lunedì 30 marzo 2009

J'accuse...! Tutte le falsità del video della BBC e di Anno Zero



J'accuse...! Tutte le falsità del video della BBC e di Anno Zero

Certo che esistono preti capaci di abusi sessuali e pedofili. Certo che non dovevano prendere i voti. Ma da qui, a credere nella verità incontaminata del video firmato Bbc, ce ne passa. Ottanta docenti universitari che hanno visionato il documentario, hanno fatto notare una serie di falsità clamorose. A cominciare da quella che spaccia per documento segreto la lettera di Ratzinger, nella quale si fissava il regolamento di attuazione di una lettera apostolica di Giovanni Paolo II sui processi canonici. Quello che si definisce documento segreto, non soltanto era stato immediatamente pubblicato nel bollettino ufficiale del Vaticano, ma da allora continua ad essere consultabile sul sito della Santa Sede. Si afferma che l’ istruzione vaticana “Crimen sollicitationis” del 1962 commina la scomunica a chi denuncia preti colpevoli di abusi sessuali, mentre è esattamente il contrario: è scomunicato chi, essendo a conoscenza degli abusi non li denuncia. Si confondono diritto canonico e diritto penale, la segretezza del processo canonico con il segreto del delitto, che non sta scritto in nessuna riga. Si ritiene che la nuova istruzione di Ratzinger “De delictis gravioribus” del 2001, renda più difficile perseguitare i preti accusati di pedofilia mentre al contrario lo rende più facile, facendo slittare il termine di decorrenza della prescrizione decennale dal momento in cui la piccola vittima ha compiuto i 18 anni di età. Agli esperti, il documentario quando andò in onda, circa un anno fa, sembrò quasi uno scherzo. Quel disgustoso pedofilo ex prete, le cui immagini aprono e chiudono il documentario, non sta parlando con la Bbc. Sta registrando un video concordato con gli avvocati di una causa civile miliardaria, contro la chiesa, i quali in cambio non si sono opposti a che questo mostro ricominciasse a circolare liberamente dopo sette anni di carcere.

Ma tutto serve, pur di scatenare una morbosa e brutale caccia alle streghe cattoliche. Una campagna vergognosa in cui tutto diventa lecito, il diritto alla generalizzazione, alla diffamazione, all’insinuazione, al delirio morboso che trasforma fatti specifici in fenomeni diffusi e fuori controllo, adombra complicità ad alti livelli, punta in alto per attaccare la tradizione della chiesa fondata da Gesù Cristo.

Laicisti da strapazzo, che gli fa comodo dimenticare quanto per i cristiani tale genere di abuso è indubitabilmente peccato, e quanto per la loro morale laica è difficile fissare un confine che divida un amore ‘diverso’ da un’ offesa all’umanità.

Laicisti e creduloni, che in omaggio al dogma fanatico della cultura acritica secolarista, al culto morboso del “J’accuse!” imperante, adesso sono finalmenti pronti a inchiodare sulla croce un Papa incrocifiggibile.

(fonte: www.ilcannocchiale.it - foto da internet)

Affermazioni degli pseudo laicisti - ovvero bolle di sapone.


29/03/2009


Ecco l'intelligencija laica.



Pur essendoci di mezzo le vite di milioni di persone, le reazioni dei laicisti alle affermazioni del Papa sull'Aids dimostrano un rifiuto pregiudiziale di comprensione della realtà e l'incapacità di fare altro che assumere come bandiera un nastrino rosso e indossare come uniforme il preservativo.

Sembra che non sappiano vedere più in là dei propri organi sessuali, credendo che il problema dell'Aids risieda solo in quelle parti anatomiche e si possa vincere con un po' di lattice e un nastrino all'occhiello.

Scendono in campo, così attrezzati, pensatori del calibro di Stefano Rodotà, Luciana Littizzetto, Barbara Spinelli, il vignettista Vauro, il socio-politologo Ilvo Diamanti, il rocker (in italiano: rocchettaro) Piero Pelù, il giurista Michele Ainis, lo storico francese Marc Lazar e così via.

Rodotà scrive di «proclami intimidatori e veri e propri diktat» dei Vescovi (La Repubblica del 24 marzo); la Littizzetto si chiede (Che tempo che fa, Rai3, del 22) se, allora, il profilattico serva solo a insaccare il salame (sì, se il salame è chi lo usa); la Spinelli scrive di scomuniche, ma non ne conosce neppure l'abc (La Stampa del 22); Vauro su metà della prima pagina del Manifesto (del 24), fa indossare come copricapo il condom a Benedetto XVI; Diamanti solo perché «gli italiani gli disobbediscono» osserva che il Papa sbaglia (Repubblica, del 25); Pelù, si domanda: «E se andassimo tutti a San Pietro vestiti da preservativi?» (Liberazione, del 22), ma non arriva a immaginare per che cosa lui e gli altri come lui potrebbero essere scambiati dai presenti; Ainis (La Stampa, del 26) sentenzia di «potere di disporre del proprio corpo» (cosa proibita dai Codici civile e penale); infine Lazar (Repubblica, del 23), non essendosi accorto di niente, lamenta «gli strani silenzi [in Italia] sul Papa e i profilattici».

Gli faremo vincere il cornetto acustico d'oro. Non ho mai visto nessuno di questi signori " che di Aids scrivono, parlano, giudicano e mandano secondo che avvinghiano " sedersi accanto al letto di un malato di Aids a servirlo, ad ascoltarlo e ad amarlo quale Cristo sofferente, come, in Africa e ovunque, fanno i missionari cattolici: preti, suore e laici.

I PADRONI DEL CORPO

Quando si discute di nascita, morte, sessualità, i laicisti manifestano un materialismo avvilente. La parola che prevale è «corpo», quasi che manchino dell'idea di persona.

Giovedì 26, a proposito della legge sul "fine vita", su il Manifesto il fondo s'intitolava «I padroni del corpo», riferito a chi rifiuta l'eutanasia; su Repubblica Corrado Augias rivendicava il diritto di «disporre liberamente del proprio corpo» con il testamento biologico, mentre il tuttologo (in libertà provvisoria) Adriano Sofri precisava che «il Senato ha decretato un colossale sequestro di persona: 60 milioni di corpi in un solo colpo» (Bum!).

Logico che da questa cultura sia «laicamente» scaturito, su Liberazione, il seguente giudizio: «La vita di centinaia di milioni di bovini, equini, ovini, suini e persino uccelli mandati quotidianamente al macello in ogni nostra città è qualitativamente migliore e quantitativamente maggiore, sotto il profilo del vissuto, di una vita di un umano in stato comatoso senza speranza di ripresa..

di PIER GIORGIO LIVERANI

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mercoledì 25 marzo 2009

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

25 MARZO

TI SALUTO O PIENA DI GRAZIA!






Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore

La cifra della verità



di Lucetta Scaraffia

Certamente la cifra della missione di Benedetto XVI è la verità. E lo è per tutto, anche per il problema dell'aids e dei preservativi, un tema scottante che - si poteva facilmente immaginare - sarebbe stato toccato nel corso del suo viaggio in Africa. In mezzo alle polemiche suscitate dalle sue parole, uno dei più prestigiosi quotidiani europei, il britannico "Daily Telegraph", ha avuto il coraggio di scrivere che, sul tema dei preservativi, il Papa ha ragione. "Certo l'aids - si legge nell'articolo - pone il tema della fragilità umana e da questo punto di vista tutti dobbiamo interrogarci su come alleviare le sofferenze. Ma il Papa è chiamato a parlare della verità dell'uomo. È il suo mestiere: guai se non lo facesse".
Il problema dell'aids si è presentato subito, da quando la malattia si è manifestata negli Stati Uniti nei primi anni Ottanta, non solo dal punto di vista medico, ma anche da quello culturale: lo scoppio dell'epidemia colse di sorpresa una società che credeva di avere sconfitto tutte le malattie infettive, e fin dall'inizio ha toccato un ambito, quello dei rapporti sessuali, che era appena stato "liberato" dalla rivoluzione appunto sessuale. Con una malattia che metteva in discussione il "progresso" appena raggiunto e che si diffondeva rapidamente grazie anche a quella ondata di cosmopolitismo che si stava realizzando con i nuovi veloci mezzi di trasporto.
Fu subito chiaro che quella patologia era frutto di una modernità avanzata e di una profonda trasformazione dei costumi, e che forse la lotta per prevenirla avrebbe dovuto tenere presente anche tali aspetti. Invece, nel mondo occidentale, le campagne di prevenzione sono state basate esclusivamente sull'uso del preservativo, dando per scontato l'obbligo di non esercitare alcuna interferenza sui comportamenti delle persone. Il "progresso" non si doveva mettere in discussione; neppure in Africa, dove era evidente - e dove tuttora è evidente, se solo si leggessero con onestà i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla diffusione dell'aids - che la distribuzione di preservativi non serve da sola ad arginare l'epidemia.
Il preservativo, in Africa, non è usato nel modo "perfetto" - l'unico che garantisce il 96 per cento di difesa dall'infezione - ma nel modo "tipico", e cioè con un utilizzo non continuato e non appropriato, che offre solo un 87 per cento di difesa, e per di più dà una sicurezza che può essere pericolosa nel mettersi in rapporto con gli altri: come si sa, l'aids non si trasmette solo attraverso il rapporto sessuale, ma anche per via ematica; basta quindi un'abrasione, un po' di sangue, per aprire la possibilità di contagio. Bisogna anche ricordare, come è scritto sulle puntigliose istruzioni d'uso delle scatole di preservativi, che questi si possono danneggiare facilmente con il caldo - sono di lattice! - e se vengono toccati con mani non lisce, come quelle di coloro che fanno lavori manuali. Ma le industrie farmaceutiche, tanto precise nel segnalare questi pericoli, sono poi le stesse che appoggiano la leggenda secondo cui la diffusione dei preservativi può salvare la popolazione africana dall'epidemia: e si può facilmente immaginare che ogni idea per diffonderne l'uso sia accolta con vero giubilo dai loro uffici commerciali.
L'unico Paese dell'Africa che ha ottenuto risultati buoni nella lotta all'epidemia è l'Uganda, con il metodo Abc, in cui A sta per astinenza, B per fedeltà e C per condom, un metodo certo non del tutto aderente alle indicazioni della Chiesa. Persino la rivista "Science" ha riconosciuto nel 2004 che la parte più riuscita del programma è stata il cambiamento di comportamento sessuale, con una riduzione del 60 per cento delle persone che dichiaravano di avere avuto più rapporti sessuali e l'aumento della percentuale dei giovani fra i 15 e i 19 anni che si astenevano dal sesso, tanto da scrivere: "Questi dati suggeriscono che la riduzione del numero dei partner sessuali e l'astinenza fra i giovani non sposati anziché l'uso del condom sono stati i fattori rilevanti nella riduzione dell'incidenza all'Hiv".
Molti Paesi occidentali non vogliono riconoscere la verità delle parole dette da Benedetto XVI sia per motivi economici - i preservativi costano, mentre l'astinenza e la fedeltà sono ovviamente gratuite - sia perché temono che dare ragione alla Chiesa su un punto centrale del comportamento sessuale possa significare un passo indietro in quella fruizione del sesso puramente edonistica e ricreativa che è considerata un'importante acquisizione della nostra epoca. Il preservativo viene esaltato al di là delle sue effettive capacità di arrestare l'aids perché permette alla modernità di continuare a credere in se stessa e nei suoi principi, e perché sembra ristabilire il controllo della situazione senza cambiare niente. È proprio perché toccano questo punto nevralgico, questa menzogna ideologica, che le parole del Papa sono state tanto criticate. Ma Benedetto XVI, che lo sapeva benissimo, è rimasto fedele alla sua missione, quella di dire la verità.



(©L'Osservatore Romano 22 marzo 2009)

venerdì 20 marzo 2009

La “minaccia” della Chiesa cattolica e l’Aids

(fonte: Asianews)

di Bernardo Cervellera
Il condom non risolve il flagello dell’Aids, anzi lo peggiora: lo dice il Papa, ma anche la ricerca scientifica. I dati del Sud Africa, Uganda Thailandia, Filippine. Dietro gli attacchi al pontefice, la lobby neocoloniale della rivoluzione sessuale, portata avanti da frange dell’Onu e Ue.

Roma (AsiaNews) - “Non si può risolvere il flagello [dell’Aids] con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”. Da giorni questa frase di Benedetto XVI viene accusata di insensibilità verso la tragica epidemia che colpisce molte parti del mondo, ma soprattutto l’Africa.

Il ministro olandese Bert Koenders ha detto che le parole del pontefice sono “estremamente pericolose e molto gravi” e che il papa “rende le cose più difficili”; il ministero francese degli esteri ha detto che i commenti di Benedetto XVI sono “una minaccia alla salute pubblica e al dovere di salvare vite umane”; il ministro tedesco della sanità ha giudicato “irresponsabile” il privare del preservativo i “più poveri dei poveri”.

Tanto (falso) umanitarismo di rappresentanti di governi europei è anzitutto irrazionale e per nulla scientifico. La stessa agenzia Onu per la lotta all’Aids ha dovuto confessare – in uno studio del 2003 - che il condom fallisce in almeno il 10% dei casi. Altri studi dimostrano che le percentuali di fallimento nel fermare l’epidemia raggiungono anche il 50%. In Thailandia, il dott. Somchai Pinyopornpanich, vicedirettore generale del dipartimento per il controllo delle malattie a Bangkok, afferma che si ammala di Aids il 46,9% di uomini che usano il preservativo e il 39,1% delle donne.

Anche l’affermazione del papa che “il rischio è di aumentare il problema” è confermato dalle statistiche. Paesi come il Sud Africa, che hanno abbracciato in pieno la campagna sul “sesso sicuro” con l’uso del condom, sostenuta dall’Onu, l’Unione europea e varie organizzazioni non governative, hanno visto uno spaventoso incremento della diffusione dell’Aids. Al contrario, Paesi dove si spingeva alla responsabilità, all’astinenza e alla fedeltà, hanno visto una riduzione dell’epidemia.

Valga per tutti lo studio del dott. Edward Green del Centro sulla popolazione e lo sviluppo di Harvard che ha verificato il programma ABC (Abstinence; Be faithful; Condom, cioè astinenza, fedeltà, preservativo) applicato in Uganda dal 1986 e che, dal 1991, ha visto un declino delle infezioni dal 21% al 6%. Non va dimenticato che Green era un sostenitore del “sesso sicuro” con il condom e invece è divenuto un sostenitore dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.

Molti studi – anche quelli promossi dall’Onu – hanno dimostrato che le nazioni che più hanno fatto uso di preservativi sono pure quelli con le maggiori percentuali di infetti da Aids. Norman Hearst, medico ed epidemiologo dell’università della California, uno studioso del settore, ha ammesso una volta: “La promozione di condom in Africa è stata un disastro”.

E tanto per vedere la “pericolosità” dell’influenza cattolica sulla diffusione dell’Aids, basta citare il caso delle Filippine, Paese cattolico all’85% dove la percentuale di malati di Aids è dello 0,01%.

Lo stesso New York Times, che in questi giorni ha attaccato il papa per la sua frase “pericolosa”, ha dovuto ammettere la vittoria sull’Aids nelle Filippine, dovuta alla moralità tradizionale, basata sull’astinenza e sulla fedeltà. In un articolo del 20 aprile 2003 definiva l’arcipelago filippino come un luogo in cui “un bassissimo uso dei condom e una bassissima percentuale di infezioni da Hiv sembrano andare mano nella mano. Gli sforzi di prevenzione dell’Aids sono spesso focalizzati sull’uso del preservativo, ma qui non sono facilmente reperibili – e in maggioranza disprezzati – in questa nazione di cattolici conservatori”.

Davanti a tutti questi dati ci si può domandare come mai personalità dell’Onu, dell’Ue e organizzazioni “umanitarie” continuino a sbandierare la necessità dell’uso dei condom e bastonano la Chiesa cattolica per la sua sottolineatura sull’importanza dell’educazione, dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.

È possibile che lo facciano per guadagnare? Che abbiano tutti delle azioni nelle ditte che producono preservativi? Forse no. Credo che questo accanimento sul condom e contro la Chiesa cattolica e il papa siano solo un’ultima edizione di una forma di neocolonialismo. Anzitutto – come ha detto un missionario del Pime in Africa da decenni – si pensa che l’uomo africano non possa essere educato alla responsabilità e per questo ridurre il “sesso sicuro” alla tecnica è la risposta più facile.

E non bisogna dimenticare che eliminando la responsabilità e la fedeltà dal rapporto di coppia si spinge a un uso strumentale il corpo della donna africana, e non solo. Avviene così che i più accaniti femministi, sventolando i condom, divengano i propugnatori di un nuovo schiavismo.

