lunedì 27 dicembre 2010

L’Europa è un morto che cammi­na.


Uccidono i cristiani ma è l'Europa ad essere morta
di Marcello Veneziani

Nel giro di poche ore l'Ue si dimentica delle festività critiane e si rifiuta di equiparare le vittime del comunismo a quelle del nazismo. E se ne frega se attaccano le chiese in Nigeria e nelle Filippine


Per l’Unione europea il Natale non esi­ste, la Pasqua nemmeno, e se uccidono i cristiani in Nigeria e nelle Filippine, co­me è accaduto nel giorno di Natale, chi se ne frega, la cosa non ci riguarda. I cri­stiani saranno una setta del posto. Noi europei ci occupiamo di misurare le ba­nane, mica di religioni, superstizioni, stragi e amenità varie. Noi siamo civili, lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose. E poi in questi giorni la Commissione europea non lavora, è in vacanza natalizia, anche se non si sa uffi­cialmente la ragione di queste festività, sarà l’anniversario dell’euro o l’onoma­stico di Babbo Natale... Non sto vaneg­giando per overdose di spumanti e pa­nettoni. È stata diffusa in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta Europa e forse anche nei Paesi islamici,l’agenda ufficia­le dell’Europa, firmata della Commissione europea. Nel diario europeo, che mi è capitato di vedere,c’è traccia delle più estrose festività relative alle più minoritarie religioni,ma non c’è alcun riferimen­to alle festività antiche, canoniche e ufficiali della cristianità europea. Non si sa perché festeggiamo Natale e le altre festività religiose, nulla è ac­cennato sull’agenda che ricordi la Natività, la Resurrezione e tutto il re­sto, nulla che segni in rosso una san­­ta festività. Ma quale Natale, Pasqua, Epifania, diceva Totò, a cui evidente­mente si ispira l’Unione Europea. L’ha fatto notare, protestando, il mi­nistro degli Esteri Frattini, ma in que­sti giorni l’Unione europea è chiusa per inventario merci (non esistendo il Santo Natale) e dunque la protesta affonda nel vuoto vacanziero di que­sta vuota Europa. A ragion veduta possiamo perciò accusare l’Unione europea di nega­zionismo. L’Unione europea è un’as­sociazione vigliacca di smemorati banchieri fondata sul negazioni­smo. Nel giro di poche ore, l’Unione eu­ropea ha infatti negato le festività cri­stiane e dunque la sua tradizione principale ancora viva da cui provie­ne e nel cui nome ha un calendario e un sistema di festività. Ed ha pure ne­gato ai Paesi dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di conside­rare i loro milioni di vittime sullo stes­so piano delle vittime del nazismo. Come sapete, la Commissione eu­ropea ha nega­to che si possano equi­parare gli stermini comunisti a quelli nazisti e possa dunque scattare an­che per loro il reato di negazionismo. Pur avendo commesso «atti orren­di », i regimi del gulag, secondo la Commissione europea, «non hanno preso di mira minoranze etniche». E che vuol dire, sterminare i borghesi o i contadini è meglio che sterminare gli appartenenti a una razza? Uccide­re chi non la pensa come te è un cri­mine meno efferato che uccidere chi è di un’altra razza? Tra le fosse di Ka­tyn, le foibe e le camere a gas di Da­chau, qual è la differenza etica, giuri­dica ed umana? Tra chi nega gli ster­mini di popolazioni civili di Paesi in­vasi dal comunismo e chi nega gli stermini etnici, qual è la differenza? È ideologica, signori, puramente ide­ologica. Come ideologica è la nega­zione delle tradizioni cristiane più popolari. Non parliamo infatti del dogma trinitario o di altri quesiti teo­logici, qui parliamo di Natale e Pa­squa, avete presente? Alla base del­l’Europa c’è un negazionismo vi­gliacco e bugiardo, che non è solo quello di negare alcuni colossali orro­ri per riconoscere e perseguirne de­gli altri; ma negare l’Europa stessa,la sua vita, il calendario che scandisce i suoi giorni, la sua realtà e la sua veri­tà, la sua tradizione e la sua storia. Il negazionismo dell’Unione euro­p­ea è ancora più grave del negazioni­smo elevato a reato: perché non ne­ga solo alcuni orrori, ma nega anche in positivo la storia, la provenienza, la vita europea. Del suo passato l’Unione resetta tutto,difende solo la memoria della Shoah, e poi cancella millenni di civiltà cristiana, millenni di natali e pasque, orrori del comuni­smo e di altre tirannidi. Che schifo. Io non ho ancora capito a che serve l’Unione europea fuori dall’ambito economico. Non è un soggetto politi­co che esprime posizioni unitarie, non ha un governo passato dal con­senso del popolo europeo, la sua stes­sa unione non fu voluta o almeno rati­ficata da un referendum costitutivo del popolo sovrano. Non è un sogget­to cul­turale e civile perché non fa nul­la per affermare, difendere o valoriz­zare l’identità europea, anzi fa di tut­to per negarla. Non ha una sua carta costituzionale dove declina le sue ge­neralità storiche, le sue affinità idea­li, i suoi principi, le sue provenienze civili e religiose. Non ha una sua poli­tica es­tera unitaria o una strategia in­ternazionale, e non si occupa di stra­gi dei cristiani, semmai si agita solo se c’è una donna condannata a mor­te per aver ucciso il marito in Iran. Insomma,l’Europa non è mai nata e ha paura pure della sua ombra. Esi­ste solo un sistema monetario unico, un sistema di dazi e di regole, di ban­che e di finanziamenti. È un ente eco­nomico, un istituto per il commer­cio. Per questo l’Unione europea non esiste, abbiamo ancora la Cee, la Comunità economica europea. Anzi non sprechiamo la parola comunità per un consorzio economico, tornia­mo al Mec, Mercato europeo comu­ne. L’Europa è un morto che cammi­na.

sabato 25 dicembre 2010

Indulto della Comunione sulla mano revocato alle Messe Papali!

Deo Gratias!

Notizia di enorme significato:


nelle Messe celebrate dal Santo Padre (a partire dalla Messa della Notte di Natale 2010), non solo lui, ma tutti i sacerdoti che lo aiutano a distribuire ai fedeli la comunione, non porranno più l'ostia santa sul palmo della mano, ma solo in bocca, a ciascun comunicando, laico o chierico che sia.
Non c'è dubbio, per chi è stato anche una sola volta alle messe celebrate in San Pietro dal Papa, che il momento della comunione è spesso di grande confusione, e c'è gente che allunga le mani verso ogni sacerdote, a volte dando quasi l'impressione di voler ghermire una particola. Adesso ciascuno, con più ordine, e con meno pericoli di far cadere a terra le particole, dovrà con calma presentarsi di fronte al ministro e ricevere da lui sulla bocca la santa comunione.


Questo modo di ricevere il Corpo di Cristo, non solo aumenta la devozione e la consapevolezza della reale presenza del Salvatore, ma previene anche non difficili furti delle sacre specie che possono avvenire nelle messe più affollate.


A quanti diranno che "si torna indietro" ecc. ecc., è bene SEMPRE ricordare:


a) Il modo UNICO previsto dal Messale di Paolo VI è ricevere la comunione sulla bocca.


b) La possibilità alternativa di ricevere sulle mani è regolata da un INDULTO che può essere messo in vigore in alcuni luoghi (e ritirato) da alcuni vescovi (e non da altri).



Testo preso da: Cantuale Antonianum

La liturgia secondo il Cardinale Cañizares Llovera



di Andrea Tornielli

La liturgia cattolica vive «una certa crisi» e Benedetto XVI vuole dar vita a un nuovo movimento liturgico, che riporti più sacralità e silenzio nella messa, e più attenzione alla bellezza nel canto, nella musica e nell’arte sacra.

Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, 65 anni, Prefetto della Congregazione del culto divino, che quando era vescovo in Spagna veniva chiamato «il piccolo Ratzinger», è l’uomo al quale il Papa ha affidato questo compito. In questa intervista al Giornale, il «ministro» della liturgia di Benedetto XVI rivela e spiega programmi e progetti.


Da cardinale, Joseph Ratzinger aveva lamentato una certa fretta nella riforma liturgica postconciliare. Qual è il suo giudizio?


«La riforma liturgica è stata realizzata con molta fretta. C’erano ottime intenzioni e il desiderio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione. Non si è dato tempo e spazio sufficiente per accogliere e interiorizzare gli insegnamenti del Concilio, di colpo si è cambiato il modo di celebrare.
Ricordo bene la mentalità allora diffusa: bisognava cambiare, creare qualcosa di nuovo. Quello che avevamo ricevuto, la tradizione, era vista come un ostacolo. La riforma è stata intesa come opera umana, molti pensavano che la Chiesa fosse opera delle nostre mani, invece che di Dio.
Il rinnovamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e della creatività, la parola magica di allora».


Da cardinale Ratzinger aveva auspicato una «riforma della riforma» liturgica, parole oggi impronunciabili persino in Vaticano. Appare però evidente che Benedetto XVI la desideri. Può parlarcene?


«Non so se si possa, o se convenga, parlare di “riforma della riforma”. Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgico in tutta la Chiesa. Perché, come spiega Benedetto XVI nel primo volume della sua Opera Omnia, nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa. Cristo è presente nella Chiesa attraverso i sacramenti. Dio è il soggetto della liturgia, non noi. La liturgia non è un’azione dell’uomo, ma è azione di Dio».


Il Papa più che con le decisioni calate dall’alto, parla con l’esempio: come leggere i cambiamenti da lui introdotti nelle celebrazioni papali?


