domenica 5 novembre 2017

La completa inversione morale del significato del diritto alla vita.

"Stiamo assistendo a una completa inversione morale del significato del diritto alla vita. Secondo l’ideologia materialista per cui solo coloro che hanno intelligenza e volontà sarebbero veramente umani e, dunque, degni di protezione. Finché non hanno raggiunto questa capacità, sarebbero solo una “materia corporea” sotto il potere di coloro che sono “davvero umani”, intelligenti e dotati di capacità di autodeterminazione. Così, la vita umana non è più una realtà biologica protetta dal diritto internazionale, ma è intelligenza e volontà, cioè forza: la debolezza dei bambini non nati e delle donne in difficoltà hanno una risposta unica: l’eliminazione. La sopravvivenza dei più forti."


                                            


Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani sta per imporre la legalizzazione universale dell’aborto nel nome stesso del diritto alla vita.

Prossimamente si occuperà anche del suicidio assistito e dell’eutanasia, anch’essi necessari ad assicurare il diritto alla vita: per questi signori, evidentemente ” la guerra è pace la libertà è schiavitù l’ignoranza è forza”, come diceva il Grande Fratello di Orwell.

All’inizio di ottobre, l’ECLJ ha presentato al Comitato per i diritti umani un memorandum per la difesa del diritto alla vita con il sostegno di più di 130.000 persone che hanno firmato una petizione per la protezione di ogni vita umana.

Ora apprendiamo dal presidente dell’ECLJ, Gregor Puppink, come stanno andando le cose in seno al Comitato. 

«Questo comitato di esperti indipendenti [che rappresentano gli Stati ma non i popoli: non sono stati mai eletti da nessuno: sono burocrati incaricati di monitorare l’attuazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966), ndT], si è riunito a Ginevra nei giorni scorsi al fine di redigere un’interpretazione ufficiale di ciò che si intende per diritto alla vita. Questa interpretazione, questo Commento Generale, ha una certa influenza rispetto alle giurisdizioni e ai legislatori in tutto il mondo, in quanto poi il Comitato giudica gli Stati sul se e come rispettano il trattato.

Alcuni membri del Comitato hanno colto questa opportunità per promuovere un’interpretazione più estesa del diritto all’aborto. In particolare il membro francese del Comitato, Olivier de Frouville, l’americana Sarah Cleveland e il tunisino Yadh Ben Achour. Gli altri membri non si sono espressi, sono stati molto – troppo – passivi su questo tema. Solo Anja Seibert-Fohr, tedesca, ha cercato di ottenere, invano, il riconoscimento del “legittimo interesse degli Stati nel proteggere la vita del feto”, come riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

lunedì 30 ottobre 2017

Presentata a Roma la Accademia Giovanni Paolo II per la vita e la famiglia.



La notizia, anticipata da “La Verità”, è stata confermata in occasione del convegno sull’Humanae Vitae, promosso alla Pontificia Università “Angelicum” da Voice of the Family.Un gruppo di membri della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), creata nel 1994 da Giovanni Paolo II e recentemente “ripulita” e trasformata nei suoi obiettivi da papa Francesco, ha deciso di dare vita ad una John Paul II Academy for Human Life and the Family (JAHLF), che inevitabilmente si pone come contraltare della nuova accademia bergogliana.

Della nuova Accademia fanno parte, Joseph Seifert, Christine de Marcellus Vollmer, Thomas Ward, Philippe Schepens, Mercedes Arzú de Wilson, Luke Gormally, Michael Schooyans (tutti ex componenti della Pontificia Accademia per la Vitae), Paul Byrne, Judie Brown, Carlos Casanova, Roberto de Mattei, Claudio Pierantoni, John-Henri Westen. Caratteristica comune di queste personalità è l’attaccamento al Magistero della Chiesa e il rifiuto di tutti i tentativi di “rivedere” o trasformare questo insegnamento immutabile:

“Il fine di questa Accademia – ha detto il prof. Seifert – è quello di rifiutare tutti gli orribili mali ed errori che caratterizzano la società moderna e sono perfino entrati all’interno del santuario della Chiesa, opponendo ad essi la chiara esposizione della verità sulla vita umana e la famiglia. Ciò comporta il chiamare l’aborto omicidio e non semplicemente interruzione di gravidanza, ed evitare di usare parole disoneste che oscurano la verità. (…) 

Nel testimoniare così la bontà e la difesa della vita, la nuova Accademia ritiene importante considerare ciascuno di questi aspetti alla luce della vita eterna“. Perciò, afferma il prof. Seifert: “LaJAHLF non si limita a considerare la vita umana da un punto di vista meramente biologico. Riconosce altresì ed afferma la realtà dell’anima umana che è all’origine della vita. Pertanto, la JAHLF si occupa anche, parlando in termini generali, dei fondamenti metafisici ed antropologici della verità etica”. (T.M.)

domenica 1 ottobre 2017

Maria, catechismo, martirio: la regola di Burke.



Come può un semplice cattolico vivere la propria fede in una situazione di crescente confusione quale quella attuale? È la domanda cui ha risposto il cardinale Raymond Leo Burke in una lezione magistrale svolta a Louisville (Kentucky) lo scorso 21 luglio, ma che vale la pena riprendere per la sua estrema attualità (QUI IL TESTO INTEGRALE). Senza fare sconti sulla verità dei pericoli presenti, Burke ha spiegato come sfuggire lo spirito mondano dello scisma, fino a chiedere la prontezza di donare la vita per la Chiesa.


«È un momento - ha cominciato il cardinale - che può semplicemente essere descritto come una confusione, una divisione e un errore». Poi ha parlato di un giovane sacerdote che lo aveva avvicinato chiedendogli: «Cardinale, pensa che siamo giunti alla fine dei tempi?». «L’espressione sul suo volto - ha detto Burke - mi ha fatto comprendere la sincerità della sua domanda e la preoccupazione profonda che lo animava. Non ho quindi esitato a rispondere: “Potrebbe essere”». Perché «viviamo nei tempi più travagliati del mondo ma anche della Chiesa». Poi Burke ha citato l’ideologia gender dilagante e distruttiva dell’uomo, la negazione della libertà religiosa per vietare ogni discorso pubblico su Dio, la contraccezione, l’eutanasia, l’indottrinamento dei bambini. Nello stesso tempo la ricerca spregiudicata «del piacere e del potere mentre il ruolo della legge, dettato dalla giustizia, viene calpestato», per cui vige «una legittima paura di uno scontro globale», perché «la situazione attuale del mondo non può proseguire se non portando ad un annientamento totale».
Per questo, ha continuato Burke, «il mondo mai come oggi ha avuto così bisogno dell’insegnamento solido e della direzione che Nostro Signore... vuole dare al mondo attraverso la Chiesa». Ma non si può non constatare che, «in modo diabolico, la confusione e l’errore…sono entrati anche anche nella Chiesa», che «non sembra conoscere più la sua identità e missione» né «avere la chiarezza e il coraggio di annunciare il Vangelo della Vita e del Divino Amore».

sabato 2 settembre 2017

COME I CATTOLICI POSSONO ACCOGLIERE I CREDENTI LGBT


Il Card. sarah confuta le tesi del gesuita James Martin, consulente in Vaticano per la Segreteria della Comunicazione.

