martedì 31 maggio 2011

Lo psicanalista Risè parla dei problemi dei figli di coppie omosessuali


Lo psicanalista Claudio Risè, sociologo e già docente di Psicologia dell’Educazione all’Università di Milano ed esperto del campo educativo, ha preso posizione sulla moda odierna di dare ai bambini due padri, due madri o qualche nonna-madre.

Tutti presi verso una sorta di utopica uguaglianza, «l’essere umano non viene più considerato come una persona con un suo corpo, ma solo come un oggetto prefabbricato. Qui si sta organizzando la produzione di bambini come adorabili oggetti di consumo», dice l’esperto. Sulla scia di sponsor del calibro di Elton John o Ricky Martin anche in Italia sarebbero un centinaio le coppie omosessuali che ricorrono all’estero (da noi è vietata) alla maternità “surrogata”: in pratica nell’utero di una donatrice che offre a pagamento il proprio utero viene inserito un embrione formato dall’ovocita di una donatrice e il seme di uno dei due padri. Tutti pensano a soddisfare i propri desideri-diritti, peccato che «in assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio».

Nessun padre, nonostante la buona fede, può svolgere il ruolo della madre perché «la vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare». Ovviamente lo psicanalista cita diversi studi, sopratutto in area anglosassone e nordeuropea dova da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli, i quali provano che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi (un piccolo esempio in Ultimissima 27/5/11) e , il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione dell’immagine sessuale profonda. Anche perché «l’esperienza del contatto fisico con la madre, nella cui pancia si è stati, è riconosciuta dalla psichiatria e dalle psiconalisi come fondativa della personalità, e della stessa corporeità». Di certo Risè non è solo, anzi. I massimi esperti italiani concordano pienamente con lui, come spiegato in Ultimissima 15/2/11.

Il problema della modernità è il materialismo «fondato sulla soddisfazione narcisistica dei bisogni indotti dal sistema di consumo. Il bimbo “fabbricato” è uno di questi nuovi bisogni. L’ideologia consumista, le mode, i media dettano i nostri comportamenti, perfino nell’innamoramento: ci si incontra e ci si lascia in base ai suggerimenti della moda e delle “tendenze”. Non stupiamoci, allora, se sono sempre di più quelli che vogliono evadere dal proprio corpo: magari con le droghe o coi disturbi alimentari come l’anoressia. La sacralità del corpo del cristianesimo è stata negata, e i consumi divinizzati».

Fonte: UCCR

lunedì 30 maggio 2011

Il divorzio: grave offesa alla legge naturale



Dal CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA




Il divorzio

2382 Il Signore Gesù ha insistito sull'intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile. 269 Ha abolito le tolleranze che erano state a poco a poco introdotte nella Legge antica. 270

Tra i battezzati « il Matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte ». 271

2383 La separazione degli sposi, con la permanenza del vincolo matrimoniale, può essere legittima in certi casi contemplati dal diritto canonico. 272

Se il divorzio civile rimane l'unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale.

2384 Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l'uno con l'altro fino alla morte. Il divorzio offende l'Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente:

« Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un'altra donna, è lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui è adultera, perché ha attirato a sé il marito di un'altra ». 273

2385 Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale.

2386 Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C'è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un Matrimonio canonicamente valido. 274






FAMILIARIS CONSORTIO




ESORTAZIONE APOSTOLICA
FAMILIARIS CONSORTIO
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO
AL CLERO ED AI FEDELI
DI TUTTA LA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I COMPITI
DELLA FAMIGLIA CRISTIANA
NEL MONDO DI OGGI


La Chiesa al servizio della famiglia

1. La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti.

Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell'umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Sostenendo i primi, illuminando i secondi ed aiutando gli altri, la Chiesa offre il suo servizio ad ogni uomo pensoso dei destini del matrimonio e della famiglia («Gaudium et Spes», 52).

In modo particolare essa si rivolge ai giovani, che stanno per iniziare il loro cammino verso il matrimonio e la famiglia, al fine di aprire loro nuovi orizzonti, aiutandoli a scoprire la bellezza e la grandezza della vocazione all'amore e al servizio della vita.









sabato 28 maggio 2011

GIACINTA E FRANCESCO UN CAPOLAVORO DELLA MADONNA DI FATIMA


Tratto dal Sito: Plinio Correa de Oliveira




"La vera direttrice spirituale di Giacinta, Francesco e Lucia fu, essenzialmente, la Madonna” – scrive il P. Demarchi. “La benevola Signora di Cova da Iria assunse l'incarico di realizzare questo capolavoro e, come non poteva essere altrimenti, lo portò a termine con pieno successo. Dalle sue mani sorsero tre angeli rivestiti di carne, che però, allo stesso tempo, erano tre autentici eroi. La materia prima era di una plasticità ammirevole, e cosa dire ancora sull'Artista? Alla sua scuola i tre piccoli montanari fecero, in breve tempo, passi da gigante nel cammino della perfezione. In essa si avverarono alla lettera le parole di un gran devoto di Maria, San Luigi Maria Grignion da Monfort. Egli ci conferma che alla scuola della Vergine, l'anima progredisce più in una settimana che nel corso di un anno fuori di essa. Infatti, la pedagogia della Madre di Dio non conosce confronti. In due anni la Vergine Santissima riuscì ad elevare i due fratellini - Francesco e Giacinta - sino alle più alte cime della santità cristiana.


