana. Le dittature sono state sempre contro questa obbedienza a Dio. La dittatura nazista, come quella marxista, non possono accettare un Dio che sia al di sopra del potere ideologico; e la libertà dei martiri, che riconoscono Dio, proprio nell'obbedienza al potere divino, è sempre l'atto di liberazione nel quale giunge a noi la libertà di Cristo.
Oggi, grazie a Dio, non viviamo sotto dittature, ma esistono forme sottili di dittatura: un conformismo che diventa obbligatorio, pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti, e le sottili aggressioni contro la Chiesa, o anche quelle meno sottili, dimostrano come questo conformismo possa realmente essere una vera dittatura. Per noi vale questo: si deve obbedire più a Dio che agli uomini. Ma ciò suppone che conosciamo veramente Dio e che vogliamo veramente obbedire a Lui. Dio non è un pretesto per la propria volontà, ma è realmente Lui che ci chiama e ci invita, se fosse necessario, anche al martirio. Perciò, confrontati con questa parola che inizia una nuova storia di libertà nel mondo, preghiamo soprattutto di conoscere Dio, di conoscere umilmente e veramente Dio e, conoscendo Dio, di imparare la vera obbedienza che è il fondamento della libertà umana.
Scegliamo una seconda parola dalla Prima Lettura: san Pietro dice che Dio ha innalzato Cristo alla sua destra come capo e salvatore (cfr. v. 31). Capo è traduzione del termine greco archegos, che implica una visione molto più dinamica: archegos è colui che mostra la strada, che precede, è un movimento, un movimento verso l'alto. Dio lo ha innalzato alla sua destra - quindi parlare di Cristo come archegos vuol dire che Cristo cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada. Ed essere in comunione con Cristo è essere in un cammino, salire con Cristo, è sequela di Cristo, è questa salita in alto, è seguire l'archegos, colui che è già passato, che ci precede e ci mostra la strada.
Qui, evidentemente, è importante che ci venga detto dove arriva Cristo e dove dobbiamo arrivare anche noi: hypsosen - in alto - salire alla destra del Padre. Sequela di Cristo non è soltanto imitazione delle sue virtù, non è solo vivere in questo mondo, per quanto ci è possibile, simili a Cristo, secondo la sua parola, ma è un cammino che ha una meta. E la meta è la destra del Padre. C'è questo cammino di Gesù, questa sequela di Gesù che termina alla destra del Padre. All'orizzonte di tale sequela appartiene tutto il cammino di Gesù, anche l'arrivare alla destra del Padre.
In questo senso la meta di questo cammino è la vita eterna alla destra del Padre in comunione con Cristo. Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il Cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il Cristianesimo rimane un "frammento" se non pensiamo a questa meta, che vogliamo seguire l'archegos all'altezza di Dio, alla gloria del Figlio che ci fa figli nel Figlio e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo.
Se si può dire che, anche prescindendo dalla vita eterna, dal Cielo promesso, è meglio vivere secondo i criteri cristiani, perché vivere secondo la verità e l'amore, anche se sotto tante persecuzioni, è in sé stesso bene ed è meglio di tutto il resto, è proprio questa volontà di vivere secondo la verità e secondo l'amore che deve anche aprire a tutta la larghezza del progetto di Dio con noi, al coraggio di avere già la gioia nell'attesa della vita eterna, della salita seguendo il nostro archegos. E Soter è il Salvatore, che ci salva dall'ignoranza, cerca le cose ultime. Il Salvatore ci salva dalla solitudine, ci salva da un vuoto che rimane nella vita senza l'eternità, ci salva dandoci l'amore nella sua pienezza. Egli è la guida. Cristo, l'archegos, ci salva dandoci la luce, dandoci la verità, dandoci l'amore di Dio.
Poi soffermiamoci ancora su un versetto: Cristo, il Salvatore, ha dato a Israele conversione e perdono dei peccati (v. 31) - nel testo greco il termine è metanoia - ha dato penitenza e perdono dei peccati. Questa per me è un'osservazione molto importante: la penitenza è una grazia. C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia; è una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato, è una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere. Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura. Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina. E così queste due cose che dice san Pietro - penitenza e perdono - corrispondono all'inizio della predicazione di Gesù: metanoeite, cioè convertitevi (cfr. Mc 1, 15). Quindi questo è il punto fondamentale: la metanoia non è una cosa privata, che parrebbe sostituita dalla grazia, ma la metanoia è l'arrivo della grazia che ci trasforma.
E infine una parola del Vangelo, dove ci viene detto che chi crede avrà la vita eterna (cfr. Gv 3, 36). Nella fede, in questo "trasformarsi" che la penitenza dona, in questa conversione, in questa nuova strada del vivere, arriviamo alla vita, alla vera vita. E qui mi vengono in mente due altri testi. Nella "Preghiera sacerdotale" il Signore dice: questa è la vita, conoscere te e il tuo consacrato (cfr. Gv 17, 3). Conoscere l'essenziale, conoscere la Persona decisiva, conoscere Dio e il suo Inviato è vita, vita e conoscenza, conoscenza di realtà che sono la vita. E l'altro testo è la risposta del Signore ai Sadducei circa la Risurrezione, dove, dai libri di Mosè, il Signore prova il fatto della Risurrezione dicendo: Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (cfr. Mt 22, 31-32; Mc 12, 26-27; Lc 20, 37-38). Dio non è Dio dei morti. Se Dio è Dio di questi, sono vivi. Chi è scritto nel nome di Dio partecipa alla vita di Dio, vive. E così credere è essere iscritti nel nome di Dio. E così siamo vivi. Chi appartiene al nome di Dio non è un morto, appartiene al Dio vivente. In questo senso dovremmo capire il dinamismo della fede, che è un iscrivere il nostro nome nel nome di Dio e così un entrare nella vita.
Preghiamo il Signore perché questo succeda e realmente, con la nostra vita, conosciamo Dio, perché il nostro nome entri nel nome di Dio e la nostra esistenza diventi vera vita: vita eterna, amore e verità.

mercoledì 14 aprile 2010

Deformate le parole del Cardinal Bertone su omosessualità e pedofilia




Intervista a Massimo Introvigne

di Jesús Colina

PAMPLONA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il prof. Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), afferma che il Cardinale Tarcisio Bertone è stato vittima di una aggressione basata sulla disinformazione circa quanto da lui realmente dichiarato in merito al legame tra casi di abuso sessuale da parte di sacerdoti e omosessualità.

Da Pamplona, dove partecipa in questi giorni al XXXI Simposio di Teologia dell'Univesità di Navarra, il sociologo ha risposto alle domande di ZENIT, nel mezzo della tempesta di attacchi che si è abbattuta sul Segretario di Stato di Benedetto XVI, in seguito ad alcuni lanci d'agenzia che riprendevano una conferenza stampa da lui concessa questo lunedì a Santiago del Cile.