La Chiesa cattolica è stata criticata da molti, inclusi alcuni dei propri seguaci, per la sua risposta pastorale alla comunità LGBT. […] Tra i sacerdoti cattolici, uno dei critici più espliciti del messaggio della Chiesa in materia di sessualità è padre James Martin, un gesuita americano. Nel suo libro "Building a bridge", pubblicato all'inizio di quest'anno, egli ripete la critica corrente secondo cui i cattolici sono stati aspramente critici dell'omosessualità ma nello stesso tempo trascurano l'importanza dell'integrità sessuale tra tutti coloro che vivono in questa condizione.
Padre Martin è corretto nell’affermare che non ci dovrebbe essere alcun doppio binario riguardo alla virtù della castità, la quale, per quanto sia impegnativa, fa parte della buona notizia di Gesù Cristo per tutti i cristiani. Ma per i non sposati – a prescindere dalla natura delle loro attrazioni – la castità fedele richiede l'astensione dal sesso.
Questa potrebbe sembrare un'esigenza troppo elevata, soprattutto oggi. Tuttavia sarebbe contrario alla saggezza e alla bontà di Cristo chiedere qualcosa che non può essere compiuto. Gesù ci chiama a questa virtù perché ha fatto i nostri cuori per la purezza, proprio come ha fatto la nostra mente per la verità. Con la grazia di Dio e con la nostra perseveranza, la castità non solo è possibile, ma diventerà anche la fonte della vera libertà.
Non abbiamo bisogno di guardare lontano per vedere le tristi conseguenze del rifiuto del piano di Dio per l'intimità e l'amore umano. La liberazione sessuale che il mondo promuove non mantiene ciò che promette. Piuttosto, la promiscuità è la causa di tanta sofferenza inutile, di cuori spezzati, della solitudine e del trattare gli altri come un mezzo di gratificazione sessuale. Come madre, la Chiesa cerca di proteggere i propri figli dal male del peccato, come espressione della sua carità pastorale.
Nel suo insegnamento sull'omosessualità, la Chiesa guida coloro che la vivono distinguendo le loro identità dalle loro attrazioni e azioni. In primo luogo ci sono le persone stesse, che sono di per sé buone perché sono figli di Dio. Poi ci sono le attrazioni dello stesso sesso, che non sono peccaminose se non volute o seguite, ma sono comunque in contrasto con la natura umana. E infine ci sono i rapporti tra persone dello stesso sesso, che sono gravemente peccaminosi e dannosi per il benessere di chi li pratica. Le persone che si identificano come membri della comunità LGBT esigono che si dica loro questa verità nella carità, specialmente da parte dei sacerdoti che parlano per conto della Chiesa su questo complesso e difficile argomento.
La mia preghiera è che il mondo  finalmente ascolti le voci di quei cristiani che sperimentano le attrazioni dello stesso sesso e hanno scoperto pace e gioia vivendo la verità del Vangelo. I miei incontri con loro sono stati per me una benedizione e la loro testimonianza mi commuove profondamente. Ho scritto la prefazione a una testimonianza di questo tipo nel libro di Daniel Mattson, "Why I Don’t Call Myself Gay: How I Reclaimed My Sexual Reality and Found Peace [Perché non mi chiamo gay. Come ho riconquistato la mia realtà sessuale e ho trovato la pace]", con la speranza di far udire meglio la sua e simili voci.
Questi uomini e donne testimoniano il potere della grazia, la nobiltà e la capacità del cuore umano e la verità dell'insegnamento della Chiesa sull'omosessualità. In molti casi essi hanno vissuto lontano dal Vangelo per un certo periodo ma sono stati poi riconciliati con Cristo e la sua Chiesa. Le loro vite non sono facili né prive di sacrificio. Le loro inclinazioni per lo stesso sesso non sono state vinte. Ma hanno scoperto la bellezza della castità e delle amicizie caste. Il loro esempio merita rispetto e attenzione, perché hanno molto da insegnare a tutti noi come accogliere e accompagnare i nostri fratelli e sorelle con autentica carità pastorale.
Fonte: L'Espresso


mercoledì 9 agosto 2017

Fai come se fossi a casa tua!



DI  FRANCESCO ARNALDI

Un paio di giorni fa il quotidiano Avvenire, tramite la sua pagina Facebook, ci ha regalato un’interessante notizia. Un parroco ha esposto fuori dalla sua chiesa il cartello di cui sopra. L’intento sembrerebbe essere chiaro: far sentire accolti tutti, in qualunque momento, in qualunque circostanza, in qualunque condizione. Meritevole l’intento, disastroso il metodo.

Non me ne voglia il tizio in pantaloncini e canottiera che, mentre portava a spasso il cane sui pattini – sui pattini lui, non il cane – ha deciso di entrare a sdraiarsi un attimo sulla panca mangiando lì il suo panino perché ha visto che in chiesa poteva tenere il cellulare acceso mentre alla libreria di fronte no.

Quando dico che il metodo è disastroso lo dico perché l’effetto principale di un tale cartello, l’effetto più subdolo, è quello di far nascere un astio verso certe regole e verso chi continua ad imporle. Pedagogia spicciola: perché mamma e papà devono concordare una linea educativa comune? Perché se la mamma proibisce la marmellata e il papà appena torna a casa dice al figlio che può tranquillamente mangiarla, l’effetto negativo non sarà certo il boom di zuccheri nel sangue del pargolo. No, l’effetto terribilmente negativo sarà una perdita di fiducia del figlio verso la madre.

Quindi, tornando a noi, l’intento di quel cartello non è far sentire tutti accolti: è dire a tutti coloro che sono lontani dalla Chiesa che se lo sono la colpa non è loro, ma della Chiesa.