«Innanzitutto non deve esserci alcun dubbio sulla bontà del rinnovamento liturgico conciliare, che ha portato grandi benefici nella vita della Chiesa, come la partecipazione più cosciente e attiva dei fedeli e la presenza arricchita della Sacra Scrittura. Ma oltre a questi e altri benefici, non sono mancate delle ombre, emerse negli anni successivi al Vaticano II: la liturgia, questo è un fatto, è stata “ferita” da deformazioni arbitrarie, provocate anche dalla secolarizzazione che purtroppo colpisce pure all’interno della Chiesa. Di conseguenza, in tante celebrazioni, non si pone più al centro Dio, ma l’uomo e il suo protagonismo, la sua azione creativa, il ruolo principale dato all’assemblea. Il rinnovamento conciliare è stato inteso come una rottura e non come sviluppo organico della tradizione. Dobbiamo ravvivare lo spirito della liturgia e per questo sono significativi i gesti introdotti nelle liturgie del Papa: l’orientamento dell’azione liturgica, la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio, la bellezza nell’arte sacra. È anche necessario e urgente promuovere l’adorazione eucaristica: di fronte alla presenza reale del Signore non si può che stare in adorazione».


Quando si parla di un recupero della dimensione del sacro c’è sempre chi presenta tutto questo come un semplice ritorno al passato, frutto di nostalgia. Come risponde?


«La perdita del senso del sacro, del Mistero, di Dio, è una delle perdite più gravi di conseguenze per un vero umanesimo. Chi pensa che ravvivare, recuperare e rafforzare lo spirito della liturgia, e la verità della celebrazione, sia un semplice ritorno a un passato superato, ignora la verità delle cose. Porre la liturgia al centro della vita della Chiesa non è affatto nostalgico, ma al contrario è la garanzia di essere in cammino verso il futuro».


Come giudica lo stato della liturgia cattolica nel mondo?


«Di fronte al rischio della routine, di fronte ad alcune confusioni, alla povertà e alla banalità del canto e della musica sacra, si può dire che vi sia una certa crisi. Per questo è urgente un nuovo movimento liturgico. Benedetto XVI indicando l’esempio di san Francesco d’Assisi, molto devoto al Santissimo Sacramento, ha spiegato che il vero riformatore è qualcuno che obbedisce alla fede: non si muove in modo arbitrario e non si arroga alcuna discrezionalità sul rito. Non è il padrone ma il custode del tesoro istituito dal Signore e consegnato a noi. Il Papa chiede dunque alla nostra Congregazione di promuovere un rinnovamento conforme al Vaticano II, in sintonia con la tradizione liturgica della Chiesa, senza dimenticare la norma conciliare che prescrive di non introdurre innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità per la Chiesa, con l’avvertenza che le nuove forme, in ogni caso, devono scaturire organicamente da quelle già esistenti».


Che cosa intendete fare come Congregazione?


«Dobbiamo considerare il rinnovamento liturgico secondo l’ermeneutica della continuità nella riforma indicata da Benedetto XVI per leggere il Concilio. E per far questo bisogna superare la tendenza a “congelare” lo stato attuale della riforma postconciliare, in un modo che non rende giustizia allo sviluppo organico della liturgia della Chiesa.
Stiamo tentando di portare avanti un grande impegno nella formazione di sacerdoti, seminaristi, consacrati e fedeli laici, per favorire la comprensione del vero significato delle celebrazioni della Chiesa. Ciò richiede un’adeguata e ampia istruzione, vigilanza e fedeltà nei riti e un’autentica educazione per viverli pienamente. Questo impegno sarà accompagnato dalla revisione e dall’aggiornamento dei testi introduttivi alle diverse celebrazioni (prenotanda). Siamo anche coscienti che dare impulso a questo movimento non sarà possibile senza un rinnovamento della pastorale dell’iniziazione cristiana».


Una prospettiva che andrebbe applicata anche all’arte e alla musica...


«Il nuovo movimento liturgico dovrà far scoprire la bellezza della liturgia. Perciò apriremo una nuova sezione della nostra Congregazione dedicata ad “Arte e musica sacra” al servizio della liturgia. Ciò ci porterà a offrire quanto prima criteri e orientamenti per l’arte, il canto e la musica sacri. Come pure pensiamo di offrire prima possibile criteri e orientamenti per la predicazione».


Nelle chiese spariscono gli inginocchiatoi, la messa talvolta è ancora uno spazio aperto alla creatività, si tagliano persino le parti più sacre del canone: come invertire questa tendenza?


«La vigilanza della Chiesa è fondamentale e non deve essere considerata come qualcosa di inquisitorio o repressivo, ma un servizio. In ogni caso dobbiamo rendere tutti coscienti dell’esigenza, non solo dei diritti dei fedeli, ma anche del “diritto di Dio”».


Esiste anche il rischio opposto, cioè quello di credere che la sacralità della liturgia dipenda dalla ricchezza dei paramenti: una posizione frutto di estetismo che sembra ignorare il cuore della liturgia…


«La bellezza è fondamentale, ma è qualcosa di ben diverso da un’estetismo vuoto, formalista e sterile, nel quale invece talvolta si cade. Esiste il rischio di credere che la bellezza e la sacralità del liturgia dipendano dalla ricchezza o dall’antichità dei paramenti. Ci vuole una buona formazione e una buona catechesi basata sul Catechismo della Chiesa cattolica, evitando anche il rischio opposto, quello della banalizzazione, e agendo con decisione ed energia quando si ricorre a usanze che hanno avuto il loro senso nel passato ma oggi non ce l’hanno o non aiutano in alcun modo la verità della celebrazione».


Può dare qualche indicazione concreta su che cosa potrebbe cambiare nella liturgia?


«Più che pensare a cambiamenti, dobbiamo impegnarci nel ravvivare e promuovere un nuovo movimento liturgico, seguendo l’insegnamento di Benedetto XVI, e ravvivare il senso del sacro e del Mistero, mettendo Dio al centro di tutto. Dobbiamo dare impulso all’adorazione eucaristica, rinnovare e migliorare il canto liturgico, coltivare il silenzio, dare più spazio alla meditazione. Da questo scaturiranno i cambiamenti...».




Santo Natale del Signore


Oggi su di noi splenderà la Luce,

perché è nato per noi il Signore;

Dio Onnipotente sarà il Suo nome,

Principe della pace, Padre dell'eternità:

il Suo regno non avrà fine.
(Isaia 9,2 - Luca 1,33)

mercoledì 15 dicembre 2010

Cristianofobia europea, c'è.



11/12/2010

In un rapporto lungo quaranta pagine, l'«Observatory on intolerance and discrimination against christians in Europe» — organizzazione non governativa austriaca — sottolinea come questo fenomeno sia purtroppo in crescita anche nel vecchio continente.



MARCO TOSATTI

Limitazioni della libertà di coscienza e di espressione, diffamazione e insulto anche a mezzo stampa, rimozione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, fino ad arrivare a veri e propri atti di vandalismo e di violenza: è lunga la lista degli episodi di intolleranza e di discriminazione contro i cristiani in Europa denunciati dall'omonimo Osservatorio oggi a Vienna nel corso di un meeting sulla libertà di religione promosso dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). In un rapporto lungo quaranta pagine, l'«Observatory on intolerance and discrimination against christians in Europe» — organizzazione non governativa austriaca — sottolinea come questo fenomeno sia purtroppo in crescita anche nel vecchio continente. Nulla a che vedere con la persecuzione in atto in Iraq o con le discriminazioni compiute in numerosi altri Paesi asiatici o africani: è un'intolleranza sottile, quasi invisibile, e fa sensazione che tutto ciò accada in nazioni europee spesso in prima fila nella denuncia delle violenze commesse contro i cristiani negli altri continenti. Il documento passa in dettagliata rassegna fatti e situazioni registrati fra il 2005 e il 2010 in diversi Paesi, dalla Spagna al Regno Unito, dal Belgio alla Francia, dalla Germania all'Italia, dai Paesi Bassi alla Turchia. Nei capitoli dedicati alla libertà di coscienza e di espressione, si cita ad esempio la richiesta fatta nell'ottobre scorso da una parlamentare britannica all'assemblea del Consiglio d'Europa di imporre limitazioni all'obiezione di coscienza in caso di aborto; o casi di mancato rispetto di luoghi religiosi come la provocazione organizzata a febbraio da un gruppo di attivisti gay di fronte alla cattedrale di Notre-Dame a Parigi, o come l'irruzione in Olanda di un altro gruppo di attivisti durante un servizio liturgico cattolico per protestare contro il rifiuto di dare la comunione a persone dichiaratamente omosessuali. Atti di vandalismo contro luoghi di culto e cimiteri sono quasi all'ordine del giorno in Francia, ma gravi episodi si sono verificati anche in Albania e in Belgio. E non mancano gli attacchi verbali a uomini di Chiesa, come accaduto all'arcivescovo di Malines-Bruxelles, André-Mutien Léonard, presidente della Conferenza episcopale belga, per aver espresso la sua posizione sul virus dell'aids. Fino a crimini efferati, come l'uccisione, il 3 giugno scorso in Turchia, del vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico di Anatolia. I cristiani sono discriminati anche sui luoghi di lavoro. Come ricorda anche l'agenzia Sir, in Spagna, nel novembre 2008, un giudice, che aveva invocato al riguardo il diritto all'obiezione di coscienza, è stato sospeso per aver rinviato la pratica di adozione di una bambina richiesta dalla partner della madre. In Europa si registra inoltre la difficoltà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose: è il caso soprattutto dei corsi di educazione sessuale previsti nei sistemi scolastici di Austria, Germania e Regno Unito. «Leggi discriminatorie — si legge nel rapporto dell'Osservatorio — direttamente o indirettamente impediscono un equo esercizio della libertà. Nei confronti del cristianesimo in Europa, ciò si verifica sovente nei settori della libertà di parola, di coscienza e di religione. Quest'ultima include il diritto a educare i figli secondo la propria fede, a condividere la fede con gli altri, a pubblicare materiale religioso senza censure, a cambiare religione (per scelta, non per coercizione) e a non praticare alcuna religione». Gli autori della ricerca dicono di essersi imbattuti spesso in una situazione quasi paradossale: l'uguale trattamento e la legislazione anti-discriminazione a volte sono intesi in un modo così esteso da provocare un effetto collaterale indiretto di discriminazione nei confronti dei cristiani. Una situazione che si riscontra anche nel campo dell'espressione, dell'educazione e della dialettica, quando a venir discriminati sono gli elementi fondamentali dell'insegnamento cristiano. E quando l'intolleranza religiosa è condotta da uno Stato, non si tratta più di un fenomeno sociale ma si trasforma in discriminazione riguardo l'esercizio delle libertà fondamentali. Un capitolo a parte è riservato alla repressione e alla rimozione dei simboli religiosi. Indossare o esporli — si legge nel rapporto — è un elemento costitutivo della fede e «il simbolo cristiano della croce è più di un simbolo religioso, in quanto mostra le radici spirituali. La sua rimozione è quindi più di un atto meramente neutrale». All'interno viene naturalmente citata la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa alla richiesta di rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche italiane e sono segnalati casi simili in Germania (per gli ospedali) e nel Regno Unito (in una scuola). In Grecia un prete ortodosso è stato denunciato, nel gennaio 2008, per aver suonato le campane della sua chiesa «troppo forte e troppo spesso». «La libertà religiosa — spiega il direttore dell’Osservatorio, Gudrun Kugler — è in pericolo soprattutto per quanto riguarda la sua dimensione pubblica e istituzionale. Abbiamo ricevuto molte segnalazioni sulla rimozione dei simboli cristiani, sulla rappresentazione travisata, stereotipata e negativa dei cristiani nei media, e sui disagi sociali di cui sono vittime i cristiani, come l’essere ridicolizzati o svantaggiati nei luoghi di lavoro». Tutto ciò — è scritto nel rapporto — non è offensivo solo nei confronti dei cristiani ma crea un'atmosfera sociale di ostilità che non fa bene a nessuno. Come quando in Ungheria, durante un talk show di grande successo andato in onda a gennaio, si è affermato che «la vita di un bambino può essere distrutta da due cose: il cristianesimo e la pornografia». Kugler ha invitato a lavorare «per una maggiore consapevolezza di un problema crescente in Europa, primo passo per arrivare a un rimedio. Il nostro obiettivo sono diritti uguali per tutti, compresi i cristiani». Il dossier presentato oggi all'Osce si conclude con una serie di raccomandazioni. Ai governi dei Paesi europei si chiede di garantire la libertà di religione e di credo, la libertà di espressione e il diritto all'obiezione di coscienza, e inoltre di condannare i casi di intolleranza e di discriminazione contro i cristiani e di assicurare «il diritto dei cristiani a partecipare pienamente alla vita pubblica» delle singole nazioni. L'appello si rivolge anche all'Unione europea e alle istituzioni internazionali sui diritti umani perché incoraggino i governi a monitorare attentamente la situazione dei cristiani nel continente.