Ma il neocolonialismo più pericoloso è quello di far passare con la lotta all’Aids una rivoluzione pansessuale, dove manchi qualunque riferimento ideale e rimangano ferme solo due cose: l’autonomia e il narcisismo della rivoluzione sessuale e la cura contro l’Aids. Da anni l’Onu e l’Ue stanno cercando di promuovere un documento chiamato “Linee guida sull’Aids e diritti umani” in cui si suggerisce che se in ogni nazione non si cambiano le leggi sulla sessualità, l’Aids non potrà essere sconfitto. Le “Linee guida internazionali” chiedono una completa libertà sessuale dove vengano riformate le leggi che “proibiscono atti sessuali (compresi adulterio, sodomia, fornicazione e incontri di commercio sessuale) fra adulti consenzienti e in privato”, ma anche con minori (pedofilia). In tal modo le Linee guida salvano quegli atteggiamenti che sono causa della diffusione dell’Aids, ma si premuniscono chiedendo che ogni nazione metta a disposizione medicine e cure. Esse richiedono la legalizzazione internazionale del matrimonio omosessuale; l’aborto possibile ovunque e per ogni donna; ma suggeriscono che contraccettivi, condom e cure anti-Aids siano distribuiti a tutti, anche a minori usati nel commercio sessuale, (cfr.http://data.unaids.org/Publications/IRC-pub07/jc1252-internguidelines_en.pdf).

La lotta mondiale all’Aids a colpi di condom è in realtà la lotta per questa ideologia.

AIDS: "Il successo dell’Uganda dà ragione a Benedetto XVI"


Inserisco con vero piacere questo articolo pubblicato oggi su "Avvenire" con il quale vengono affrontate, in maniera finalmente coerente e profonda, le tematiche riguardanti il modo di affrontare il dramma dell'Aids in Africa, indicate dal Papa Benedetto XVI e stigmatizzate dai media in maniera falsa ed ipocrita.


19 Marzo 2009

PARLA IL MEDICO FILIPPO CIANTIA

Aids: «Il successo dell’Uganda
dà ragione a Benedetto XVI»

La posizione del Papa sull’Aids? Realista, ragionevole e scien­tificamente fondata. Parola di un medico che da anni si misura col problema in uno dei Paesi africani dove il virus ha colpito più dura­mente, l’Uganda, e dove le strategie di contrasto hanno portato a risul­tati molto significativi, fino a farne un modello. Filippo Ciantia ci vive dal 1980 con la moglie e otto figli. È il rappresentante regionale dell’ong italiana Avsi per la Regione dei Grandi laghi ed è autore di nume­rosi interventi su riviste scientifiche. In uno di questi, pubblicato su Lan­cet, ha messo in evidenza l’efficacia della dottrina cattolica nell’affron­to dell’Aids.

In che senso Benedetto XVI esprime una posizione realista?
La strategia vincente di fronte al vi­rus non può essere meramente sa­nitaria e farmacologica. Si vince te­nendo conto di tutti i fattori che co­stituiscono la persona. I dati dimo­strano che l’Aids è diminuito solo nei Paesi in cui si è lavorato per mo­dificare i comportamenti sessuali e gli stili di vita delle persone, cosa che a sua volta deriva da un lavoro di informazione e educazione che coinvolge le famiglie, le donne, le scuole. È accaduto così in Kenya, E­tiopia, Malawi, Zambia, Zimbabwe e soprattutto qui in Uganda. Ma per ottenere risultati bisogna avere il co­raggio di scelte forti, come hanno fatto da queste parti...

Quali scelte?
Il cuore del problema sta nella mo­dificazione dei comportamenti, per esempio i rapporti sessuali a rischio contemporanei con più partner, che in Africa sono molto diffusi. C’è u­na notevole ritrosia a intervenire su questo terreno perché si dice che in nome della libertà non è lecito in­tromettersi nelle scelte della gente. Ma questa è una posizione ipocri­ta. Come la mettiamo allora con le campagne contro il fumo, l’alcol, la droga che si vanno moltiplicando? Anche questa è invasione di campo? Se un comportamento mette a ri­schio la salute, astenersi dall’inter­venire per cercare di modificarlo si­gnifica in realtà danneggiare le per­sone che lo mettono in atto e l’inte­ra società.

Quindi la Chiesa non fa invasione di campo parlando di astinenza e fedeltà al partner?
La Chiesa fa il suo mestiere e, fa­cendolo, contribuisce al bene di tut­ti. Non c’è un posto al mondo dove l’Aids sia diminuito senza un cambia­mento radicale dei comportamenti ses­suali. Ma per arrivare a questo si deve lavo­rare a livello educati­vo, non ci si può cer­to accontentare di di­stribuire preservativi, confidando nel loro effetto taumaturgico e deresponsabiliz­zando la gente. Lo ha capito bene il governo ugandese che ha laicamente lanciato con succes­so la strategia dell’ABC.

In cosa consiste l’ABC?
Alle persone viene consigliata l’a­stensione dai rapporti (Abstinence), la fedeltà al partner (Being faithful) e – in casi molto particolari e solo per certe, limitate categorie di per­sone – l’uso corretto del profilattico (Condom use). Risultato? La preva­lenza dell’Hiv è passata dal 15% del 1992 al 5% del 2004. E sa qual è sta­to il costo dei programmi avviati per favorire la modifica degli stili di vi­ta? 23 centesimi di dollaro a testa. Ha ragione il Papa: siamo di fronte a una tragedia che non può essere vinta solo con i soldi. Serve una stra­tegia multilaterale che metta al cen­tro il bene della persona.

Cosa vuol dire con­cretamente?
Promozione della condizione femmini­le, sostegno a chi è colpito dal virus con i farmaci (la gratuità è un elemento fonda­mentale e rischia di venire colpito dagli ef­fetti della crisi econo­mica), lotta allo stig­ma e alla discrimina­zione nei confronti dei malati, campagne di educazio­ne preventiva nelle scuole primarie raggiungendo i bambini prima che diventino sessualmente attivi. E per raggiungere questi obiettivi, non si può prescindere dal fattore comu­nitario.

Perché è fondamentale questo ele­mento?
In una società come quella africana è necessario coinvolgere i leader re­ligiosi e le comunità locali. In U­ganda molte organizzazioni si sono prese cura degli orfani (che sono due milioni e mezzo), hanno aiuta­to le famiglie colpite, si sono prodi­gate nell’attività educativa e so­prattutto hanno fatto compagnia ai malati. Come fanno quelli del Mee­ting Point, il partner locale di Avsi, che da anni aiutano migliaia di don­ne a Kampala e in altre città.

Cosa fanno?
Promuovono corsi di igiene e salu­te, prestiti per piccole attività lavo­rative, distribuiscono cibo. Molte donne sono state aiutate a capire che la loro esistenza è più grande della malattia, hanno cominciato il trattamento antiretrovirale che pri­ma rifiutavano perché si sentivano finite, si aiutano a vicenda a pren­dere le medicine. Se una di loro muore, i figli vengono presi in casa da un’altra. Si sentono amate da qualcuno che le considera impor­tanti. È un piccolo miracolo quoti­diano, un’esperienza d’amore più contagiosa del virus. Filippo Ciantia

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giovedì 19 marzo 2009

19 Marzo - Oggi è la Festa di un meraviglioso Santo!!


San Giuseppe campione di Fede

La vita di San Giuseppe è stata veramente travolta dalle iniziative di Dio, iniziative misteriose, iniziative al di là della possibilità di capire.

San Giuseppe si è lasciato condurre perché era giusto e "giusto" è l'uomo che vive di fede.

Dove lo porta il Signore?
Non lo sa, Dio non glielo dice, non gli spiega niente e lui obbedisce lo stesso.
Ha sempre detto di sì con la vita, non con le parole.
Non ha mai avuto questioni da sollevare, dubbi da proporre.

È stupendo questo esempio di San Giuseppe che, pur essendo capo di casa, è semplicemente a servizio, con una familiarità fatta di abbandono e di continua dedizione. San Giuseppe non misura la vita di Gesù e della Vergine sulle sue esigenze, ma mette la sua vita a servizio delle loro. Non parte per l'Egitto quando fa comodo a lui, ma quando l'interesse di Gesù lo richiede.

San Giuseppe si è lasciato travolgere dal Signore e condurre per strade misteriose. Ha rinunciato a capire e ha accettato di credere, ha rinunziato a comandare e ha accettato di obbedire.
Eppure, credendo, si è lasciato condurre dal Signore e questi lo ha introdotto in un modo particolarmente intimo nel mistero dell'Incarnazione e della salvezza.

San Giuseppe, questo amabilissimo patrono della vita spirituale, ci aiuti ad essere molto presenti solo al cuore e agli occhi di Dio, e quanti più saranno a dimenticarsi di noi, tanto meglio, perché in questo nostro scomparire agli occhi di tutti e agli stessi nostri occhi, il nostro io sappia perdersi nella adorazione umile e silenziosa della infinita grandezza dell'unico Dio e Signore nostro.


