domenica 30 novembre 2008

Le tentazioni di Gesù... e le nostre


(foto: Chiesa di Santa Caterina - Sassari)
Il testo: Matteo 4,1-11

Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”.
Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo”.
Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”. Ma Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”.
Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.



Lectio
Qualche riflessione sulle tentazioni...

Subito dopo il battesimo (nel quale la voce del Padre ci ha indicato Gesù come modello di obbedienza alla volontà divina: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”: 3,17) lo Spirito spinge Gesù nel deserto. E’ qui che il Tentatore cerca di separare Gesù dal progetto del Padre, ossia dalla strada di un Messia sofferente, umiliato, rifiutato, per fargli prendere un cammino di facilità, di successo e di potenza. Gesù si trova così davanti a “due vie”, due programmi, due modi di vivere la sua missione.
"Se tu sei il figlio di Dio..." - gli dice il Tentatore -, riconosciuto e legittimato come tale dal Padre stesso nel battesimo, puoi e hai il diritto di prendere autonomamente le decisioni più opportune per realizzare gli obiettivi della tua missione, senza dover sempre verificare se quella sia veramente la volontà del Padre. Ragiona un po' con la tua testa: non è forse vero che quando si è ricchi, stimati e potenti si possono risolvere tutti i problemi del mondo?
"Se tu sei il figlio di Dio..." hai il dovere di risolvere questi problemi usando i mezzi più rapidi ed efficaci, non vorrai mica andar per il sottile mentre la gente continua a soffrire?! In fondo, raggiungere un risultato di bene può ben giustificare, anzi “santificare” i mezzi usati!
Si tratta di una tentazione in quanto non propone qualcosa di totalmente falso: i bisogni sono reali, reale è la necessità e l'urgenza di dar loro una risposta, ma... sono i mezzi usati per soddisfarli che ci portano nella direzione opposta rispetto al nostro obiettivo: per ottenere quella ricchezza, quel successo, quel potere attraverso i quali pensiamo di poter raggiungere i nostri scopi rischiamo di schiacciare o strumentalizzare quell'uomo la cui salvezza è lo scopo della missione.
L'amore, l'attenzione, il rispetto della persona è invece l'unico criterio che ispira le scelte di Gesù, prese in comunione col Padre ed i mezzi usati per concretizzarle sono la povertà, l'umiltà, il servizio. Alle seduzioni del mondo usate dal demonio per tirarti dalla sua parte, Gesù contrappone la fedeltà alla Parola di Dio che lo aiuta a discernere la volontà del Padre.
La proposta di cambiare le pietre in pane (simbolo della sicurezza, del non mancare di nulla. In una società come quella di allora il pane era il simbolo della ricchezza) ha lo scopo di mettere alla prova la compassione di Cristo per chi è nel bisogno (a cominciare da Lui stesso che, dopo quaranta giorni di digiuno, ha veramente fame).
Il mondo ha dei bisogni reali che derivano dalla miseria: la fame, le malattie, il sottosviluppo. Il demonio invita Gesù a ser­virsi di quel che possiede (la capacità di fare miracoli) per risolvere il problema. Per l'uomo la capacità di fare miracoli risiede nella ricchezza: quando hai soldi puoi fare quel che vuoi. Vuoi aiutare gli altri? Diventa ricco, fa soldi con ogni mezzo, e con questi potrai dar sollievo alla miseria altrui.
Gesù però non si lascia ingannare. Non basta eliminare la miseria per risolvere i problemi dell'uomo. Egli vuol vivere l'amore di Dio per l'uomo non risolvendogli i problemi dall'esterno, senza coinvolgersi nella sua situazione, ma entrando a condividere le situazioni di povertà, povero tra i poveri. La missione si svolge nella povertà. Povertà spirituale e materiale insieme: “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Ossia, che l’uomo è più dello stomaco e anche del portafogli. Che i suoi orizzonti non possono essere confiscati dalla ricerca esclusiva del benessere economico, del piacere. Che i suoi ideali non possono essere sacrificati alle mode e ai conformismi. Che l’uomo è su questa terra non soltanto per produrre, consumare, accumulare, fare carriera. Che deve imparare ad aver fame e sete di Dio: “Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia; tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Non ci può essere preoccupazione per le cose del mondo, che cosa mangiare, come vestire ecc... Tali ansie sono pagane, il Padre sa di cosa abbiamo bisogno.
La proposta di lanciarsi giù dal Pinnacolo del tempio ha lo scopo di mettere alla prova la coerenza di Gesù. Avere successo, suscitare ammirazione farebbe nascere negli altri il desiderio di essere come lui. Vuoi che gli altri ti ascoltino? L'importante è fare tante belle iniziative che attraggano molta gente; cura le apparenze, quel che fai vedere di te; non importa che tu viva davvero quel che dici, tanto ci pensa poi il Signore a far andare le cose per il verso giusto: deve pur intervenire come ha promesso!
Ma Gesù non intende tentare il Padre né strumentalizzarlo a proprio vantaggio, per far crescere l'immagine che gli altri hanno di lui; vuole invece impegnarsi per la sua parte dando il primato all'essere e non all'apparire. Gesù respinge decisamente questa tentazione citando la Scrittura: “Non tentare il Signore Dio tuo”. Riafferma la propria fedeltà al progetto divino, senza alcuna concessione a deviazioni lungo le scorciatoie del successo e della popolarità. La missione si svolge nell'umiltà.
La proposta di dargli tutti i regni del mondo ha lo scopo di mettere alla prova la sottomissione di Gesù al Padre. Avere il potere gli consentirebbe di obbligare gli uomini a comportarsi secondo quello che Lui vede essere il bene per loro. Vuoi che gli altri si comportino secondo i tuoi progetti? Conquista il potere e potrai imporre loro quel che devono fare. Ma Cristo non cerca il risultato ad ogni costo: il primo valore resta sempre il Padre (“sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo renderai culto”) e la persona va aiutata a crescere nella libertà fino a che possa scegliere da sola ciò che vede essere bene per lei. Non pone davanti a tutto i propri progetti, ma il servire il Padre nella missione che Egli gli ha affidato. La missione si svolge nel servizio.
Esaurito ogni genere di tentazione, "il diavolo si allontanò da Lui", ma aspettando un altro momento propizio. Gesù ha vinto il nemico e si sente, per questo, confermato nella missione come la vuole il Padre; ritrova così la pace interiore ("Gli angeli vennero a servirlo"). La lotta si sposta ora dall'interiore all'esteriore. Lo Spirito, che lo aveva spinto nel deserto, lo spinge ora verso la vita pubblica: è qui, su questo terreno concreto di lotta, che Gesù sconfiggerà definitivamente il nemico.
Non c'è vittoria senza lotta: Gesù infatti dirà che "il Regno di Dio soffre violenza" e che "solo i forti vi entrano" (Mt 11,12). I discepoli (noi) saranno chiamati a provare nello stesso modo la propria fedeltà; queste parole rivolte da Gesù a Pietro ne sono la conferma: "Ma io ho pregato per te, perché tu sappia conservare la tua fede. E tu, quando sarai tornato a me, dà forza ai tuoi fratelli" (Lc 22,32).
Non dobbiamo allora stupirci se nel nostro cammino spirituale dovremo affrontare le tentazioni. E' tentato, infatti, chi fa il bene. Con l'aiuto della grazia possiamo vincere ogni tentazione.

Meditatio

Due proposte opposte
Sant’Ignazio ci dice che la proposta del Signore e quella del Nemico si oppongono tra loro. Il Nemico ci tenta per attirarci al male; viceversa il Signore ci attira con il suo amore e ci propone la sua “via” per farci arrivare a ciò che è veramente il nostro bene.
Il Maligno resta sempre il tentatore. Per questo dobbiamo essere vigilanti... per non cadere nella tentazione.
A questo scopo ci è molto utile conoscere la strategia che il Maligno più comunemente adotta per distoglierci dalla volontà divina.

La strategia del Nemico
Da una parte lo spirito del male opera in noi con gradualità:
- cercando, come primo passo, di legarci, di “attaccarci” a dei beni particolari in sé necessari (il danaro, la ricchezza, la salute del proprio corpo, il lavoro, le opere, le opinioni, l’amicizia, il successo...). In altre parole il maligno non provoca immediatamente al male, ma ci tenta sotto l’apparenza di bene (cioè ci presente una scelta come “buona”) o almeno cerca di attaccare disordinatamente il nostro affetto a cose di per sé indifferenti. Così poco alla volta la persona, non mantenendo la debita distanza dalle cose create, finisce per identificarsi con tali beni.
Quando ci si accorge che c’è un “attaccamento disordinato”? Quando sono disposto a offrire tutto al Signore... eccetto quella piccola minuscola cosa a cui mi sono identificato: è con essa e in essa che io mi sento realizzato. Se perdo questa ricchezza perdo la pace.
- su questo attaccamento disordinato alle “ricchezze” lo spirito diabolico fa leva per il passo successivo: il “vano onore del mondo”. L’uomo quanto più possiede questi beni tanto più si sente sicuro di sé, autonomo (anche da Dio), orgoglioso delle proprie capacità e di quanto possiede, importante, potente... E gli altri, riconoscendogli tale potere, lo confermano nella sua persuasione con l’adulazione, il servilismo, il clientelismo. E’ il caso evidente e non raro di chi arriva a disporre di molti capitali, di chi ha raggiunto alte collocazioni politiche o sociali, di chi si è abituato a posizioni di successo o di comando.
- e il passo per giungere alla superbia (l’uomo che non solo è pieno di sé, ma si innalza anche sugli altri) è breve. La persuasione di essere importante e potente radicandosi sempre più nel cuore umano, alimenta una stima errata del proprio valore: cioè può travalicare nell’autonomia piena, che chiude la persona di fronte all’Altro e agli altri.


