Un Numero di telefono aperto a tutti e in tutto il territorio nazionale per parlare della ferita dell'aborto. Non lasciamoci scoraggiare, non lasciamoci andare.
È stato presentato a Milano, giovedì 14 aprile, il progetto "Fede e Terapia" , promosso dall'Associazione "Difendere la vita con Maria" di Novara su tutto il territorio nazionale: l'obiettivo è l'accompagnamento delle famiglie che devono fare i conti con una genitorialità ferita, come nel caso dell'aborto.
Il numero verde 800 969 878 è attivo 24 ore al giorno
di Francesco Morrone
La perdita di un figlio, in qualsiasi modo avvenga, richiede sempre un’elaborazione molto complicata e dolorosa. Sia che si tratti di un aborto procurato, di uno spontaneo oppure di una morte prenatale. Un episodio emblematico è quello di una donna che decise di abortire il terzo figlio perché concepito in un momento difficile per tutta la famiglia. Una sera, a nove anni di distanza, quando i problemi sembravano ormai alle spalle, seduta sul divano di casa, quella donna improvvisamente si è chiesta: “Mio Dio, cos’ho fatto?”.
Ecco allora che quella ferita in apparenza guarita si riapre e torna a far male. In Italia sono tantissime le famiglie che vivono storie come questa e che non sanno con chi confidarsi. Adesso c’è un numero verde (800 969 878) a cui poterle raccontare senza alcun pudore né vergogna. Si può chiamare per chiedere perdono, o più semplicemente per ricevere un consiglio.
Questo nuovo servizio è fornito dall’Associazione “Difendere la vita con Maria” , che lo ha inaugurato a novembre scorso e lo ha esteso a tutto il territorio nazionale. Dall’altra parte della cornetta, per 24 ore al giorno, c’è un’équipe di volontari che ascolta con attenzione le storie di queste persone.
E in tanti, quando chiamano, ammettono di vergognarsi o di sentirsi a disagio a raccontare al telefono certe cose. Accanto al gruppo di volontari, lavora in silenzio anche una rete nazionale di professionisti, fatta di sacerdoti, psicologi, psicoterapeuti e ginecologi. Tutti insieme per stare accanto a chi ha vissuto il dramma dell’aborto, e continua a soffrirne. Fede e terapia.
“Chi ha abortito – ha spiegato monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente per l’Italia settentrionale della Conferenza episcopale italiana – soffre profondi sensi di colpa, da cui è necessario guarire. Questa cura, però, non porta a una piena guarigione se non si apre il cuore alla dimensione spirituale e cristiana”.
Il progetto, presentato giovedì 14 aprile nella sede milanese del quotidiano Avvenire, si chiama “Fede e Terapia” e si propone di offrire un percorso di accompagnamento alle famiglie che devono fare i conti con una genitorialità ferita. Si tratta di un programma che nasce dalla ventennale esperienza dell’Associazione “Difendere la vita con Maria” , fondata a Novara e riconosciuta dall’ordinario diocesano nel 2004, che da anni si occupa di dare sepoltura ai bimbi non nati a causa di aborti.
“Con questo numero verde – ha raccontato Carlo Casini, presidente onorario del Movimento per la vita – vogliamo continuare a salvare molte vite umane, tentando di offrire il perdono a tutti coloro che hanno attraversato l’incubo dell’aborto. Le telefonate che riceviamo sono per lo più notturne e anonime, segno che molti hanno difficoltà e timore a parlare del proprio calvario. Ma non dobbiamo dimenticare che siamo nell’anno della Misericordia e che non bisogna mai stancarsi di chiedere perdono”.
La sofferenza dei papà. A rivolgersi all’assistenza del numero verde non sono soltanto le donne. Ci sono anche tanti uomini che non riescono a elaborare il lutto e che si domandano senza pace che fine abbia fatto il loro bambino. Secondo i dati dell’associazione, il 41% di chi telefona è composto dai papà. E loro, si sa, sono tendenti per natura a seppellire il dolore, a nasconderlo più che condividerlo.
“Con gli uomini bisogna tentare un approccio diverso – precisa don Maurizio Gagliardini, presidente dell’Associazione Difendere la vita con Maria – perché hanno un’emotività diversa rispetto alle donne. Anche loro però vengono travolti dal dolore provocato dalla perdita di un figlio, ed è attraverso un lavoro di squadra che cerchiamo di affrontare il disagio che li tormenta”.
La chiave, in molti casi, è riuscire a passare dal senso di colpa al senso del peccato. Stabilendo un percorso di razionalizzazione che permetta alle famiglie di condividere il dolore insieme agli operatori. Ma a causa di pregiudizi e luoghi comuni, non sempre questo passaggio avviene con spontaneità. “La nostra società – spiega ancora monsignor Brambilla, che ha scritto l’introduzione al manuale in uso tra gli operatori del numero verde – di solito non riconosce l’aborto come una perdita. Spesso, anzi, viene considerato come una ‘nonesperienza’.
Il problema della cultura dominante è che conaidera l’aborto come la aoluzione di un problema, ignorando che invece è la causa di enormi disagi”.
Fonte: Agenzia SIR