LA SANTITÀ DI GIUSEPPE



Giuseppe conosceva perfettamente la santità di Maria e il proposito di verginità perpetua.


Perciò, quando si avvide della gravidanza di Lei, non la ritenne peccatrice-adultera, né la espose alla lapidazione prescritta (Levitico 20, lO; Deuteronomio 22, 22-24). Lui che credeva alla virtù di Maria, avrebbe cessato di essere giusto (Matteo 1, 19) se l'avesse fatta lapidare.


Ma Giuseppe, prima dell'apparizione angelica (Matteo 1, 20-23) non conosce la causa per la quale la sua sposa è incinta e non ne sa spiegare il fatto.


E' Dio che, per mezzo di un Angelo, in sogno ammonisce Giuseppe di astenersi anche semplicemente dal rimandare la sua sposa, e lo esorta invece a prenderla tranquillamente con sé, perché la meternità di Lei a nessuno era da attribuirsi se non a Dio stesso.


La santità di Giuseppe, cioè del giusto che se incorre in qualche imperfezione subito risorge (Proverbi 24, 16), risplende immediatamente di più viva luce:

per aver subito ubbidito all'Angelo (Matteo 1, 24); per aver subito deciso di compiere in tutto la volontà di Dio (Matteo 1, 24)


La santità di Maria rifulge di specialissima luce in questa terribile circostanza:


per ubbidire a Dio, che voleva riservarsi di manifestare a Giuseppe l'inspiegabile mistero, nulla disse al suo sposo, pur soffrendo acutamente per la prolungata e cocente ambascia del suo sposo e per il pericolo «che un giusto mancasse, egli che non mancava mai...» Veramente, Maria e Giuseppe, anche in questa dolorosa circostanza e prova, appaiono «...due santi che più grandi il mondo non ha»


Preghiera

A TE, O BEATO GIESEPPE
A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen

tratto da: http://digilander.libero.it/monast/giuseppe/epilogo.htm

Lo scempio morale di un Occidente infedele



La notizia dell’approvazione da parte del Parlamento spagnolo (il 26 giugno 2008), di una legge che estende alle “Grandi scimmie” (gorilla, scimpanzé, oranghi) alcuni diritti umani, a cominciare da quello alla vita, deve essere accolta con tutta la repulsione che merita una norma profondamente innaturale e immorale.

di Roberto de Mattei

La notizia dell’approvazione da parte del Parlamento spagnolo (il 26 giugno 2008), di una legge che estende alle “Grandi scimmie” (gorilla, scimpanzé, oranghi) alcuni diritti umani, a cominciare da quello alla vita, deve essere accolta con tutta la repulsione che merita una norma profondamente innaturale e immorale.

Tra gli animali e gli uomini esiste infatti una differenza non accidentale o quantitativa, ma sostanziale e qualitatitiva. L’uomo a differenza di tutti gli animali, comprese le scimmie più evolute, è un essere intelligente e libero, ha un’anima spirituale e un destino soprannaturale. Solo agli uomini spetta la dignità di persona umana, con i conseguenti diritti che ne derivano.

Gli animali non sono “persone”, proprio perché non sono capaci di intendere e di volere: non hanno diritti perché non hanno doveri. I loro comportamenti seguono la legge dell’istinto, impressa dal Signore nella loro natura.
L’uomo ha in comune con gli animali la natura fisica, ma ciò che da essi lo distingue è la natura razionale. Questa natura fa sì che l’uomo non assecondi tutti gli istinti del suo corpo, ma li reprima, li ordini, li finalizzi. La legge naturale non è dunque la legge zoologica degli esseri viventi, ma l’ordine morale e metafisico del creato che l’uomo può scoprire con la sua ragione.

La scimmia è simile all’uomo, ma ne rappresenta l’animalità: è una bestia maligna, subdola, lussuriosa, in cui l’uomo vede per così dire riflesse la propria degenerazione, quando si allontana dal rispetto della legge naturale. Oltre ad essere la caricatura ridicola dell’uomo, la scimmia è stata sempre considerata anche un’immagine di Satana, grottesca controfigura di Dio.

I Padri della Chiesa chiamavano Satana “simia dei”, ossia “scimmia di Dio”, perché Satana scimmiotta Dio ma non potrà mai essere Dio, né uguagliare le sue opere. Tra le opere più conosciute di Albrecht Durer, c’è un’incisione che raffigura la Vergine con una scimmia incatenata ai suoi piedi. Questo è il destino del demonio, che pretende sfidare Dio, e liberarsi di Lui, ma resta eternamente prigioniero della sua Volontà.

Il processo di degradazione intellettuale del nostro tempo vorrebbe trasformare gli uomini in bestie, negando loro la natura spirituale, e gli animali in umani, attribuendo loro la dignità di persone. Per chi si oppone alle idee evoluzioniste è già pronto lo “zoo”. Un ultradarwinista come Daniel Dennett, propone, in coerenza con i suoi principi, di mettere in gabbia tutte le religioni per proteggere il pianeta dai fanatismi del fondamentalismo, da qualunque parte provengano (L’idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino 2004).

È questa la logica ugualitaria del “Progetto Grande Scimmia”, proposto dall’australiano Peter Singer e dall’italiana Paola Cavalieri e recepito dal premier spagnolo Zapatero. I due animalisti in questa ed in altre opere sostengono che tra uomini e animali non esisterebbero confini, né biologici né morali. Ciò che attribuisce diritti ad un essere vivente non è, secondo loro, la ragione e la volontà, ma la “autocoscienza” e la capacità di soffrire e di godere.

Uno scimpanzé, ma anche un cane un maiale, avrebbero un grado di autocoscienza maggiore di un bambino gravemente ritardato o di un individuo cerebroleso. I feti, gli handicappati, i neonati, gli anziani privi di reale coscienza, possono per loro essere considerati essere viventi, ma non persone.
Per contro, potrà essere attribuita la qualifica di persone, con conseguenti diritti, a scimpanzé, balene, delfini, cani, gatti, maiali, foche, orsi, e forse alle galline: una lista che Singer definisce “incompleta”, ma che seleziona “specie dotate di facoltà mentali sviluppate” (cfr. Etica pratica, Liguori, Napoli 1989.p. 108 e passim).

Le conseguenze di queste premesse sono inesorabili. La vita non solo di un feto, ma di un neonato, ha meno valore della vita di un cane o di uno scimpanzé. Un bambino appena nato, sostiene Singer, vale quanto una lumaca. Se il valore della vita di una persona è legato alla sua autocoscienza e alla sua capacità di avere desideri circa il suo futuro, «uccidere una lumaca o un neonato di un giorno non frustra alcun desiderio di questo tipo, perché lumache e neonati sono incapaci di avere tali desideri» (Etica pratica cit., p. 133).

Ciò che è più aberrante non sono tuttavia queste tesi, ma il fatto che le elucubrazioni di intelletti sviati possano diventare leggi di uno Stato che fa parte dell’Unione Europea: oggi la Spagna, domani altre nazioni in cui le idee ecologiche ed animaliste possano attecchire.

I princìpi animalisti hanno del resto una serie incontrollabile di devastanti conseguenze. Se gli scimpanzé hanno il diritto alla vita, perché negare loro quello all’uso del sesso? Ma se tra essi e gli umani non esistono differenze qualitative non si potrà impedire il congiungimento sessuale di uomini e bestie.
Tale abominio è ricordato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, e ancor prima dalla comune coscienza umana, come peccato di “bestialità”: il peccato che più di ogni altri infrange le leggi della natura umana e grida “vendetta” al cospetto di Dio (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II-IIae, q. 154, a. 12, a. 4).

L’aberrante pratica è più diffusa di quanto possa immaginarsi, anche in Italia, soprattutto nei circoli satanisti, e rischia di essere tutelata dalla Carta dei Diritti di Nizza, allegata al nuovo Trattato europeo di Lisbona. Nell’’articolo 21 di questa Carta, l’“orientamento sessuale” è riconosciuto come fondamento di non-discriminazione, con la distinzione che vi è posta tra il sesso fisico-biologico e la “preferenza” sessuale.

La sessualità, in questo modo, diventa non un dato di natura, ma una scelta “culturale”, puramente soggettiva. Tutte le tendenze sessuali innaturali, dall’omosessualità all’incesto, dalla necrofilia alla bestialità ne risultano automaticamente tutelate. L’omosessualità, che ieri provocava disgusto, oggi è entrata nel costume e nelle leggi. La bestialità, che ancora oggi suscita ribrezzo, inizia ad essere indirettamente accolta dalle istituzioni europee, per entrare anch’essa un giorno nelle abitudini e nella mentalità.