Rispondendo a un giornalista, il Cardinal Bertone ha fatto semplicemente riferimento agli studi realizzati sui casi di quei sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali e dai quali emerge che per lo più sono stati commessi su ragazzi che hanno passato la pubertà. Quali sono le cifre?

Massimo Introvigne: Credo che sia doveroso esprimere solidarietà al Cardinale Bertone, vittima di un'aggressione indegna e anche francamente maleducata. Nel quadro di un'intervista, che non è un saggio scientifico, il Cardinale ha semplicemente fatto allusione a un dato ovvio, che tutti gli addetti ai lavori conoscono. Secondo il rapporto del 2004 del John Jay College di New York, lo studio più autorevole che esista sul tema, negli Stati Uniti l'81% delle accuse di abusi su minori rivolte a sacerdoti riguardano i ragazzini e non le ragazzine. Parliamo di maschi che abusano di altri maschi. Anche in Irlanda gli abusi di sacerdoti su ragazzi sono circa il doppio di quelli su ragazze. Questi sono numeri, che come tali non dovrebbero offendere nessuno e a cui non va fatto dire più - ma neanche meno - di quanto dicono.

Ma non si può dire che gli omosessuali siano pedofili!

Massimo Introvigne: Certamente nessuno ha mai sostenuto che tutti i preti con tendenze omosessuali abusano di minori. Questa sarebbe un'accusa del tutto ingiusta. Che la maggior parte dei preti che abusano di minori, però, abusino di minori dello stesso sesso invece è un fatto.

Come sono state deformate le parole del Cardinal Bertone?

Massimo Introvigne: Certamente il Cardinal Bertone non voleva intervenire sulla qualificazione medica di questi comportamenti: efebofilia, omofilia, pedofilia... Coloro che lo criticano qualche volta però scambiano un'intervista per un trattato di medicina, e semplicemente vorrebbero vietare di citare dati statistici che considerano non politicamente corretti. E questa è una forma di censura inaccettabile, talora travestita da scienza.

Benedetto XVI ha stabilito invece un rapporto chiaro nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d'Irlanda, (19 marzo 2010) tra questi casi e la perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti che si è sviluppato all'interno della Chiesa stessa successivamente al Concilio Vaticano II. Vede qui un rapporto diretto?

Massimo Introvigne: Come opinione personale ritengo anche che una certa tolleranza in alcuni seminari cattolici - sia chiaro: non in tutti - di una subcultura omosessuale negli anni 1970 sia stata una parte non secondaria di quella confusione morale e contestazione teorica e pratica del magistero morale della Chiesa che il Papa denuncia nella lettera sull'Irlanda. Questa confusione dottrinale e pratica ha creato il terreno su cui talora è potuta crescere anche la mala pianta della tolleranza per gli abusi. Certo, questa non è stata l'unica causa della crisi ma è parte di un problema più generale. Giustamente quindi la Chiesa ha preso misure che affrontano questo problema. Non dovrebbe essere una novità per nessuno il fatto che la Chiesa - fermo il rispetto delle persone omosessuali in quanto persone - considera gli atti omosessuali come sempre oggettivamente disordinati. E se li considera tali nella società in genere, tanto più non li può tollerare nei noviziati e nei seminari.

Qual è la ragione di attacchi così duri ma anche ingiusti contro il Cardinale Bertone, il Papa e la Chiesa?

Massimo Introvigne: Ormai è sotto gli occhi di tutti l'azione di una lobby gay che vuole trarre pretesto dalla questione dei preti pedofili per imbavagliare la Chiesa, impedirle di riproporre la sua dottrina sul carattere oggettivamente disordinato dell'atto omosessuale e soprattutto ostacolare l'azione molto efficace che i cattolici hanno dispiegato, per esempio in Italia con il Family Day, per bloccare ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali da parte degli Stati. Il modo giusto di rispondere alla prepotenza delle lobby è non arretrare mai. Anzi, la dottrina della Chiesa sull'omosessualità va riproposta e spiegata con pacatezza in ogni sede, “opportune et importune”. Questa dottrina va pure mostrata nel suo fondamento di ragione e non solo di fede, così che s'impone nella sua ragionevolezza anche ai non credenti e chiedere agli Stati di tenerne conto non costituisce un'ingerenza della Chiesa ma un servizio al bene comune. E i laici cattolici, specie quelli impegnati in politica, devono alzare la voce contro ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali. E contro gesti provocatori come il matrimonio simbolico fra due lesbiche "celebrato" il mese scorso dal sindaco di Torino.

martedì 13 aprile 2010

Pedofilia, la Chiesa è ancora più trasparente


ALLA LUCE DEL SOLE

La Santa Sede conferma la linea della trasparenza sulla pedofilia nella Chiesa, un "cammino tumultuoso" intrapreso tuttavia nella linea del "dialogo": lo ha detto il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, rispondendo alla domanda di un giornalista che chiedeva se il Vaticano non si sentisse in questi giorni "sotto assedio".

"Io no - ha risposto il gesuita - e non ho espresso questo atteggiamento", rispondendo "con tre note scritte" agli interrogativi sollevati dai media destinate proprio a "far ragionare e capire la linea adottata contro gli abusi". Padre Lombardi ha poi aggiunto, rispondendo a un'altra domanda, che la pubblicazione delle linee-guida sulle procedure attuate contro i preti pedofili, non sono una novità ma
disposizioni diramate fin dal 2003, non va intesa come una spiegazione tardiva, ma come un gesto di "chiarimento". "Un giornalista mi ha chiesto come funzionavano i processi e abbiamo pensato fosse uno strumento utile per tutti", ha detto. È stato quindi il segno di "un normale procedere tra domande e risposte finalizzato a capire meglio una situazione confusa, in cui c'è un grande accumulo di domande".

Lo stesso spirito - ha proseguito - aveva ispirato la pubblicazione dell'intervista al promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della fede, mons. Charles J. Scicluna. Una "linea adeguata all'intento di trasparenza", lungo un "cammino tumultuoso" ma anche di dialogo.

LA CHIESA E' ANCORA PIU' TRASPARENTE

Gianni Cardinale
Nel segno della trasparenza la Santa Sede ha messo ieri in rete sul proprio sito una Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) riguardo le accuse di abusi sessuali. Il testo, scritto per i non specialisti – giornalisti compresi – è stato pubblicato in inglese, mentre L’Osservatore Romano ne ha offerto una traduzione in italiano. La Guida non presenta novità normative, ma ribadisce quali sono le procedure in atto derivate dal motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 2001, letto alla luce del Codice di diritto canonico, e di alcune facoltà speciali concesse alla Cdf da Giovanni Paolo II e ribadite da Benedetto XVI.