fonte: La Stampa

domenica 12 dicembre 2010

Il terzo Big-Bang



di Antonino Zichichi

11-12-2010


Grazie al “terzo Big-Bang”, cioé al passaggio da un universo con vita priva di ragione ad un universo con vita dotata di ragione, possiamo scrivere libri, esprimere opinioni, discutere di problemi. Eppure, si parla quasi sempre del primo Big-Bang, quello grazie al quale il vuoto si è trasformato in qualcosa che, dopo circa venti miliardi di anni, noi chiamiamo universo, fatto con galassie, stelle e satelliti, su uno dei quali, la Terra, ci troviamo.

L’universo, tuttavia, avrebbe potuto essere esattamente com’è, con le stesse strutture e gli stessi dettagli, ma privo della nostra presenza.

L’evoluzione cosmica parte dal Big-Bang n. 1 e arriva oggi ad un numero di galassie pari a circa duecento miliardi, ciascuna delle quali consta mediamente di duecento miliardi di stelle. Molti dettagli sulla struttura dell’universo ci sono ignoti. Non sappiamo, per esempio, quanti satelliti ha ciascuna stella e quante stelle siano identiche al nostro Sole. Sappiamo che solo una parte delle stelle è come il Sole, anche se nessuna è identica a un’altra. Non è un dettaglio di poco conto: se il nostro Sole fosse più grande, moriremmo di caldo; più piccolo, moriremmo di freddo; ferma restando la condizione di rimanere alla stessa distanza dal Sole nella quale ci troviamo ora.



Non siamo stati noi a scegliere questa distanza. Né a stabilire quale dovesse essere la massa del Sole. Ciò di cui siamo sicuri è che se la distanza fosse più piccola avremmo troppo caldo; se fosse più grande avremmo troppo freddo. Ecco perché vorremmo sapere quante stelle come il nostro Sole esistono nell’universo e quante di queste stelle hanno un satellite come la nostra Terra, le cui caratteristiche sono di vitale importanza per noi.
Non solo: se la Terra fosse più piccola, quindi più leggera, non potrebbe tenere legato a sé quello strato d’aria cui diamo il nome di atmosfera e che ci permette di vivere. Se la Terra fosse più pesante, dovremmo avere una struttura ossea e muscolare adeguata alla forza gravitazionale in gioco.

Vorremmo sapere se certi dettagli, come la massa del Sole, quella della Terra, la distanza Terra-Sole e molte altre peculiarità della nostra esistenza materiale esistono in altre parti dell’universo. Il numero di dettagli necessari per essere come la nostra Terra sono molti. Moltissimi. Sappiamo che ci sono nell’universo – come detto – duecento miliardi di galassie, ciascuna contenente duecento miliardi di stelle. Il totale fa quarantamila miliardi di miliardi di posti in cui potrebbe esserci la vita così come è da noi, sulla Terra. Questo numero deve, però, essere messo a confronto con i dettagli necessari per dar vita a qualcosa di analogo alla nostra forma di materia vivente, dotata di quella proprietà cui diamo il nome di “ragione”. Allora, il problema è quello di capire quanti dettagli debbono essere presenti per arrivare a una forma di materia vivente capace di una attività intellettuale simile alla nostra, in grado di scoprire le grandi conquiste cui è arrivata la nostra forma di materia vivente. Conquiste che si riducono ad appena tre cose: il Linguaggio, la Logica rigorosa e la Scienza. Conquiste che nascono dalla straordinaria proprietà di cui è dotata la nostra forma di materia vivente: la ragione.



Sulla Terra si sono sviluppate centinaia di migliaia di forme diverse di materia vivente. Nessuna di esse, però, è riuscita a scoprire la memoria collettiva permanente (meglio nota come “Scrittura”, che è linguaggio scritto), la Logica rigorosa e la Scienza. Calcolando tutte le condizioni necessarie per arrivare alla materia vivente dotata di ragione, se ne deduce che le stelle presenti nel nostro universo sono troppo poche. Ce ne vorrebbe un numero di gran lunga superiore a quello prima citato – quarantamila miliardi di miliardi – per potere realizzare quell’enorme quantità di “dettagli” necessari all’esistenza della materia vivente dotata di Ragione.
Un leone, un pesce, un’aquila, sono forme di materia vivente prive di ragione. Non v’è traccia di “scrittura” che possa essere legata all’esistenza di una qualsiasi forma di materia vivente, eccetto quella cui noi apparteniamo.

A conti fatti, risulta che, con il numero di stelle e galassie che compongono l’universo, l’esistenza della materia vivente dotata di ragione è davvero un miracolo. Dovrebbero esistere centomila miliardi di miliardi di miliardi di universi per averne uno dotato di vita come la nostra.



Il Big-Bang n. 3 è quello necessario per passare dall’universo dotato di vita “priva di ragione” all’universo in cui c’è vita “con ragione”. Alcuni sostengono che tutte le forme di materia vivente debbono essere dotate di ragione, per via del fatto che questa proprietà è necessaria per poter vivere. Un serpente, un pesce, un’aquila, tutte le forme di materia vivente avrebbero proprietà di ragione simili – dicono – alla nostra.
È vero: anche noi dobbiamo mangiare, dormire, e fare altre cose per sopravvivere, al pari delle altre forme di materia vivente. Ma questo livello di “ragione” si riferisce solo al problema legato a ciò che una forma di materia vivente deve fare per poter vivere. Ma – come già detto – nessun leone, né tigre, nessun pesce, né alcun tipo di uccello hanno lasciato tracce di quella cosa cui diamo il nome di “scrittura” e che di fatto è la “memoria collettiva permanente”.

Sappiamo che cosa pensava Platone perché possiamo leggere cosa ha scritto. Nessuna scimmia si è mai posta il problema di capire come si fa a dividere una figura geometrica semplicissima qual è un quadrato in due quadrati. Lo fece Pitagora, con il suo famoso teorema. Nessun cavallo ha mai pensato al problema di quanti granelli di sabbia potrebbero esserci nell’universo. I Pitagorici scoprirono che questo numero era talmente grande da non essere esprimibile – usando la loro matematica – in termini finiti e conclusero che era infinito. Venne Archimede e riuscì a calcolarlo, dimostrando che era possibile esprimerlo in termini finiti, usando una matematica rigorosa più avanzata di quella cui erano arrivati i Pitagorici.
Nessun leopardo o altra forma di materia vivente si è mai occupata di capire com’è fatto il mondo: se siamo figli del caos o se c’è una Logica rigorosa alla base della nostra esistenza materiale. Fu Galilei a scoprire che questa Logica rigorosa esiste. Ad essa si dà il nome di Scienza.