Sopravviverà l’Europa a questo scempio morale? Sarà l’Islam lo strumento di cui la Divina Provvidenza si servirà, per purificare, attraverso profonde sofferenze, l’Occidente infedele? Non si troveranno uomini di buona volontà che, corrispondendo alla Grazia, siano autori di una rinascita religiosa e morale che dal fango faccia risorgere una civiltà? Solo il Signore conosce la risposta a queste inquietanti domande incise a lettere di fuoco sul nostro futuro.
(RC n. 37 - Ago/Set 2008)

(fonte: www.radicicristiane.it)

mercoledì 18 marzo 2009

18 Marzo - San Salvatore da Horta


Santa Coloma de Farnés, 1520 - Cagliari, 18 marzo 1567
Nacque nel dicembre 1520 a Santa Coloma de Farnés, in Catalogna (Spagna). Rimasto orfano molto presto, dopo un periodo di prova nell'abbazia benedettina di Montserrat, scelse definitivamente la via della povertà entrando nel convento francescano di Barcellona, dove fece la professione religiosa nel 1542. Trasferito a Tortosa cominciò a essere conosciuto per i suoi poteri di taumaturgo. Malgrado l'umiltà con cui lo viveva, questo dono gli causò incomprensione da parte dei confratelli. Per anni peregrinò da un convento all'altro e ovunque si ripeteva lo stesso copione: prodigi e nuove inimicizie. Fu persino denunciato all'Inquisizione che non trovò nulla contro di lui. Conobbe un po' di pace nel convento di Santa Maria di Gesù a Cagliari dove giunse nel 1565. Morì il 18 marzo 1567. Pio XII l'ha canonizzato il 17 aprile 1938. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Cagliari, san Salvatore Grionesos da Horta, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, che si fece umile strumento di Cristo per la salvezza dei corpi e delle anime.



Ecco un santo che a causa del carisma di operare troppi miracoli, passò parecchi guai nella sua vita. Salvatore nacque del dicembre 1520 a Santa Coloma de Farnés nella Catalogna (Spagna), i genitori di cui si conosce solo il cognome Grionesos, lavoravano assistendo gli ammalati del piccolo ospedale della zona e di cui in seguito ne ebbero la direzione.
Rimasto orfano giovanissimo, andò a Barcellona dove si mise a fare il calzolaio per sostenere la sorella minore Blasia. Non appena questa sorella si sposò, Salvatore poté così in piena libertà, scegliere la vita religiosa da sempre desiderata; lasciata Barcellona andò nella famosa abbazia benedettina di Montserrat per un periodo di prova, ma la sua vocazione di umiltà e povertà ebbe la sua attuazione, dopo l´incontro con i francescani, entrando il 3 maggio 1541 nel loro convento di Barcellona.
Si distinse subito per le sue virtù e pietà, fece la professione religiosa nel maggio del 1542 e trasferito poi a Tortosa dove fu impiegato in tutti i servizi più faticosi, che espletò con prontezza e diligenza; ma cominciarono pure i guai per lui; dotato di poteri taumaturgici, operava prodigi su prodigi e la sua fama di dispensatore di miracoli, che lo rendevano oltremodo popolare, suscitò l´incomprensione dei confratelli e l´ostilità dei superiori, i quali infastiditi da tanto clamore lo ritennero un indemoniato e presero a trasferirlo da un convento all´altro.
Dovunque arrivasse i prodigi proseguivano, i frati si mettevano le mani nei capelli e giocoforza si armavano di pazienza con quel confratello laico professo, che faceva perdere la loro pace. Da Tortosa, fu inviato prima a Belipuig e verso il 1559 ad Horta nella provincia di Tarragona in Catalogna, dove restò per quasi 12 anni, compiendo anche qui numerosi miracoli, gli fu mutato anche il nome in fra´ Alfonso, nel tentativo di allontanarlo dai fedeli, ma alla fine fu trasferito anche da qui.
Giunto a Reus lo attendevano ulteriori persecuzioni e un altro allontanamento a Barcellona, che era sede della famigerata Inquisizione spagnola e a cui Salvatore venne perfino denunziato, uscendone comunque trionfante con l´umiltà e la carità dei santi.
Infine ultima tappa del suo doloroso calvario itinerante, fu il convento di S. Maria di Gesù a Cagliari in Sardegna, giungendovi nel novembre del 1565, trovando finalmente qui un´oasi di pace, pur continuando i fatti straordinari che l´avevano accompagnato per tutto quel tempo, procurandogli dolori, sofferenze, incomprensioni; in altre parole beneficando la vita degli altri e avvelenandosi la sua.
Colpito da una violenta malattia, fra´ Salvatore da Horta, morì a Cagliari il 18 marzo 1567 fra il dolore di tutta la città, che ancora oggi ne venera le reliquie nella Chiesa di S. Rosalia; il corpo del santo è custodito in una preziosa urna di bronzo dorato, arricchita di pregiati cristalli. L´urna è sistemata visibile, sotto la mensa dell´altare maggiore al centro del presbiterio, attorniata da quattro angeli oranti in marmo bianco.
Da qui, il culto per il taumaturgo, laico professo dei Frati Minori Francescani, crebbe e si estese in tutta la Spagna e Portogallo; il 15 febbraio 1606 dietro richiesta del re Filippo II di Spagna, il papa Paolo V gli accordò il titolo di beato, confermato il 29 gennaio 1711 da papa Clemente XI. E il 17 aprile 1938, papa Pio XI lo canonizzò, stabilendo la festa liturgica per l´umile santo, perseguitato perché troppo miracoloso, al 18 marzo.

Il nome Salvatore è molto diffuso nell´Italia Meridionale e in particolare in Sicilia, anche nelle varianti Turi, Turiddu; bisogna però dire che il nome Salvatore più che al santo di cui abbiamo parlato, si riferisce almeno in Campania, a Gesù Salvatore e la cui festa della "Trasfigurazione di Gesù" è al 6 agosto.
Il santo spagnolo di Horta è molto venerato anche nel Comune di Orta di Atella, in provincia di Caserta, che per puro caso ha il nome come la città spagnola, che identifica il santo francescano.

Autore:
Antonio Borrelli
(fonte: www.santiebeati.it)

Etica globale: il nuovo paradigma







"Dal disagio al ben-essere" è stato il tema della Giornata di studio promossa il 14 dicembre 2002 nel complesso monumentale Santo Spirito in Sassia da "Med e Med" - "Medicina e Mediterraneo" nella Sala Alessandrina dell'Accademia di storia dell'arte sanitaria. Ad aprire i lavori è stato l'Arcivescovo Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Due le Sessioni della Giornata condotta dal direttore scientifico Prof. Luigi Gentilini che dopo aver presentato l'Arcivescovo Presidente ha svolto un interessante intervento su "Il valore aggiunto in oncologia". "Il cancro - si è chiesto il Prof. Gentilini - scaturisce dal sistema nervoso?". Oltre ai numerosi interventi di carattere tipicamente scientifico sono state presentate anche alcune significative testimonianze internazionali di solidarietà legate ai Paesi del Terzo Mondo dove la Chiesa offre segni di particolare attenzione nei riguardi dei malati e dei sofferenti. Non sono mancate analisi e proposte nei riguardi del dramma dell'Aids in Africa. Pubblichiamo l'intervento del Presidente del Pontificio Consiglio che ha riscosso ampi consensi tra gli addetti ai lavori.

JAVIER LOZANO BARRAGÁN
Arcivescovo-Vescovo emerito di Zacatecas Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute
Specialmente nel campo della Bioetica si sentono pareri che spesso discordano da quelle norme che nella cultura cristiana eravamo abituati a sentire, ascoltiamo pareri ed anche decisioni da parte di alcuni Ministeri della Sanità di diversi Paesi che veramente sono contrari alla morale cattolica, e ci domandiamo: cosa sta succedendo? Certo, si parla della secolarizzazione della società odierna, e questa potrà essere già una risposta; ma ci domandiamo: c'è un corpo dottrinale etico dal quale si parte verso queste nuove concezioni normative della condotta, specialmente nel campo della manipolazione della vita, nel campo della biogenetica? La presentazione che qui espongo è un tentativo di offrire alcune linee sintetiche di questo pensiero normativo, specialmente nel campo della vita; lo scopo è di far conoscere un progetto di etica universale che vuole oggi supplire al Cristianesimo e che in una o in altra maniera si trova spesso nelle posizioni che si assumono per alcune decisioni riguardanti la Bioetica. Presentiamo una specie di sintesi di questi pensieri, e poi un breve giudizio sugli stessi. Questo progetto alcuni lo chiamano "Il Nuovo Paradigma". Queste linee che propongo sono il frutto di una riflessione sui diversi interventi al riguardo, uditi specialmente sulle posizioni delle Nazione Unite nelle sue varie dipendenze. Come introduzione, prima partiamo dal concetto di globalizzazione, quindi mettiamo la cornice sotto la quale si vuole presentare questa etica "globalizzata", per procedere poi ad un tentativo di sintesi di essa e ad alcuni punti di critica.