Per quanto riguarda le "Procedure preliminari", la Guida prevede che «la diocesi indaga su qualsiasi sospetto di abusi sessuali da parte di un religioso nei riguardi di un minore». E che «qualora il sospetto abbia verosimiglianza con la verità, il caso viene deferito alla Cdf». «Va sempre dato seguito – ribadisce la Guida – alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte». Il che vuol dire che non c’è nessun impedimento alla denuncia, ma pure che la Santa Sede chiede di «rispettare la legge» se impone la denuncia. Mentre laddove, come in Italia, non vige questo obbigo sono incoraggiat, – come aveva spiegato, monsignor Charles J. Scicluna, il "pm" dell’ex Sant’Uffizio su queste colonne – «a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti» che hanno abusato di loro.

La Guida puntualizza inoltre che, durante questa fase preliminare e fino a quando il caso sia concluso, «il vescovo può imporre misure precauzionali per la salvaguardia della comunità, comprese le vittime». Infatti «al vescovo locale è sempre conferito il potere di tutelare i bambini limitando le attività di qualsiasi sacerdote nella sua diocesi». E questo potere – si ribadisce – rientra nell’«autorità ordinaria» del vescovo, che «è sollecitato a esercitare qualsiasi misura necessaria per garantire che i bambini non ricevano danno», e «può essere esercitato a discrezione del vescovo prima, durante e dopo qualsiasi procedimento canonico». Questo è un punto molto importante perché spiega che, oggi come ieri, la responsabilità del controllo dell’attivita dei preti accusati di abusi spetta ai vescovi locali e non alla Cdf.

Detto ciò, la Guida ricorda poi che nel procedere contro i sacerdoti accusati di abusi sessuali con minorenni la Cdf segue diverse opzioni.
L’ex Sant’Uffizio può infatti procedere con un processo penale che può essere giudiziario (davanti a un Tribunale ecclesiale locale) oppure amministrativo (più rapido, davanti a un delegato del vescovo locale, assistito da due assessori). «Qualora – spiega la Guida – il sacerdote venga giudicato colpevole, i due procedimenti – giudiziario e amministrativo penale – possono condannarlo a un certo numero di pene canoniche, la più seria delle quali è la dimissione dallo stato clericale». «Anche la questione dei danni subiti – aggiunge – può essere trattata direttamente durante queste procedure». L’opzione "processuale", aveva rivelato monsignor Scicluna, riguarda grosso modo il 20% dei circa tremila casi affrontati nella Cdf dal 2001 al 2010 e riferiti a delitti compiuti negli ultimi cinquant’anni.

Una diversa possibilità è quella di riferire direttamente al Papa. Questo avviene «in casi particolarmente gravi, in cui processi civili criminali abbiano ritenuto colpevole di abusi sessuali su minori un religioso, o in cui le prove siano schiaccianti». Allora avviene che la Cdf «può scegliere di portare questo caso direttamente al Santo Padre con la richiesta che il Papa emetta un decreto di dimissione dallo stato clericale "ex officio"». «La Cdf – aggiunge la Guida – porta al Santo Padre anche richieste di sacerdoti accusati che, consapevoli dei crimini commessi, chiedano di essere dispensati dagli obblighi del sacerdozio e chiedano di tornare allo stato laicale». Questa opzione riguarda un altro 20% dei citati tremila casi affrontati nell’ultimo decennio.
Un’ultima opzione riguarda «quei casi in cui il sacerdote accusato abbia ammesso i propri crimini e abbia accettato di vivere una vita di preghiera e penitenza». In questo caso «la Cdf autorizza il vescovo locale a emettere un decreto che proibisce o limita il ministero pubblico di tale sacerdote». «Tali decreti – si precisa – sono imposti tramite un precetto penale che comprende una pena canonica per la violazione delle condizioni del decreto, non esclusa la dimissione dallo stato clericale». Quest’ultima opzione riguarda soprattutto sacerdoti accusati dall’età avanzata e copre quindi la maggioranza (60%) dei casi affrontati.

Il documento infine rivela la Cdf ha in corso una revisione di alcuni articoli del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, che, comunque «non cambieranno» le procedure illustrate. È presumibile che verrà codificata la prassi di allungare i termini di prescrizione che il motu proprio del 2001 limita a dieci anni dal compimento di 18 anni da parte della vittima.
12 Aprile 2010
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sabato 10 aprile 2010

Domenica 11 Aprile 2010 - FESTA DELLA DIVINA MISERICORDIA


La grandezza di questa festa è dimostrata dalle promesse:

- "In quel giorno, chi si accosterà alla sorgente della vita questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene" (Q. I, p. 132) - ha detto Gesù. Una particolare grazia è legata alla Comunione ricevuta quel giorno in modo degno: "la remissione totale delle colpe e castighi". Questa grazia - spiega don I. Rozycki - "è qualcosa di decisamente più grande che la indulgenza plenaria. Quest'ultima consiste infatti solo nel rimettere le pene temporali, meritate per i peccati commessi (...). E' essenzialmente più grande anche delle grazie dei sei sacramenti, tranne il sacramento del battesimo, poiché‚ la remissione delle colpe e dei castighi è solo una grazia sacramentale del santo battesimo. Invece nelle promesse riportate Cristo ha legato la remissione dei peccati e dei castighi con la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia, ossia da questo punto di vista l'ha innalzata al rango di "secondo battesimo". E' chiaro che la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia deve essere non solo degna, ma anche adempiere alle fondamentali esigenze della devozione alla Divina Misericordia" (R., p. 25). La comunione deve essere ricevuta il giorno della festa della Misericordia, invece la confessione - come dice don I. Rozycki - può essere fatta prima (anche qualche giorno). L'importante è non avere alcun peccato.

Gesù non ha limitato la sua generosità solo a questa, anche se eccezionale, grazia. Infatti ha detto che "riverserà tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia misericordia", poiché‚ "in quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine.

Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto" (Q. II, p. 267).

Don I. Rozycki scrive che una incomparabile grandezza delle grazie legate a questa festa si manifesta in tre modi:

- tutte le persone, anche quelle che prima non nutrivano devozione alla Divina Misericordia e persino i peccatori che solo quel giorno si convertissero, possono partecipare alle grazie che Gesù ha preparato per la festa;

- Gesù vuole in quel giorno regalare agli uomini non solo le grazie salvificanti, ma anche benefici terreni - sia alle singole persone sia ad intere comunità;

- tutte le grazie e benefici sono in quel giorno accessibili per tutti, a patto che siano chieste con grande fiducia (R., p. 25-26).