Il Big-Bang n. 3 riguarda esclusivamente la forma di materia vivente cui noi apparteniamo. Nessuna forma di materia vivente è interessata a discutere con noi del profondo rapporto che esiste tra Scienza e imprevisto.
Tutte le grandi scoperte scientifiche sono state rese possibili da eventi inaspettati. La storia della scienza dimostra che le grandi scoperte scientifiche, a qualsiasi livello, sono state tutte inaspettate. Chi aveva previsto l’esistenza dei raggi cosmici? Nessuno. Chi aveva previsto le forze deboli (oggi dette di Fermi)? Nessuno. Con le forze di Fermi oggi possiamo fare previsioni. Ma come nascono le forze di Fermi? Da un evento totalmente inaspettato e non previsto: la radioattività.
Tutte le scoperte scientifiche importanti sono venute in modo del tutto inaspettato. Le previsioni avvengono dopo che una scoperta inattesa ha dato vita ad una formulazione matematica che mette insieme le diverse scoperte inaspettate; e da questa matematica emergono le previsioni.



Sta nelle origini il fulcro del problema. Se le scoperte scientifiche fossero alle origini non previste – come di fatto ci dicono questi quattro secoli di Scienza galileiana – la spiegazione del mistero è semplice. Ed era già nota ai tempi di Galileo Galilei. Fu lui a dire che “Colui che ha fatto il mondo” è più intelligente di tutti. Nessuno escluso. Da questa osservazione è nata la Scienza galileiana. Non c’è infatti altro modo per decifrare la Logica del Creatore: porGli domande. È questo il vero significato di esperimento galileiano. Per fare questo, c’è bisogno di umiltà intellettuale. Rendersi conto che non basta essere intelligenti per capire com’è fatto il mondo. Tutte le civiltà avevano peccato di questa forma di arroganza intellettuale. Ecco perché doveva toccare a un cattolico credente, come Galileo Galilei, scoprire le prime Leggi Fondamentali della Natura da lui chiamate “le prime impronte del Creatore”.

Dopo appena quattro secoli da questo atto di umiltà intellettuale, abbiamo la certezza di avere capito “quasi” tutto sulla Logica che regge il mondo. In quel “quasi” c’è il futuro della Scienza, che nessuno al mondo sa prevedere. Per il semplice motivo che il Creatore di tutte le cose visibili e invisibili è più intelligente di tutti: filosofi, pensatori, artisti, poeti e anche di noi scienziati.

fonte: La Bussola Quotidiana

domenica 28 novembre 2010

“La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura”


Grazie Santità!


CELEBRAZIONE DEI VESPRI PER L'INIZIO DEL TEMPO DI AVVENTO

Cari fratelli e sorelle,

con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tappa: l’Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta in sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signore. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vicinanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo. Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola.



Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l’incontro con il Signore che verrà nello splendore della sua gloria. Per questo noi che, in ogni Eucaristia, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”, vigiliamo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avvento, il grido con il quale si chiude l’intera Sacra Scrittura, nell’ultima pagina dell’Apocalisse di san Giovanni: “Vieni, Signore Gesù!” (22,20).



Cari fratelli e sorelle, il nostro radunarci questa sera per iniziare il cammino di Avvento si arricchisce di un altro importante motivo: con tutta la Chiesa, vogliamo celebrare solennemente una veglia di preghiera per la vita nascente. Desidero esprimere il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno aderito a questo invito e a quanti si dedicano in modo specifico ad accogliere e custodire la vita umana nelle diverse situazioni di fragilità, in particolare ai suoi inizi e nei suoi primi passi. Proprio l’inizio dell’Anno Liturgico ci fa vivere nuovamente l’attesa di Dio che si fa carne nel grembo della Vergine Maria, di Dio che si fa piccolo, diventa bambino; ci parla della venuta di un Dio vicino, che ha voluto ripercorrere la vita dell’uomo, fin dagli inizi, e questo per salvarla totalmente, in pienezza. E così il mistero dell’Incarnazione del Signore e l’inizio della vita umana sono intimamente e armonicamente connessi tra loro entro l’unico disegno salvifico di Dio, Signore della vita di tutti e di ciascuno. L’Incarnazione ci rivela con intensa luce e in modo sorprendente che ogni vita umana ha una dignità altissima, incomparabile.


L’uomo presenta un’originalità inconfondibile rispetto a tutti gli altri esseri viventi che popolano la terra. Si presenta come soggetto unico e singolare, dotato di intelligenza e volontà libera, oltre che composto di realtà materiale. Vive simultaneamente e inscindibilmente nella dimensione spirituale e nella dimensione corporea. Lo suggerisce anche il testo della Prima Lettera ai Tessalonicesi che è stato proclamato: “Il Dio della pace – scrive san Paolo – vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (5,23). Siamo dunque spirito, anima e corpo. Siamo parte di questo mondo, legati alle possibilità e ai limiti della condizione materiale; nello stesso tempo siamo aperti su un orizzonte infinito, capaci di dialogare con Dio e di accoglierlo in noi. Operiamo nelle realtà terrene e attraverso di esse possiamo percepire la presenza di Dio e tendere a Lui, verità, bontà e bellezza assoluta. Assaporiamo frammenti di vita e di felicità e aneliamo alla pienezza totale.


Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina. Con commozione e gratitudine prendiamo coscienza del valore, della dignità incomparabile di ogni persona umana e della grande responsabilità che abbiamo verso tutti. “Cristo, che è il nuovo Adamo – afferma il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione ... Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).


Credere in Gesù Cristo comporta anche avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia, di speranza. Del resto l’esperienza stessa e la retta ragione attestano che l’essere umano è un soggetto capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto e amore. Egli ha il diritto di non essere trattato come un oggetto da possedere o come una cosa che si può manipolare a piacimento, di non essere ridotto a puro strumento a vantaggio di altri e dei loro interessi. La persona è un bene in se stessa e occorre cercare sempre il suo sviluppo integrale. L’amore verso tutti, poi, se è sincero, tende spontaneamente a diventare attenzione preferenziale per i più deboli e i più poveri. Su questa linea si colloca la sollecitudine della Chiesa per la vita nascente, la più fragile, la più minacciata dall’egoismo degli adulti e dall’oscuramento delle coscienze. La Chiesa continuamente ribadisce quanto ha dichiarato il Concilio Vaticano II contro l’aborto e ogni violazione della vita nascente: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura” (ibid., n. 51).


Ci sono tendenze culturali che cercano di anestetizzare le coscienze con motivazioni pretestuose. Riguardo all’embrione nel grembo materno, la scienza stessa ne mette in evidenza l’autonomia capace d’interazione con la madre, il coordinamento dei processi biologici, la continuità dello sviluppo, la crescente complessità dell’organismo. Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana. Così è stato Gesù nel grembo di Maria; così è stato per ognuno di noi, nel grembo della madre. Con l’antico autore cristiano Tertulliano possiamo affermare: “E’ già un uomo colui che lo sarà” (Apologetico, IX, 8); non c’è alcuna ragione per non considerarlo persona fin dal concepimento.


Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all’abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamento. Le molteplici violazioni dei loro diritti che si commettono nel mondo feriscono dolorosamente la coscienza di ogni uomo di buona volontà. Davanti al triste panorama delle ingiustizie commesse contro la vita dell’uomo, prima e dopo la nascita, faccio mio l’appassionato appello del Papa Giovanni Paolo II alla responsabilità di tutti e di ciascuno: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità” (Enc. Evangelium vitae, 5). Esorto i protagonisti della politica, dell’economia e della comunicazione sociale a fare quanto è nelle loro possibilità, per promuovere una cultura sempre rispettosa della vita umana, per procurare condizioni favorevoli e reti di sostegno all’accoglienza e allo sviluppo di essa.


Alla Vergine Maria, che ha accolto il Figlio di Dio fatto uomo con la sua fede, con il suo grembo materno, con la cura premurosa, con l’accompagnamento solidale e vibrante di amore, affidiamo la preghiera e l’impegno a favore della vita nascente. Lo facciamo nella liturgia - che è il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi - adorando la divina Eucaristia, in cui contempliamo il Corpo di Cristo, quel Corpo che prese carne da Maria per opera dello Spirito Santo, e da lei nacque a Betlemme, per la nostra salvezza. Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine! Amen.

Basilica Vaticana Sabato, 27 novembre 2010

domenica 21 novembre 2010

Le fatiche del papato e le sfide della fede.


Le fatiche del papato e le sfide della fede


L'anticipazione del libro-intervista di Benedetto XVI: «Siamo distratti dagli alberi, non vediamo la foresta. Aveva ragione il Piccolo Principe»




Santo Padre, il 16 aprile 2005, nel giorno del suo 78esimo compleanno, Lei comunicava ai suoi collaboratori quanto pregustasse il suo pensionamento. Tre giorni dopo, si ritrovò ad essere il Capo della Chiesa universale che conta 1,2 miliardi di fedeli. Non è propriamente il compito che ci si riserva per la vecchiaia.
Veramente, avevo sperato di trovare pace e tranquillità. Il fatto di trovarmi all'improvviso di fronte a questo compito immenso è stato per me, come tutti sanno, un vero shock. La responsabilità, infatti, è enorme.

C'è stato un momento del quale più tardi Lei ha detto di avere avuto l'impressione di sentire una «mannaia» calarle addosso.
Sì, in effetti il pensiero della ghigliottina mi è venuto: ecco, ora cade e ti colpisce. Ero sicurissimo che questo incarico non sarebbe stato destinato a me ma che Dio, dopo tanti anni faticosi, mi avrebbe concesso un po' di pace e di tranquillità. L'unica cosa che sono riuscito a dire, a chiarire a me stesso è stata: «Evidentemente, la volontà di Dio è diversa, e per me inizia qualcosa di completamente diverso, una cosa nuova. Ma Lui sarà con me (...)».