I. Introduzione- La globalizzazione
Oggi, nell'epoca della globalizzazione si parla anche del bisogno di avere un'etica globale, universale; nella globalizzazione assistiamo al defluire attraverso le frontiere geografiche e politiche di gente, di informazione, di merce, e specialmente di capitale. Risaltano i fattori della comunicazione, della tecnologia, delle migrazioni, dell'informatica e della standardizzazione produttiva e finanziaria. Ci troviamo di fronte ad una crescita dei rapporti sovraterritoriali fra la gente, dove gli elementi basilari sono la sovraterritorialità, il capitalismo di libero mercato, una densità di reti di scambio indipendenti ed autonome riguardo i differenti Governi nazionali.
In questa globalizzazione si parla del bisogno di una nuova etica anche globalizzata: il Nuovo Paradigma, che s'inscriverebbe sotto questa cornice ideologica:
- l'Eclettismo, che accetta qualsiasi affermazione di condotta, indipendentemente dal suo sistema, contesto e giudizio;
- lo Storicismo, secondo il quale la verità cambia secondo il suo adeguamento ad un'epoca determinata della storia che di per sé passa;
- lo Scientismo, in cui si dice che l'unica verità accettabile è quella sperimentabile nel campo scientifico;
- il Pragmatismo, in cui le decisioni etiche vanno prese considerando come unico criterio l'utilità, secondo il binomio costo/beneficio, e guidati in questo dall'opinione della maggioranza;
- il Nichilismo, in cui semplicemente si rinuncia alla capacità di giungere a verità oggettive;
- la Postmodernità, in cui si assumono decisioni nichiliste.
Organizzazioni non governative, fautori del Nuovo Paradigma
Come abbiamo ormai accennato, il Nuovo Paradigma si forgia nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU, specialmente nelle sue diramazioni: OMS, UNESCO.
Al riguardo, nell'ONU sono specialmente attive tre Organizzazioni non governative, cioè: "Women's Enviroment and Developement Organization", "Earth Council Greenpeace" ed "International Planed Parenthood Federation".
II. Il Nuovo Paradigma (sintesi)*
In questa piccola sintesi elenco i seguenti punti: lo sviluppo sostenibile, finalità dell'Etica, le religioni, i valori, i pilastri dell'Etica, problemi, fondamenti, principi della Bioetica ed origini di questi principi.
1. Lo sviluppo sostenibile
Il mondo attuale non può continuare ad andare avanti così; dopo la guerra fredda ci troviamo davanti a situazioni ecologiche insostenibili, andiamo verso la degradazione totale del pianeta dovuta alla contaminazione per residui tossici di tutte le risorse, senza escludere le radioattive. Questo ci conduce ad un malessere continuo che non può durare. Abbiamo bisogno di arrivare al benessere per tutti, al benessere globale. Questo benessere globale è possibile soltanto dentro uno sviluppo globale, ma non lo sviluppo come quello che fino ad oggi abbiamo, perché questo non lo si può sostenere più, ma dobbiamo arrivare allo sviluppo sostenibile, cioè che non degradi il pianeta e che mediante uno sviluppo armonico consegua il benessere per tutti e sia centrato nel popolo (people centredness).

2. Finalità dell'Etica
Il benessere globale dentro lo sviluppo sostenibile è la finalità della nuova etica globale, è la convergenza verso la quale si dirige il Nuovo Paradigma. Questo benessere globale costituisce la meta chiamata qualità di vita, che è "la percezione dell'individuo della sua posizione nella vita, nel contesto della cultura e del sistema di valori nel quale si trova, in rapporto con le sue mete, aspettative, standard ed interessi". Si tratta di un concetto di ampio raggio, composto in maniera complessa per la salute fisica della persona, il suo stato psicologico, le sue credenze personali, le sue relazioni sociali e la sua relazionabilità con i dati sopra indicati del suo intorno (whool). La Qualità di vita copre 6 campi: Salute fisica, salute psicologica, livello di dipendenza, relazioni sociali, dintorni (economia, libertà, sicurezza, informazione, partecipazione, ambiente, traffico, clima, trasporto...), spiritualità (religione e credenze personali). Quello che è basilare è l'autonomia e la autodeterminazione individuale. Si prescinde dalle obbligazioni sociali.

3. Le Religioni
Le diverse religioni esistenti nel mondo non sono state capaci di generare questa etica globale, pertanto si devono sostituire con una nuova spiritualità che abbia come finalità il benessere globale dentro lo sviluppo sostenibile. La natura, la terra, chiamata "GAIA", è divina ed inviolabile. L'uomo è un suo elemento in più che si capisce soltanto in armonia con la terra. Non si tratta di una nuova religione, ma di una nuova spiritualità. Le religioni finora esistenti si preoccupano dell'altra vita; questa spiritualità si preoccupa della vita attuale, terrena, è una spiritualità senza Dio, a livello secolare, la sua ultima finalità è la viabilità del mondo attuale ed il benessere dell'uomo in essa.
Ma in questa spiritualità non s'ignorano elementi validi che si trovano in altri credi, questi vengono presi per formare l'Etica globale. Così, specialmente dalle religioni delle comunità indigene americane si raccoglierà il rispetto per la natura e la necessaria interazione fra natura e uomo; dall'Ebraismo, il concetto di santità; dal Buddismo, la serenità e l'impassibilità; dall'Induismo, il rispetto per gli animali; dall'Islamismo la virtù della giustizia; dal Cristianesimo, la carità e la misericordia. Malgrado questo, tutte le religioni sono uguali: incompetenti a risolvere il problema ecologico. Non hanno risposte valide per questa epoca di globalizzazione. Si deve lottare contro egemonie pretese e gerarchie dogmatiche che vogliano imporre i loro punti di vista; l'obiettivo è creare una cornice comune di condotta che identifichi i principi etici fondamentali per la società globale emergente. Si tratta di combattere efficacemente la sovrappopolazione, l'industrializzazione, la degradazione ambientale, l'inettitudine delle istituzioni, la polluzione ambientale, l'ingiustizia sociale, gli estremismi religiosi ed ideologici, l'intolleranza e la esclusione sociale. La nuova spiritualità trascende tutte le altre spiritualità e religioni, le combatte e le supplisce, perché queste spiritualità e religioni si percepiscono come bastioni di resistenza contro i valori e le mete del Nuovo Paradigma.
I valori della libera impresa, la sovranità nazionale, le religioni, i dogmi, la legge naturale, i valori tradizionali si devono rifiutare per essere irrilevanti ed aver creato un vuoto etico; oggi si deve aprire il varco ai nuovi valori che sono gli unici che permetteranno di vivere in pace.

4. Valori
I valori del Nuovo Paradigma sono quelli che ispirano una cultura della pace, una pace ecologica "Greenpeace", dell'amore, della amicizia, del condividere, del curare, del processo di prendere decisioni consultate, della democrazia partecipativa, della decentralizzazione, della negoziazione, dei processi d'arbitrio e assegnazione positiva, del no alla guerra, del rispetto per la vita, per la libertà, la giustizia e l'equità, il mutuo rispetto, l'integrità.

5. Pilastri dell'Etica
Questa nuova etica si fonda su cinque pilastri: Diritti umani e responsabilità, democrazia ed elementi della società civile, protezione delle minoranze, impegno per la soluzione pacifica dei conflitti e trattative trasparenti, equità intergenerazionale.


6. Problemi
I problemi ai quali si deve dare soluzione sono quattro: il primo riguarda l'equilibrio uomo-natura; il secondo il significato della felicità, della vita e della pienezza; il terzo esamina la relazione fra l'individuo e la comunità ed il quarto contempla l'equilibrio fra equità e libertà.
Questa nuova etica è indipendente dal dogma e dalla legge naturale. La connessione fra conoscenza e prassi etica non è causale come nelle scienze, ma situazionale. Cioè, non occorrono norme evidenti che reggano la condotta, piuttosto la condotta che oggi si adopera si tradurrà in norme di condotta per il futuro. Il problema è generare il Consenso, affinché la gente accetti questa nuova etica globale. Per questo fine si devono creare delle motivazioni del tutto efficaci. Così le "lobby" che le ONG devono attuare perché i diversi Governi accettino le proposte che loro fanno.