La strategia di Cristo
Al contrario il Cristo, da parte sua, invita in tutto il Vangelo alla povertà del cuore, al distacco interiore fino all’abnegazione. Per questa strada – che è esattamente nella direzione opposta a quella del maligno - si giunge più pienamente all’umiltà e alla rinuncia: due atteggiamenti che rendono capaci di accogliere anche l’umiliazione se questa arriva, mantenendo la persona nella pace e nella lode amorosa.
- Il primo passo è dunque il distacco, o meglio la giusta distanza dai beni. Non si tratta del disprezzo di essi, ma di quella libertà di poterli usare per il vero (e non solo apparente) bene. Sono libero di possedere e di non possedere. Non valgo per quello che ho, ma per quello che sono davanti a Dio: creatura da lui redenta, figlio di Dio... Sant’Ignazio prende l’esempio della povertà: liberi interiormente da tutti i beni materiali e da altri beni.
- Il secondo passo – che consegue dalla libertà, dalla scelta di mettermi al servizio di Cristo, alla sua sequela – conduce all’accettazione delle ingiustizie, delle incomprensioni, delle umiliazioni (Sant’Ignazio parla qui del disprezzo: essere misconosciuto, ignorato, disprezzato)... conformandomi in questo al Signore. Poiché ho rinunciato a farmi servire, accetto anche di essere donato, strumentalizzato, sfruttato. Non è sano o evangelico andare alla ricerca deliberata delle umiliazioni, ma sono chiamato ad accettarle, con pace interiore, quando le incontro. Il Vangelo ci parla di “servitore inutile”: devo prendere coscienza che sono semplicemente un servitore... che conserva la pace anche nelle incomprensioni e umiliazioni... perché trova la sua gioia nel servire il suo maestro. E, per di più, queste umiliazioni accettate nella pace sono i segnali che sto realmente crescendo spiritualmente, che mi sto conformando a Cristo....
- Il distacco da sé e l’accettazione delle incomprensioni sfociano nell’attaccamento globale e radicale a Cristo. Sant’Ignazio indica qui l’umiltà, cioè l’abbandono completo di se stessi nelle mani di Dio per ricevere tutto da Lui. Questa umiltà mi situa al mio vero e giusto posto nella creazione. Non avendo trattenuto niente per me, è Dio che diventa il garante della mia vita. Può allora davvero invadere la mia impotenza con la sua onnipotenza creatrice e redentrice. E’ così che l’umiltà conduce a tutte le altre virtù.

REGNO DI DIO: “VALORI”

1. Distacco dalle cose e da se stessi (povertà)

Il Signore mi vuole libero, capace di scegliere i beni con retta finalità:Il distacco dai beni è vario:
a) povertà materiale: liberi nei riguardi del danaro, benessere, possesso, proprietà, sicurezza...
b) povertà interiore: liberi nei riguardi di tutto ciò che mi viene dalla società: fama, prestigio, potere, reputazione...
c) povertà fisica: liberi nei riguardi della salute, bellezza, apparenza, abilità, forza...
d) povertà psicologica: liberi nei riguardi delle proprie qualità, talenti, successi... e) povertà intellettuale: liberi dal far valere i beni ricevuti per metterli a servizio
f) povertà affettiva: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10,37)g) povertà spirituale: liberi nei riguardi dei doni spirituali ricevuti o che riceverò.

2. Accettazione delle incomprensioni e delle umiliazioni.
E’ il saper vivere nella pace. Non ho bisogno di essere riconosciuto dagli altri: so di esser prezioso davanti a Dio e Lui mi ama.

3. Umiltà



REGNO DEL MALIGNO: “VALORI”

1. Attaccamento disordinato ai beni

Il nemico cerca di attaccarmi ad un bene particolare, ad una ricchezza.
Questo attaccamento è vario:
a) beni materiali: danaro, proprietà, benessere economico, sicurezza economica, posto di lavoro, tenore di vita ...
b) beni sociali: fama, prestigio, successo, potere, buona reputazione, ruolo nella società...
c) beni fisici: salute, bellezza, apparenza, abilità, forza...
d) beni d’ordine psicologico: qualità, capacità e competenze...
e) beni intellettuali: titoli di studio, qualifiche, specifiche conoscenze
f) beni affettivi: famiglia, amicizie, parenti, fidanzato/a, gruppo, comunità...
g) beni spirituali: la propria “umiltà”, la propria santità, la propria vita ascetica, i propri sacrifici, meriti, la propria cultura religiosa...

2. Vano onore del mondo (vanagloria)
Quando ricerco di essere riconosciuto e stimato dagli altri.

3. Superbia


(fonte: http://www.cappellauniss.org/index.htm)

venerdì 28 novembre 2008

A proposito della Comunione sulla mano.