Secondo problema: l’educazione attraverso le regole. Questo modo di pensare implica che le regole siano cose per gente “arrivata”, per chi è già inserito, e che non debbano valere per coloro che invece si stanno avvicinando. Come se le regole segnino il passaggio da advanced a professional, e che per un beginner non siano solo inutili ma persino dannose.

Così facendo però si toglie qualunque ruolo educativo alla regola. Una regola infatti dà frutti positivi anche se la persona che la rispetta non sa ancora bene razionalmente perché deve rispettarla. Si impara a pregare dopo essere stati ore e ore in silenzio senza aver ancora capito bene a cosa serva il silenzio. È difficilissimo fare il contrario. Uno che aspetta di saper pregare bene per cimentarsi con un’ora di adorazione silenziosa, non imparerà mai a pregare, o comunque avrà serie difficoltà a farlo. Allo stesso modo, se quando introduciamo una persona in un luogo sacro non imponiamo a questa persona di comportarsi come se fosse in un luogo sacro, ecco che costui o costei ne percepirà molto difficilmente la sacralità.

Ormai siamo abituati a sacerdoti che hanno talmente tanta paura a giudicare le persone da lasciargli persino usare le panche di una chiesa come tavoli da pic-nic. Posso solo sperare che la sua insistenza nell’incentivare i flash sia dettata dal fatto che la sua chiesa è così brutta da non rischiare di rovinare alcuna opera d’arte. Ma un sacerdote che passa il tempo a dire che lui non può giudicarti, ti sta praticamente dicendo che lui per te non ha nessuna utilità: dagli retta!

lunedì 31 luglio 2017

La morte di Charlie Gard e i Mass Media.


Il 28 luglio 2017 al piccolo Charlie Gard è stata sospesa la ventilazione e il bambino è deceduto. La morte indotta è avvenuta in una sala di un hospice per malati terminali il cui indirizzo è rimasto ignoto per disposizione delle autorità giudiziarie.

Quasi tutti gli organi di stampa, purtroppo anche cattolici, hanno informato della morte di Charlie, come se il decesso fosse dovuto al naturale percorso della grave disfunzione che lo aveva colpito, nessuno ha informato correttamente che il bambino è stato ucciso. Si è trattato infatti di un chiaro caso di eutanasia infantile, dato che a Charlie è stata sospesa la ventilazione. Questa non è assolutamente da considerarsi una terapia – come anche  l’idratazione e l’alimentazione – e non provocava dolore. Il piccolo è stato ucciso e non accompagnato da medici e familiari alla sua morte naturale, perché qualcuno ha decretato che la sua vita non aveva più senso.

Alla base c’è una legge e una sentenza giurisprudenziale. Eluana Englaro era stata uccisa in assenza una legge, solo in presenza di una sentenza. La predisposizione di leggi sul fine vita avrebbe dovuto avere la funzione di evitare simili sentenze, invece le cose si  sono rovesciate ed ora questo tipo di sentenze di morte avvengono sotto la protezione della legge.

E’ orrendamente grave che la vita e la morte siano decise per legge dello Stato e tramite una sentenza di una Corte. Le nostre democrazie occidentali hanno ripristinato i Tribunali speciali che avevamo conosciuto durante le dittature totalitarie. Nessuno è padrone della vita, nessuno può decidere quando vale e quando no: se la politica si appropria di questo diritto stabilisce un criterio arbitrario davanti al quale non si potrà pretendere obiezione di coscienza ma solo inchinarsi davanti al potere stesso.

Sul piccolo Charlie non era in atto nessun accanimento terapeutico: non è infatti accanimento terapeutico mantenere in vita una persona o accompagnarla con cure palliative verso la sua morte naturale. La legge ha impedito ai genitori di tentare nuove cure sperimentali, facendo perdere tempo prezioso; ha anche perfino impedito di portare il bambino a casa forse nel timore che poi i genitori non staccassero la spina; ha decretato che la sua uccisione doveva avvenire in un luogo da mantenere ignoto, per evitare manifestazioni di protesta e tenere lontana la stampa che infatti si è poi dimostrata prona e servizievole. Sia il contenuto di tutta questa macchinazione, sia le modalità di esecuzione meritano tutto il nostro sdegno.

 

 Fonte: www.vanthuanobservatory.org

 

sabato 29 luglio 2017

Mons. Luigi Negri: Chiesa e omoeresia.



A poca distanza dal messaggio di sostegno alla processione di riparazione che si tiene domani a Rimini, l'arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio prende posizione con un lungo intervento su "La Verità".




“Se la Chiesa non giudica le situazioni di vita, in cui gli uomini sono talora costretti a vivere per l’arroganza del pensiero unico dominante, che ormai ha equiparato, di diritto e di fatto, l’omosessualità all’eterosessualità, la Chiesa si riduce ad essere una pura ‘terapia di sostegno’ che, con modi garbati e talora sofisticati, in realtà abbandona l’uomo a vivere il suo male, come se fosse bene. Questo processo, solo apparentemente caritatevole, oltre a essere un’evidente offesa alla dignità e alla responsabilità dell’uomo, è anche un’imperdonabile offesa a Dio e ai suoi diritti, cioè al bene profondo dell’uomo”. 

Mons. Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio, scrive oggi sul quotidiani La Verità una riflessione che fa irrompere nella Chiesa la questione della “omoeresia”, e il suo intervento arriva a ridosso del sostegno espresso al Comitato Beata Giovanna Scopelli che domani alle ore 10.30, con partenza da via San Giuliano, rizza il gonfalone della Santa Croce davanti alla processione riparatrice nei confronti del Summer pride.

Su quest’atteggiamento verso l’omoeresia si gioca molto della verità della Chiesa di fronte all’uomo, ma si gioca anche molto del destino dell’uomo di fronte a se stesso e alla realtà. Questo dibattito, cui abbiamo dato un contributo, ripropone l’attualità di un punto grandissimo del magistero del Vaticano II e di Paolo VI: la Chiesa è ancora “sommamente esperta di umanità”?”, si domanda Negri.

Le sue parole s’inseriscono nel filone inaugurato qualche mese fa dal card. Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna (che Negri ricorda all’inizio del suo intervento): “Egli ha parlato della possibilità di una mutazione del genoma del cattolicesimo, che avviene quasi senza colpo ferire e nella sostanziale mancanza di “cura” di troppa parte del mondo cattolico”. Aggiunge l’arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio che “il problema dell’omosessualità è un dato di partenza su cui non si formula un giudizio, o forse, più profondamente, si confonde il giudizio di fatto – l’estensione del fenomeno – con il giudizio sul valore. Come dire: l’omosessualità c’è, è diffusa, perciò anche per noi cattolici deve andare bene”.