Il ritratto di Giacinta delineatoci dalla mano ferma di Lucia è rivelatore. "Giacinta aveva sempre un portamento serio, modesto e amabile, che sembrava trasmettere la presenza di Dio in tutti i suoi atti, il che è proprio delle persone di età già avanzata e di grande virtù. Non vidi mai in lei quella eccessiva leggerezza e quell'entusiasmo dei bambini per i gingilli e gli scherzi". Non direi che gli altri bambini corressero appresso a lei, come lo facevano con me, forse perché la serietà del suo atteggiamento era assai superiore alla loro età. Se alla sua presenza qualche bambino oppure degli adulti diceva qualcosa o faceva qualunque azione meno che conveniente, li rimproverava dicendo: 'Non lo fate perché offende Dio, Nostro Signore, ed Egli è già tanto offeso'".

(Dal libro del Pe. Demarchi, "Era una Signora più brillante del sole…", Seminario delle Missioni della Madonna di Fatima, Cova da Iria, 3ª Edizione).


Analogia tra le azioni svolte dalla Madonna sui pastorelli di Fatima e sull'umanità

Questo brano illustra una grazia straordinaria, perché ci segnala diversi aspetti maggiori o minori dell'opera della Madonna in relazione a questi tre bambini. Però dobbiamo, anzitutto, considerare il valore simbolico dell'opera della Madonna sui bambini. Si sbagliano coloro che immaginano che un'opera come questa miri soltanto ai tre bambini; essa è un'opera che trasformò soavemente quei piccoli, da un momento all'altro, con il semplice fatto delle ripetute apparizioni della Madonna… Qui abbiamo qualcosa simile al Segreto di Maria [enunciato da San Luigi Maria Grignion da Montfort], cioè una di quelle azioni profonde della grazia sull'anima, che si sviluppano senza che uno se ne renda conto, sentendosi sempre più libera, ogni volta più disinvolta nel praticare il bene, mentre i difetti che la intralciano e la legano al male si dissolvono passo a passo. Quindi l’anima cresce nell'amor di Dio, nel desiderio di impegnarsi, nell'opposizione al male. Tuttavia, tutto questo accade in maniera meravigliosa all'interno dell'anima, in modo che essa non intraprende le grandi e metodiche battaglie dell'ammirabile ascesi al Cielo, alla virtù, alla santità come coloro che combattono secondo il sistema classico della vita spirituale; la Madonna invece la trasforma da un momento all'altro.


E se l'opera della Madonna di Fatima, specialmente con quei due bambini chiamati al Cielo, fu un'opera del genere, possiamo ben domandarci se non ha un valore simbolico, e non indica quale sarà l'azione di Maria Santissima su tutta l'umanità, quando Ella compirà le promesse fatte a Fatima … ; e, quindi, se non si dovrebbe vedere qui un inizio del Regno di Maria, cioè, il trionfo del Cuore Immacolato su due anime annunciatrici della grande rivelazione della Madonna, e che in seguito aiutarono tantissimo altre anime - con i loro sacrifici e preghiere in Terra e poi con le loro suppliche in Cielo - ad accogliere il messaggio di Fatima, facendolo ancor’oggi. Penso che questa prima osservazione ci porti direttamente a una deduzione: se così fosse, allora Francesco e Giacinta sarebbero gli intercessori naturali per chiedergli di ottenere dalla Madonna che intraprenda, al più presto, il Regno di Maria dentro di noi, mediante questa misteriosa trasformazione che è il Segreto di Maria. Quindi, dobbiamo chiedere con insistenza - sia a Giacinta che a Francesco - che comincino a trasformarci, ad ottenerci i doni che loro stessi hanno ricevuto, e che abbiano cura specialmente di coloro che, come noi, hanno la missione di diffondere il messaggio di Fatima. Credo che a questo proposito sarebbe molto importante dire una parola sul rapporto tra il messaggio di Fatima e noi. È già stato detto mille volte tra noi, che la nostra vita spirituale cresce nella misura in cui prendiamo sul serio il fatto che il mondo attuale si trova in una deplorevole decadenza e che si avvicina alla sua rovina. Inoltre, che questa rovina significa la realizzazione dei castighi previsti dalla Madonna a Fatima e che, di conseguenza, quanto più ci collochiamo in questa prospettiva, tanto più la nostra vita spirituale si infervora. E che, al contrario, quanto più ci allontaniamo da questa ottica, tanto più la nostra vita spirituale decade… Dunque, per intercessione di Francesco e di Giacinta possiamo dire alla Madonna: Venga a noi il vostro Regno, o Signora, ma che questo vostro Regno venga con urgenza".

(Estratti di conferenza tenuta dal Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, il 13 ottobre 1971. Senza revisione dell'autore)

venerdì 27 maggio 2011



LETTERA CIRCOLARE
per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida
per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici.