Don Marcello Stanzione
(Ri-Fondatore della M.S.M.A.)
intervento su Petrus



Sul blog dell’illustre vaticanista Luigi Accattoli viene riportato il mio editoriale su ‘Petrus’ sulla Comunione sulla mano. Innanzitutto tengo a precisare che quello che ho scritto è mia opinione personale, per cui l’Associazione ‘Milizia di San Michele’ non è coinvolta. Il mio articolo dai lettori del blog è stato, come è normale che sia, valutato in modo vario. Non capisco però gli attacchi e le offese alla mia persona o all’Associazione di cui mi onoro far parte. Qualcuno ha affermato che, per quello che ho scritto, non sarei dovuto essere stato ordinato sacerdote. Se, invece, con dispiacere di quel lettore, lo sono, è perché quasi 20 anni fa, l’Arcivescovo di Salerno, Monsignor Guerino Grimaldi, che mi impose le mani sul capo, aveva fatto il suo discernimento. Qualcun altro, mette in dubbio la mia ortodossia e mi dà del fanatico.
Non sono un teologo o un vaticanista di professione, ma un semplice curato di villaggio di Campagna, in provincia di Salerno, e nel poco tempo libero dalle fatiche pastorali, ho scritto una quindicina di testi pubblicati da Paoline Editoriale, Gribaudi, Il Segno dei Gabrielli, Il Segno, ecc; alcuni di essi sono stati tradotti anche in francese, polacco e portoghese. Ho sempre portato personalmente i miei testi al mio Vescovo e li ho sempre spediti al Santo Padre, al Prefetto e al Segretario della Congregazione della Dottrina della Fede e a tutte le Biblioteche delle Università Pontificie.
Fino ad ora nessuno, ancora, ha avuto da ridire sulla mia ortodossia… Mi si fa giustamente osservare, e ringrazio per questo, che sono stato impreciso nell’affermare che tutti i vescovi del mondo avevano votato all’unanimità per il mantenimento dell’uso della Comunione sulla lingua. Rimane il fatto oggettivo che la maggioranza dei vescovi, e con essi Paolo VI (e poi anche Giovanni Paolo II) non gradivano la Comunione sulla mano. Per chi volesse approfondire tale argomento vedasi il testo “Dominus Est” del vescovo Schneider, con la presentazione del segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, edito nel 2008 dalla Libreria editrice Vaticana. Per me i Sacramenti sono le gemme più preziose che la Chiesa Cattolica possieda e la Santa Eucarestia è il più grande dei Sacramenti: infatti, in tutti gli altri Sacramenti noi riceviamo la Grazia sacramentale, mentre nella Santa Eucarestia riceviamo Cristo stesso.
Perciò è ovvio che questo Sacramento è il più grande che la Chiesa possiede e, quindi, deve essere trattato con tutta la riverenza e l’omaggio che merita. E tutte quelle protezioni, utilizzate per secoli, per prevenire la dissacrazione, sono indispensabili alla vita della Chiesa e alla santità dei fedeli. Spesso abbiamo sentito i nostri vescovi lamentare che oggi si è perso il senso del sacro. In realtà, il senso del sacro si trova anche là dove la salvaguardia della riverenza verso il SS. Sacramento è messa in pratica con somma importanza. Il senso del sacro non è stato perso, ma da taluni gettato via deliberatamente… L’insegnamento plurisecolare che soltanto i sacerdoti possano toccare l’Ostia Santa, che le mani del sacerdote sono consacrate a questo scopo e che nessuna precauzione è troppo grande per salvaguardare il rispetto ed evitare la dissacrazione, fu adottata non casualmente nella Liturgia della Chiesa.
Infatti, la Comunione sulla mano facilita la caduta e la dispersione dei frammenti eucaristici; espone il Santissimo a furti sacrileghi e profanazioni orrende ad opera di sette sataniche o di fedeli squilibrati psichicamente. Leggendo l’autobiografia di una ex satanista ritornata alla fede cattolica (Michela, Fuggita da Satana, Piemme, Casale Monferrato (Al), 2007) sono rimasto colpito dalla sua testimonianza proprio riguardo ai furti sacrileghi dell’Eucarestia. Riporto le testuali parole di Michela: “Per le sette sataniche il permesso ai fedeli di ricevere la Comunione sulla mano ha rappresentato davvero un punto di svolta. Per quello che ho saputo in seguito, l’approvazione di questo provvedimento è stata molto travagliata all’interno della Chiesa. Paolo VI, accogliendo il parere della maggioranza dei vescovi consultati, si era pronunciato a favore della comunione sulla lingua. Aveva concesso libertà d’azione soltanto alle conferenze Episcopali delle nazioni dove questo uso si era già sviluppato, che sostanzialmente erano l’Olanda e il Belgio. In Italia la questione fu più volte proposta, ma aveva trovato una forte opposizione, capeggiata dall’arcivescovo genovese Giuseppe Siri.
Lo Scenario che mi è stato descritto da un esperto è che - pochi giorni dopo la morte del Cardinale Siri, avvenuta il 2 maggio 1989 - si tenne la consueta assemblea generale annuale dei vescovi italiani (15-19 maggio 1989). Con un solo voto di scarto, e approfittando dell’assenza di molti vescovi, venne approvata una delibera con cui si stabiliva la possibilità anche nelle diocesi italiane di distribuire l’Eucarestia sulla mano. L’innovazione fu introdotta nelle Chiese a partire dal 3 dicembre 1989 e da quel momento il furto delle particole fu un gioco da ragazzi. Oggi mi capita spesso di pensare che, se i cattolici credessero nella reale presenza di Gesù Cristo nell’ostia consacrata come ci credono i satanisti, il mondo sarebbe certamente molto più evangelizzato” (Michela, op. cit., pp.89-90). I preti, lungo i secoli, venivano preparati a celebrare la Messa con precise rubriche, allo scopo di salvaguardare il rispetto dovuto al SS. Sacramento; esse erano meticolose e non facoltative. Nel Rito Romano, ogni prete doveva seguirle con rigida precisione. A coloro che si preparavano a diventare preti, non solo erano insegnate queste norme, ma, su di esse, erano addestrati.
Ecco, a titolo di esempio, alcune delle rubriche relative alla Messa latina antica: ‘Dal momento in cui le parole di consacrazione sull’Ostia Sacra sono pronunciate dal sacerdote, egli tenga uniti il dito indice e il pollice e se eleva il calice, gira le pagine del messale o apre il tabernacolo, con il pollice e l’indice non tocchi niente se non l’Ostia Sacra. Alla fine della Messa, il sacerdote pulisce la patena con il corporale, stando sopra il calice, in modo che se fosse rimasta una particella anche piccolissima, essa verrebbe raccolta e rispettosamente consumata. Le mani del sacerdote si lavano nel calice, dopo la Comunione, con acqua e vino, che vengono rispettosamente consumati, per essere sicuri che, nemmeno il più piccolo frammento, sia suscettibile di dissacrazione’. Queste rubriche, dunque, non rivelano sciocchi e paranoici scrupoli, ma dimostrano che la Chiesa credeva con certezza che, nella Messa, il pane ed il vino diventano il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo e che nessuna preoccupazione era abbastanza grande per essere certi che Nostro Signore nel SS. Sacramento fosse trattato con tutto il rispetto e l’onore che spetta alla Sua Maestà.
Ora, se queste rubriche hanno lo scopo di mostrare rispetto, possono essere migliorate? Un vero rinnovamento cattolico lascerebbe questi gesti di riverenza intatti o li aumenterebbe. Cancellarli senza giustificazione o argomento convincente, come è successo negli ultimi anni, non è segno di un autentico rinnovamento cattolico. Inoltre, per aggiungere infamia ad ingiuria, l’introduzione della Comunione sulla mano rende queste rubriche simili a superstizioso e nevrotico sentimentalismo, privo di fondamento nella realtà, ancora una volta carente di visione storica e disprezzo per ciò che i nostri Padri per secoli ci hanno insegnato.



(fonte:http://www.miliziadisanmichelearcangelo.org/)

Nuovo ambasciatore USA in Vaticano



Quale sarà il profilo del prossimo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede?


Con l'elezione di Barack Obama, Mary Ann Glendon decade dal suo incarico in ambasciata. Il successore di Mary Ann Glendon non avrà certamente il suo profilo: la Glendon è stata, come rappresentante della Santa Sede, tra i più tenaci oppositori del concetto di salute riproduttiva portata avanti dal governo democratico Usa alla conferenza sulla donna di Pechino. A Pechino c'era Hillary Clinton a rappresentare gli Usa (che sarà probabile Segretario di Stato), e Obama ha già fatto capire che perseguirà quella linea. Come primo atto da presidente, firmerà il Freedom of Choice Act, che elimina ogni limitazione sull'aborto in tutti gli Stati Uniti: sempre, comunque, in qualunque modo. E poi, ha già fatto sapere che cancellerà circa duecento tra i provvedimenti di Bush, tra i quali quelli con le limitazioni sulla ricerca .... alle staminali embrionali. Un vero e proprio colpo di spugna.
Che in Vaticano osservano con un certo interesse. Per ora, nelle stanze vaticane ci si è limitati a ribadire i punti cardine della dottrina: no all'aborto, no alla ricerca sulle staminali embrionali, ma totale apertura a dialogare con gli Usa per quanto riguarda l'Iraq, la giustizia, l'aiuto al Terzo Mondo e tutta una serie di temi "sociali" di cui Obama e Benedetto XVI hanno parlato nella prima telefonata dopo l'elezione. Una telefonata che non è stata fondamentale: piuttosto, un modo per conoscersi, e un colloquio di cortesia.
C'è attesa in Vaticano, ma non si parte all'attacco. Sono state anche "gonfiate" le parole del cardinale Stafford, che - a Washington per un convegno sull'enciclica Humanae Vitae - avrebbe definito "aggressivo, distruttivo, apocalittico" Obama, e avrebbe fatto notare che i cattolici avrebbero pianto "calde, rabbiose lacrime di tradimento" dopo l'elezione. Il filmato del discorso si trova facilmente su Internet, e mostra chiaramente che Stafford non ha attaccato direttamente Obama, ma che "aggressiva, distruttiva, apocalittica" era il suo discorso del 2007 a Planned Parenthood, l'agenzia di controllo delle nascite Usa. E che, in quel contesto, sono meno dure le parole utilizzate, perché il Freedom of Choice Act è criticato anche dai suoi più ferventi difensori, dato che andrà oltre qualunque tipo di restrizione in tutti gli Stati. E lo stesso Stafford ha poi chiarito che la parola "apocalittico" non si riferiva ad Obama, ma semplicemente alla sua posizione riguardo l'aborto.
Anche i vescovi americani hanno scelto una linea moderata. Due blocchi, uno duro e uno moderato, si sono fronteggiati nell'elezione di un nuovo capo del Comitato di Comunicazione della Conferenza Episcopale nella riunione a Baltimora di due settimana fa: da una parte, Robert Finn, che aveva avvertito i cattolici che il voto per Obama avrebbe messo a rischio la loro salvezza, dall'altro Gabino Zavala, che aveva voluto parlare non solo di aborto, perché "come Chiesa non ci occupiamo solo di un argomento" e ci sono anche altri temi come "razzismo, genocidio, immigrazione, guerra e l'impatto della crisi economica". Ha vinto Zavala, con il 57 per cento delle preferenze.
Ora l'attenzione è puntata proprio sul nuovo ambasciatore: da vedere se Obama sceglierà un ambasciatore di un certo spessore, conosciuto per dare ascolto alle istanze cattoliche e che possa spostare il dibattito su una linea comune. Ma c'è anche la possibilità che Obama scelga anche un non cattolico. E forse sarebbe saggio, per una ragione pratica: molti dei più prominenti cattolici-democratici sono pro-choice, e inviare una cattolico pro-choice a Roma potrebbe essere visto come provocatorio. E il Vaticano, secondo il diritto internazionale, potrebbe persino rifiutare un amabasciatore per ogni ragione. Se succedesse, il divario sarebbe praticamente insanabile.