Quando un fatto, anche imponente nella sua diffusione, viene riconosciuto acriticamente come valore, si afferma sostanzialmente che non c’è più differenza fra bene e male e l’unico problema, per la Chiesa, diventa quello di un ‘accompagnamento'”, aggiunge Negri. “Non si pratica un giudizio per accompagnare, in modo autentico, ma ci si limita a un accompagnamento senza giudizio, che lascia gli omosessuali nella loro condizione, in qualche modo rafforzandone la percezione valoriale”.
Un pensiero che ha precedenti illustri. Nelle Lettere a una carmelitana scalza (a cura di Emanuela Ghini, Itaca, 2017), il card. Giacomo Biffi il 23 dicembre 1979 scriveva: “La comprensione e l’amore per le persone sono giusti e doverosi, purché restino iscritti nel robusto senso della verità della natura. Diversamente c’è la frantumazione di tutta la convivenza umana e non sarà più possibile stabilire niente sul giusto e sull’ingiusto, che non sia l’arbitrio di una legislazione statale”.

Un editoriale de Il Ponte, settimanale della Diocesi di Rimini, la butta sulla “tolleranza evangelica” e critica “le scelte ‘riparatorie’ di chi si sente nel giusto di fronte a chi in qualche modo vive una situazione di difficoltà e discriminazione”. La questione è un’altra. Quasi certamente mons. Negri non lo avrà letto quell’editoriale, ma quel che scrive su La Verità delinea una posizione diversissima: “La chiesa sembra non desiderare più di aiutare gli omosessuali a cambiare vita e a incominciare il lungo e doloroso cammino per assumere una condizione di vita in sintonia con l’antropologia che nasce dalla fede e si esprime nella carità”. Cosa deve essere, dire e fare, la Chiesa anche di fronte al tema della omosessualità? Risponde Negri che deve essere se stessa, cioè “incontro con la vita nuova, buona e vera, cui Gesù Cristo introduce tutti coloro che credono in Lui”.


Fonte: Rimini 2.0

venerdì 7 luglio 2017

L’ospedale di Londra chiede un’altra udienza per Charlie dopo i possibili nuovi trattamenti



Il Great Ormond Street Hospital di Londra si è rivolto all’Alta Corte per una nuova udienza sul caso del piccolo Charlie Gard «alla luce delle richieste relative a possibili altri trattamenti». Lo riportano Bbc e Sky News dopo che il Bambino Gesù di Roma ha inviato una lettera all’ospedale londinese chiedendo ufficialmente ai medici inglesi di poter somministrare al bimbo un protocollo sperimentale «che può funzionare». I medici londinesi ritengono che sia «giusto tentare» e «ringraziano le offerte di aiuto da Casa Bianca, Vaticano e dai nostri colleghi in Italia e Usa e altrove».




«Mi è giunta notizia che i ricercatori hanno messo a disposizione il loro trattamento per l’ospedale di Londra il quale pensa di poterlo verificare», ha spiegato in un videomessaggio dalla Repubblica Centrafricana, dove si sta occupando di bambini bisognosi, la presidente dell’ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, confermando che il Great Ormond Street Hospita sta pensando di verificare il protocollo.



L’ospedale pediatrico della Santa Sede aveva infatti inviato all’ospedale una lettera firmata da un gruppo di più di cinque scienziati internazionali in cui informavano la clinica di aver elaborato una terapia sperimentale per il bambino affetto da una grave malattia rara. Secondo il team di medici, guidati dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù, la terapia studiata per il piccolo potrebbe funzionare.



Intanto la mamma del bimbo, Connie Yates, non demorde e continua sui vari media del Regno Unito a lottare per suo figlio. In una serie di interviste ha detto che il neonato di 11 mesi ricoverato a Londra non sta soffrendo e che lei non potrebbe in nessun modo vederlo patire. La donna ha lanciato un appello direttamente alla premier britannica Theresa May: «Ci sostenga come stanno facendo gli altri», ha detto.

Fonte: La Stampa

sabato 1 luglio 2017

Caso Charlie Gard. I medici non sono demiurghi.

Charlie Gard


Luglio 1, 2017 Caterina Giojelli
Intervista al genetista Domenico Coviello
Luglio 1, 2017 Caterina Giojelli

«La scienza non sa tutto. La storia di Charlie Gard è la storia di un potere violento, quello esercitato dalla scienza di fronte all’ignoto: la scienza che non sa, non può aiutare Charlie, si avvale della legge per eliminarlo, eliminare un problema. Ma nessun medico può arrogarsi il diritto di emanare un simile verdetto. Non può sospendere la vita di un bambino solo perché “non è possibile guarirlo”, perché non sa “se soffre”, perché non sa “quali effetti potrebbe avere una terapia sperimentale sul bambino”. Altrimenti si aprono scenari di onnipotenza sull’ignoto». 

Domenico Coviello è il direttore del Laboratorio di Genetica Umana dell’Ospedale Galliera di Genova. 

Pur condividendo il parere di molti colleghi che hanno descritto come disperata la situazione di Charlie Gard, arriva però alla conclusione opposta: «Charlie Gard, stando alle conoscenze di cui disponiamo oggi, non si può guarire. E allora? Se non possono guarirlo, se la sua malattia è irreversibile – e questa pare essere l’unica certezza degli inglesi –, i medici si devono arrendere al loro compito che è quello di assistere il malato, fino alla fine. Non quello di accelerare l’esito finale e fatale della sua vita. I medici non sono demiurghi».

lunedì 22 maggio 2017

Il fallimento della legge 194.


di Giuliano Guzzo

Vi sono ancora, a quasi quattro decenni dall’entrata in vigore della Legge 22 maggio 1978, n. 194, valide ragioni a suffragio dell’aborto legale? Apparentemente sì. Anzi, sembrano esservene talmente tante che non esisterebbe neppure un valido argomento per opporvisi, pena accuse che spaziano dalla violazione dei diritti della donna a spietate nostalgie medievali. Tuttavia, se analizzate attentamente ed al di là della retorica si scopre come, in realtà, le tesi giustificative della depenalizzazione della pratica abortiva risultino sorprendentemente fragili, quando non del tutto infondate anche se, a prima vista – occorre riconoscerlo – ben confezionate e convincenti. Passiamo allora in rassegna, al fine di poterne valutare l’effettiva consistenza, i cinque più diffusi argomenti a favore dell’aborto legale, che sono quelli dell’aborto clandestino, della salute della donna, del caso di stupro, dell’esercizio di libertà della donna e della maggioranza degli ordinamenti giuridici.
Per contrastare l’aborto clandestino