7. Fondamenti
I tre fondamenti sopra i quali si costruisce questa nuovo etica e spiritualità sono i diritti umani, la salute per tutti e l'educazione. I diritti umani si fondano nella totale equità di tutti gli uomini. Per questo si esige come unico rimedio accettabile ed efficace da una parte la stabilizzazione della popolazione e dall'altra il trasferimento massiccio della ricchezza dai ricchi ai poveri. Per alcuni sostenitori di questa etica, il Capitalismo è la radice di tutti i mali ed è una esigenza del nuovo ordine opporsi alla globalizzazione economica (non global). Si dice che si deve creare un nuovo standard di vita comune per tutti. Si rispetta la diversità delle culture, ma nello stesso tempo si pretende imporre una cultura universale.
Riguardo la salute per tutti, si esigono otto elementi: educazione alla salute, nutrizione adeguata, acqua pulita, cure elementari, salute materno-infantile, immunizzazione contro le malattie infettive più importanti, prevenzione e controllo delle malattie endemiche locali, cura adeguata delle malattie e disastri comuni e salute riproduttiva. Questo diritto s'ingloba nella sicurezza sociale, comporta cancellare la povertà, ottenere l'equità globale sociale e si realizza dalla governabilità globale. Esige occuparsi dell'educazione e delle tendenze democratiche.
Riguardo l'Educazione, questa deve essere un'educazione per tutti; i suoi contenuti sono il curriculum basilare dell'educazione della popolazione e si divide in quattro categorie: sviluppo sociale ed economico con enfasi nella demografia sociale, ambiente ed ecosistema, trattando specialmente della relazione fra popolazione ed ambiente; "gender", sessualità e complemento personale; famiglia e benessere. Si sottolineano i diritti umani, lo sviluppo sostenibile, l'equità del genere (gender), l'assicurazione della salute, la partecipazione, la governabilità, le tecniche per forgiare i consensi, la cittadinanza globale, la pace, la protezione dell'ambiente, la salute riproduttiva. Questa educazione deve essere olistica ed è la chiave per ottenere il consenso d'accettazione del Nuovo Paradigma. La educazione deve essere interdisciplinare e generare così un processo assai complesso. Deve essere tanto formale come informale.


8. Principi per la Bioetica
All'interno di questa bioetica chiusa al Trascendente, che alcuni hanno chiamato "soggettiva", "autonoma", sono stati formulati alcuni principi generali normativi per poter tracciare lo studio della condotta umana nelle scienze della vita e della salute. Questi principi sono tre, e cioè:
1. Il principio di autonomia
2. Il principio di beneficenza (ed in negativo della non malvagità)
3. Il principio di giustizia
Il principio di autonomia significa la libertà dell'agente morale, cioè che un'azione è buona se rispetta la libertà dell'agente morale e degli altri.
Il principio di beneficenza significa che bisogna fare sempre il bene ed evitare il male.
Il principio di giustizia significa che bisogna dare ad ognuno ciò che gli è dovuto.


9. Origine di questi principi
Poiché di per sé non ci sarebbero norme oggettive in questa bioetica, appare complicata la giustificazione di questi principi. Alcuni li hanno attaccati, dichiarando che hanno già superato il principialismo americano (riferendosi al luogo dove sono stati formulati). Tuttavia, altri ne danno una giustificazione e affermano che si è giunti alla loro formulazione in via sperimentale, sulla base dei risultati buoni e dei risultati cattivi delle azioni realizzate nel campo della bioetica e sintetizzandone le conseguenze.
Si danno varie spiegazioni, oppure non se ne danno affatto; le diverse posizioni sono le seguenti:
9.1. Teoria evoluzionista
L'evoluzione della specie continua quando appare l'uomo e l'uomo continua ad evolversi non solo per quanto riguarda la sua natura, bensì per quanto riguarda la sua cultura, così che per ogni tappa della storia ci sono una cultura ed un'etica differenti. Nella tappa attuale della storia, la bioetica si sintetizza in detti principi.
9.2. Teoria soggettivista
Non è possibile conoscere i valori, ognuno deve procedere come crede opportuno e, come risultato generale di questo procedere, nascono i principi addotti.
9.3. Teoria contrattualista
Siccome la teoria soggettivista ci portava al pieno relativismo, essa va applicata però motivando un consenso, cioè accordandosi tra tutti e procedendo secondo l'opinione della maggioranza, una sorta di contratto sociale tra i membri della società. Tutti sono stati d'accordo con questi principi.
9.4. Teoria clinica
Tuttavia, siccome non sempre è possibile mettersi d'accordo, si esamina caso per caso e si agisce nella maniera che si ritiene sia la migliore.
9.5. Teoria utilitaristica
Se si chiede quale sia questa maniera migliore, si risponde con la teoria utilitaristica del costo/beneficio, secondo la quale bisogna realizzare ciò che costa meno e che porta al risultato migliore.
9.6. Teoria dei nuovi principi
Qualcuno opina (Peter Singer) che non bisogna rimanere attaccati ai vecchi principi, bensì inventarne di nuovi. Così per esempio non bisogna fissarsi semplicemente con il principio "non ucciderai", bensì con uno nuovo che dica "uccidi solo se lo decidi liberamente e ti fai carico di tutte le conseguenze". I principi indicati si possono adottare come principi etici, sempre che ognuno lo decida liberamente e si faccia carico di tutte le sue conseguenze.


III. Alcuni punti per il giudizio sul Nuovo Paradigma
1. Problematica risultante nei principi della Bioetica
Come possiamo vedere, in ciascuna delle spiegazioni precedenti si giunge ad un relativismo, non solo nel constatare la pretesa origine dei principi, bensì nello stesso loro esame. In effetti, il principio di autonomia corrisponde all'agire con libertà, però esso vorrebbe dire che coloro che non hanno libertà non vanno considerati per questa azione morale, ad esempio gli invalidi, i bambini, i feti, gli embrioni.
D'altra parte, il principio di beneficenza dice di fare il bene agli altri. Ma cosa è il bene? Cosa è buono veramente per una persona? Se non sappiamo oggettivamente nulla di ciò che può essere buono per qualcuno, non possiamo fargli del bene; lo stesso dicasi della giustizia: cosa spetta ad ognuno?
Gli stessi principi che sono stati posti, considerati in se stessi, non hanno spiegazione. Si suole dire che questi principi devono essere intesi come principi attuali, cioè meramente di attuazione, e non come principi prima facie, cioè come principi teorici; però la difficoltà esiste anche come principi di attuazione: perché devo agire in questo modo se non è ragionevole?
Inoltre, quando questi principi entrano in collisione tra di loro, quale di essi deve prevalere? Ad esempio, se il principio di autonomia entra in collisione con il principio di beneficenza e questo, a sua volta, con quello di giustizia, quale dobbiamo seguire? Occorre un principio ulteriore, previo a questi, che dia loro unità e che risolva un possibile conflitto. Il principio di autonomia, e così di libertà, ha i propri limiti quando si trova di fronte al bene di un terzo, e anche il bene di un terzo è limitato quando si trova di fronte a quanto è dovuto ad un'altra persona, però in ultima analisi i principi non dicono cosa gli è dovuto. Così alcuni ricorrono a quella che chiamano l'etica narrativa, in cui si narrano uno ad uno solo i casi che succedono, e si agisce su esempio di come si procedette anteriormente; oppure si rifugiano in ciò che chiamano percezione femminile, cioè ciò che la bontà fine di una persona giudica conveniente. Così si avvicinano ad un altro criterio che chiamano criterio "della virtù", secondo il quale colui che decide ciò che è buono e ciò che è cattivo, è chi ha abbastanza virtù, intendendo per virtù l'agire secondo retta ragione. Parlando di retta ragione, si avvicinano alla concezione classica della bioetica oggettiva.
E adesso ci riferiamo globalmente a tutto il Nuovo Paradigma.