Articolo del dott. Andrea Gagliarducci

giovedì 27 novembre 2008

DIO NELLA CITTÀ DEGLI UOMINI - BETLEMME





(Nella foto: il muro di betlemme - tratto dal sito http://www.mirafiorisud.org/speciali/betlemme.htm)

DANIELE ROCCHETTI

Da Betlemme: tra limitazioni e speranze

Abbiamo incontrato il sindaco di Betlemme Victor Batarseh.
Ecco il ritratto che ci fa della città.
A Betlemme il grande parcheggio costruito per l'anno del Giubileo è quasi sempre vuoto. I pellegrini che scendono dai pochi pullman per andare verso la Basilica della Natività sono presi di mira da molti ragazzi e uomini che offrono a prezzi stracciati presepi e corone del rosario. È il segno evidente ed immediato di una crisi che attanaglia la città - oggi territorio appartenente all'Autonomia Palestinese - e che ha portato il patriarca cattolico di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, a protestare vivacemente per "il muro che si innalza dappertutto costringendoci a vivere come in una prigione, le nostre terre espropriate, i nostri giovani trascinati via nell'oscurità della notte e gettati nelle prigioni israeliane". Di fronte a questa situazione, il mondo palestinese sembra compatto. Ma tra cristiani e musulmani, proprio nella città in cui nacque Gesù, i rapporti sono più complicati di come appaiono. Intanto, la maggioranza dei 32 mila abitanti della città non è più fatta di cristiani, come era sempre stato in passato. I musulmani superano oggi i cristiani nella stessa proporzione in cui le moschee, quindici, sono più numerose delle chiese, dieci.
Il sindaco di Betlemme continua, per decreto del Presidente Abu Mazen, ad essere, come sempre, un cristiano.
Nel consiglio comunale otto seggi su quindici sono tuttora riservati ai cristiani, sette ai musulmani. Ma dalle ultime elezioni comunali, svoltesi nel maggio di due anni fa, è uscita vittoriosa una coalizione che ha nei musulmani di Hamas la sua colonna portante. Negli anni Novanta, Betlemme era stata governata da uomini legati al partito di Yasser Arafat, Fatah. Contro questi uomini correvano accuse di corruzione e di prepotenze ai danni della popolazione cristiana. Quando scoppiò la seconda Intifada, nel 2000, parte delle forze di sicurezza di Arafat diedero vita a un nuovo gruppo armato, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Nell'aprile 2002, guerriglieri legati a Fatah, incalzati dalle truppe israeliane, occuparono a Betlemme la basilica della Natività e - fatto meno noto - altri conventi e istituti cristiani. La crisi si svolse sotto gli occhi del mondo e si concluse con la liberazione della basilica. I capi della sommossa furono trasferiti a Gaza e in alcuni paesi europei.
Nel vuoto così creato si inserì prontamente Hamas. Essa conquistò il favore di larga parte della popolazione di Betlemme dando vita a iniziative di cura medica, di tutela degli orfani, di difesa sindacale dei lavoratori, di contrasto della corruzione. Incontro il sindaco di Betlemme, Victor Batarseh, nel suo ufficio. Batarseh ha 73 anni, medico con un passato di militante nel Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, una formazione fondata da arabi cristiani.
Quante persone vivono a Betlemme?
Oggi la città di Betlemme conta 32.000 abitanti, ma deve calcolare che ci sono 3 campi di rifugiati (alcuni profughi dal 1948!) che accolgono altre ventimila persone. Il distretto - quello che voi chiamate provincia - include 170.000 persone. 25% degli abitanti sono cristiani, 75% sono invece mussulmani. Prima del 1948, i cristiani erano il 92% mentre l'8% erano mussulmani. Questo cambio demografico è dovuto, in modo particolare, all'emigrazione dei cristiani, non solo da Betlemme ma da tutta la Terra Santa e dal controllo delle loro nascite (mentre una famiglia cristiana in media ha 2 figli, una famiglia mussulmana ne ha otto, dieci). Nel 1948 la popolazione cristiana rappresentava il 15% della popolazione della Palestina mentre ora rappresenta solo 1,9%. Da questa terra sono partiti in molti, ma sin dal tempo della dominazione turca, che prevedeva l'arruolamento obbligatorio nell'esercito, i cristiani hanno deciso di mandare via i propri figli, di trasferirli altrove, specie in America Latina. È per questo che in Sud America, in particolar modo in Cile, vi sono 300.000 cittadini di Betlemme. Durante il periodo britannico, l'emigrazione si era ridotta ma poi, dal 1967, è ripresa ed è aumentata notevolmente dopo la prima e la seconda intifada.
Come si vive oggi nella città?
La città è occupata da anni e ci sono diversi check point dislocati attorno ad essa. Il confine delimitato dal muro di separazione che limita fortemente gli accessi ai cittadini che provengono dall’esterno della città. Tutto ciò non fa altro che rendere Betlemme una grande prigione circondata dalla polizia israeliana. Nessuno può lasciare la città per andare all’esterno senza avere un permesso speciale rilasciato dall'autorità israeliana e anche i trasferimenti interni devono essere autorizzati.
La situazione economica è disastrosa per via della disoccupazione. Il surplus principale delle entrate di Betlemme proviene prima di tutto dai turisti, ma da quando è stato costruito il muro abbiamo avuto una caduta vertiginosa dei pellegrini. La separazione non è solo economica, è anche psicologica. Immagini, per esempio, cosa voglia dire abitare in dormitori in un’area circoscritta di 4,7 km dalla quale non si può uscire. Provi a pensare quali siano gli effetti psicologici. Ci sono bambini che vivono a ridosso del muro e che scrivono di volere il miracolo di poter vedere il tramonto... Ci sono insegnanti e studenti che lavorano e studiano a Gerusalemme, ma per passare il check point ci vogliono permessi speciali e solo il 10% di loro li possiedono. Tenga conto poi che, a causa del boicottaggio deciso dal governo di Gerusalemme, sono stati congelati gli stipendi per cui più di centomila persone da un anno e mezzo non ricevono salario. Senza pace nei nostri territori non ci potrà essere istruzione, lavoro, ripresa economica, che è imprescindibile affinché il popolo non abbracci le forme di lotta del fondamentalismo.
Torniamo al muro...
È la prima volta nella storia che tra Gerusalemme e Betlemme viene eretta una barriera invalicabile.
Questo sta causando tanti problemi perché nei secoli sono state praticamente una sola città. Come sindaco di questa città, conosco molto bene le famiglie cristiane, so di tanti matrimoni misti tra betlemiti e gerosolimitani. Ora, con questo confine di cemento, chi può immaginare la vita di una moglie di Betlemme che non può più incontrare il marito a Gerusalemme o viceversa? Se il marito vuole portare con sé la moglie in auto e lei non ha il permesso israeliano commettono un reato penale. È incredibile. Questo muro-confine non separa solo Gerusalemme da Betlemme, separa tante famiglie, tutta una umanità abituata a vivere assieme. Ogni giorno viene da me gente della Città Santa che chiede aiuto per far passare la moglie e il figlio dall'altra parte. E pensare che per duemila anni Gerusalemme e Betlemme sono state una cosa sola. Con la costruzione del muro la gente di Betlemme ha perso ogni speranza. Anche perché, non lo dimentichi, il tracciato del muro non passa per i confini del 1967. Gli israeliani sostengono che il muro è assolutamente necessario per ostacolare l'ingresso in Israele degli attentatori palestinesi. Che necessità aveva allora di incunearsi per decine di chilometri nel cuore della Cisgiordania, requisendo terra palestinese, dividendo villaggi, frantumando il territorio? In realtà, come ha ripetuto più volte Giovanni Paolo II, "non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti. Senza riconciliazione degli animi, non ci può essere pace".
Come immagina il vostro futuro?
Noi vogliamo uno Stato palestinese laico: il 70% dei palestinesi lo vuole. Chiediamo il diritto di avere il nostro Stato sulla nostra terra. Avremmo preferito uno stato unico con le tre componenti, cristiana, ebraica e musulmana, e i due popoli, israeliani e palestinesi, ma Israele, pur essendo nato come stato laico, è oggi uno Stato fondamentalmente religioso e di conseguenza non è disposto a rinunciare a questa caratteristica. Nella legge fondamentale (Israele non ha una vera e propria Costituzione) viene affermato che Israele è lo stato degli ebrei e pertanto gli israeliani oggi, anche per paura del peso demografico della componente araba, non accetterebbero mai uno stato composto insieme da arabi ed ebrei. Quindi ci si è convinti dell'opportunità di due stati. Ma come è possibile dar vita ad uno stato fatto di cantoni, il cui territorio, dopo la guerra del 1967, è continuamente bucato dalla presenza di colonie? Come è possibile non prendere sul serio le decine di risoluzioni dell'ONU contro l'insediamento di colonie nei territori occupati?
Come mai se la maggioranza dei palestinesi vuole uno stato laico, la gran parte di essi ha votato Hamas?
Credo che abbiano scelto Hamas non per ragioni religiose, ma perché negli ultimi dieci anni non è stato fatto nulla dal punto di vista economico. Hamas è stata la speranza di cambiamento contro la corruzione e il malgoverno. Non dimentichi che Hamas ha lavorato molto a livello sociale dando vita a cliniche, sostenendo i poveri, mettendosi a disposizione, attraverso l'azione caritativa, di chi si trova ai margini, del 75% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. Oggi, dopo la presa di Gaza, credo che la gente abbia aperto gli occhi, si sia resa conto dei pericoli di talescelta. Mi permetta di fare un appello.
Prego...
Si avvicina il Santo Natale e già il mondo cristiano ha il cuore e la mente rivolti a Betlemme. Tutti rivivono l'evento con un forte desiderio per se e per gli altri di fraternità e di pace. Ma noi, cristiani di Betlemme, siamo chiusi in una prigione a cielo aperto da un muro alto 8 metri che ci deruba di terreni indispensabili alla nostra sopravvivenza. La chiusura della tradizionale via per raggiungere la Basilica della Natività e l'apertura di un nuovo check point che impone anche ai pellegrini ore di attesa per uscire da Betlemme, è una forma di barbarie moderna per strangolare economicamente una città, per imporre l'insicurezza quotidiana a un popolo e per dare apparenza di legalità ad una palese discriminazione religiosa: mentre i fedeli ebrei possono andare in tranquillità alla Tomba di Rachele, ai cristiani di Terra Santa e del mondo intero sono frapposti ostacoli per entrare e uscire da Betlemme. I pellegrini cristiani abbiano coraggio: è questa l'ora di portare la loro solidarietà ai cristiani di Betlemme e di Terra Santa, esigendo che ogni pellegrinaggio includa la visita a Betlemme. E che ci tengano nei loro pensieri e nelle loro preghiere.
Tratto dal n° 4 della rivista “Evangelizzare”, dicembre 2007