E’ un argomento condiviso da quasi tutti, persino da molti cattolici, ma fallace sotto il profilo sia logico sia e pratico. La prima criticità concerne la logica secondo cui, se esistente e ritenuto non eliminabile del tutto, un fenomeno deve essere legalizzato. Ricorrendo allo stesso, fallace ragionamento, si dovrebbe ritenere corretto legalizzare realtà esistenti e non eliminabili del tutto quale il furto, l’evasione fiscale, le bustarelle, lo spaccio e altro ancora: il che sarebbe assurdo. Perché dunque quello che non vale per furto, evasione ed altro dovrebbe valere per l’aborto? Tanto più che – e veniamo al lato pratico – l’aborto clandestino, dopo decenni di legalizzazione, rimane, eccome: le stesse, prudentissime (e non aggiornate) stime ministeriali alludono ad almeno di 15.000 casi l’anno: troppi per brindare all’avvenuta eliminazione degli aborti clandestini. Senza considerare che ormai pure gli studiosi abortisti riconoscono come, per ridurre davvero gli aborti, occorrano norme restrittive (Perspectives on Sexual and Reprod H 2017).
Per la tutela della salute della donna

sabato 29 aprile 2017

In Marcia per la Vita - Roma, 20 Maggio 2017



di Massimo Micaletti



Ancora una volta, come ogni anno, coloro che difendono veramente il concepito sono chiamati a raccolta alla Marcia per la Vita, un evento straordinario se si pensa alla limitatezza delle persone e delle risorse che lo permettono.

Mentre a Torino Silvio Viale si vanta pubblicamente di frullare i bambini[1], ed in Polonia i bambini Down vengono lasciati ad agonizzare per un’ora finché non crepano per asfissia e lesioni cerebrali[2], a Roma si raccoglie un popolo che i bambini li ama e che non porta a casa lo stipendio frullandoli o lasciandoli a crepare.

Ma non è Silvio Viale o l’abortista polacco il nemico della Marcia.

Non lo sono neppure quelle associazioni o movimenti culturali e politici che ignorano da sempre la Marcia, cercano di non menzionarla, non considerarla, capaci di minimizzare anche quando – come nel 2015 – essa ha radunato quarantamila persone. Certo, quando sai che questa o quella sigla “non aderisce ufficialmente” o che questo o quel quotidiano (apparentemente) cattolico spenderà qualche centimetro quadro di carta al’ultimo momento e nulla più, ecco, ci rimani un po’ male. Ma non più di tanto. I veri pro life sono abituati ad essere guardati da una certa distanza, a sentirsi dire che sono troppo questo e troppo quello: non è una medaglia, non è un merito, è una condizione, fa parte del pacchetto. Difendi la vita senza compromesso e al dunque ti ritroverai con altri quattro gatti. E’ così da sempre.

martedì 11 aprile 2017

LA CRISI DELLA CHIESA E LA CRISI LITURGICA



«Scismi, sacrilegi e poca fede scuotono la messa»


di Lorenzo Bertocchi
02-04-2017


Dal 29 marzo al 1° aprile si è tenuto a Herzogenrath, in Germania, il 18° incontro liturgico di Colonia sul tema del decimo anniversario del Motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI. Nel 2007 con questo motu proprio l'attuale papa emerito riportava in piena luce il cosiddetto vetus ordo, la liturgia celebrata secondo il rito romano precedente la riforma post conciliare. Il prefetto della Congregazione per il Culto divino, il guineiano cardinale Robert Sarah, non potendo essere presente all'incontro ha inviato un messaggio che certamente farà parlare di sé (QUI l'originale in francese).

RECIPROCO ARRICHIMENTO TRA I DUE RITI

Il cardinale ha ricordato la Lettera ai vescovi che ha accompagnato il motu proprio di papa Benedetto XVI. In quel testo si precisava che la decisione di far coesistere le due forme del rito romano non aveva solo lo scopo di soddisfare i desideri di gruppi di fedeli legati alle forme liturgiche precedenti il Concilio Vaticano II, «ma anche di permettere l'arricchimento reciproco delle due forme dello stesso rito romano, vale a dire non soltanto la loro coesistenza pacifica, ma la possibilità di perfezionarsi evidenziando i migliori elementi che li caratterizzano».

Laddove il motu proprio è stato accolto, dice Sarah, «si è potuta notare una ripercussione e una evoluzione spirituale positiva nel modo di vivere le celebrazioni eucaristiche secondo la forma ordinaria [del rito], in particolare la riscoperta degli atteggiamenti di adorazione verso il Santo Sacramento (...), e anche un maggior raccoglimento caratterizzato dal silenzio sacro che deve sottolineare i momenti importanti del Santo Sacrificio della messa, per permettere ai preti e ai fedeli di interiorizzare il mistero della fede che viene celebrato». D'altra parte occorre «superare un certo “rubricismo” troppo formale spiegando i riti del Messale tridentino a quelli che non li conoscono ancora, o li conoscono in un modo parziale».

UNA RIFORMA IN ROTTURA

La liturgia «deve sempre riformarsi per essere più fedele alla sua essenza mistica. Ma per molto tempo, questa “riforma” che ha sostituito il vero “restauro” voluto dal concilio Vaticano II, è stata realizzata con uno spirito superficiale e sulla base di un solo criterio: sopprimere a tutti i costi un patrimonio percepito come totalmente negativo e sorpassato, al fine di creare un abisso tra il prima e il dopo concilio. Ora si tratta di riprendere la Costituzione sulla santa Liturgia [Sacrosantum concilium] e di leggerla onestamente, senza tradirne il senso, per vedere che il vero obiettivo del Vaticano II non era quello di intraprendere una riforma che potesse divenire l'occasione di rottura con la Tradizione, ma al contrario, di ritrovare e di confermare la Tradizione nel suo significato più profondo».

giovedì 16 marzo 2017

Il mondo alla rovescia



Stiamo costruendo un mondo alla rovescia che non sopravviverà

 per più di due generazioni.