Questa grande ricchezza di grazie e benefici non è stata da Cristo legata ad alcuna altra forma di devozione alla Divina Misericordia.

Numerosi sono stati gli sforzi di don M. Sopocko affinché‚ questa festa fosse istituita nella Chiesa. Egli non ne ha vissuto però l'introduzione. Dieci anni dopo la sua morte, il card. Franciszek Macharski con la Lettera Pastorale per la Quaresima (1985) ha introdotto la festa nella diocesi di Cracovia e seguendo il suo esempio, negli anni successivi, lo hanno fatto i vescovi di altre diocesi in Polonia.

Il culto della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua nel santuario di Cracovia - Lagiewniki era già presente nel 1944. La partecipazione alle funzioni era così numerosa che la Congregazione ha ottenuto l'indulgenza plenaria, concessa nel 1951 per sette anni dal card. Adam Sapieha. Dalle pagine del Diario sappiamo che suor Faustina fu la prima a celebrare individualmente questa festa, con il permesso del confessore.


Si annettono Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore
della Divina Misericordia


«La tua misericordia, o Dio, non conosce limiti e infinito è il tesoro della tua bontà...» (Orazione dopo l'Inno "Te Deum") e «O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono...» (Orazione della Domenica XXVI del Tempo Ordinario), umilmente e fedelmente canta la Santa Madre Chiesa. Infatti l'immensa condiscendenza di Dio, sia verso il genere umano nel suo insieme sia verso ogni singolo uomo, splende in modo speciale quando dallo stesso Dio onnipotente sono rimessi peccati e difetti morali e i colpevoli sono paternamente riammessi alla sua amicizia, che meritatamente avevano perduta.

I fedeli con intimo affetto dell'animo sono da ciò attratti a commemorare i misteri del perdono divino ed a celebrarli piamente, e comprendono chiaramente la somma convenienza, anzi la doverosità che il Popolo di Dio lodi con particolari formule di preghiera la Divina Misericordia e, al tempo stesso, adempiute con animo grato le opere richieste e soddisfatte le dovute condizioni, ottenga vantaggi spirituali derivanti dal Tesoro della Chiesa. «Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione ed attuazione della misericordia, che è capace di giustificare l'uomo, di ristabilire la giustizia nel senso di quell'ordine salvifico che Dio dal principio aveva voluto nell'uomo e mediante l'uomo, nel mondo» (Lett. enc. Dives in Misericordia, 7).

Invero la Misericordia Divina sa perdonare anche i peccati più gravi, ma nel farlo muove i fedeli a concepire un dolore soprannaturale, non meramente psicologico, dei propri peccati, così che, sempre con l'aiuto della grazia divina, formulino un fermo proposito di non peccare più. Tali disposizioni dell'animo conseguono effettivamente il perdono dei peccati mortali quando il fedele riceve fruttuosamente il sacramento della Penitenza o si pente dei medesimi mediante un atto di perfetta carità e di perfetto dolore, col proposito di accostarsi quanto prima allo stesso sacramento della Penitenza: infatti Nostro Signore Gesù Cristo nella parabola del figliuol prodigo ci insegna che il peccatore deve confessare la sua miseria a Dio dicendo: «Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio» (Lc 15, 18-19), avvertendo che questo è opera di Dio: «era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15; 32).

Perciò con provvida sensibilità pastorale il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, per imprimere profondamente nell'animo dei fedeli questi precetti ed insegnamenti della fede cristiana, mosso dalla dolce considerazione del Padre delle Misericordie, ha voluto che la seconda Domenica di Pasqua fosse dedicata a ricordare con speciale devozione questi doni della grazia, attribuendo a tale Domenica la denominazione di "Domenica della Divina Misericordia" (Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Decr. Misericors et miserator, 5 Maggio 2000).

Il Vangelo della seconda Domenica di Pasqua narra le cose mirabili compiute da Cristo Signore il giorno stesso della Risurrezione nella prima apparizione pubblica: «La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'.

Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi'. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi'» (Gv 20, 19-23).

Per far sì che i fedeli vivano con intensa pietà questa celebrazione, lo stesso Sommo Pontefice ha stabilito che la predetta Domenica sia arricchita dell'Indulgenza Plenaria, come più sotto sarà indicato, affinché i fedeli possano ricevere più largamente il dono della consolazione dello Spirito Santo e così alimentare una crescente carità verso Dio e verso il prossimo, e, ottenuto essi stessi il perdono di Dio, siano a loro volta indotti a perdonare prontamente i fratelli.

Così i fedeli osserveranno più perfettamente lo spirito del Vangelo, accogliendo in sé il rinnovamento illustrato e introdotto dal Concilio Ecumenico Vaticano II: «I cristiani, ricordando le parole del Signore: 'da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri' (Gv 13, 35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con sempre maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo... Il Padre vuole che noi riconosciamo ed efficacemente amiamo in tutti gli uomini Cristo fratello, tanto con la parola che con l'azione» (Cost. past. Gaudium et spes, 93).

Il Sommo Pontefice pertanto, animato da ardente desiderio di favorire al massimo nel popolo cristiano questi sensi di pietà verso la Divina Misericordia, a motivo dei ricchissimi frutti spirituali che da ciò si possono sperare, nell'Udienza concessa il giorno 13 giugno 2002 ai sottoscritti Responsabili della Penitenzieria Apostolica, Si è degnato di largire Indulgenze nei termini che seguono:

Si concede l'Indulgenza plenaria alle consuete condizioni (Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo l'intenzione del Sommo Pontefice) al fedele che nella Domenica seconda di Pasqua, ovvero della "Divina Misericordia", in qualunque chiesa o oratorio, con l'animo totalmente distaccato dall'affetto verso qualunque peccato, anche veniale, partecipi a pratiche di pietà svolte in onore della Divina Misericordia, o almeno reciti, alla presenza del SS.mo Sacramento dell'Eucaristia, pubblicamente esposto o custodito nel tabernacolo, il Padre Nostro e il Credo, con l'aggiunta di una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (p.e. «Gesù Misericordioso, confido in Te»).

Si concede l'Indulgenza parziale al fedele che, almeno con cuore contrito, elevi al Signore Gesù Misericordioso una delle pie invocazioni legittimamente approvate.

Inoltre i naviganti, che compiono il loro dovere nell'immensa distesa del mare; gli innumerevoli fratelli, che i disastri della guerra, le vicende politiche, l'inclemenza dei luoghi ed altre cause del genere, hanno allontanato dal suolo patrio; gli infermi e coloro che li assistono e tutti coloro che per giusta causa non possono abbandonare la casa o svolgono un'attività non differibile a vantaggio della comunità, potranno conseguire l'Indulgenza plenaria nella Domenica della Divina Misericordia, se con totale detestazione di qualunque peccato, come è stato detto sopra, e con l'intenzione di osservare, non appena sarà possibile, le tre consuete condizioni, reciteranno, di fronte ad una pia immagine di Nostro Signore Gesù Misericordioso, il Padre Nostro e il Credo, aggiungendo una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (p.e. «Gesù Misericordioso, confido in Te»).