Tra le importanti responsabilità del Vescovo diocesano al fine di assicurare il bene comune dei fedeli e, specialmente, la protezione dei bambini e dei giovani, c’è il dovere di dare una risposta adeguata ai casi eventuali di abuso sessuale su minori commesso da chierici nella sua diocesi. Tale risposta comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la formazione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori. Detta risposta dovrà provvedere all’applicazione del diritto canonico in materia, e, allo stesso tempo, tener conto delle disposizioni delle leggi civili.


I. Aspetti generali:


a) Le vittime dell’abuso sessuale:
La Chiesa, nella persona del Vescovo o di un suo delegato, deve mostrarsi pronta ad ascoltare le vittime ed i loro familiari e ad impegnarsi per la loro assistenza spirituale e psicologica. Nel corso dei suoi viaggi apostolici, il Santo Padre Benedetto XVI ha dato un esempio particolarmente importante con la sua disponibilità ad incontrare ed ascoltare le vittime di abuso sessuale. In occasione di questi incontri, il Santo Padre ha voluto rivolgersi alle vittime con parole di compassione e di sostegno, come quelle contenute nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d’Irlanda (n.6): “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata.”
b) La protezione dei minori:
In alcune nazioni sono stati iniziati in ambito ecclesiale programmi educativi di prevenzione, per assicurare “ambienti sicuri” per i minori. Tali programmi cercano di aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici, a riconoscere i segni dell’abuso sessuale e ad adottare le misure adeguate. I suddetti programmi spesso hanno meritato un riconoscimento come modelli nell’impegno per eliminare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori nelle società odierne.
c) La formazione di futuri sacerdoti e religiosi:
Nel 2002, Papa Giovanni Paolo II disse: “Non c’è posto nel sacerdozio e nella vita religiosa per chi potrebbe far male ai giovani” (n. 3, Discorso ai Cardinali Americani, 23 aprile 2002). Queste parole richiamano alla specifica responsabilità dei Vescovi, dei Superiori Maggiori e di coloro che sono responsabili della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi. Le indicazioni fornite nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, nonché le istruzioni dei Dicasteri competenti della Santa Sede, acquistano una crescente importanza in vista di un corretto discernimento vocazionale e di una sana formazione umana e spirituale dei candidati. In particolare si farà in modo che essi apprezzino la castità e il celibato e le responsabilità della paternità spirituale da parte del chierico e possano approfondire la conoscenza della disciplina della Chiesa sull’argomento. Indicazioni più specifiche possono essere integrate nei programmi formativi dei seminari e delle case di formazione previste nella rispettiva Ratio institutionis sacerdotalis di ciascun nazione e Istituto di vita consacrata e Società di vita apostolica.
Inoltre, una diligenza particolare dev’essere riservata al doveroso scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra Istituti religiosi e diocesi.
d) L’accompagnamento dei sacerdoti:
1. Il vescovo ha il dovere di trattare tutti i suoi sacerdoti come padre e fratello. Il vescovo curi, inoltre, con speciale attenzione la formazione permanente del clero, soprattutto nei primi anni dopo la sacra Ordinazione, valorizzando l’importanza della preghiera e del mutuo sostegno nella fraternità sacerdotale. Siano edotti i sacerdoti sul danno recato da un chierico alla vittima di abuso sessuale e sulla propria responsabilità di fronte alla normativa canonica e civile, come anche a riconoscere quelli che potrebbero essere i segni di eventuali abusi da chiunque compiuti nei confronti dei minori;
2. I vescovi assicurino ogni impegno nel trattare gli eventuali casi di abuso che fossero loro denunciati secondo la disciplina canonica e civile, nel rispetto dei diritti di tutte le parti;
3. Il chierico accusato gode della presunzione di innocenza, fino a prova contraria, anche se il vescovo può cautelativamente limitarne l’esercizio del ministero, in attesa che le accuse siano chiarite. Se del caso, si faccia di tutto per riabilitare la buona fama del chierico che sia stato accusato ingiustamente.
e) La cooperazione con le autorità civili:
L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche.


II. Breve resoconto della legislazione canonica in vigore concernente il delitto di abuso sessuale di minori compiuto da un chierico:


Il 30 aprile 2001, Papa Giovanni Paolo II promulgò il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela [SST], con il quale l’abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico venne inserito nell'elenco dei delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede [CDF]. La prescrizione per questo delitto venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La normativa del motu proprio vale sia per i chierici Latini che per i chierici Orientali, sia per il clero diocesano che per il clero religioso.
Nel 2003, l’allora Prefetto della CDF, il Card. Ratzinger, ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per offrire maggiore flessibilità nelle procedure penali per i delicta graviora, fra cui l’uso del processo penale amministrativo e la richiesta della dimissione ex officio nei casi più gravi. Queste facoltà vennero integrate nella revisione del motu proprio approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010. Nelle nuove norme, la prescrizione è di 20 anni, che nel caso di abuso su minore, si calcolano a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La CDF può eventualmente derogare alla prescrizione in casi particolari. Venne anche specificato il delitto canonico dell’acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico.
La responsabilità nel trattare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori spetta in un primo momento ai Vescovi o ai Superiori Maggiori. Se l’accusa appare verosimile, il Vescovo, il Superiore Maggiore o il loro delegato devono condurre un’indagine preliminare secondo il can. 1717 CIC, il can. 1468 CCEO e l’art. 16 SST.
Se l’accusa è ritenuta credibile, si richiede che il caso venga deferito alla CDF. Una volta studiato il caso, la CDF indicherà al Vescovo o al Superiore Maggiore i passi ulteriori da compiere. Al contempo, la CDF offrirà una guida per assicurare le misure appropriate, sia garantendo una procedura giusta nei confronti dei chierici accusati, nel rispetto del loro diritto fondamentale per la difesa, sia tutelando il bene della Chiesa, incluso il bene delle vittime. E’ utile ricordare che normalmente l’imposizione di una pena perpetua, come la dimissio dallo stato clericale, richiede un processo penale giudiziale. Secondo il diritto canonico (cf. can. 1342 CIC) gli Ordinari non possono decretare pene perpetue per mezzo di decreti extragiudiziali; a questo scopo devono rivolgersi alla CDF, alla quale spetterà il giudizio definitivo circa la colpevolezza e l’eventuale inidoneità del chierico per il ministero, nonché la conseguente imposizione della pena perpetua (SST Art. 21, §2).