di Francesco Lamendola - 10/06/2009

Le persone che hanno almeno cinquant'anni sono in grado di misurare l'enorme differenza di comportamenti, di mentalità e di valori che separa le ultime generazioni da quelle precedenti; e fino a che punto lo smarrimento esistenziale, l'incapacità di affrontare i sacrifici, l'edonismo becero di tante persone, contrastino con il forte senso del dovere, con lo spirito di sacrificio e con la chiarezza dei punti di riferimento, caratteristici della società prima che fosse spazzata con violenza dai venti del cosiddetto miracolo economico e, in generale, della tarda modernità.
Questo è un discorso che, oggi, non piace, perché sa di passatismo e sembra improntato unicamente alla dimensione della nostalgia e del rimpianto, al tempo stesso antistorico e inconcludente, per un supposto paradiso perduto che avrebbe caratterizzato la società occidentale pre-moderna o, quantomeno, nella fase iniziale della modernità.
Non piace, inoltre, perché sembra un discorso accusatorio nei confronti dei giovani, e quindi incorre nell'accusa di leso giovanilismo, una delle forme caratteristiche che ha preso la sfrenata demagogia della cultura attuale; anzi, una delle forme della religiosità laica post-moderna: mentre è chiaro che l'accusa, semmai, è rivolta agli adulti che non hanno saputo trasmettere ai propri figli niente di meglio del consumismo più idiota e dell'arrivismo più smodato e cialtrone (culminato nei tristissimi fasti odierni del «velinismo», per cui la discussione sociale e perfino politica sembra ruotare intorno all'ombelico di qualche diciottenne un po' belloccia).
Eppure, se si analizzano le cose in maniera onesta e spassionata, non si tarda ad accorgersi che non di nostalgia del passato si tratta, ma di una obiettiva valutazione dei fatti e di un doveroso grido di allarme, che è necessario lanciare prima che sia troppo tardi.
Troppo tardi per cosa? A costo di essere tacciati (anche) di catastrofismo e, come si usa dire, di terrorismo psicologico, non esitiamo ad affermare che rischia di essere troppo tardi per salvare il nostro mondo, il mondo che - a parole - diciamo di amare e rispettare. La società occidentale è matura per il crollo: non fra mille o fra cento anni, ma entro trenta o cinquant'anni al massimo: lo spazio di una o due generazioni.

l’Italia a testa in giù.





Di Marcello Veneziani

Il mondo capovolto, il diritto a rovescio, l’Italia a testa in giù. I figli non li vuole più nessuno eccetto i gay, le lesbiche e le donne anziane. E via con gli uteri in affitto, le maternità surrogate, l’eterologa, le adozioni di coppie dello stesso sesso. E se la politica tentenna, la magistratura accelera, non applica le leggi ma le crea.

A passo di carica, come non accade per la gran parte dei processi. Ma è sempre colpa della legge che non c’è, la legge come la vogliamo noi; e allora il giudice pietoso con sensibilità sartoriale, l’inventa su misura, per l’occorrenza.

Se un medico è obiettore di coscienza sull’aborto allora si assumono solo medici abortisti, e intanto spopolano il suicidio assistito e l’eutanasia, c’è una vasta tifoseria per i morituri volontari: perché il diritto di vivere di chi nasce si può negare ma non si può nemmeno discutere il diritto di morire a norma di legge, col consenso del prete e con l’aiutino di Stato.

Si possono strappare i figli ai genitori, i nipotini ai nonni, ma vanno autorizzati i figli comprati dalle coppie omosex. Si affrettano i tribunali di Roma, di Firenze e di Trento – quegli stessi tribunali dove tanti processi anche urgenti languono per anni – ad assicurare adozioni e figli di uteri affittati a coppie omosessuali; si mette in marcia il Parlamento per votare il primo step dell’eutanasia, per ora nella forma rassicurante di testamento biologico. Poi per gradi si arriverà al resto.

domenica 12 marzo 2017

Gender: I fatti, non le ideologie, determinano la realtà.



Pubblichiamo di seguito la traduzione del documento adottato nel gennaio di quest’anno 2017 dal Collegio americano dei Pediatri. E’ un testo durissimo contro l’ideologia gender e i suoi perversi corollari, quali l’impiego di ormoni sessuali e della chirurgia e proviene da una dell più autorevoli istituzioni in materia.

Qui il testo originale con note [RS]:


https://www.acpeds.org/the-college-speaks/position-statements/gender-ideology-harms-children



Il Collegio Americano dei Pediatri sollecita professionisti della salute educatori e legislatori a rigettare tutte le politiche che condizionino i bambini ad accettare come normale una vita di impersonificazione chimica o chirurgica dell’altro sesso. I fatti, non le ideologie, determinano la realtà.
La sessualità umana è un carattere oggettivo, biologicamente binario: “XY” e “XX” sono indicatori genetici del maschio e della femmina, rispettivamente – non marcatori genetici di un disordine. La norma per l’uomo è di essere concepito maschio o femmina. La sessualità umana è binaria per progetto con l’ovvio proposito della riproduzione e la continuazione della nostra specie. Questo principio è autoevidente.I rari e marginali disordini nello sviluppo sessuale (DSD), come ad esempio, ma non solo, la femminilizzazione testicolare o l’iperplasia adrenale congenita sono tutte deviazioni, medicalmente identificabili, dalla norma della duplicità sessuale e sono correttamente riconosciuti come disordine rispetto al disegno umano. Individui con DSD (anche indicati come “intersex”) non costituiscono un terzo sesso.

domenica 5 marzo 2017

Ridateci i Tabernacoli



Aldo Maria Valli

Non so se succede anche a voi. Quando entro in una chiesa, sempre più spesso fatico a capire dov’è il tabernacolo. Mi tocca cercarlo, come in una caccia al tesoro. E qualche volta non lo trovo proprio.

Così come la fantasia degli architetti si sbizzarrisce nel progettare ed edificare chiese che sembrano tutto tranne che chiese cattoliche (possono andare benissimo come palazzetti dello sport o come sale protestanti, ma non come luoghi di culto cattolici), allo stesso modo gli arredatori degli interni, presi da irrefrenabile voglia di novità e cambiamento, spostano il tabernacolo negli angoli più strani e a volte più remoti.

Ora io so di non avere occhi di falco. Sono miope e, quando arrivo dalla luce esterna, impiego un po’ di tempo per adattarmi alla penombra della chiesa. Però molto spesso non è questione di scarsa vista e di luce. In tante chiese, purtroppo, il tabernacolo si trova in posizioni improbabili, quasi che non fosse lui il padrone di casa, quasi che lo si volesse nascondere come si fa con qualcuno di cui ci si deve un po’ vergognare.