Nella cosiddetta «Camera delle lacrime» cosa ha pensato?
In realtà, in quei momenti si è presi da questioni molto pratiche, esteriori: innanzitutto come aggiustarsi la veste e cose simili. Sapevo che di lì a poco, dalla Loggia centrale, avrei dovuto pronunciare qualche parola, e ho iniziato a pensare: «Cosa potrei dire?». Per il resto, fin dal momento in cui la scelta è caduta su di me, sono stato capace soltanto di dire questo: «Signore, cosa mi stai facendo? Ora la responsabilità è tua. Tu mi devi condurre! Io non ne sono capace. Se tu mi hai voluto, ora devi anche aiutarmi!». In questo senso mi sono trovato, per così dire, in un dialogo molto stringente con il Signore, per dirgli che se faceva l'una cosa, allora doveva fare anche l'altra.

Giovanni Paolo II l'ha voluta come successore?
Non lo so. Credo che avesse messo tutto nelle mani di Dio.

Quali sono state le ultime parole che il Papa morente Le ha rivolto?
Era molto sofferente, eppure molto lucido. Ma non ha detto più nulla. Gli ho chiesto la benedizione, che mi ha dato. Ecco, ci siamo lasciati stringendoci le mani con affetto, nella consapevolezza che sarebbe stato il nostro ultimo incontro.

Lei veramente può parlare a nome di Gesù?
Nell'annuncio della fede e nell'amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo. Cristo ha affidato la sua Parola alla Chiesa. Questa Parola vive nella Chiesa. E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo per Lui, anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze. Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e di vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente.

Anche il Papa sbaglia
Il Papa è veramente «infallibile»?. E cioè un sovrano assoluto il cui pensiero e volontà sono legge?
Questo è sbagliato. Il concetto dell'infallibilità è andato sviluppandosi nel corso dei secoli. Esso è nato di fronte alla questione se esistesse da qualche parte un'ultimo organo, un'ultimo grado che potesse decidere. Il Concilio Vaticano I - rifacendosi a una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva - alla fine ha stabilito che quell'ultimo grado esiste. Non rimane tutto sospeso! In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro cosa è la fede della Chiesa, e cosa non è. Il che non significa che il Papa possa di continuo produrre infallibilità. Normalmente, il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa. Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il Papa può dire: «Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione di essa non è fede della Chiesa». In questo senso il Concilio Vaticano I ha definito la facoltà della decisione ultima: affinché la fede potesse conservare il suo carattere vincolante. (...) Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate. (...) Essere Papa non significa porsi come un sovrano colmo di gloria, quanto piuttosto rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso.

Però ci sono stati anche Papi che hanno detto: il Signore ci ha dato questo ministero, ora vogliamo godercelo.
Sì, anche questo fa parte del mistero della Storia dei Papi.


Il contrasto con le idee del '68
La disponibilità cristiana ad essere segno di contraddizione è il filo conduttore della sua biografia...
Una lunga esperienza forma anche il carattere, forgia il pensiero e l'azione. Ovviamente, non sono stato sempre «contro» per principio. Ci sono state anche molte belle circostanze di condivisione (...). Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un'esistenza vissuta sempre e soltanto «contro» sarebbe insopportabile. Ma allo stesso tempo ho sempre avuto presente, anche se in misura diversa, che il Vangelo si trova in opposizione a costellazioni potenti. Nella mia infanzia e nella mia adolescenza, fino alla fine della guerra, ovviamente questo è stato evidente in modo particolare. A partire dal 1968, la fede cristiana è entrata in contrasto con un nuovo progetto di società e ha dovuto fronteggiare idee ostentate con prepotenza. Sopportare attacchi ed opporre resistenza quindi fa parte del gioco; è una resistenza, però, tesa a mettere in luce ciò che vi è di positivo. (...) Karol Wojtyla è stato per cosi dire donato da Dio alla Chiesa in una situazione molto particolare, critica, nella quale la generazione marxista, la generazione del '68, metteva in discussione l'intero Occidente, e nella quale poi, al contrario, il socialismo reale è crollato. Aprire un varco alla fede in questa situazione di contrapposizione, indicare la fede come centro e presentarla come la via, ha rappresentato un momento storico di particolare rilievo.

Lei oggi ha 83 anni: da dove prende tutta questa forza?
In realtà questo è uno sforzo quasi eccessivo per un uomo di 83 anni. Ringraziando Iddio, ci sono tanti bravi collaboratori. Tutto viene ideato e realizzato in uno sforzo comune. Confido nel fatto che il buon Dio mi dà la forza di cui ho bisogno per fare quello che è necessario. Però mi accorgo che le forze vanno diminuendo.

Cosa fa un Papa nel tempo libero?
Intanto, anche nel tempo libero il Papa deve esaminare documenti e leggere atti. Rimane sempre tanto lavoro da fare. Poi con la famiglia pontificia - quattro donne della comunità dei Memores Domini e i due segretari - ci sono i pasti in comune, e questo è un momento di distensione.

Guardate insieme la tv?
Guardo il notiziario insieme ai miei segretari, e qualche volta anche un dvd.

Quali film le piacciono?
C'è un film molto bello su santa Giuseppina Bakhita, una donna africana, che abbiamo visto recentemente. Poi ci piace Don Camillo e Peppone...

Il Papa è sempre vestito di bianco. Non gli capita mai di indossare nel tempo libero un pullover al posto della sottana?
No. E' un lascito del secondo segretario di Giovanni Paolo II, mons. Mieczyslaw Mokrzycki, che mi disse: «Il Papa ha sempre indossato la sottana, dovrà farlo anche Lei».

Il filo diretto con il Cielo
Detto in termini profani: esiste una sorta di Suo «filo diretto» con il Cielo?
Sì, a volte ho questa impressione. Nel senso che penso: «Ecco, ho potuto fare una cosa che non veniva da me. Ora mi affido a Te e mi accorgo che, sì, c'è un aiuto, succede qualcosa che non viene da me». In questo senso esiste l'esperienza della grazia del ministero.

Non ci si dovrebbe chiedere se la nuova direzione del mondo stia in relazione con il ritorno di Cristo?
Dobbiamo vedere attraverso il momento attuale la necessità di una svolta, annunciarla, annunciare che essa non può avvenire senza una conversione interiore.

Che significa, concretamente?
Di questa conversione fa parte il fatto di rimettere Dio al primo posto, allora tutto cambierà; e anche che si ricominci a cercare le parole di Dio per farle risplendere come realtà nella propria vita. Dobbiamo, per così dire, osare di nuovo l'esperimento di Dio per permettere che operi nella nostra società. (...) Proprio questa era una delle cose che stava più a cuore a Giovanni Paolo II: far comprendere con chiarezza che guardiamo a Cristo che viene; a colui che è venuto e anche a colui che viene, e che in questa prospettiva noi viviamo la fede rivolti al futuro.

Benedetto XVI farà come Giovanni XXIII?
Trasformare in vita quello che è stato detto, rimanendo in ciò nella profonda continuità della fede, è un processo molto più difficile che non il Concilio stesso; soprattutto in considerazione del fatto che il Concilio Vaticano II è stato recepito dal mondo tramite l'interpretazione dei mass media e non attraverso i suoi testi, che quasi nessuno legge.

L'intelligenza dei bambini
Lei crede che la Chiesa Cattolica possa veramente evitare il Terzo Concilio Vaticano?
Abbiamo avuto in totale più di venti concili, prima o poi sicuramente ce ne sarà un altro. Al momento non ne vedo le condizioni. Credo che in questo momento i sinodi siano lo strumento giusto, perché in essi è rappresentato l'intero episcopato che è per così dire alla ricerca, che tiene insieme la Chiesa e al tempo stesso la conduce in avanti. Sarà il futuro a dirci se e quando sarà giunto il momento di fare questo per mezzo di un grande concilio.

Il Papa crede ancora a quello che credeva da bambino?
Direi che il semplice è il vero, e il vero è semplice. Il nostro problema consiste nel fatto che, per i troppi alberi, non riusciamo più a vedere la foresta; che con tutto questo sapere non troviamo più la sapienza. In questo senso anche Saint-Exupéry nel Piccolo principe ha ironizzato sull'intelligenza del nostro tempo, mostrando come essa trascuri l'essenziale e che invece il Piccolo principe, che di tutte quelle cose intelligenti nulla capisce, in fin dei conti vede di più e meglio. (...) Nella Risurrezione, Dio ha potuto creare una forma nuova di esistenza; al di là della biosfera e della noosfera ha posto una nuova sfera, nella quale l'uomo e il mondo giungono in unità con Dio.