Le misure canoniche applicati nei confronti di un chierico riconosciuto colpevole dell’abuso sessuale di un minorenne sono generalmente di due tipi:
1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) le pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissio dallo stato clericale.
In taluni casi, dietro richiesta dello stesso chierico, può essere concessa pro bono Ecclesiae la dispensa dagli obblighi inerenti allo stato clericale, incluso il celibato.
L’indagine preliminare e l’intero processo debbono essere svolti con il dovuto rispetto nel proteggere la riservatezza delle persone coinvolte e con la debita attenzione alla loro reputazione.
A meno che ci siano gravi ragioni in contrario, il chierico accusato deve essere informato dell’accusa presentata, per dargli la possibilità di rispondere ad essa, prima di deferire un caso alla CDF. La prudenza del Vescovo o del Superiore Maggiore deciderà quale informazione debba essere comunicata all’accusato durante l’indagine preliminare.
Compete al Vescovo o al Superiore Maggiore il dovere di provvedere al bene comune determinando quali misure precauzionali previste dal can. 1722 CIC e dal can. 1473 CCEO debbano essere imposte. Secondo l’art. 19 SST, ciò deve essere fatto una volta iniziata l’indagine preliminare.
Va infine ricordato che, qualora una Conferenza Episcopale, salva l’approvazione della Santa Sede, intenda darsi norme specifiche, tale normativa particolare deve essere intesa come complemento alla legislazione universale e non come sostituzione di quest’ultima. La normativa particolare deve perciò essere in armonia con il CIC / CCEO nonché con il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (30 aprile 2001) così come aggiornato il 21 maggio 2010. Nel caso in cui la Conferenza decidesse di stabilire norme vincolanti sarà necessario richiedere la recognitio ai competenti Dicasteri della Curia Romana.


III. Indicazioni agli Ordinari sul modo di procedere:


Le Linee guida preparate dalla Conferenza Episcopale dovrebbero fornire orientamenti ai Vescovi diocesani e ai Superiori Maggiori nel caso fossero informati di presunti abusi sessuali nei confronti di minori, compiuti da chierici presenti sul territorio di loro giurisdizione. Tali Linee guida tengano comunque conto delle seguenti osservazioni:
a.) il concetto di “abuso sessuale su minori” deve coincidere con la definizione del motu proprio SST art. 6 (“il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un
minore di diciotto anni”) , nonché con la prassi interpretativa e la giurisprudenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, tenendo conto delle leggi civili del Paese;
b.) la persona che denuncia il delitto deve essere trattata con rispetto. Nei casi in cui l’abuso sessuale sia collegato con un altro delitto contro la dignità del sacramento della Penitenza (SST, art. 4), il denunciante ha diritto di esigere che il suo nome non sia comunicato al sacerdote denunciato (SST, art 24);
c.) le autorità ecclesiastiche si impegnino ad offrire assistenza spirituale e psicologica alle vittime;
d.) l’indagine sulle accuse sia fatta con il dovuto rispetto al principio della privacy e della buona fama delle persone;
e.) a meno che ci siano gravi ragioni in contrario, già in fase di indagine previa, il chierico accusato sia informato delle accuse con l’opportunità di rispondere alle medesime;
f.) gli organi consultivi di sorveglianza e di discernimento dei singoli casi, previsti in qualche luogo, non devono sostituire il discernimento e la potestas regiminis dei singoli vescovi;
g.) le Linee guida devono tener conto della legislazione del Paese della Conferenza, in particolare per quanto attiene all’eventuale obbligo di avvisare le autorità civili;
h.) in ogni momento delle procedure disciplinari o penali sia assicurato al chierico accusato un sostentamento giusto e degno;
i.) si escluda il ritorno del chierico al ministero pubblico se detto ministero è di pericolo per i minori o di scandalo per la comunità.

Conclusione:


Le Linee guida preparate dalle Conferenze Episcopali mirano a proteggere i minori e ad aiutare le vittime nel trovare assistenza e riconciliazione. Esse dovranno indicare che la responsabilità nel trattare i delitti di abuso sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al Vescovo diocesano. Infine, le Linee guida dovranno portare ad un orientamento comune all’interno di una Conferenza Episcopale aiutando ad armonizzare al meglio gli sforzi dei singoli Vescovi nel salvaguardare i minori .