Mi è successo anche oggi. Entro e non vedo. Va bene, mi dico, saranno gli occhi. Guardo, riguardo. E non vedo. Perché il tabernacolo non c’è. O, per lo meno, non è lì dove dovrebbe essere. È spostato a lato, molto defilato, senza la luce rossa, nascosto dentro una specie di gabbia d’acciaio. Perché c’è da dire anche questo: più viene messo ai margini, più il tabernacolo, in quanto oggetto, diventa strano e assume fogge inverosimili e assurde.

lunedì 20 febbraio 2017




"Esprimo la mia riconoscenza a Giacinta per i sacrifici per il Santo Padre, che aveva visto soffrire"(Giovanni Paolo II).



 
La sera del 20 febbraio 1920, sola, come la Madonna le aveva annunciato, moriva la più piccola dei veggenti di Fatima, Giacinta Marto.

Nel mese di febbraio ricorreva dunque l’anniversario della sua partenza per il Cielo e la Chiesa celebra la sua memoria da quando, il 13 maggio 2000, a Fatima, è stata proclamata Beata da Giovanni Paolo II insieme al fratello Francesco, anch’egli testimone e protagonista delle apparizioni di Fatima.

Chi era la piccola Giacinta Marto? E come è possibile che una bambina di soli dieci anni – ne aveva sette al tempo delle apparizioni – possa aver scalato in così poco tempo la vetta della santità tanto da indurre la Chiesa a elevarla alla gloria degli altari?


«Io prometto...» 

Il Quinto Spirito - Docu-film su Pier Giorgio Frassati




UN FUTURO DA INGEGNERE
Per comprendere il film-documentario è dunque necessario comprendere il cammino di Pier Giorgio, che nasce a Torino il 6 aprile 1901 in una famiglia dell’alta borghesia; il padre, Alfredo, è giornalista e proprietario de La Stampa. Affascinato dal Vangelo e ispirato da Cristo, il giovane si spende per i più bisognosi. Sceglie di studiare ingegneria meccanica con specializzazione in mineraria per poter lavorare al fianco dei minatori della zona (una delle classi sociali più disagiate di quel tempo), e vuole tentare di migliorare le loro condizioni di lavoro (sanvincenzoitalia.it).

TRA AZIONE CATTOLICA E FUCI
Pier Giorgio vive il suo cammino di fede nell’Azione Cattolica, frequenta la Fuci durante il periodo universitario e si iscrive al terz’ordine domenicano. Per descrivere il suo percorso di fede occorre approfondire il suo amore per lo sport, in particolare per la montagna (Azionecattolica.it). L’abilità sportiva dello scalatore è paradigma della spiritualità di Pier Giorgio; la sintesi tra vita contemplativa e vita attiva trova un felice slogan nella sua regola Verso l’alto, che indica un continuo esercizio di crescita, di ricerca, di allenamento.

LA METAFORA DELLA MONTAGNA
L’intreccio tra preghiera, partecipazione ai sacramenti, lettura della Parola ed esercizio della carità si misura attorno all’intensità di questa tensione a crescere, a “salire”. La montagna in questo senso è metafora straordinariamente chiara per spiegare la spiritualità laicale, il movimento parte perché è la vetta che ti “chiama”, ma anche il cammino diventa passo dopo passo più gustoso; non mancano certo gli ostacoli e gli scoraggiamenti tra una roccia particolarmente pericolosa e un sentiero che sembra bloccato.

SANTITA' COME VOCAZIONE PER TUTTI
Pier Giorgio muore molto giovane, a soli 24 anni, per una grave malattia. Il 20 maggio 1990 Papa Giovanni Paolo II lo proclama beato. La sua vita, si legge ancora su Azionecattolica.it, ci incoraggia e ci dona una certezza: la santità non è cosa per pochi eroi, ma una vocazione per tutti. Siamo invitati a vivere anche oggi questo dinamismo verso l’alto. Pier Giorgio ci ispira fiducia perché ci ricorda che se a volte siamo scalatori un po’ affannati comunque è sempre l’Altezza che in ogni epoca storica e in ogni vissuto personale affascina e chiama.




Fonte: Aleteia

mercoledì 25 gennaio 2017

Testimonianza di un amico del Beato Pier Giorgio Frassati



"Pier Giorgio era cordialissimo, ma terribilmente sincero, non ci risparmiavamo a vicenda le più chiare parole. Quando gli facevo notare che qualche volta era testardo e a volte perditempo, lui mi ricordava con precisione tutti i miei difetti, dalla distrazione all'orgoglio, passando per altri maggiori. Su certi poi si accaniva veramente e mi dimostrava come e quando li rivelavo. Noi dicevamo che questo era toglierci la polvere a vicenda, e non ne abbiamo mai conservato amarezza, anzi tanta e maggiore cordialità".



La provvidenza di Dio supera la giustizia dell'uomo.




«Un monaco di nome Serafino chiedeva con insistenza al Signore di poter prendere il suo posto sulla croce, perché voleva condividere in tutto il ruolo di Cristo.
Un giorno il Crocifisso accettò, ma a un patto. Il Signore Gesù gli disse: “Che tu stia zitto!”.
Serafino, essendo monaco, abituato al rigore, all’osservanza del silenzio, promise immediatamente. Il Cristo scese allora dalla croce, che era in chiesa, e vi salì invece il monaco Serafino.
Entrò un uomo ricco a pregare e, mentre pregava, gli scivolò giù il sacchetto dei soldi. Si alzò per andarsene e Serafino, che aveva visto, avrebbe voluto dirgli che gli era caduto il sacchetto, però si era impegnato a tacere e quindi tacque. 
Subito dopo entrò un uomo povero, cominciò a pregare, ma gli caddero subito gli occhi su quel sacchetto di soldi; si guardò intorno, non c’era nessuno che lo vedesse, prese il sacchetto, se lo mise in tasca e scappò. Serafino avrebbe voluto dirgli che non doveva prenderli, perché non erano suoi, ma si era impegnato a star zitto e dunque tacque. 
Poi entrò un giovanotto che si mise devotamente in ginocchio ai piedi del crocifisso chiedendo aiuto e protezione perché stava per mettersi in viaggio per mare. In quel mentre entrò l’uomo ricco con i gendarmi dicendo che aveva lasciato in chiesa il sacchetto dei soldi. L’unica persona presente era quel giovanotto, i gendarmi lo presero e lo arrestarono.
A quel punto Serafino non riuscì più a stare zitto e gridò:
“È innocente”. 
Figuratevi! Il crocifisso parlante salvò quel giovane dalla galera, perché in forza di quella voce fecero meglio le indagini, lasciarono andare il giovanotto che si imbarcò, e arrestarono il povero che aveva preso i soldi, ed il sacchetto coi denari fu restituito al ricco.
Alla sera il Cristo tornò con la faccia scura e rimproverò severamente Serafino: “Così non va proprio bene!”. 
“Ma come, Signore?”. 
Ti avevo detto di stare zitto”. 
“Ma ho rimesso a posto le cose, ho fatto giustizia”. 
Disse allora il Signore: “No, Serafino, tu hai sbagliato tutto; il tuo impegno era quello di tacere; me lo avevi promesso. 
Invece, parlando, tu hai rovinato la mia azione. 
Quel ricco stava per fare un’opera cattiva con quei soldi e io glieli ho fatti perdere; quel povero ne aveva bisogno e io glieli ho fatti trovare; quel giovanotto ora sta naufragando in mare, e mi aveva chiesto aiuto: se fosse andato in prigione, almeno per un giorno, avrebbe perso la nave e non sarebbe morto. Hai rovinato tutto, non sei in grado di metterti al mio posto, caro Serafino! Anche se sei un monaco, e ti consideri avanti nella vita spirituale, la Mia Provvidenza guida le cose meglio di voi, anche quando sembrano andare per storto