Se neanche questo si potesse fare, in quel medesimo giorno potranno ottenere l'Indulgenza plenaria quanti si uniranno con l'intenzione dell'animo a coloro che praticano nel modo ordinario l'opera prescritta per l'Indulgenza e offriranno a Dio Misericordioso una preghiera e insieme le sofferenze delle loro infermità e gli incomodi della propria vita, avendo anch'essi il proposito di adempiere non appena possibile le tre condizioni prescritte per l'acquisto dell'Indulgenza plenaria.

I sacerdoti, che svolgono il ministero pastorale, soprattutto i parroci, informino nel modo più conveniente i loro fedeli di questa salutare disposizione della Chiesa, si prestino con animo pronto e generoso ad ascoltare le loro confessioni, e nella Domenica della Divina Misericordia, dopo la celebrazione della Santa Messa o dei Vespri, o durante un pio esercizio in onore della Divina Misericordia, guidino, con la dignità propria del rito, la recita delle preghiere qui sopra indicate; infine, essendo «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7), nell'impartire la catechesi spingano soavemente i fedeli a praticare con ogni possibile frequenza opere di carità o di misericordia, seguendo l'esempio e il mandato di Cristo Gesù, come è indicato nella seconda concessione generale dell'"Enchiridion Indulgentiarum".

Il presente Decreto ha vigore perpetuo. Nonostante qualunque contraria disposizione.

Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 29 giugno 2002, nella solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo 2002.

LUIGI DE MAGISTRIS
Arcivescovo tit. di Nova
Pro-Penitenziere Maggiore

GIANFRANCO GIROTTI,
O.F.M. Conv.
Reggente

Urgenza pastorale


Fonte: il Foglio, 13 marzo 2010
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro


Grazie a Dio, ci sono ancora parroci che, quando li si cerca, si trovano in chiesa, magari in ginocchio davanti al Santissimo oppure a confessare. Sono quei parroci che celebrano la Messa con devozione, consci di offrire sull’altare, a soddisfazione del Padre e per il bene dei fedeli, il sacrificio del Figlio. Sono quei parroci consapevoli del fatto che anche il più indegno dei sacerdoti può compiere ciò che nemmeno centomila battezzati integerrimi possono fare: perdonare un peccato mortale e trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Sono quei parroci che, durante l’Anno sacerdotale voluto da Papa Benedetto XVI, non li si è visti per qualche giorno tra canonica, sacrestia e chiesa perché sono andati in pellegrinaggio ad Ars, dipartimento dell’Ain, Francia, 45° e 58’ di latitudine nord, 4° e 49’ di longitudine est e hanno fatto delle coordinate del villaggio a suo tempo affidato al Santo Curato la croce che segna il cuore del loro sacerdozio.
Ma quanti sono?
Il parroco moderno, di solito, si presenta sotto altre spoglie. E’ iperattivo e impegnato altrove. In tipografia per il bollettino parrocchiale, sul cantiere del nuovo oratorio, a controllare le attività della Caritas, a discutere con l’assessore ai Servizi sociali, a passare le carte dell’ennesimo piano pastorale partorito dall’ennesimo ufficio diocesano, a barcamenarsi nelle discussioni del consiglio pastorale. Altrove. Non di rado una vittima del sistema, spesso è anche un onest’uomo. Ma noi fedeli non possiamo accontentarci di parroci che siano solo onest’uomini.

L’abate Giovanni Battista Chautard in un aureo libretto intitolato “L’anima di ogni apostolato” diceva impietosamente:
“A sacerdote santo, si dice, corrisponde un popolo fervente; a sacerdote fervente un popolo pio; a sacerdote pio un popolo onesto; a sacerdote onesto un popolo empio”.

Anche i più inguaribili ottimisti devono riconoscere che la crisi pluridecennale in cui si dibatte il cattolicesimo è essenzialmente una crisi del sacerdozio e dei sacerdoti. Un dramma in tre atti. Il primo, andato in scena negli anni successivi al Concilio, è stato accompagnato da clamorosi fenomeni di contestazione e da una imponente emorragia di preti che hanno abbandonato la tonaca. Nel secondo, gli abbandoni sono diminuiti e i fenomeni di dissenso sono andati scemando, lasciando il posto a una diffusa visione burocratica del ruolo del sacerdote, fedele esecutore della linea dettata dal vescovo e insensibile, quando non addirittura refrattario, alla volontà del Papa. Si è così affermata una figura di parroco conservatore nella sua fedeltà incrollabile alla teologia moderna e allo “spirito del Concilio”, ma, proprio per questo, progressista nella sua aperta dissonanza dal magistero e dalla tradizione. Il terzo atto è appena cominciato ed è caratterizzato dall’inesorabile declino numerico dei sacerdoti nella vecchia Europa, cui corrisponde un tremendo “che fare?”.

Molti sostengono che la mancanza di vocazioni sia un fatto che deve essere accettato senza tentare alcuna contromisura. Anzi, dicono, siccome è Dio che manda operai nella vigna, è Lui stesso che decide di rallentare o addirittura estinguere il flusso delle vocazioni. Ragion per cui saremmo di fronte a uno di quei famosi “segni dei tempi” che esigono di “pensare” una chiesa diversa da quella che abbiamo fin qui conosciuto. Tradotto in parole più semplici, bisogna prepararsi a una chiesa senza sacerdoti.
Ma chi nella storia aveva pensato a costruire una chiesa senza preti? Martin Lutero.
L’ombra della protestantizzazione si allunga su non poche diocesi sotto le mentite spoglie dell’emergenza vocazionale. Ecco così fiorire l’idea di parrocchie in cui i laici impegnati, quasi sempre donne, rimpiazzino il prete nelle sue funzioni. Ed ecco attuarsi, come ad esempio nella diocesi di Milano, un complesso piano di accorpamento delle parrocchie sotto il cappello delle comunità pastorali, con la regia di sacerdoti-funzionari di mezza età. Una riforma che in questi mesi sta mettendo tutti d’accordo, nel senso che laici e sacerdoti non ne possono più.