Dal Palazzo del Sant’Uffizio, 3 maggio 2011
William Cardinale Levada Prefetto
Luis F. Ladaria, S.I. Arcivescovo tit. di Thibica Segretario
fonte: Avvenire

giovedì 19 maggio 2011

La bocciatura in Commissione Giustizia della Camera del progetto di legge Concia sulle “norme per il contrasto dell’omofobia e transfobia”




Chi discrimina chi?


di Riccardo Cascioli



19-05-2011

La bocciatura in Commissione Giustizia della Camera del progetto di legge Concia sulle “norme per il contrasto dell’omofobia e transfobia” ha suscitato – come era facilmente prevedibile – un’ondata di polemiche con accuse di inciviltà e barbarie contro i deputati di Pdl, Lega e Udc che hanno votato contro. Li si accusa di favorire la discriminazione degli omosessuali e dei transessuali, ma in realtà se andiamo a vedere il testo del progetto di legge comprendiamo che con la discriminazione contro gli omosessuali non c’entra un bel nulla.

Cosa significa infatti discriminare? Creare una differenza o una distinzione, ci dice un comune dizionario di italiano. In questo caso si tratterebbe di creare una disparità di trattamento ingiustificata a causa di alcune caratteristiche fisiche, sociali, politiche, culturali, economiche e via dicendo.

Cosa propone invece il progetto di legge Concia? Esso è composto di soli due articoli, che aggiungono altrettanti commi a due articoli del codice penale: in pratica, la punizione di un’offesa o una violenza è aggravata se la vittima è un omosessuale o transessuale, e le eventuali attenuanti vengono cancellate; inoltre per chi commette reati di questo genere, in caso di sospensione della pena è previsto un lavoro di pubblica utilità presso associazioni di gay.

In altre parole, chi si è opposto al progetto di legge non ha avallato norme che rendono le persone omosessuali più vulnerabili o meno protette, semplicemente ha valutato che – dal punto di vista di chi è vittima di violenze o offese - le persone omosessuali sono come quelle eterosessuali. Se le parole hanno un senso è chi vuole questa legge che intende introdurre una discriminazione a vantaggio delle persone omosessuali. Peraltro è anche difficile considerare quella omosessuale una minoranza indifesa quando la lobby gay è tra le più potenti e influenti in tutto il mondo occidentale e nelle istituzioni internazionali.

Quindi perché tutto questo scandalo?
Probabilmente perché, non per le persone omosessuali in quanto tali ma per il movimento organizzato di gay e lesbiche, questo tipo di legge non è un obiettivo in sé ma solo un passo verso obiettivi più ambiziosi. Scorrendo i programmi e le strategie dei gruppi organizzati di gay, lesbiche, bisex e trans – vedi ad esempio l’International Gay and Lesbian Association (Ilga) – si comprende che quella che si sta operando è una vera e propria rivoluzione antropologica, dove viene cancellato l’ordine naturale a favore di scelte culturali e personali. In altre parole non esisterebbero più maschio e femmina, come unici generi assegnati dalla natura, ma una serie di orientamenti sessuali – maschio, femmina, trans, omosex, lesbiche, travestiti, bisex e scusate se ne dimentichiamo qualcuno – che ognuno può scegliere liberamente e anche cambiare nel corso della vita. Cancellata ogni oggettività, tutto è soggettivo e relativo. Escluso il diritto di discutere questo approccio.

Ed è per questo che si assiste a una crescente aggressività dei movimenti gay – non delle persone omosessuali – nei confronti di chi non si adegua a questo pensiero politicamente corretto: intimidazioni, denunce, linciaggi verbali come quelli a cui stiamo assistendo in queste ore contro chiunque sia di intralcio al progredire della strategia gay.
E’ questo che dovrebbe allarmare prima di tutto.


martedì 17 maggio 2011

La coscienza del cattolico in politica



S.E.Mons.Giampaolo Crepaldi, "Il cattolico in politica", Cantagalli, 2011, PARTE PRIMA, cap. quarto: "la coscienza del cattolico in politica", da pag.72 a pag.76


La seconda parte del tema "la coscienza del cattolico in politica" è particolarmente importante per la sua attualità e la gravità degli argomenti trattati. Si affrontano tre questioni fondamentali:

1)-la negazione del proprio voto a partiti che promuovono progetti politici contro la legge morale naturale;

2)-il dovere dell'obiezione di coscienza, che acquisterà sempre più importanza e avrà sempre più una valenza politica;

3)-"Davanti al male, non ci si può nascondere dietro il rispetto delle leggi, del proprio ruolo istituzionale, e perfino del rispetto della Costituzione", più volte richiamata di questi tempi in funzione di un presunto "patriottismo costituzionale".