Morale:
spesso vorremmo risposte da Dio e ce la prendiamo con il Crocifisso che non ci parla! 
Lui non parla, ma invece sempre opera secondo il nostro miglior bene. Ringraziamolo allora, perché ci aiuta lo stesso.

Fonte: dal web

domenica 15 gennaio 2017

“pastoralismo” o "catto-pietismo"?



di Stefano Fontana
13-01-2016

Le incertezze e le paralisi che la Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a proposito del disegno di legge Cirinnà hanno un nome: pastoralismo. Una Chiesa che si è così a lungo macerata e lacerata su una cosa in vero molto semplice da fare, come opporsi ad una legge disumana da tutti i punti di vista, richiede una ragione culturale: il pastoralismo. Il pastoralismo ha fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono il dialogo e non costruiscono. 

Il pastoralismo ha fatto pensare a molti che non bisogna più intervenire sulle leggi, ma solo sulle coscienze delle persone. Il pastoralismo ha fatto pensare che la Chiesa debba solo formare – chissà poi chi, dove e come – e poi ognuno entra nella pubblica piazza con la propria coscienza. Il pastoralismo fa ritenere a tanti preti che la Chiesa non debba dire mai di no, ma piuttosto debba accompagnare tutti e sempre.

Intervista al cardinale Caffarra 14 Gennaio 2017



"Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione". 



La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne”. “Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.



di Matteo Matzuzzi (14-01-2017)

Bologna – «Credo che vadano chiarite diverse cose. La lettera – e i dubia allegati – è stata lungamente riflettuta, per mesi, e lungamente discussa tra di noi. Per quanto mi riguarda, è stata anche lungamente pregata davanti al Santissimo Sacramento».

Il cardinale Carlo Caffarra premette questo, prima di iniziare la lunga conversazione con Il Foglio sull’ormai celebre lettera “dei quattro cardinali” inviata al Papa per chiedergli chiarimenti in relazione all’Amoris laetitìa, l’esortazione che ha tirato le somme del doppio Sinodo sulla famiglia e che tanto dibattito – non sempre con garbo ed eleganza – ha scatenato dentro e fuori le mura vaticane. «Eravamo consapevoli che il gesto che stavamo compiendo era molto serio. Le nostre preoccupazioni erano due. La prima era di non scandalizzare i piccoli nella fede. Per noi pastori questo è un dovere fondamentale. La seconda preoccupazione era che nessuna persona, credente o non credente, potesse trovare nella lettera espressioni che anche lontanamente suonassero come una benché minima mancanza di rispetto verso il Papa. Il testo finale quindi è il frutto di parecchie revisioni: testi rivisti, rigettati, corretti».

Fatte queste premesse, Caffarra entra in materia. «Che cosa ci ha spinto a questo gesto? Una considerazione di carattere generale-strutturale e una di carattere contingente-congiunturale. Iniziamo dalla prima. Esiste per noi cardinali il dovere grave di consigliare il Papa nel governo della Chiesa. È un dovere, e i doveri obbligano. Di carattere più contingente, invece, vi è il fatto – che solo un cieco può negare – che nella Chiesa esiste una grande confusione, incertezza, insicurezza causate da alcuni paragrafi di Amoris laetitìa. In questi mesi sta accadendo che sulle stesse questioni fondamentali riguardanti l’economia sacramentale (matrimonio, confessione ed eucaristia) e la vita cristiana, alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A. Con l’intenzione di interpretare bene gli stessi testi».

E «questo è un fatto, innegabile, perché i fatti sono testardi, come diceva David Hume. La via di uscita da questo “conflitto di interpretazioni” era il ricorso ai criteri interpretativi teologici fondamentali, usando i quali penso che si possa ragionevolmente mostrare che Amoris laetitìa non contraddice Famìliaris consortio. Personalmente, in incontri pubblici con laici e sacerdoti ho sempre seguito questa via». Non è bastato, osserva l’arcivescovo emerito di Bologna. «Ci siamo resi conto che questo modello epistemologico non era sufficiente. Il contrasto tra queste due interpretazioni continuava. C’era un solo modo per venirne a capo: chiedere all’autore del testo interpretato in due maniere contraddittorie qual è l’interpretazione giusta. Non c’è altra via. Si poneva, di seguito, il problema del modo con cui rivolgersi al Pontefice. Abbiamo scelto una via molto tradizionale nella Chiesa, i cosiddetti dubia». Perché? «Perché si trattava di uno strumento che, nel caso in cui secondo il suo sovrano giudizio il Santo Padre avesse voluto rispondere, non lo impegnava in risposte elaborate e lunghe. Doveva solo rispondere “Sì” o “No”. E rimandare, come spesso i Papi hanno fatto, ai provati autori (in gergo: probati auctores) o chiedere alla Dottrina della fede di emanare una dichiarazione congiunta con cui spiegare il Sì o il No. Ci sembrava la via più semplice. L’altra questione che si poneva era se farlo in privato o in pubblico. Abbiamo ragionato e convenuto che sarebbe stata una mancanza di rispetto rendere tutto pubblico fin da subito. Così si è fatto in modo privato, e solo quando abbiamo avuto la certezza che il Santo Padre non avrebbe risposto, abbiamo deciso di pubblicare».