lunedì 24 novembre 2008

Esodo Iraq, cristiani in fuga



Le rotte della disperazione



DI CAMILLE EID


È un prezzo altissimo quello che ha pagato la comunità cristiana in Iraq nei cinque anni e mezzo seguiti alla caduta di Saddam Hus­sein. Si stima che dal 2003 un migliaio di fedeli abbiano perso la vita, tra cui otto sacerdoti e un vescovo (monsignor Boulos Faraj Rahho), senza dimenticare le centinaia di uomini e bambini se­questrati a scopo di estorsione e le decine di ra­gazze violentate. I danni materiali sono ingenti: circa 500 negozi sono stati dati alle fiamme e 52 chiese hanno subito attentati. Ma c’è un altro da­to allarmante che tocca la stessa sopravvivenza di questa Chiesa millenaria, quello che riguarda l’e­sodo, interno ed esterno, di migliaia di cristiani. Qualche rassicurazione sul loro futuro è arrivata di recente. Di ri­torno dalla sua recente visita a Baghdad, il ministro Franco Frat­tini ha detto di aver inoltrato al premier iracheno Nouri al-Ma­liki un «messaggio chiaro». «L’I­talia – ha detto il capo della Far­nesina – fa tanto e farà ancora di più per l’Iraq, ma la nostra at­tenzione alla comunità cristiana sarà sempre più forte». E l’al­troieri in un’intervista ad Avveni­re il vicepresidente del Consiglio di sicurezza ira­cheno affermava che la questione dell’esodo rap­presenta una priorità per il suo governo, il quale ha studiato un piano per favorire il ritorno degli sfollati nelle loro abitazioni. Ma quanti sono oggi i cristiani costretti a ripara­re in altre zone dell’Iraq, ritenute più sicure, e quanti sono quelli fuggiti all’estero? Impossibile dirlo con esattezza, ma le numerose testimo­nianze raccolte aiutano a farsi un’idea. Dei 600mi­la che risiedevano fino a dieci anni fa in Iraq (co­stituiti principalmente da assiro-caldei, ma anche da siriaci, armeni e latini), una buona metà ha raggiunto una nuova patria in America, in Au­stralia o in Europa, oppure spera di raggiungerla presto aspettando il visto in qualche Paese del Medio Oriente. Gli altri 300mila rimasti in Iraq ri­sultano per lo più concentrati nella Piana di Ni­nive, una fertile zona stretta tra il Tigri e il Gran­de Zab, considerata un vero e proprio «home­land » da molti iracheni cristiani. Una concentra­zione, questa, che rischia, secondo alcune auto­rità ecclesiali, di portare i cristiani a chiudersi in un grande ghetto. La campagna di terrore scatenatasi il mese scor­so a Mosul ha portato, secondo le nostre fonti, al­l’esodo di 2.350 famiglie cristiane da questa città a maggioranza sunnita, per un totale di almeno 13mila persone. La maggior parte di questi sfol­lati ha trovato asilo a Bakhdida, Bartela, Tellsqof, Telkaif, altri a Baashiqa e Alqosh. Il massiccio flus­so di famiglie ha messo in crisi diversi centri ur­bani e villaggi che si sono trovati spiazzati dall’e­mergenza. A Batnaya, per esempio, nel 2003 si contavano 650 famiglie residenti, poi il numero è salito alla fine del 2006 a 1050 famiglie con la fu­ga da Baghdad e da altre città di numerosi fedeli. E ora, nell’ultimo esodo forzato dei cristiani di Mosul, vi si sono aggiunte altre 68 famiglie. Lo stesso vale per la località di Bakhdida (detta an­che Qaraqosh) dove alle cin­quemila famiglie originali se ne sono aggiunte 1050 da Bagh­dad e dintorni e ora altre 697. Circa la responsabilità di que­sti esodi forzati le affermazioni divergono. I curdi, che control­lano militarmente la città, ac­cusano le bande sunnite lega­te ad al-Qaeda, mentre i parti­ti sunniti chiamano in causa proprio i peshmerga curdi. Durante un incontro con alcune famiglie sfollate da Mosul, un generale americano ha chie­sto di indicargli gli autori della violenza anti-cri­stiana per punirli immediatamente. Retorica la ri­sposta di un sacerdote presente: «Se la tua casa è protetta da una guardia e poi subisce un furto, chi è la prima persona che ti viene in mente di inter­rogare?


(fonte: Avvenire - foto dal web )

domenica 23 novembre 2008

Il crocifisso silenzioso



di Natalia Gitzburg

Dicono che il crocifisso deve essere tolto dalle aule di scuola. Il nostro è uno Stato laico e non ha il diritto d’imporre che nelle aule ci sia il crocifisso [...]. Ma il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini, fino allora assente.
La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha
cambiato il mondo?
Sono quasi duemila anni che diciamo: “prima di Cristo” e: “dopo di Cristo”.
O vogliamo forse ora smettere di dire così?
Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. È là muto e silenzioso.
C’è stato sempre. Per i cattolici è un simbolo religioso. Per gli altri, può essere niente, una parte del muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari per un solo bambino, può essere qualcosa di particolare, che suscita pareri contrastanti.

I diritti delle minoranze vanno rispettati. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsi offesi gli Ebrei? Cristo non era forse un Ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di Ebrei nei lager?
Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce, che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.

Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo.
Chi è ateo, cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per una loro fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è l’immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti?

Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli, tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, Ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva mai detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini [...].

Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura [...], versando sangue e lacrime, cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, non solo ai cattolici. Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere atei, laici, quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.

Ha detto: “Ama il prossimo come te stesso”. Erano parole scritte già nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade.

Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l’esatto contrario del modo come oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando estremamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo che là è la chiave di tutto. Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo così abituati a vedere quel piccolo legno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte del muro. Ma se ci avviene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno.

Cristo ha detto anche: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”. Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole, chissà perché, fanno sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e più forti [...].

Solennità di CRISTO RE

(A tutti auguri di cuore nella Solennità di Cristo Re!)


Questa festa fu introdotta da papa Pio XI, con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.È poco noto e, forse, un po’ dimenticato.


Non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali. Quel saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia.


Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”.


Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l’umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.


Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò indicandosi che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse (Ap 21, 6).


Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Divino Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv 18, 37).


Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo - scriveva il successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 - “in senso pieno, proprio e assoluto, … è RE”.


(fonte: santagatando)

Riconoscimento legale unioni omosessuali

Propongo la lettura di questa interessante pagina per controbbattere la dilangante disinformazione, in ambito anche cristiano, dei valori fondanti il matrimonio ai quali si oppone il tentativo di screditare il contenuto e la necessità di questo importante e vitale sacramento.


Con esso non si intende in alcun modo screditare le persone con tendenze omosessuali, ma come ribadito in tale Nota della Congregazione per la dottrina della fede "..è necessario portare all'attenzione degli uomini le linee di condotta coerenti con la coscienza cristiana di fronte a progetti di legge concernenti questo problema.


Poichè si tratta di materia che riguarda la legge morale naturale, le seguenti argomentazioni sono proposte non soltanto ai credenti, ma a tutti coloro che sono impegnati nella promozione e nella difesa del bene comune della società."




CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTIDI RICONOSCIMENTO LEGALE

DELLE UNIONI TRA PERSONE OMOSESSUALI


I. NATURA E CARATTERISTICHE IRRINUNCIABILI DEL MATRIMONIO


2. L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalità.(3) Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite.


3. La verità naturale sul matrimonio è stata confermata dalla Rivelazione contenuta nei racconti biblici della creazione, espressione anche della saggezza umana originaria, nella quale si fa sentire la voce della natura stessa.


Tre sono i dati fondamentali del disegno creatore sul matrimonio, di cui parla il Libro della Genesi.
In primo luogo l'uomo, immagine di Dio, è stato creato « maschio e femmina » (Gn 1, 27). L'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall'altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono.
Il matrimonio, poi, è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l'esercizio della facoltà sessuale. « Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24).
Infine, Dio ha voluto donare all'unione dell'uomo e della donna una partecipazione speciale alla sua opera creatrice. Perciò Egli ha benedetto l'uomo e la donna con le parole: « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1, 28). Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono quindi alla natura stessa dell'istituzione del matrimonio.


Inoltre, l'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa insegna che il matrimonio cristiano è segno efficace dell'alleanza di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 32). Questo significato cristiano del matrimonio, lungi dallo sminuire il valore profondamente umano dell'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna, lo conferma e lo rafforza (cf. Mt 19, 3-12; Mc 10, 6-9).


4. Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati ».(4)


Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali « sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ».(5) Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (6) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.
Secondo l'insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali « devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione ».
(7) Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità.(8) Ma l'inclinazione omosessuale è « oggettivamente disordinata »(9) e le pratiche omosessuali « sono peccati gravemente contrari alla castità ».(10)


II. ATTEGGIAMENTI NEI CONFRONTIDEL PROBLEMA DELLE UNIONI OMOSESSUALI

5. Nei confronti del fenomeno delle unioni omosessuali, di fatto esistenti, le autorità civili assumono diversi atteggiamenti: a volte si limitano alla tolleranza di questo fenomeno; a volte promuovono il riconoscimento legale di tali unioni, con il pretesto di evitare, rispetto ad alcuni diritti, la discriminazione di chi convive con una persona dello stesso sesso; in alcuni casi favoriscono persino l'equivalenza legale delle unioni omosessuali al matrimonio propriamente detto, senza escludere il riconoscimento della capacità giuridica di procedere all'adozione di figli.
Laddove lo Stato assuma una politica di tolleranza di fatto, non implicante l'esistenza di una legge che esplicitamente concede un riconoscimento legale a tali forme di vita, occorre ben discernere i diversi aspetti del problema. La coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimoni della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l'approvazione delle relazioni omosessuali sia l'ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l'uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso.

A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male.

In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza.

III. ARGOMENTAZIONI RAZIONALICONTRO IL RICONOSCIMENTO LEGALE DELLE UNIONI OMOSESSUALI

6. La comprensione dei motivi che ispirano la necessità di opporsi in questo modo alle istanze che mirano alla legalizzazione delle unioni omosessuali richiede alcune considerazioni etiche specifiche, che sono di diverso ordine.

Di ordine relativo alla retta ragione
Il compito della legge civile è certamente più limitato riguardo a quello della legge morale,(11) ma la legge civile non può entrare in contraddizione con la retta ragione senza perdere la forza di obbligare la coscienza.(12) Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto è conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e in quanto rispetta in particolare i diritti inalienabili di ogni persona.(13) Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell'istituzione matrimoniale, all'unione tra due persone dello stesso sesso. Considerando i valori in gioco, lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio.
Ci si può chiedere come può essere contraria al bene comune una legge che non impone alcun comportamento particolare, ma si limita a rendere legale una realtà di fatto che apparentemente non sembra comportare ingiustizia verso nessuno. A questo proposito occorre riflettere innanzitutto sulla differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell'ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell'intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune. Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell'uomo in seno alla società, per il bene o per il male. Esse « svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume ».
(14) Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti. La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l'oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell'istituzione matrimoniale.

Di ordine biologico e antropologico
7. Nelle unioni omosessuali sono del tutto assenti quegli elementi biologici e antropologici del matrimonio e della famiglia che potrebbero fondare ragionevolmente il riconoscimento legale di tali unioni.
Esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana. L'eventuale ricorso ai mezzi messi a loro disposizione dalle recenti scoperte nel campo della fecondazione artificiale, oltre ad implicare gravi mancanze di rispetto alla dignità umana,
(15) non muterebbe affatto questa loro inadeguatezza.
Nelle unioni omosessuali è anche del tutto assente la dimensione coniugale, che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali. Esse infatti sono umane quando e in quanto esprimono e promuovono il mutuo aiuto dei sessi nel matrimonio e rimangono aperte alla trasmissione della vita.
Come dimostra l'esperienza, l'assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni. Ad essi manca l'esperienza della maternità o della paternità. Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell'adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell'ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l'interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa.

Di ordine sociale
8. La società deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale, nella sua essenza legalmente riconosciuta, perde l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri.
A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia.(16) Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto.
Neppure il principio della giusta autonomia personale può essere ragionevolmente invocato. Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un'altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale.

Di ordine giuridico
9. Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune.
Non è vera l'argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l'effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale.
(17)

continua: Vatican.va

venerdì 21 novembre 2008

Il debito della filosofia verso la fede



Molti sono gli elementi che il pensiero filosofico occidentale deve al Cristianesimo.



Qui ricordiamo in sintesi quali sono i principali elementi del debito verso il Cristianesimo:


Una nuova idea del divino.
Per la prima volta il divino non viene visto come finito, ma come infinita perfezione, e questo Mistero infinitamente perfetto è un Tu, un Tu per la prima volta non minaccioso o invidioso (ricordiamo come ad esempio Epicuro vedesse invece nel divino essenzialmente un pericolo da cui difendersi).
Il Mistero è un Tu buono, che avendo tutto, infinitamente più di quanto possiamo immaginare, non puòvolerci togliere niente, ma solo dare, in modo assolutamente gratuito.
una nuova idea del rapporto tra il divino e il mondo
È l'idea di creazione, assolutamente sconosciuta ai greci, e la conseguente idea di provvidenza, per cui ogni minimo aspetto dell'esistenza umana non è abbandonato al caso, ma è sotto lo sguardo buono di un Padre che può tutto.
una nuovo rapporto tra il soggetto e il mondo
L'uomo non è più una “cosa tra le cose”, un ente naturale accanto ad altri, ma è il centro e il senso del creato.
La natura gli è nettamente subordinata.




Un nuovo rapporto tra anima e corpo
L'uomo non è un'anima accidentalmente unita a un corpo (e magari a uno dei tanti corpi, come nella concezione pitagorica e platonica, che suppone la metempsicosi), ma è inscindibile unità corporeo-spirituale.
Non si tratta dunque di fuggire dalla materia, ma di valorizzare la vita come essa è, nella sua fragile ma in qualche modo sacra concretezza.
un nuovo rapporto tra conoscenza e affettività
Decisivo non è più ciò che si conosce in seguito a ricerca razionale, ma l'adesione affettiva al dato che si offre come vero.
In un mondo enigmatico e in gran parte tenebroso, la ricerca razionale era decisiva, ma in un mondo dove il Senso ultimo si è Lui stesso rivelato, basta avere il cuore buono per riconoscerLo, tutti hanno la luce bastante per questo.
una nuova morale
Da un lato si fa strada il concetto, sconosciuto come tale ai greci, di dovere (a Dio, che è Creatore di tutto e tutto ci ha dato, dobbiamo tutto), senza che d'altro lato esso si configuri, come sarà in Kant, come immotivato: Dio ci chiede di fare certe cose non per arbitrario capriccio, ma perché vuole il nostro bene, che Lui solo conosce fino in fondo, e in cui consiste anche la nostra perfetta felicità. L'idea di dovere quindi si coniuga perfettamente con l'eudemonismo cioé la concezione secondo cui il motivo della agire morale è la ricerca della felicità.




Dignità ed eguaglianza degli esseri umani
Per un concezione, come quella precristiana, che ritiene l'uomo come frutto del caso, l'umanità in generale e ogni individuo particolare non hanno alcun valore assoluto. Per il Cristianesimo invece il Mistero infinito ha voluto creare il cosmo per l'uomo e ha voluto ogni singolo uomo, amandolo gratuitamente di un amore infinito. Qui poggia la dignità e il valore dell'uomo.
Se poi uno vale perché amato dall'Infinito, allora non contano più, sono secondarie, le differenze dovute all'intelligenza, alla ricchezza, alla posizione sociale. Una fondamentale eguaglianza accumuna tutti gli uomini. Così non era nemmeno per i più illuminati tra i filosofi greci; pensiamo ad Aristotele, che pone una differenza qualitativa tra greci e barbari, tra schiavi e liberi, e tra uomini e donne.