BENEDETTO XVI con PETER SEEWALD


sabato 20 novembre 2010

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Stadio Nazionale di Santiago (Cile)
Giovedì, 2 aprile 1987







"...Giovani cileni non abbiate paura di guardare a Lui! Guardate al Signore: che cosa vedete? È solo un uomo saggio? No! È più di questo! È un profeta? Sì! Ma è ancora di più! È un riformatore sociale? Molto più di un riformatore, molto di più....
Guardate al Signore con sguardo attento e scoprirete in Lui il volto stesso di Dio. Gesù è la Parola che Dio doveva dire al mondo. È Dio stesso che è venuto a condividere la nostra esistenza, l’esistenza di ciascuno di noi.
Al contatto di Gesù germoglia la vita. Lontano da Lui non vi è che oscurità e morte. Voi avete sete di vita. Di vita eterna! Di vita eterna? Cercatela e trovatela in Colui che non solo dà la vita ma è la Vita stessa.
Questo è, amici miei, il messaggio di vita che il Papa vuole trasmettere ai giovani cileni: cercate Cristo! guardate a Cristo! vivete in Cristo! Questo è il mio messaggio: “Che Gesù sia “la pietra angolare (cf. Ef 2, 20) della vostra vita e della nuova civiltà che nella solidarietà generosa e condivisa dovete costruire. Non vi può essere autentico sviluppo umano nella pace e nella giustizia, nella verità e nella libertà, se Cristo non si fa presente con la sua forza salvifica” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius ad iuvenes, 3, die 30 nov. 1986, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/2 [1986] 1821).
Che cosa significa costruire la vostra vita in Cristo? Significa lasciarvi impegnare dal suo amore. Un amore che chiede coerenza nel proprio comportamento, che esige l’adeguare la propria condotta alla dottrina e ai comandamenti di Gesù Cristo e della sua Chiesa; un amore che riempie la nostra vita di una felicità e di una pace che il mondo non può dare (cf. Gv 14, 27), malgrado ne abbia tanto bisogno. Non abbiate paura delle esigenze dell’amore di Cristo. Temete, al contrario, la pusillanimità, la leggerezza, la comodità, l’egoismo; tutto quello che vuole ridurre al silenzio la voce di Cristo che, rivolgendosi a ciascuno, ripete “Io ti dico, alzati!” (Mc 5, 41)..."
(Discorso Completo dal sito Vatican.va)

giovedì 18 novembre 2010

La straordinaria testimonianza del ginecologo Antonio Oriente, abortista pentito.


Mai più morte, fino alla morte
Martedì 16 Novembre 2010



di Sabrina Pietrangeli Paluzzi
In principio fu Bernard Nathanson. Parliamo del famoso ginecologo statunitense che al suo attivo collezionò circa 75.000 aborti, fino a quando non si rese conto dell’“umanità” del feto e non fece un vero cammino di conversione che lo portò a scrivere il libro The hand of God (“La mano di Dio”).

Da quel momento in poi, il suo lavoro è divenuto totalmente a favore della vita nascente. Ma “la mano di Dio” continua ad operare in ogni continente, e anche in Italia, abbiamo il nostro Nathanson: è il dottor Antonio Oriente (foto). Anche lui, come Nathanson, viveva la sua quotidianità praticando aborti di routine. Abbiamo ascoltato la sua testimonianza nel corso di un convegno dell’AIGOC. Sì, perché lui oggi è il vicepresidente e uno dei fondatori di questa Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici… Praticamente una totale inversione di tendenza, rispetto al modo precedente di vivere la sua professione.


La sua testimonianza inizia così: “Mi chiamo Antonio Oriente, sono un ginecologo e, fino a qualche anno fa, io, con queste mani, uccidevo i figli degli altri”. Gelo. Silenzio. La frase pronunciata è secca, senza esitazione, lucida. La verità senza falsi pietismi, con la tipica netta crudezza e semplicità di chi ha capito e già pagato il conto. Di chi ha avuto il tempo di chiedere perdono.

Due cose colpiscono di questa frase e sono due enormi verità: la parola “uccidevo”, che svela l’inganno del termine interruzione volontaria, e la parola “figli”. Non embrioni, non grumi di cellule, ma figli. Semplicemente. E questa sua pratica quotidiana dell’aborto, il dottor Oriente la riteneva una forma di assistenza alle persone che avevano un “problema”.


“Venivano nel mio studio – racconta – e mi dicevano: Dottore, ho avuto una scappatella con una ragazzetta… io non voglio lasciare la mia famiglia, amo mia moglie. Ma ora questa ragazza è incinta. Mi aiuti… Ed io lo aiutavo. Oppure arrivava la ragazzina: Dottore, è stato il mio primo rapporto… non è il ragazzo da sposare, è stato un rapporto occasionale. Mio padre mi ammazza: mi aiuti!”. Ed io la aiutavo. Non pensavo di sbagliare”.
Ma la vita continuava a presentare il conto: lui, ginecologo, i bambini li faceva anche nascere. Sua moglie pediatra i bambini degli altri li curava. Ma non riuscivano ad avere figli propri. Una sterilità immotivata ed insidiosa era la risposta alla sua vita quotidiana. “Mia moglie è sempre stata una donna di Dio. È grazie a lei e alla sua preghiera se qualcosa è cambiato. Per lei non avere figli era una sofferenza immensa, enorme. Ogni sera che tornavo la trovavo triste e depressa. Non ne potevo più. Dopo anni di questo calvario, una sera come tante, non avevo proprio il coraggio di tornare a casa. Disperato, piegai il capo sulla mia scrivania e cominciai a piangere come un bambino”.
E lì, la mano di Dio si fa presente in una coppia che il dottor Oriente segue da tempo. Vedono le luci accese nello studio, temono un malore e salgono. Trovano il dottore in quello stato che lui definisce “pietoso” e lui per la prima volta apre il suo cuore a due persone che erano solo dei pazienti, praticamente quasi degli sconosciuti. Gli dicono: “Dottore, noi non abbiamo una soluzione al suo problema. Abbiamo però da presentarle una persona che può dargli un senso: Gesù Cristo”. E lo invitano ad un incontro di preghiera. Che lui dribbla abilmente.
Passano dei giorni ed una sera, sempre incerto se tornare a casa o meno, decide di avviarsi a piedi e, nel passare sotto un edificio, rimane attratto da una musica. Entra, si trova in una sala dove alcune persone (guarda caso il gruppo di preghiera della coppia che lo aveva invitato) stanno cantando. Nel giro di poco tempo, si ritrova in ginocchio a piangere e riceve rivelazione sulla propria vita: “Come posso io chiedere un figlio al Signore, quando uccido quelli degli altri?”.
Preso da un fervore improvviso, prende un pezzo di carta e scrive il suo testamento spirituale: “Mai più morte, fino alla morte”. Poi chiama il suo “Amico” e glielo consegna, ammonendolo di vegliare sulla sua costanza e fede. Passano le settimane e il dottor Oriente comincia a vivere in modo diverso. Comincia anche a collezionare rogne, soprattutto tra i colleghi nel suo ambiente. In certi casi il “non fare” diventa un problema: professionale, economico, di immagine.
Una sera torna a casa e trova la moglie che vomita in continuazione. Pensa a qualche indigestione ma nei giorni seguenti il malessere continua. Invita allora la moglie a fare un test di gravidanza ma lei si rifiuta con veemenza. Troppi erano i mesi in cui lei, silenziosamente, li faceva quei test e quante coltellate nel vedere che erano sempre negativi... Ma dopo un mese di questi malesseri, lui la costringe a fare un esame del sangue, che rivela la presenza del BetaHCG: sono in attesa di un bambino!
Sono passati degli anni. I due bambini che la famiglia Oriente ha ricevuto in dono, oggi sono ragazzi. La vita di questo medico è totalmente cambiata. È meno ricco, meno famoso, una mosca bianca in un ambiente dove l’aborto è ancora considerato “una forma di aiuto” a chi, a causa di una vita sregolata o di un inganno, vi ricorre. Ma lui si sente ricco, profondamente ricco. Della gioia familiare, dei suoi valori, dell’amore di Dio, quella mano che lo carezza ogni giorno facendolo sentire degno di essere un “Suo figlio”.
Fonte: L'Ottimista

martedì 16 novembre 2010

Testimoni del massacro: i racconti di chi era dentro la chiesa a Baghdad.


IRAQ
Le “Piccole sorelle di Gesù” di Baghdad hanno raccolto le testimonianze dei sopravvissuti al massacro compiuto il 31 ottobre nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, e le hanno riportate in una lettera che pubblichiamo nella sua integralità.

Baghad (AsiaNews) - Il 31 ottobre un commando di Al Qaeda ha fatto irruzione nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad. I terroristi, che si sono fatti esplodere nella chiesa, hanno provocato una strage: 52 morti e decine di feriti. Di seguito pubblichiamo la lettera di alcune religiose, testimoni dell'eccidio.



Cari fratelli e sorelle ovunque,

Vogliamo cominciare questa lettera ringraziandovi tutti per tutti i messaggi di comunione e di solidarietà che abbiamo ricevuto. Ci sono molte catastrofi naturali in questo momento nel mondo che fanno molte più vittime che da noi, ma la causa non è l’odio, e questo fa tutta la differenza. La nostra chiesa è abituata ai colpi duri, ma è la prima volta che ne riceve di così violenti e selvaggi e soprattutto è la prima volta che questo accade all’interno della chiesa, di norma fanno esplodere delle bombe nei cortili delle chiese. La chiesa di Nostra Signora dell Perpetuo Soccorso è una delle tre chiese siro-cattoliche di Baghdad; la maggior parte di quelli che la frequentano sono dei cristiani di rito siriaco originari di Mossul o di tre villaggi cristiano-siriaci vicini a Mossul: Qaragosh, di cui sono originari le nostre sorelle Virgin Hanan e Rajah Nour; Bartolla e Bashiqa di cui è originaria Mariam Farah. Grazie a Dio nessuna di loro ha avuto parenti prossimi uccisi o feriti gravemente.

La chiesa è stata presa d’assalto domenica 31 ottobre dopo mezzogiorno, proprio dopo l’omelia di padre Tha’er ch celebrava la messa. Padre Wasim, che è il figlio di una cugina di sorella Lamia, confessava al fondo della chiesa; padre Raphael era nel coro. Gli attaccanti erano persone molto giovani (14-15 anni) non mascherati, armati di mitra e di granate e portavano una cintura esplosiva. Hanno aperto subito il fuoco, uccidendo padre Wasim che cercava di chiudere la porta della chiesa, poi hanno sparato alla cieca, dopo aver ordinato alle persone di gettarsi a terra, di non muoversi e di non gridare. Qualcuno è riuscito a mandare messaggi con il cellulare, ma dopo gli attaccanti sparavano su chiunque vedevano usare il telefonino. Il padre Tha’er che continuava a celebrare è stato ucciso all’altare nei suoi paramenti liturgici, suo fratello e sua madre sono stati uccisi anch’essi. Dopo è stato il massacro, non possiamo raccontare tutto ciò che le persone ci hanno detto, anche i bambini che piangevano sono stati uccisi. Alcune persone si erano rifugiate nella sacrestia e hanno barricato la porta, ma gli attaccanti sono saliti sulla terrazza della chiesa e hanno gettato delle bombe a mano attraverso le finestre della sacrestia che sono in alto.