Con questi riferimenti torna il tema della difesa del creato. Il cattolico in politica è sì un politico ma è anche un cattolico. La sua fede getta su tutto questo una luce particolare. Anche la ragione vede che la vita è vita e la morte è morte; che il maschio è maschio e che la femmina è femmina; che da un embrione umano nasce una persona umana e non un ranocchio. La fede però la illumina e la sostiene quando dovesse cedere. ll cattolico in politica vede nella Natura “il creato”, nei 10 comandamenti non solo una legge naturale ma anche il bene stabilito da Dio, che è Verità e Amore ed ha chiaro quindi quando deve fermarsi, anche se una ragione politica che ha perso la fiducia in se stessa gli dicesse di andare avanti. Che questo bisogno dell’appoggio della fede religiosa ci sia è comprovato dal fatto che spesso è proprio la Chiesa cattolica a doversi erigere come ultimo baluardo a difesa della vita, della persona e della famiglia. Quando i diritti dei più deboli non vengono rispettati e la ragione illuministica non vede la necessità di rispettarli, entra in gioco l’aiuto della rivelazione. Anche il cattolico in politica dovrà rivolgersi a questo aiuto nei momenti di incertezza. Egli è un membro della Chiesa, fedele al Magistero che su questioni di fede e di morale orienta tutti, anche i politici.

Davanti a leggi che permettano il male radicale, il cattolico in politica esercita la propria obiezione di coscienza, nella quale trovano espressione la sua libertà unita alla sua responsabilità. ll cittadino non può dare il proprio voto ad un partito che contempli nel proprio programma l’aborto, l’eutanasia, la possibilità di distruzione dell’embrione, la selezione eugenetica, il riconoscimento di unioni di fatto equiparate al matrimonio, il riconoscimento giuridico di coppie omosessuali. Il dipendente pubblico del settore sanitario, per esempio, deve opporre obiezione di coscienza davanti a comportamenti richiesti sul lavoro in applicazione di leggi simili. A maggior ragione l’amministratore della cosa pubblica o il legislatore deve ricorrere all’obiezione di coscienza davanti a leggi che legalizzano il male e che contrastino con le leggi morali naturali fondamentali. Di solito, davanti a queste indicazioni, si sostiene che agendo in questo modo i cattolici in politica si ritirerebbero dal campo e lascerebbero libero spazio agli altri, producendo alla fine un danno maggiore. A questa obiezione si può rispondere in vari modi. Prima di tutto ricordando che non è lecito fare il bene attraverso il male. Non si può firmare una legge che preveda l’aborto e rimanere in carica pensando che cosi si potrà fare del bene domani, perché in questo caso si penserebbe di poter fare il bene facendo il male. In secondo luogo bisogna ricordare che la politica la si fa sia agendo sia rifiutandosi di agire. Anche l’obiezione di coscienza, anche le dimissioni da un prestigioso incarico politico, sono atti politici che non è detto che non procurino a loro volta dei frutti politici. Perché mai si deve escludere che dal bene nasca il bene? Tommaso Moro è stato proclamato Patrono dei politici da Giovanni Paolo ll non per aver fatto qualcosa ma per non averlo fatto, per aver fatto obiezione di coscienza. Anche Tommaso Moro avrebbe potuto pensare di rimanere in carica (e in vita) per poter fare domani del bene. Infine la politica la si può fare a diversi livelli e se si perde una poltrona si aprono altre possibilità di esercitare la propria vocazione politica. Senza contare poi un aspetto di fondamentale importanza per il credente: il sacrificio, la croce, la sofferenza devono essere messe in conto da chiunque, come credente, operi in politica.

Ci sono molti motivi per dire che in futuro aumenteranno i casi limite nei quali dovra essere esercitata l’obiezione di coscienza e che questa assumerà sempre più un significato politico. Le nuove tecnologie connesse con l’ingegneria genetica, le nuove forme di attentato alla dignità della vita umana, i nuovi attacchi alla famiglia porranno forse sempre di più in futuro il problema dell’obiezione di coscienza da parte di molti operatori e ancor di più per il politico. Ciò significa che bisogna prepararsi ad un’epoca in cui la testimonianza anche nella forma dell’obiezione di coscienza assumerà vera e propria valenza politica, sarà una delle forme del confronto politico, non un atteggiamento residuale e limitato ad alcuni casi molto particolari, non un atteggiamento di confine, ma una forma di espressione politica e di indicazione di senso per la politica di primo piano. L’obiezione di coscienza diventerà sempre più un modo per indicare nuclei di problemi politici, per determinare le priorità per la politica e la stessa agenda politica correttamente intesa. Con ogni probabilità l’obiezione di coscienza verrà sempre più precisata nei suoi fondamenti morali e nei suoi contorni politici e verrà perfino organizzata. Anche la gamma di problematiche che richiederanno l’obiezione di coscienza con ogni probabilità aumenteranno, se continuasse l’attuale tendenza in corso. Ai campi che ho gia ricordato sopra si aggiungeranno quelli connessi con l’educazione se dovesse accadere, come in parte sta gia accadendo, che lo Stato dovesse pretendere per sé un ruolo educativo primario in campi delicati della formazione dei bambini e dei giovani.