Quello milanese è un laboratorio tanto pericoloso quanto interessante. Chiunque vi si applichi può osservare da vicino il rischio di sgomberare il campo dalla vecchia figura del parroco, che nel diritto canonico ha una sua potestas molto robusta, per sostituirlo con dei preti che appaiono più simili a dei burocrati diocesani. I danni pastorali di una simile impostazione sono evidenti. Il prete che non risiede stabilmente in una comunità non riesce a essere un punto di riferimento per i fedeli.
E, soprattutto, non diventa un modello, anche sul piano antropologico, per i ragazzi e i giovani che sempre meno avranno voglia di diventare come lui e verificare se hanno la vocazione al sacerdozio. Non a caso, nella terra di Ambrogio, si stanno affidando alcuni oratori a degli “animatori” stipendiati. Non a caso, nella diocesi che fu di San Carlo, un parroco può spiegare ai fedeli attoniti che “la domenica, invece di prendere la macchina e andare a Messa in una chiesa vicina, potete riunirvi e leggere insieme il Vangelo”. Il progetto sembra evidente. Siccome ci sono meno preti, si fanno fare più cose ai laici, con la conseguenza che ci saranno sempre meno preti e sempre più laici, finché il sistema progettato per funzionare perfettamente senza preti arriverà a pieno regime. Come sarebbe piaciuto a Lutero.

Ma questo ragionamento, viziato da una conclusione precofenzionata, risulta di conseguenza viziato anche in origine. E’ proprio vero che non esistono vocazioni? Oppure le si va a cercare dove non ci sono? A riprova di questa idea, sta il fatto che, mentre i seminari diocesani si svuotano, molte famiglie religiose di recente fondazione e fortemente incentrate sul sacerdozio cattolico hanno i loro seminari, anche minori, stracolmi. Forse, a voler leggere i “segni dei tempi”, si impara qualcosa dallo svuotarsi dei seminari diocesani. Innanzi tutto che sono un problema. Nessuno sa dire con certezza quale siano gli standard dottrinali comuni ai luoghi in cui si devono vagliare e far crescere le vocazioni.
C’è però un’aneddotica inquietante che racconta di seminaristi costretti a recitare il rosario di nascosto, a non rimanere inginocchiati durante la Messa, a farsi mandare a casa propria riviste di apologetica come Il Timone, ad ascoltare clandestinamente Radio Maria. Per le misteriose vie della Provvidenza, nonostante un simile apparato deformante, ci sono ancora buoni preti cattolici che oggi si affacciano, giovani e freschi di ordinazione, alla loro missione apostolica.
Ma sono fiori nel deserto, perché la crisi è ben più drammatica di quanto si voglia dire.

E' sufficiente una ricognizione della prassi liturgica invalsa in questi anni per rendersene conto. Le Messe domenicali offrono esempi a non finire. Dal prete che, al momento della comunione, si fa da parte e va a dirigere i canti mentre i ministri straordinari dell’eucaristia svolgono ordinariamente ciò che non toccherebbe loro, a quello che alla Messa per la Prima Comunione invita i bambini a recitare la formula di consacrazione assieme a lui, a quello che fa tenere l’omelia alla catechista. E’ il sacerdozio universale, bellezza. Una deriva ormai lontana mille miglia da quanto la Chiesa cattolica ha sempre insegnato. San Tommaso d’Aquino spiega benissimo che il sacerdozio dei fedeli consiste nel “ricevere” da Dio, mentre il sacerdozio ordinato consiste nell’“offrire” a Dio. Ma, una volta oscurato nella teologia l’aspetto sacrificale della Messa, il sacerdote ordinato finisce per essere come un comune fedele.

E’ doloroso portarne le prove, ma non si può raccontare la progressiva scomparsa dei parroci nascondendone i segni. E’ capitato per esempio che, venute a scarseggiare le ostie consacrate per la comunione in una chiesa di un’importante città lombarda, si sia corsi in fretta e furia a prendere delle particole in sacrestia e le si sia mischiate alle altre, quasi che la consacrazione possa avvenire per semplice contatto.
Qui è in gioco il cuore della fede cattolica. Qui ci si balocca con il dogma della presenza reale di corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo nell’ostia consacrata a opera del sacerdote.

Sarà brutale, ma senza presenza reale non c’è sacerdozio. Senza la certezza che nell’ostia c’è tutto Gesù Cristo, senza riverenza per quel pane bianco e immacolato, senza sacro timore al cospetto di tanta grandezza, senza dolcezza al cospetto del manifestarsi della Grazia pallida e pura, il sacerdote può solo farsi da parte.
Quando si arriva a questo, si comprende che il vecchio parroco, quello che anche tanti atei ricordano con un certo rispetto o persino un certo affetto, quello che magari metteva soggezione ma era capace di dire la parola giusta al momento giusto, quello che induceva a guardare in Cielo quando si rischiava di affezionarsi troppo alla terra, quel parroco non c’è più.

Non poteva andare diversamente viste le premesse. Quando il 24 ottobre 1967, davanti al Sinodo dei vescovi, si tenne nella Cappella Sistina una celebrazione sperimentale della Messa prodotta dalla riforma postconciliare, l’impressione più diffusa venne riassunta benissimo dai molti che definirono il rito “freddo come una cena luterana”. Col risultato che più della metà dei padri sinodali votò contro o, quanto meno, chiese modifiche sostanziali. Monsignor Annibale Bugnini, artefice della riforma, accusò il colpo, ma non arretrò, anzi. Nel suo libro “La riforma liturgica” spiega quanto inadeguati fossero quei vescovi che non avevano gradito il suo lavoro. In particolare, riserva parole poco benevole per quelli “assillati dal dogma della presenza reale” che, poveri ruderi medievali, “avevano visto con preoccupazione qualche riduzione nei gesti e nelle genuflessioni, l’allungarsi della liturgia della Parola”.

Proprio così, tra i vescovi di santa romana chiesa ce n’erano ancora molti con la fissa della presenza reale di Nostro Signore nell’eucaristia. Levata quella fissa, oggi, in gran parte dei seminari, è considerato chiaro segno di non-vocazione rimanere inginocchiati per il ringraziamento dopo la comunione. Ma se un sacerdote non insegna ai suoi parrocchiani la reverenza per Dio che cos’altro può fare? Se non vuol rimanere con le mani in mano, ecco che insegnerà la reverenza per qualcos’altro: per l’ambiente, per la pace, per i poveri, per le balene in via d’estinzione. Persino per il dio delle altre religioni: ma non per il proprio. Non è un caso se, nell’udienza generale del 1° luglio 2009, a proposito dell’anno sacerdotale, Papa Benedetto XVI ha detto:
Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l’impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società”.
Ma non è in un progetto umanitario che trova compimento la vocazione al sacerdozio.

Il sacerdote radica la sua identità nel primato della Grazia divina.
A fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro ed inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: ‘Il più piccolo dono della Grazia supera il bene naturale di tutto l’universo’”.