Tutto ciò fa pensare che si trattasse di un attacco ben preparato, e che hanno avuto dell’aiuto dall’esterno; come hanno potuto forzare lo sbarramento della polizia (nella strada che va alla chiesa) e conoscere la via per arrivare alla terrazza, ecc.? Hanno mitragliato anche gli apparecchi dell’aria condizionate in modo che il gas, uscendo, asfissiasse quelli che erano vicini. Hanno mitragliato la croce, ridendo e dicendo alle persone: “Ditegli di salvarvi”. Poi hanno lanciato l’appello alla preghiera: “Allau akbar, la ilah illa allahu…”, e alla fine, quando l’esercito era sul punto di entrare si sono fatti esplodere. L’esercito e gli aiuti ci hanno messo circa due ore ad arrivare, così come gli americani che sorvolavano in elicottero, ma l’esercito non è addestrato a gestire queste situazioni, e non sapevano bene che cosa fare. Perché ci hanno messo tanto tempo ad arrivare? Tutto è finito verso le 10h30 – 11h di sera, è durato molto e pensiamo che molte persone siano morte in seguito alla perdita di sangue e alle ferite. Dopo i feriti sono stati condotti nei diversi ospedali e i morti in obitorio.

Le persone hanno cominciato ad arrivare per sapere che cosa era successo e avere notizie dei parenti, ma l’accesso alla chiesa era proibito e le persone hanno cominciato a peregrinare di ospedale in ospedale alla ricerca dei loro cari. Abbiamo visto persone che hanno cercato qualcuno fino alle 4h del mattino per scoprirlo infine all’obitorio. All’indomani ci sono state le esequie nella chiesa caldea vicina, la chiesa era piena, era impressionante, c’erano quindici bare allineate nel coro, le altre vittime sono state sepolte nei loro villaggi o separatamente, secondo i casi. C’erano rappresentanti di tutte le comunità cristiane come del governo, il nostro patriarca ha parlato così come il portavoce del governo e un religioso, capo di un partito islamico, Moammar el Hakim. La preghiera ha avuto luogo con grande dignità e senza manifestazioni rumorose. Padre Saad, responsabile di questa chiesa ha aiutato le persone a pregare man mano che arrivavano, prima che cominciasse la cerimonia. I due giovani sacerdoti sono stati sepolti nella loro chiesa devastata. C’è un cimitero sotto la chiesa, e prima di seppellirli hanno fatto passare le bare nella chiesa in modo che potessimo dire loro addio.

All’inizio non sapevamo niente delle vittime, non conoscevamo nessuno direttamente, salvo padre Raphael, un sacerdote molto anziano; siamo andate all’ospedale per visitarlo e visitare i feriti che erano là. Erano le famiglie che ci accompagnavano di stanza in stanza, così come la gente dell’ospedale ci indicava i feriti. Per caso erano tutte donne o ragazze, ferite da proiettili, non era come un’esplosione in cui può accadere di perdere un braccio o una gamba. Siamo rimaste al loro fianco senza parlare molto, erano loro che parlavano o le loro famiglie, ciascuno riviveva la sua storia e la raccontava. Dal momento che l’attacco ha avuto luogo di domenica alla messa, membri di una stessa famiglia sono stati feriti o uccisi, alcuni proteggendo i loro bambini. Siamo stati colpiti dalla loro calma e dalla loro fede quando raccontavano, sentivamo che erano persone venute da un altro mondo e che in quel momento là nulla contava più se non l’incontro vicino con il Signore non pensavano più a nulla e pregavano solo, e questo è durato cinque ore.

Il venerdì dopo pranzo i giovani di molte parrocchie sono venuti ad aiutare a spazzare i detriti e a pulire un po’, e la domenica seguente, 7 novembre, tutti i preti siriaci e caldei di Baghdad che erano liberi hanno celebrato la messa nella chiesa vuota e devastata su un altare di fortuna; c’erano poche persone perché questa messa non era stata annunciata. Non ci siamo andate perché non l’abbiamo saputo. Era molto commovente. C’è stato un soprassalto di fede e di determinazione soprattutto nei preti che restano a Baghdad che dicono: vogliono cacciarci e sterminarci ma noi siamo qui e ci resteremo, dopo 14 secoli non potrete finirla con noi. La storia dei cristiani d’Iraq è una lunga storia di persecuzione, di martiri, di cristiani cacciati e mandati via. Pensiamo alla frase del salmo 69: “Più numerosi dei capello della testa coloro che mi odiano senza causa” e noi pensiamo soprattutto a Gesù, odiato senza ragione, mentre passava e faceva del bene. Terminiamo questa lettera con il grido di un bambino di tre anni che ha visto uccidere suo padre e che gridava “basta, basta” prima di essere ucciso anche lui. Sì, veramente con il nostro popolo gridiamo anche noi: basta.

Le vostre piccole sorelle di Baghdad, Alice e Martina.

fonte: Asianews

domenica 14 novembre 2010

Gravissimo atto di disobbedienza alla Curia di Milano





fonte: Il Blog di Andrea Tornielli

di ANDREA TORNIELLI

Cari amici su queste pagine, negli anni scorsi, avevo scritto della curiosa reazione “ambrosiana” al motu proprio di Benedetto XVI che nel 2007, come sapete, ha liberalizzato la messa antica. Motu proprio che, ha dichiarato il vicecapo del rito ambrosiano, mons. Luigi Manganini, non si applica alla diocesi di Milano. Quanto è accaduto nei giorni scorsi e poi ancora stamattina, la dice però molto lunga, a mio avviso, sul “rito” ambrosiano e su come un alto esponente dello stesso, arciprete del Duomo di Milano nonché vicario episcopale, guardi (?) al Papa, alla sua parola, al suo insegnamento, al suo esempio.


Questi i fatti. Ieri sera a Seregno si è svolto un convegno sulla figura del neo-beato John Henry Newman, elevato all’onore degli altari da Benedetto XVI durante il recente viaggio in Gran Bretagna. Tra i partecipanti c’era anche il sacerdote belga Jean-Pierre Herman, teologo, cappellano di Notre Dame de Beauraing nonché segretario aggiunto del nuovo arcivescovo di Malines-Bruxelles, André Joseph Leonard. Il sacerdote celebra la messa quotidiana con il messale antico, quello liberalizzato da Benedetto XVI. Don Jean-Pierre ha chiesto di poter celebrare la mattina dopo il convegno quella messa nella chiesa parrocchiale: trattandosi di una messa il sabato mattina alle 11, si trattava ovviamente di una celebrazione al di fuori del normale calendario della parrocchia e vi avrebbero assistito i promotori e qualche partecipante al convegno su Newman della sera precedente.

Il parroco era favorevole, ma ha consultato il responsabile del rito ambrosiano, vale a dire Manganini, che magnanimamente, seguendo la lettera e soprattutto la “mens” del Pontefice, ha pensato bene di rispondere inizialmente di no. Messa vietata. Il presidente del Centro culturale Newman di Seregno, Andrea Sandri, gli ha fatto presente che in base al Codice di diritto canonico, non si poteva vietare. Allora Manganini, telefonicamente, ha detto sì, ma a patto che la celebrazione sia fatta a porte rigorosamente chiuse, “sine populo”, senza fedeli. Sandri ha inviato un fax urgente alla Pontificia commissione Ecclesia Dei, che come sapete da oltre un anno è stata inglobata nella Congregazione per la dottrina della fede. Dal Vaticano hanno risposto nel giro di 48 ore, con una lettera (pubblicata in originale sul blog di Messainlatino). Questo il testo:

Il motu proprio ‘Summorum Pontificum’ di S.S. Benedetto XVI dà facoltà a tutti i sacerdoti cattolici di rito latino, siano essi secolari o religiosi di celebrare nella “forma extraordinaria” del rito romano in tutto l’Orbe cattolico, usando il Messale di Giovanni XXIII ed. 1962, senza aver bisogno di alcun permesso né della Sede Apostolica né dell’Ordinario (cf. S.P. art. 2). Dare la licenza di celebrare in una parrocchia o in una rettoria spetta rispettivamente al Parroco o al Rettore (cf. S.P. art. 5 §3 e §5). Se la chiesa non avesse un Rettore designato, spetta al parroco del territorio, dove è ubicata la chiesa, dare la suddetta licenza. Il Motu Proprio all’art. 5 §3 stabilisce altresì che ai fedeli e ai sacerdoti che chiedono la celebrazione secondo il Messale del b. Giovanni XXIII, il parroco permetta le celebrazioni in questa “forma extraordinaria” anche in circostanze particolari. Trattandosi di una Santa Messa a conclusione di un convegno, si può legittimamente considerare una “circostanza particolare”, a condizione però che il sacerdote celebrante sia idoneo alla celebrazione e non giuridicamente impedito (cf. S.P. art. 5 §4).