L’obiezione di coscienza del politico si fonda su un principio famoso, espresso già da Antigone e da Socrate ed enunciato anche nel Vangelo: bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini. per questo che davanti al male, non ci si può nascondere dietro il rispetto delle leggi, del proprio ruolo istituzionale, e perfino del rispetto della Costituzione. Non c’e una legge umana, nemmeno la Costituzione di un Paese, che possa pretendere l’ossequio che merita la legge divina e quindi anche la legge naturale. Si adopera spesso l’espressione “patriottismo costituzionale". La Carta costituzionale è per il cattolico in politica un punto di riferimento importante, ma non è l’ultimo. Essa non sostituisce il Vangelo e nemmeno la legge morale naturale. Piuttosto deriva il suo stesso valore, formalmente espresso dalla volontà popolare che tuttavia non ne è il fondamento ultimo, dal fatto che rispetta i diritti fondamentali della persona umana, intesa nella sua globalità, ossia secondo il valore del suo essere e secondo il piano di Dio su di essa. Questi due ultimi aspetti sono il vero fondamento della Carta costituzionale, e ad essi si deve maggiore rispetto che non alla Carta stessa. Del resto la Costituzione stessa enuncia dei principi che la fondano, nasce quindi con la consapevolezza di essere funzionale a qualcosa che non è essa a costituire.

Purtroppo sulla coscienza e sulla obiezione di coscienza pesano oggi delle ipoteche culturali riduttive, che molto peso hanno anche sul comportamento dei politici. La coscienza oggi è intesa come liberta senza responsabilità, come individuo senza comunità, come desiderio senza legge. È vista come qualcosa di assolutamente individuale e intollerante verso ogni limite e condizionamento. L’obiezione di coscienza diventa quindi qualcosa di arbitrario e perfino di capriccioso. Oppure l’obiezione di coscienza viene considerata una semplice opinione, uguale al suo contrario. C’e quindi perfino una inflazione dei motivi per fare obiezione di coscienza e, portando il discorso all’estremo, di questo passo puo finire che ogni cittadino faccia obiezione di coscienza dal punto di vista delle sue opinioni e in loro difesa. Una simile obiezione di coscienza comporterebbe la polverizzazione della società. È quindi di importanza fondamentale che, mentre si rivendica il diritto all’obiezione di coscienza, si operi anche per ricostruire nel comune sentire un significato di coscienza non individualistico e relativistico ma devoto ai principi della legge morale naturale, non da sentire come una oppressione o una indebita costrizione, ma come le indicazioni del nostro dover-essere, di una vita veramente umana.

sabato 14 maggio 2011

ISTRUZIONE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI SULL’APPLICAZIONE DELLA LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO DATA SUMMORUM PONTIFICUM DI S.S. BENEDETT

ISTRUZIONE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI SULL’APPLICAZIONE DELLA LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO DATA SUMMORUM PONTIFICUM DI S.S. BENEDETTO PP. XVI, 13.05.2011

PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

ISTRUZIONE

sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data Summorum Pontificum di S.S. BENEDETTO PP. XVI

I.

Introduzione

1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana.

2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.

3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”1.

4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terzaedizione.

5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII.

Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano.

Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare.

6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore.

7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.
Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia. Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”2.

8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa3 e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale4.

Esso si propone l’obiettivo di:

a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;

b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;

c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.

II.

Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).

10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio. § 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.

III.

Norme specifiche

12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico.

La competenza dei Vescovi diocesani

13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi5, sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum6.

In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.

Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)

15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella.

16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa.

17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.

§ 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa.

18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo.

19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.

Il sacerdos idoneus
(cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)

20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto “idoneo” a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue:

a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria.

b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.

c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente.

21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.

22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa.

23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori.

La disciplina liturgica ed ecclesiastica

24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni.

25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi, secondo la normativa che verrà indicata in seguito.

26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola.

27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.

28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.

Cresima e Ordine sacro

29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.

30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori.

Breviarium Romanum

32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina.

Il Triduo sacro

33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa.

I Riti degli Ordini Religiosi

34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.

Pontificale Romanum e Rituale Romanum

35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V.

William Cardinale Levada
Presidente

Mons. Guido Pozzo
Segretario

_______________

1 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza ed. 2002, n. 397.

2 BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798.

3 Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2.

4 Cf. C.I.C. can. 331.

5 Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.

6 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799.

7 Cf. C.I.C. can. 900 § 2.

8 Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius n. 13.

9 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica"Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 79

sabato 7 maggio 2011

Supplica alla Madonna di Pompei



(da recitarsi l'8 maggio e la prima domenica di ottobre a mezzogiorno)



I. - O Augusta Regina delle vittorie, o Vergine sovrana del Paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti, avventurati figli vostri, che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un Tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degl'idoli e dei demoni, effondiamo con lacrime gli affetti del nostro cuore, e con la confidenza di figli vi esponiamo le nostre miserie.

Deh! da quel trono di clemenza ove sedete Regina, volgete, o Maria, lo sguardo vostro pietoso verso di noi, su tutte le nostre famiglie, sull'Italia, sull'Europa, su tutta la Chiesa; e vi prenda compassione degli affanni in cui volgiamo e dei travagli che ne amareggiano la vita. Vedete, o Madre, quanti pericoli nell'anima e nel corpo ne circondano: quante calamità e afflizioni ne costringono! O Madre, trattenete il braccio della giustizia del vostro Figliuolo sdegnato e vincete colla clemenza il cuore dei peccatori: sono pur nostri fratelli e figli vostri, che costarono sangue al dolce Gesù, e trafitture di coltello al vostro sensibilissimo Cuore. Oggi mostratevi a tutti, qual siete, Regina di pace e di perdono.