Un nuovo fondamento della socialità
Per il Cristianesimo da un lato, contro tentazioni individualistiche, la socialità è qualcosa di naturale, e di buono, e lo stato è esso pure in sé stesso positivo; d'altro lato lo stato non è un assoluto, essendo strumentale alla affermazione della dignità della persona.
Perciò, da un lato l'individuo trova il suo vero bene solo in qualcosa che è al contempo il bene degli altri, ed è spinto ad avere come orizzonte il mondo; dall'altro lo stato è relativizzato: non ogni legge positiva è giusta, né lo è qualsiasi decisione delle istituzioni statali: essendo fatti da uomini, anche gli stati, se gli uomini che li compongono sono malvagi, possono diventare delle bande di furfanti.






giovedì 20 novembre 2008

Pio Edgardo Mortara

(nella foto: Pio Edgardo Mortara con la madre)


Caso Mortara: dopo 150 anni esce il memoriale del protagonista
«Non diffamate Pio IX il mio santo rapitore»
Battezzato di nascosto, venne sottratto ai genitori ebrei: Edgardo volle farsi sacerdote e morì in odore di santità.


Messori, dove e come ha ritrovato l' autobiografia di Edgardo Mortara? « Padre Mortara la scrisse nel 1888, a 37 anni, in spagnolo, visto che allora predicava nei Paesi Baschi. Se ne fece ( forse, ma non è certo) un opuscolo che non sappiamo quale diffusione abbia avuto all' epoca in Spagna ma che, a quanto consta, non fu tradotto in altre lingue né risulta in alcuna bibliografia. Che padre Mortara abbia condotto una vita devota sino alla morte, a quasi 90 anni, e proclamato e difeso sempre la santità del suo padre spirituale Pio IX, era noto. Ma questo suo memoriale si può considerare inedito. Il testo ricostruisce il caso del bambino ebreo bolognese, dal battesimo furtivo da parte di una domestica nel 1852, al trasporto a Roma per ordine di Pio IX nel 1858, all' ordinazione sacerdotale del 1873 a Poitiers, in Francia. E' custodito nell' archivio romano dei Canonici Regolari Lateranensi, presso la chiesa di San Pietro in Vincoli. Manessuno dei saggisti che si sono occupati di Mortara ha mai ritenuto di dover consultare questa autobiografia, scritta in terza persona dal protagonista stesso » . Perché? « Perché del Mortara " vero", non quello dello strumento polemico, non è mai importato molto a nessuno. Da subito, la sua vicenda fu utilizzata. Da Cavour, che ne fece uno straordinario mezzo di propaganda contro lo Stato pontificio: senza il caso Mortara, che mise in difficoltà i cattolici francesi, Napoleone III non avrebbe potuto stringere gli accordi di Plombières e scatenare la guerra contro l' Austria. Dalle logge massoniche. Edalla comunità israelitica internazionale. Come il caso Dreyfus fu un propellente decisivo per il sionismo ( e infatti Herzl se ne rallegrò), che altrimenti sarebbe rimasto una delle tante utopie ebraiche, così il caso Mortara fu alle origini della formazione dell' « Alliance Israélite Universelle » , la prima organizzazione ebraica di autodifesa in una prospettiva mondiale, e poi dell' influente Board of American Israelites » . Queste sue affermazioni desteranno polemiche. « Non sono io a farle. E' lo stesso responsabile della comunità ebraica romana dell' Ottocento, Sabatino Scazzocchio, a lagnarsi delle incursioni di estranei, compresi potenti rappresentanti dell' ebraismo mondiale, senza cui il caso si poteva risolvere. E' la politica, dice, non il bambino che interessa. Scazzocchio lo scrive al padre, Samuele Levi Mortara detto Momolo, in una lettera in cui loda " l' indole benigna e caritatevole di chi siede in alto". Cioè di Pio IX » . Lei stesso, nella lunga introduzione che precede il memoriale, ricorda che alla metà dell' Ottocento Roma è l' unica città occidentale ad avere ancora un ghetto. « Però gli ebrei, pur liberi di farlo, non se ne vanno. E' singolare: negli anni in cui fuggono a navi intere dall' Europa orientale verso l' America, gli ebrei restano aRoma. Rifiutano di appoggiare la Repubblica mazziniana, e al ritorno di Pio IX vanno a rendergli omaggio. Quanto all' " indole benigna e caritatevole" di quel Papa diffamato, nel memoriale Mortara fa una rivelazione: Pio IX aveva deciso di crescerlo in un istituto bolognese, dove la famiglia avrebbe potuto visitarlo regolarmente; dopodiché, verso i diciassette anni, avrebbe deciso se proseguire sulla via del cristianesimo o tornare alla religione dei padri. Fu la resistenza dei suoi, sobillati da altri, a cominciare dal medico di famiglia massone, a costringere il Papa a condurre il piccolo Mortara a Roma. Dove lo accolse e lo amò sempre come un figlio » . Un figlio di soli sette anni. Le pagine dove racconta l' allontanamento dalla famiglia sono tragiche: la disperazione della madre, l' ira del padre, il suo sbigottimento infantile. Alla guardia chiede: « E ora mi taglierete la testa? » . « E' vero. Fu un dramma. E' anche vero che i funzionari pontifici presero accorgimenti per rendere il distacco il meno traumatico possibile. Maè lo stesso Mortara a raccontarci come subito dopo la separazione della famiglia fu una misteriosa quiete, anzi gioia, a impadronirsi di lui; e come le prime parole della dottrina cattolica gli parvero familiari, al punto che se ne impadronì sin da subito. Un fenomeno in cui Mortara addita un disegno provvidenziale. Quando, dopo Porta Pia, arrivarono i piemontesi, fuggì all' estero per non farsi " liberare" dal seminario in cui volontariamente era entrato » . Messori, il caso Mortara è una ferita ancora aperta. Gli ebrei italiani protestarono quando Wojtyla beatificò Pio IX. E' possibile sostenere che il Pontefice non potesse comportarsi diversamente con quel bambino? « Del caso Mortara, Pio IX avrebbe fatto volentieri a meno. Gliene vennero accuse, calunnie, dolori immensi; non a caso lo definì " il figlio delle lacrime". Subì pressioni di ogni tipo; anche da James Rothschild, finanziatore di tutti i governi d' Europa, compreso quello pontificio. Ma sempre il Papa rispose: Non possumus . Perché non aveva scelta; sia per il diritto civile, sia per il diritto canonico » . Che cosa c' entra il diritto civile? « I Mortara avevano violato la legge dello Stato pontificio che imponeva agli ebrei di non tenere a servizio cristiani; e questo, proprio per evitare casi analoghi » . Proprio per questo? « Fin dal Medioevo i Papi proibivano con norme severissime il battesimo di figli di genitori non cattolici; a meno che il bambino non fosse in pericolo di vita. E il piccolo EdgardoMortara lo era. Per questo il battesimo impartitogli dalla domestica fu un atto non solo valido, per un cattolico, ma legittimo. Il diritto canonico non lascia alternative: il battesimo introduce un mutamento irrevocabile, impone di dare al battezzato un' educazione cattolica. Ancora oggi, dopo il Vaticano II, il nuovo codice canonico non innova al riguardo » . Sta dicendo che il caso Mortara potrebbe ripetersi ancora oggi? « In punto di fatto, un nuovo caso Mortara oggi non è concepibile; e sono il primo a rallegrarmene. In punto di diritto, nel suo minuscolo Stato il Papa non potrebbe fare nulla di diverso da quel che fece Pio IX » . In ogni caso, questo riguarda i cattolici. Per gli ebrei, Mortara resta comunque un figlio sottratto alla famiglia. « Sono consapevole, lo ripeto, che il caso Mortara fu un dramma. Lo riconobbi fin da quando me ne occupai per la prima volta, anni fa. Ma sostenni pure che Dio seppe scrivere dritto su righe storte. Ora le parole stesse del protagonista, rimaste inascoltate per un secolo e mezzo, lo confermano. Quanto alla malattia nervosa che fece penare a lungo questo sacerdote, potrebbe trattarsi di un male ereditario, di cui soffrivano altri membri della sua famiglia, compreso il padre, Momolo; come rivelò il processo intentatogli dopo l' Unità per l' omicidio di un' altra domestica, in cui alla fine, in appello, fu assolto » . Messori, ci sono altri passi della sua introduzione che accenderanno polemiche. Come quando racconta che l' « Alliance Israélite Universelle » promise 20 mila franchi a chi avesse organizzato un' incursione armata a Roma per liberare il bambino e lo definisce « quasi una prefigurazione degli " omicidi mirati" dell' esercito israeliano » . « Queste non sono opinioni; sono fatti. E i fatti, per restare in Francia, sono têtus , testardi. Quanto a eventuali sospetti: so bene che è esistito, purtroppo, un antigiudaismo cristiano. Ma su base religiosa; non razziale. L' antisemitismo nasce dopo il darwinismo, con il positivismo ateo, ed è messo in pratica dal nazismo. Non a caso l' ebreo Mortara è accolto dal Papa come un figlio e fu sempre un beniamino della Chiesa; ma, se non fosse morto in Belgio nel 1940, alla vigilia dell' invasione tedesca, sarebbe finito nei lager, come un' altra grande ebrea convertita, santa Edith Stein » . L' immagine, inedita, qui a fianco è stata scattata a Edgardo Mortara nel 1873, quando aveva 22 anni, alla vigilia della ordinazione sacerdotale nell' Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi, dove assumerà il nome di « Pio Maria » in onore di Pio IX. La consacrazione avvenne in Francia, a Poitiers, dove il giovane si era rifugiato per sfuggire alle autorità italiane che volevano « liberarlo » strappandolo dal seminario dove liberamente era entrato Il libro ] In libreria da domani, il saggio di Vittorio Messori « Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX » ( Mondadori, pp. 166, e 17,60) raccoglie, come recita il sottotitolo, « il memoriale inedito » di Edgardo Mortara ] Nel memoriale, rinvenuto da Messori, l ' e b r e o M o r t a r a ( 1851 1940), battezzato di nascosto, poi « rapito » e allevato da Pio IX, racconta la sua vicenda ] Autore tradotto in tutto il mondo, Vittorio Messori ha pubblicato diversi bestseller, tra cui i colloqui con Joseph Ratzinger ( « Rapporto sulla fede » , San Paolo) e Karol Wojtyla ( « Varcare la soglia della speranza » , Mondadori) I L BRANO «Io ero soltanto un pretesto, si voleva screditare la Chiesa» Tutti voi che avete condannato o condannate Pio IX, soffermatevi su ciò che hanno fatto e fanno oggi in nome del progresso e della libertà i governi razionalisti e i loro corifei. Questi rappresentanti dello Stato ateo, cioè dispotico, tirannico, barbaro, escogitano nelle loro tumultuose riunioni e applicano poi senza misericordia leggi perverse che attentano ai diritti più sacri della coscienza.(...) E poi, accusate Pio IX, condannate Pio IX, chiamatelo despota, barbaro, perché ha separato un bambino dai suoi genitori, per salvarne l' anima, renderla sorella di Gesù Cristo, amica degli angeli, erede del Cielo. Ah!, in mezzo ai vostri schiamazzi s' innalza, sale e si eleva, come un nuovo Mosè nel Sinai, sulla vetta del Vaticano, il grande, l' ammirabile, l' immortale Pontefice dell' Immacolata, del Sillabo. Il lampo del suo sguardo insieme al tuono del suo sublime « Non possumus » mette a tacere i vostri « tolle, tolle, crucifige eum » e lasciano Pio IX su un trono sempre grande, sempre nobile e invitto. La questione del bambino Mortara era soltanto un pretesto. Ciò che si voleva umiliare era la Chiesa, screditando il papato, per farla finita con il potere temporale. (...) Gli accusatori di Pio IX, come quelli di Gesù, del quale egli è Vicario visibile, sono schiacciati sotto il peso delle loro incoerenti e ridicole calunnie. Oggi, accanto al grande Pontefice dell' Immacolata e del Sillabo , si alza la voce di quello stesso bambino di un tempo, ora ormai uomo, sacerdote e religioso, figlio di sant' Agostino. Egli impugna la spada della parola e difende Pio IX, suo angelo tutelare, suo Padre e protettore, al quale deve tutto dopo che a Dio. Quest' ultima parola che don Pio ha appena pronunciato sia un modesto fiore depositato sul sepolcro che racchiude le venerate ceneri di Pio IX, lapidate e profanate dalla massoneria moderna. Che tale fiore rimanga lì senza sciuparsi né appassire, come ossequio del cuore più fedele e della più profonda e filiale gratitudine. Verrà un giorno, sì, e non è lontano, in cui, smettendo di ascoltare le calunnie e i « crucifige » della feccia dell' umanità, i posteri accoglieranno i poveri discorsi del bambino Mortara, per legarli a profumate ghirlande di fiori immortali, che orneranno e decoreranno l' altare sopra il quale la cattolicità saluterà, con acclamazioni entusiastiche Pio IX, il santo. padre Pio Maria Edgardo Mortara Canonico Regolare Lateranense
Cazzullo Aldo
Pagina 23(13 giugno 2005) - Corriere della Sera

