sabato 29 aprile 2017

In Marcia per la Vita - Roma, 20 Maggio 2017



di Massimo Micaletti



Ancora una volta, come ogni anno, coloro che difendono veramente il concepito sono chiamati a raccolta alla Marcia per la Vita, un evento straordinario se si pensa alla limitatezza delle persone e delle risorse che lo permettono.

Mentre a Torino Silvio Viale si vanta pubblicamente di frullare i bambini[1], ed in Polonia i bambini Down vengono lasciati ad agonizzare per un’ora finché non crepano per asfissia e lesioni cerebrali[2], a Roma si raccoglie un popolo che i bambini li ama e che non porta a casa lo stipendio frullandoli o lasciandoli a crepare.

Ma non è Silvio Viale o l’abortista polacco il nemico della Marcia.

Non lo sono neppure quelle associazioni o movimenti culturali e politici che ignorano da sempre la Marcia, cercano di non menzionarla, non considerarla, capaci di minimizzare anche quando – come nel 2015 – essa ha radunato quarantamila persone. Certo, quando sai che questa o quella sigla “non aderisce ufficialmente” o che questo o quel quotidiano (apparentemente) cattolico spenderà qualche centimetro quadro di carta al’ultimo momento e nulla più, ecco, ci rimani un po’ male. Ma non più di tanto. I veri pro life sono abituati ad essere guardati da una certa distanza, a sentirsi dire che sono troppo questo e troppo quello: non è una medaglia, non è un merito, è una condizione, fa parte del pacchetto. Difendi la vita senza compromesso e al dunque ti ritroverai con altri quattro gatti. E’ così da sempre.

martedì 11 aprile 2017

LA CRISI DELLA CHIESA E LA CRISI LITURGICA



«Scismi, sacrilegi e poca fede scuotono la messa»


di Lorenzo Bertocchi
02-04-2017


Dal 29 marzo al 1° aprile si è tenuto a Herzogenrath, in Germania, il 18° incontro liturgico di Colonia sul tema del decimo anniversario del Motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI. Nel 2007 con questo motu proprio l'attuale papa emerito riportava in piena luce il cosiddetto vetus ordo, la liturgia celebrata secondo il rito romano precedente la riforma post conciliare. Il prefetto della Congregazione per il Culto divino, il guineiano cardinale Robert Sarah, non potendo essere presente all'incontro ha inviato un messaggio che certamente farà parlare di sé (QUI l'originale in francese).

RECIPROCO ARRICHIMENTO TRA I DUE RITI

Il cardinale ha ricordato la Lettera ai vescovi che ha accompagnato il motu proprio di papa Benedetto XVI. In quel testo si precisava che la decisione di far coesistere le due forme del rito romano non aveva solo lo scopo di soddisfare i desideri di gruppi di fedeli legati alle forme liturgiche precedenti il Concilio Vaticano II, «ma anche di permettere l'arricchimento reciproco delle due forme dello stesso rito romano, vale a dire non soltanto la loro coesistenza pacifica, ma la possibilità di perfezionarsi evidenziando i migliori elementi che li caratterizzano».

Laddove il motu proprio è stato accolto, dice Sarah, «si è potuta notare una ripercussione e una evoluzione spirituale positiva nel modo di vivere le celebrazioni eucaristiche secondo la forma ordinaria [del rito], in particolare la riscoperta degli atteggiamenti di adorazione verso il Santo Sacramento (...), e anche un maggior raccoglimento caratterizzato dal silenzio sacro che deve sottolineare i momenti importanti del Santo Sacrificio della messa, per permettere ai preti e ai fedeli di interiorizzare il mistero della fede che viene celebrato». D'altra parte occorre «superare un certo “rubricismo” troppo formale spiegando i riti del Messale tridentino a quelli che non li conoscono ancora, o li conoscono in un modo parziale».

UNA RIFORMA IN ROTTURA

La liturgia «deve sempre riformarsi per essere più fedele alla sua essenza mistica. Ma per molto tempo, questa “riforma” che ha sostituito il vero “restauro” voluto dal concilio Vaticano II, è stata realizzata con uno spirito superficiale e sulla base di un solo criterio: sopprimere a tutti i costi un patrimonio percepito come totalmente negativo e sorpassato, al fine di creare un abisso tra il prima e il dopo concilio. Ora si tratta di riprendere la Costituzione sulla santa Liturgia [Sacrosantum concilium] e di leggerla onestamente, senza tradirne il senso, per vedere che il vero obiettivo del Vaticano II non era quello di intraprendere una riforma che potesse divenire l'occasione di rottura con la Tradizione, ma al contrario, di ritrovare e di confermare la Tradizione nel suo significato più profondo».