Salve Regina.

II. - È vero, è vero che noi per primi, benché vostri figliuoli, coi peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù, e trafiggiamo novellamente il vostro Cuore. Sì, lo confessiamo, siamo meritevoli dei più aspri flagelli. Ma Voi ricordatevi che sulla vetta del Golgota raccoglieste le ultime stille di quel sangue divino e l'ultimo testamento del Redentore moribondo. E quel testamento di un Dio, suggellato col sangue di un Uomo-Dio, vi dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Voi, dunque, come nostra Madre, siete la nostra Avvocata, la nostra Speranza. E noi gementi stendiamo a Voi le mani supplichevoli, gridando: Misericordia!

Pietà vi prenda, o Madre buona, pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli estinti, e soprattutto dei nostri nemici, e di tanti che si dicono cristiani, e pur dilacerano il Cuore amabile del vostro Figliuolo. Pietà, deh! pietà oggi imploriamo per le nazioni traviate, per tutta l'Europa, per tutto il mondo, che torni pentito al cuor vostro. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia.

Salve Regina.

III. - Che vi costa, o Maria, l'esaudirci? Che vi costa il salvarci? Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Voi sedete coronata Regina alla destra del vostro Figliuolo, circondata di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli. Voi distendete il vostro dominio per quanto son distesi i cieli, e a Voi la terra e le creature tutte che in essa abitano sono soggette. Il vostro dominio si estende fino all'inferno, e Voi sola ci strappate dalle mani di Satana, o Maria.

Voi siete l'Onnipotente per grazia. Voi dunque potete salvarci. Che se dite di non volerci aiutare, perché figli ingrati ed immeritevoli della vostra protezione, diteci almeno a chi altri mai dobbiamo ricorrere per essere liberati da tanti flagelli.

Ah, no! Il vostro Cuore di Madre non patirà di veder noi, vostri figli, perduti. Il Bambino che noi vediamo sulle vostre ginocchia, e la mistica corona che miriamo nella vostra mano, c'ispirano fiducia che noi saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in Voi, ci gettiamo ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, ed oggi stesso, sì, oggi da Voi aspettiamo le sospirate grazie.

Salve Regina.

Chiediamo la benedizione a Maria.

Un'ultima grazia noi ora vi chiediamo, o Regina, che non potete negarci in questo giorno solennissimo. Concedete a tutti noi l'amore vostro costante, e in modo speciale la vostra materna benedizione. No, non ci leveremo dai vostri piedi, non ci staccheremo dalle vostre ginocchia, finché non ci avrete benedetti.

Benedite, o Maria, in questo momento, il Sommo Pontefice. Ai prischi allori della vostra Corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle vittorie, deh! aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e la pace alla umana società. Benedite il nostro Vescovo, i Sacerdoti e particolarmente tutti coloro che zelano l'onore del vostro Santuario.

Benedite infine tutti gli Associati al vostro novello Tempio di Pompei, e quanti coltivano e promuovono la divozione al vostro Santo Rosario.

O Rosario benedetto di Maria; Catena dolce che ci rannodi a Dio; Vincolo di amore che ci unisci agli Angeli; Torre di salvezza negli assalti d'inferno; Porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell'ora di agonia; a te l'ultimo bacio della vita che si spegne. E l'ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, Regina del Rosario della Valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico Rifugio dei peccatori, o sovrana Consolatrice dei mesti. Siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Così sia.

Salve Regina.


(vero testo della Supplica scritta dal beato Bartolo Longo)

domenica 1 maggio 2011

UNA FESTA VOLUTA DA GESU'



"Desidero che la prima domenica dopo Pasqua sia la Festa della Mia Misericordia"

“Desidero che la festa della Misericordia sia il riparo e il rifugio per tutte le anime. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine.

Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto.

(Diario pp 699)





Dalla testimonianza del padre spirituale di Santa Faustina Kowalska, il Beato Michele Sopocko:


Ci sono delle verità di fede che sembrano esser conosciute, di cui si parla spesso, ma senza capirle e tantomeno viverle. E così è successo anche a me, per quanto riguarda la verità della Divina Misericordia. Tante volte ho riflettuto su questa verità nelle meditazioni, specialmente durante i ritiri spirituali, tante volte ne ho parlato nelle omelie e ho ripetuto le parole delle preghiere liturgiche, ma non cercai di approfondirne il contenuto e l’importanza per la vita spirituale: in particolare non riuscii a capire, e all’inizio non potei accettare che la Divina Misericordia fosse l’attributo più alto di Dio Creatore, Salvatore, Santificatore. Ci voleva un’anima semplice e santa, profondamente unita a Dio, la quale – come credo – per ispirazione Divina me ne parlò incitandomi a studiare, a cercare e a riflettere su questo tema.

Quest’anima era Suor Faustina, ora defunta (Helena Kowalska) della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia. Essa lentamente arrivò a convincermi al punto tale che oggi considero il culto della Divina Misericordia, e particolarmente l’istituzione della festa della Divina Misericordia la prima domenica dopo Pasqua come uno degli obiettivi prioritari della mia vita. (Beato Michele Sopocko)