Nell’udienza precedente aveva inoltre spiegato che “in un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale la funzionalità diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale”. Perso di vista tutto questo, il destino del parroco è quello di essere uno fra i tanti. A far marciare le cose per bene in parrocchia ci pensa il popolo che, liberato da secoli di oppressione liturgica, può dare finalmente sfogo alla sua democratica creatività. Ma il popolo, quand’anche sia il “popolo di Dio”, una volta abbandonato a se stesso, al massimo riesce a mettere su la Festa dell’Unità, fosse pure la Festa dell’Unità dei cristiani.

E il prete, nella gran parte dei casi cresciuto nella stessa temperie, partecipa con entusiasmo. Poiché l’entusiasmo è l’unico criterio che oggi misura la riuscita di qualsiasi iniziativa ecclesiale, dalla celebrazione della Messa alla raccolta di carta per il Mato Grosso. Se una Messa non è partecipata entusiasticamente, se non è animata entusiasticamente pare quasi non sia valida. Così, ognuno ci mette del suo. C’è chi si affanna nella corsa al microfono per leggere chilometriche preghiere dei fedeli, chi compie gesti simbolici che danno un senso ulteriore alla Messa, chi sale alla ribalta per spiegare che cosa significhino quei gesti simbolici, chi dai gesti simbolici si sente edificato e chi, ma raramente, volta i tacchi dicendo: “Se me lo devi spiegare che razza di simbolo è?”.

Quanto sono lontane le Messe del Curato d’Ars. Quanto lontana la sua concezione del sacerdozio. Quanto lontano il suo essere parroco, responsabile davanti a Dio del destino eterno di ogni anima affidatagli.

“Tolto il sacramento dell’Ordine” diceva ai suoi parrocchiani il santo “noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire per il peccato, chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote”. E poi ancora sopraffatto dalla responsabilità di dare a Dio ciò che gli spetta anche per conto altrui: “E’ il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra. Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti, è lui che apre la porta, è lui l’economo del buon Dio, l’amministratore dei suoi beni. Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie”

venerdì 9 aprile 2010

Che il Tabernacolo torni al centro!

(fonte: Messainlatino)

La magnifica decisione di un Vescovo americano, motivata con profonde considerazioni teologiche ed anche pastorali (termine inteso nel senso giusto, non in quello cerebralmente inetto cui siamo avvezzi negli ultimi 40 anni). Non potrebbe ispirarvisi, con effetto universale, anche il Vescovo di Roma, e così obbligare a rimuovere dal centro delle chiese il cadregone del prete, emblema del più odioso clericalismo?


1 Aprile 2010, Giovedì Santo


Cari sacerdoti, diaconi, religiosi e fedeli della Diocesi di Peoria,

La Messa, naturalmente, è il nostro più importante atto di culto--la stessa fonte e il culmine di tutto quel che facciamo come Chiesa.
Una profonda venerazione per il la Riserva del Sacramento è anch’esso intrinsecamente legato alla liturgia dell'Eucaristia.
La Riserva Eucaristica pertanto deve essere trattato con il massimo rispetto possibile, perché in ogni momento al Santissimo Sacramento all'interno di quel tabernacolo, come nella liturgia eucaristica, va dato il culto chiamato latria, che è l'adorazione dovuta a Dio Onnipotente. Questo onore intenzionale è incomparabilmente maggiore alla riverenza che diamo ai sacramentali, alle immagini sacre, al fonte battesimale, agli Oli Santi, al cero pasquale. Il sacramento è conservato non solo in modo che l'Eucaristia possa essere portata ai moribondi e a quanti non possono assistere alla Messa, ma anche come cuore e centro della preghiera e devozione di una parrocchia.
C'è un tipo di atti rituali nella nostra tradizione cattolica con cui circondiamo il Tabernacolo. Come entriamo o usciamo dalla Chiesa, noi ci benediciamo con l'acqua benedetta, ci genuflettiamo verso il Tabernacolo, ci prepariamo per la Messa o rendiamo grazie dopo la Messa, coscienti della presenza del Santissimo Sacramento. Alle preghiere e devozioni, durante la Liturgia delle ore, in ogni preghiera privata che si svolge in una chiesa cattolica, preghiamo veramente davanti al Cristo risorto, sostanzialmente e realmente presente nel sacramento conservato nel Tabernacolo.
Queste convinzioni cattoliche essenziali e loro implicazioni architettoniche sono stati ribadite recentemente da molti vescovi degli Stati Uniti. Come vescovo di questa diocesi, sono anche convinto che dove mettiamo il Tabernacolo--e come diamo ritualmente riverenza alla Riserva del Sacramento --è tanto importante per la continua catechesi eucaristica, quanto la nostra predicazione e l'insegnamento. Con Gesù realmente presente nel Santissimo Sacramento al centro fisico dei nostri luoghi di culto, come può Egli non diventare più fermamente anche il centro della nostra vita spirituale?
Previa consultazione con il mio Consiglio Presbiterale, chiedo quindi che quelle poche chiese parrocchiali e cappelle dove il Tabernacolo non è al centro diretto in fondo al presbiterio, siano ridisegnate in modo tale che la Riserva Eucaristica sia sistemata al centro. In alcuni casi, questo cambiamento può essere facilmente effettuato, ma visti i problemi finanziari e di progettazione, progetti per la ricollocazione possono essere presentati all'ufficio del culto divino in qualsiasi momento nel corso dei prossimi cinque anni. Le comunità monastiche le cui cappelle sono aperte ai fedeli come oratori semi-pubblici possono richiedere anche una dispensa dal presente regolamento generale, secondo le norme della loro particolare tradizione liturgica. Ci possono essere anche alcune cappelle molto piccole, dove un cambiamento potrebbe essere impossibile. Tali richieste devono essere presentate per iscritto al mio ufficio.
Inoltre, vorrei ricordare a tutti nella nostra diocesi che durante la messa, in accordo con l'istruzione generale del Messale Romano, il Tabernacolo deve essere riverito solo all'inizio e alla fine della liturgia o quando il Sacramento viene tolto o riposto nel Tabernacolo. In tutti gli altri momenti e movimenti nella liturgia è l'Altare del Sacrificio che deve essere riverito.
È mia convinzione che la liturgia eucaristica e la devozione eucaristica non sono mai in concorrenza, ma piuttosto informano e rafforzano il nostro culto comune e riverenza. Possano tutti quanti nella nostra diocesi crescere in maggiore amore e apprezzamento del dono dell'Eucaristia.
Cordiali saluti in Cristo,
Daniel R. Jenky, C.S.C. Vescovo di Peoria
Fonte: The catholic post, via La buhardilla de Jeronimo