2. Valori del Nuovo Paradigma
È giusto reagire contro la degradazione ambientale ed anche rendersi conto che lo sviluppo ha un limite e che uno sviluppo che non sia cosciente della degradazione che causa nella natura, non si deve sostenere. Da un'altra parte, è anche corretto cercare il benessere e procurarlo al meglio per tutti gli abitanti del pianeta. È anche giusto che si procuri la qualità di vita, specialmente se questa si intende come l'autocoscienza del luogo che ognuno occupa nella sua situazione completa, tanto ecologica come culturale nei suoi aspetti economici, sociali, religiosi, politici ed educativi.
È anche corretto sostenere i diritti umani, il rispetto delle minoranze sociali, la democrazia, l'equità fra tutti gli uomini, ovvero sia, la sua uguaglianza fondamentale; è molto legittimo aggiustare le relazioni fra l'uomo ed il suo ambiente ed i rapporti tra l'individuo e la comunità. Così è anche un'esigenza urgente lottare per la giustizia sociale, ed è patente l'ingiustizia sociale ed economica che oggi è presente nel mondo.
È una esigenza molto forte chiedere e realizzare la salute per tutti, almeno nei suoi quadri fondamentali; ed è di prima necessità avere l'educazione per tutti.
3. Antivalori del Nuovo Paradigma
L'antivalore più importante è che il Nuovo Paradigma si presenta, come dicono, come una nuova spiritualità che supplisce a tutte le religioni, perché queste sono inette per preservare l'ecosistema. Praticamente si tratta di una nuova religione secolare, una religione senza Dio, o se si vuole, con un Dio nuovo che sarebbe la stessa terra con il nome di GAIA. Questa nuova divinità avrebbe come elemento subordinato l'uomo.
La serie dei valori che sostengono il Nuovo Paradigma sono valori subordinati a questa divinità che si traduce nel supremo valore ecologico che chiamano sviluppo sostenibile. E dentro questo sviluppo sostenibile la finalità etica suprema sarebbe il benessere.
È chiaro che ci troviamo nella totale negazione del Cristianesimo e così del fatto fondamentale del Cristianesimo che è l'Incarnazione del Verbo, la morte redentrice di Cristo e la sua risurrezione gloriosa. Se si accetta questo fatto storico, il presupposto del Nuovo Paradigma fallisce pienamente.
Questo non vuol dire che anche gli autentici valori enunciati nel Nuovo Paradigma falliscono, giacché si tratta di valori che non sono alieni dal pensiero cristiano, ma si esigono dentro quest'ultimo. Nella Genesi si parla dell'"homo sapiens" e dell'"homo faber"; ambedue si devono conciliare, non è l'uomo l'amo dispotico della natura, ma il lavoratore saggio che la domina rispettando le sue leggi.
Non si accetta il Nuovo Paradigma per la sua negazione di Dio e per la negazione dell'altra vita e in concreto per essere un pensiero totalmente immanente che nega il fatto storico di Cristo, l'unico salvatore.
Al negare la sovranità degli Stati ci si colloca in una pretesa di governo universale a carico di alcune ONG, il che è veramente ridicolo.
Certamente è un grosso problema l'ingiusta distribuzione della ricchezza nel mondo, ed il Capitalismo chiamato "selvaggio" è un sistema nefasto. Si vede con chiarezza che l'economia, pur essendo tanto importante, non può essere la chiave della storia, né nel libero mercato, né nella pianificazione statale. Ma bisogna trovare delle linee di soluzione, quello che fa la Chiesa cattolica indicando per esempio la solidarietà nell'azionariato sociale.
Si accetta l'uguaglianza dei sessi, ma non "l'equità" nel senso del "gender" che vuole unificare talmente i sessi da legittimare l'omosessualità e la distruzione della famiglia. Si accetta il controllo natale, però non la distruzione delle nascite come pianifica la cultura della morte applicata specialmente al terzo mondo.
Non è la stessa cosa benessere che felicità. Cristo non ci promette l'illusione di un benessere totale in questo mondo, ma la felicità. La prova definitiva di qualsiasi religione o, come dice il Nuovo Paradigma, di qualsiasi spiritualità, è la soluzione al problema della morte. Il Nuovo Paradigma non ci dà nessuna soluzione, semplicemente prescinde da questo problema e quello che comporta, cioè, la sofferenza, il dolore, la malattia. Cristo è l'unico che ci dà una risposta soddisfacente dalla sua croce gloriosa con la risurrezione.
Il Nuovo Paradigma ha uno dei suoi grandi problemi quando percepisce che tutto si deve fondare nel consenso, ma un consenso che non procede da verità oggettive, ma da opinioni soggettive; allora si sforza per forgiare consensi artificiali, ricorrendo a tecniche di lavaggio cerebrale mediante un'educazione falsa e con i mass media e le "lobby" che possono fare diverse ONG in seno all'ONU ed altrove. Questi consensi sono assolutamente vani e così, un'Etica basata su di essi non ha alcuna consistenza.
Una vera Etica universale, che veramente abbia la pretesa di essere globale, deve essere un'Etica fondata sull'oggettività dell'uomo stesso. L'Etica è il cammino retto che l'uomo rincorre per soddisfare i suoi propri bisogni. Così l'Etica indica il cammino per la piena realizzazione umana. Questa Etica non può essere altra che quella che si fonda, sì nell'uomo, ma che ha come finalità lo stesso Dio, e in ultimo termine, il fatto storico dell'Incarnazione di Dio e così la morte e risurrezione di Cristo il Signore. Superando già i pregiudizi della modernità che riteneva la religione come qualcosa d'intimista e sentimentale, troviamo nel cuore più profondo della cultura i suoi bisogni religiosi, ed una legittima ed imprescindibile tendenza verso quello che li soddisfa, che in ultimo termine è soltanto Dio.
Così dobbiamo dire che i fondamenti oggettivi di una vera Etica universale scaturiscono soltanto dalla Legge Naturale e dal fatto storico rivelato di Cristo il Redentore. Oggi molti non desiderano sentir parlare della legge naturale, si esprimono con disprezzo dei "iusnaturalisti", però senza riferimento ad essa, tutto è soggettivo ed arbitrario e mai si potrà arrivare a delineare una vera Etica che abbia pretesa di essere e sia veramente globale, universale.
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* Lo sviluppo di quello che si presenta come "Nuovo Paradigma" è preso da Kim Yersu, "A Common Framework for Ethics of the Twenty first Century", UNESCO, Division of Philosophy and Ethics, 1999 November 15, at www.unesco.org drg philosphyandethics.

Da L'Osservatore Romano - Gennaio 2003

venerdì 13 marzo 2009

Il comunicato di risposta dei lefebvriani

Dal sito degli amici di "Messainlatino" riporto il comunicato in risposta alla lettera del Papa S.S. Benedetto XVI, pubblicata il 10 Marzo.


giovedì 12 marzo 2009



Dopo il recente «scatenarsi di una valanga di proteste», noi ringraziamo vivamente il Santo Padre di aver riportato il dibattito ai livelli ai quali si deve svolgere, e cioè quello della fede. Noi condividiamo la sua preoccupazione prioritaria della predicazione "al nostro tempo nel quale in vaste regioni della terra la fede rischia di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento". La Chiesa attraversa effettivamente una crisi grave che non potrà essere risolta che con un ritorno integrale alla purezza della fede. Con Sant'Atanasio, noi affermiamo che «Chiunque voglia essere salvato, deve prima di tutto mantenere la fede cattolica: colui che non la conserva integra ed inviolata andrà, senza dubbio, verso la sua rovina eterna» (simbolo Quicumque).
Lungi dal voler fermare la Tradizione al 1962, vogliamo considerare il Concilio vaticano II e l'insegnamento post-conciliare alla luce di questa Tradizione che san Vincenzo di Lerins ha definito come «ciò che è stato sempre creduto, dappertutto e da parte di tutti» (Commonitorium), senza rotture e in uno sviluppo perfettamente omogeneo. E' così che potremo contribuite all'evangelizzazione che ci è chiesta dal Salvatore (Matteo, 28,19-20).
La Fraternita' Sacerdotale San Pio X assicura a Benedetto XVI la sua volontà di affrontare i colloqui dottrinali riconosciuti come «necessari» dal Decreto del 21 gennaio, con il desiderio di servire la Verità rivelata che è prima carità a manifestare lo sguardo di tutti gli uomini, cristiani o meno.
Essa assicura la sua preghiera affinché la sua fede non vacilli ed egli possa confermare tutti i suoi fratelli (Luca 22,32). Noi mettiamo questi colloqui dottrinali sotto la protezione di Nostra Signora della Fiducia, con la certezza che Ella ci concederà la grazia di trasmettere fedelmente ciò che abbiamo ricevuto, «tradidi quod et accepi» (Corinzi 15,3)



Menzingen, le 12 mars 2009
+ Bernard Fellay





(fonte: http://blog.messainlatino.it/2009/03/il-comunicato-di-risposta-dei.html)

LETTERA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI



Siamo tutti con il Papa!

LETTERA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA RIGUARDO ALLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA DEI QUATTRO VESCOVI CONSACRATI DALL’ARCIVESCOVO LEFEBVRE
Cari Confratelli nel ministero episcopale! La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell’anno 1988 dall’Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa. Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere. Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa. Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell’Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive. Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell’Enciclica Deus caritas est. Se dunque l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti – per quanto possibile – nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi? Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate – superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo. Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà – anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua. Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo Vostro nel Signore BENEDICTUS PP. XVI
Dal Vaticano, 10 Marzo 2009