martedì 18 novembre 2008

DOV'E' IL TUO DIO?


Bellissimo e molto interessante il documento finale dei lavori svolti dall'Assemblea Plenaria a Roma, dall’11 al 13 marzo 2004, dal titolo:



DOV'E' IL TUO DIO?



Ecco uno stralcio della relazione che potrete trovare in maniera completa QUI.

Buona Lettura!





Lo scandalo del male e della sofferenza degli innocenti è stato sempre una delle giustificazioni della non credenza e del rifiuto di un Dio personale e buono. Questa ribellione proviene dalla non accettazione del senso della libertà dell’uomo, la quale implica la sua capacità di fare il male piuttosto che il bene. Il mistero del male è uno scandalo per l’intelligenza, e solo la luce del Cristo crocifisso e glorificato può illuminarne il significato. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (GS, n. 22).
Ma se lo scandalo del male non ha cessato di motivare l’ateismo e la non credenza personale, entrambi si presentano oggi sotto un aspetto nuovo. Infatti, i mezzi di comunicazione sociale mediano continuamente questa realtà onnipresente in molteplici forme: guerra, incidenti, catastrofi naturali, conflitti tra persone e tra Stati, ingiustizie economiche e sociali. La non credenza è, più o meno, legata a questa realtà invadente e inquietante del male, e il rifiuto o la negazione di Dio si alimentano della continua diffusione mediatica di questo spettacolo disumano, su scala universale.


Conclusione: «Sulla Tua parola getterò le reti!» (Lc. 5,4)

I Padri del Concilio Vaticano II affermano con decisione: «Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et spes, n. 31). Ecco giunta per i cristiani l’ora della speranza. Questa virtù teologale è il filo conduttore dell’Esortazione Apostolica del Papa Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, a conclusione del Grande Giubileo del 2000, l’orizzonte di fede di tutta la Chiesa in questo momento di transizione della storia. Oggi come ieri, solo Cristo è capace di offrire ragioni di vita e di speranza. L’enigma della morte, il mistero della sofferenza, soprattutto quella degli innocenti, rimangono uno scandalo per molti, oggi come sempre, in tutte le culture. Il desiderio della vita eterna non si è spento nel cuore degli uomini. Solo Gesù Cristo, che ha vinto la morte e ha ridato la vita agli uomini, può offrire una risposta decisiva alla sofferenza e alla morte, solo Lui è il vero portatore dell’acqua della vita che placa la sete degli uomini. Non c'è altro cammino se non quello di contemplare il Suo Volto, di sperimentare la comunione della fede, della speranza e dell’amore nella Chiesa, e di dare al mondo la testimonianza della carità e del primato della grazia, della preghiera e della santità. Di fronte alle nuove sfide della non credenza e dell’indifferenza religiosa, della secolarizzazione dei credenti e delle nuove religiosità dell’Io, ci sono le ragioni per sperare, fondate sulla Parola di Dio: «La tua Parola è una lampada ai miei passi, una luce sulla mia strada» (cf. Sal. 119,105).
I fenomeni congiunti di vuoto spirituale e di “itineranza” spirituale, di sfiducia istituzionale e di sensibilità emozionale delle culture secolarizzate dell’Occidente, richiedono un rinnovamento del fervore e dell’autenticità della vita cristiana, del coraggio e della creatività apostolica, della rettitudine di vita e della precisione dottrinale per testimoniare nelle comunità cristiane rinnovate la bellezza e la verità, la grandezza e la forza incomparabile del Vangelo di Cristo. Le sfide incrociate della non credenza, dell’indifferenza religiosa e della nuova religiosità sono altrettanti appelli a evangelizzare le nuove culture e il nuovo desiderio religioso che rinasce sotto forma pagana e gnostica all’alba del terzo millennio. È il compito pastorale missionario urgente per tutta la Chiesa nel nostro tempo, nel cuore di tutte le culture.
Dopo una notte di duro lavoro senza alcun risultato, Gesù invita Pietro a tornare di nuovo al largo e a gettare la rete. Anche se questa nuova fatica può apparirgli inutile, Pietro si fida del Signore e risponde senza esitare: «Signore, sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,4). Le reti si riempirono di pesci, tanto che stavano per rompersi. Anche oggi, dopo duemila anni di fatica nella barca tormentata della storia, la Chiesa è spinta dal Signore a «prendere il largo», lontano dalla riva e dalle sicurezze umane, e a gettare di nuovo la rete. E’ di nuovo tempo di rispondere insieme con Pietro: «Signore, sulla tua parola getterò le reti».