giovedì 8 aprile 2010

L'aborto ha fatto nel '900 più morti di Stalin ed Hitler



Hitler? Stalin? Mussolini? I tagliagola africani o talebani? I terremoti? La guerra mondiale? Hiroshima?No, cari amici: il vero sterminio dell'ultimo secolo non è stato firmato dai signori o dagli eventi sopracitati, ma dall'aborto reso legale. Dall'aborto che diventa un diritto della donna, non più un tragico epilogo (di una vita umana) da cercare in tutti i modi - a suon di carezze, certo - di fermare. I numeri usciti nei giorni scorsi sono terrificanti: con 2milioni 863mila 649 aborti praticati e censiti ogni anno in Europa (più di un milione e 200mila nella sola Ue), nel nostro continente l'aborto sta diventando la principale causa di morte. Più del cancro. Più dell'infarto. Più degli incidenti stradali (in 12 giorni viene soppresso un numero di embrioni, che io preferisco chiamare bambini, pari a quelli dei morti in incidenti stradali lungo l'intero anno).Volete ulteriore dati? In Europa si praticano 6.468 aborti al giorno, 327 ogni ora, 1 ogni 11 secondi. Quando avrete finito di leggere queste poche righe, almeno a tre bambini sarà stato impedito di nascere. Si dirà: ma l'aborto è sempre esistito. Certo. E sempre esisterà, temo. Ma il punto della questione è un altro: l'uomo moderno ha deciso di istituzionalizzarla l'interruzione di gravidanza. Hanno cominciato i regimi totalitari, poco alla volta ci siamo adeguati tutti. E allora, io non ce la faccio a non stupirmi e a non piangere di fronte a 3milioni di bambini che non facciamo nascere in Europa ogni anno. Morti ammazzati, posso dirlo? E attenti bene, non chiedo la testa degli 'assassini' (ci sono tante mamme, tanti uomini, che hanno solo bisogno di un aiuto, di misericordia). Chiedo solo di riflettere bene su quanto stiamo facendo.

Massimo Pandolfi (Fonte: il Resto del Carlino, 03/03/2010)






Per approfondire la storia dell'Aborto, vi invito a leggere questo sito: CENTRO SAN GIORGIO

"Una persona civile rispetta la meraviglia e il prodigio della vita, e non può tollerare il brutale omicidio di bambini senza colpa. Con ogni mezzo lecito è giusto continuare a ricordare e a mostrare ciò che l'edonismo borghese ha mascherato da conquista civile. Non si tratta di accusare le donne che magari in preda alla difficoltà, sole e abbandonate, o pressate da altre persone, commettono questa grave azione. Preghiamo per tutte le mamme in difficoltà, ma nessuna giustificazione può esistere per l'uccisione volontaria di una vita innocente... Riportiamo un documento molto interessante che riassume il percorso di inciviltà che ha portato le nazioni a legalizzare l'omicidio di Stato."

mercoledì 7 aprile 2010

Padre sono Ebreo.




"Padre, sono ebreo." Roberto Ackerman cominciò così una domanda a San Josemaría in una terulia a Caracas. Il Fondatore dell'Opus Dei non tardò a dimostrarci che il rispetto e l'amore contengono tutte le risposte alle domande degli uomini.

Gianpaolo Barra risponde a Marcello Pera


Scritto da Gianpaolo BARRA

Marcello Pera, Presidente emerito del Senato, non è un credente. Ammira il Cristianesimo, stima Papa Benedetto XVI, apprezza la storia della Chiesa e la fede che genera cultura e civiltà.
Ma tutto ciò non gli basta per spalancare mente e cuore a Cristo e farsi cristiano a pieno titolo.
È per questo che nel suo magistrale articolo pubblicato il 17 marzo scorso sul Corriere della Sera, nel quale riflette da par suo sul tentativo di infangare il Santo Padre coinvolgendolo nella vicenda dei preti pedofili, manca qualcosa. La più importante.
Andiamo con ordine.
Pera riconosce che è in corso una guerra «che ha come bersaglio il Papa». Scatenata brutalmente dal laicismo, mira a esiti devastanti: minare la Chiesa, la sua autorità morale, con essa la religione cristiana intera. Ma la disintegrazione della religione porterà, secondo Pera (e in ciò ha perfettamente ragione) alla distruzione della ragione, con ricadute catastrofiche sul piano etico e politico.
Sul piano etico, con il trionfo inarrestabile della cultura della morte; su quello politico con la fine dell’Europa, di cui il Cristianesimo è, nei fatti e nella storia, il solo comun denominatore.
Pera constata con amarezza l’incomprensione che tanti cattolici hanno di questo conflitto. Peggio: pare che alcuni vi partecipino stando addirittura dalla parte avversa a quella del Papa. Pera li descrive: teologi frustrati, vescovi incerti, cardinali in crisi di fede, intellettuali ubriacati da miscugli imbevibili di idee anticristiane, conferenze episcopali confuse.
Abbiamo riassunto, ovviamente, e nel breve spazio di un editoriale non v’è tempo per fare molti distinguo.
Ma nell’elenco delle conseguenze che la guerra anticristiana va conseguendo, ne manca una, la più drammatica. Che però è comprensibile soltanto da una prospettiva di fede. Quella che, purtroppo, manca a Pera.
Infatti, se dall’orizzonte della vita dei popoli viene a mancare il cristianesimo, il pericolo più grave che incombe sull’uomo riguarda il destino della sua vita eterna. Per la Chiesa, è questa la realtà più importante.
L’aveva ben capito il cardinale John Henry Newman, come ricorda il cardinale Caffarra nel dossier di questo numero, dedicato ai cinque anni di pontificato di Papa Benedetto XVI: «La Chiesa cattolica ritiene che sarebbe meglio che il sole e la luna cadessero dal cielo, che la terra venisse meno e che tutti i milioni di uomini che ci vivono morissero di fame… piuttosto che una sola anima, non dico vada perduta, ma commetta un solo peccato veniale». Perché? Perché con il peccato s’offende Dio e si rischia l’inferno.
Sì, si tolgano pure di mezzo la Chiesa e il Papa e sarà il dilagare inarrestabile del peccato. Allora vedranno – tutti, laicisti e non – che a pagarne le conseguenze sarà innanzitutto l’uomo. E non solo perché verrà sommerso dalla barbarie, etica e politica, ma perché rischierà la dannazione eterna.
Senza la Chiesa, i suoi preti, i suoi confessionali, l’Eucaristia, il peccato – già così abbondante – non troverà alcun argine.
Della barbarie etica e politica, l’uomo potrà avvertirne in tempo il pericolo, e porvi rimedio. Dell’inferno, se ne accorgerà al momento del giudizio divino.

Allora, sarà troppo tardi!

(fonte: IL TIMONE)