In sostanza la commissione della Santa Sede deputata a questo, ricorda che non si può impedire ciò che il Papa ha concesso e che la celebrazione poteva tenersi. Mons. Manganini è rimasto sulla sua posizione, e ha messo nero su bianco le sue ragioni in una lettera inviata ad Andrea Sandri. Perché la messa doveva avvenire a porte chiuse? Perché quello della sera precedente non era un convegno ma una semplice conferenza e dunque non c’erano le condizioni per la “circostanza particolare”. Ma soprattutto per non suscitare meraviglia nel popolo, abituato al rito ambrosiano, che si sarebbe trovato improvvisamente spaesato di fronte al rito romano (e per di più antico)…

Già, è facile da immaginare, questa mattina, quale sarebbe stato lo scompiglio provocato in quel di Seregno: centinaia di persone in strada con i manifesti di protesta contro la Curia di Milano che ha concesso a questo prete per di più belga di celebrare non in italiano o in antico lumbard, ma addirittura in latino e secondo il rito romano, in terra ambrosiana, quasi un sacrilegio. Manganini deve aver giustamente temuto il ripertersi di storici moti popolari, dopo le Cinque giornate di Milano, le Cinque giornate di Seregno, combattute dai cattolicissimi genitori e figli, studenti e operai, giovani e teenager, che – è noto – a quell’ora del dì prefestivo – invece di fare jogging, andare a scuola, andare a far la spesa, andare a spasso, preparare il pranzo, andare a lavare la macchina, portare fuori il cane, sistemare il giardino – riempiono fino all’inverosimile tutte le chiese dell’hinterland spinti dallo spirito del Concilio. Occupano ogni sedia, ogni banco. Riempiono ogni spazio libero. E chi il sabato mattina non riesce a trovare posto in chiesa, segue le liturgie, le catechesi, la lectio o la cattedra dei non credenti dal sagrato, dalla piazza, dalle strade circostanti, dai bar, tutti collegati in videoconferenza. Si poteva impressionare tutto questo benemerito popolo di cattolici di Seregno? Si poteva far loro violenza per quaranta minuti con un rito che avrebbe provocato confusione e meraviglia? No, assolutamente no. Manganini deve aver giustamente pensato a quante richieste di ”sbattezzo” sarebbero piovute da lunedì negli uffici della Curia ambrosiana, già peraltro oberata di lavoro. Il decano della zona avrebbe protestato formalmente, ci sarebbe stato il rischio di uno scisma: la Chiesa che è in Seregno, attonita dalla “meraviglia” provocata nel popolo dall’inusitata concessione, avrebbe potuto chiedere di essere aggregata alla confederazione delle Chiese luterane. Non si poteva rischiare. Meglio vietare al popolo di entrare in chiesa. Un atteggiamento autenticamente sacerdotale, attento al bene delle anime, preoccupato che intendano bene il rito e che non vadano dietro a certe anticaglie ancien regime liberalizzate dal Papa.

Sapete che cosa è poi veramente accaduto stamattina? Un fatto gravissimo, una disobbedienza abnorme (si teme scomunica). Le porte della chiesa, alle 11 erano chiuse, ma una trentina di persone, complice il parroco accondiscendente, sono state fatte entrare alla chetichella, dalla porta di servizio. Non so se fuori all’edificio sacro sia stato appeso il cartello “Chiuso per restauri” o “conclave in corso”.

Mi ero trattenuto un mese e mezzo fa, dal raccontarvi dell’omelia che mons. Manganini aveva tenuto nella mia parrocchia, in occasione dell’insediamento del nuovo parroco, quando aveva invitato i fedeli a non “idolatrare” l’eucaristia. Non è la prima volta che mi capita: le tre volte che l’ho sentito predicare, mi è sempre sembrato di vedere – e lo dico con rispetto e con affetto – un sacerdote zelante che crede di rivolgersi non a della gente semplice, in una parrocchia di periferia con liturgie minimaliste e rigorosamente novus ordo, ma che pensa invece di essere a una celebrazione lefebvriana, piena di beghine con il velo in testa e uomini in feluca, in una chiesa barocca addobbata con le bandiere della nobiltà papalina, negli anni Cinquanta. Oggi, caro don Manganini, a me – modesto osservatore di cose cattoliche – sembrava che il rischio fosse l’opposto: non quello di idolatrare l’eucaristia, ma quello di non adorarla a sufficienza, o meglio di non adorarla proprio. Il Papa anche su questo insegna, con la parola e con l’esempio, ma evidentementre sbaglia lui e sbaglio io a far notare che sotto la Madonnina un vicario episcopale, arciprete del Duomo nonché responsabile del rito ambrosiano ha così a cuore il bene delle anime e teme così tanto la confusione e la meraviglia, da vietare a un prete, segretario del primate cattolico del Belgio, di celebrare una messa in rito romano antico a chiesa aperta. E per fortuna che con il Concilio la Chiesa doveva aprirsi…




(Nella foto: 21 giugno 1958, il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, ordina prete don Luigi Manganini. Il rito era antico, la chiesa era aperta, la fede era la stessa di oggi)

venerdì 12 novembre 2010

Il Papa scuote i vescovi: "Imparate da san Francesco" cos'è una vera riforma della liturgia.


Lui sì capiva che cos'è una vera riforma della liturgia, scrive Benedetto XVI in un messaggio che è un severo rimprovero alla gerarchia cattolica italiana. Dove continuano a prevalere, in campo liturgico, gli oppositori di Ratzinger.



di Sandro Magister

ROMA, 12 novembre 2010 – Gli ultimi due papi, in ripetute occasioni, hanno indicato nella Chiesa italiana e nel suo episcopato un "modello" per altre nazioni.

C'è un campo, però, nel quale la Chiesa italiana non brilla. È quello della liturgia.

Lo si è capito dalla severa lezione che Benedetto XVI ha impartito ai vescovi italiani riuniti ad Assisi in assemblea generale dall'8 all'11 novembre, un'assemblea con al centro l’esame della nuova traduzione del messale romano.

Nel messaggio che ha rivolto ai vescovi alla vigilia dell'assemblea, papa Joseph Ratzinger non si è limitato ai saluti e agli auguri. È entrato direttamente nel tema. Ha dettato lui i criteri di una "vera" riforma della liturgia.

"Ogni vero riformatore – ha scritto – è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra".

Il papa ha portato ad esempio di genuina riforma liturgica il Concilio Lateranense IV del 1215, che mise in mano ai sacerdoti il "Breviario" con la liturgia delle ore e rafforzò la fede della presenza reale di Cristo nel pane e nel vino eucaristici.

Erano quelli i tempi di san Francesco d'Assisi. E Benedetto XVI ha dedicato buona parte del suo messaggio a illustrare ai vescovi italiani lo spirito con cui quel grande santo obbedì a quella riforma liturgica, e fece obbedire i suoi frati.

San Francesco, si sa, è uno dei santi più popolari e universalmente ammirati. È un modello anche per quei cattolici che vogliono una Chiesa più spirituale e "profetica", invece che istituzionale e rituale. In campo liturgico, questi propugnano una maggiore creatività e libertà.

Ma Benedetto XVI ha mostrato, nel messaggio, che il vero san Francesco era di tutt'altro orientamento. Era profondamente convinto che il culto cristiano debba corrispondere alla "regola della fede" ricevuta, e in questo modo dar forma alla Chiesa. I sacerdoti, per primi, devono fondare sulle "cose sante" della liturgia la loro santità di vita.

*

Curiosamente, i vescovi italiani ai quali il papa ha rivolto questa lezione si erano riuniti questa volta proprio ad Assisi, la città di Francesco.

E vescovo di Assisi è Domenico Sorrentino, un esperto di liturgia, non però della linea di Ratzinger.

Nel 2003 monsignor Sorrentino fu nominato segretario della congregazione vaticana per il culto divino. Ma durò solo due anni. Ratzinger, da poco divenuto papa, lo trasferì ad Assisi e al suo posto chiamò un proprio fedelissimo in materia liturgica, Malcolm Ranjith, dello Sri Lanka, oggi arcivescovo di Colombo e cardinale di imminente nomina.

Prima del 2003, per cinque anni, era stato segretario della congregazione per il culto divino un altro esperto di liturgia italiano, Francesco Pio Tamburrino, monaco benedettino. Anche lui però era di linea contraria a quella dell'allora cardinale prefetto della congregazione, il "ratzingeriano" Jorge Arturo Medina Estévez. E infatti anche lui fu rimosso e trasferito a una diocesi, quella di Foggia.

Sorrentino e Tamburrino sono due figure di spicco della commissione per la liturgia della conferenza episcopale italiana. Ma in questa commissione, fino a poco tempo fa, c'era anche monsignor Luca Brandolini, vescovo di Sora oggi emerito, distintosi per aver proclamato una sorta di "lutto" di protesta quando nel 2007 Benedetto XVI emanò il motu proprio "Summorum pontificum" che liberalizzava l'uso del rito antico della messa.

Nell'eleggere i membri della commissione per la liturgia, i vescovi italiani hanno sempre dato la preferenza a loro colleghi di questa tendenza, i cui ispiratori sono stati gli artefici della riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, in particolare il cardinale Giacomo Lercaro e il principale ideatore ed esecutore di quella riforma, monsignor Annibale Bugnini.

Gli esiti negativi di quella riforma sono quelli contro cui interviene Benedetto XVI. Ma già Paolo VI ne vide gli abusi, e ne fu talmente addolorato che nel 1975 rimosse Bugnini e lo mandò in esilio in Iran come nunzio apostolico.

Ma il sentimento della maggioranza dei vescovi e del clero italiani continua a essere influenzato tuttora dalla "linea Bugnini". In Italia sono rari gli eccessi che si registrano in altre Chiese d'Europa, ma lo stile prevalente delle celebrazioni è più "assembleare" che "rivolto al Signore", come papa Ratzinger vuole che sia. E questa distorsione si riflette anche nell'architettura delle chiese di recente costruzione.

La conferenza episcopale italiana è un caso speciale, rispetto a tutte le altre. Ha un legame diretto col vescovo di Roma. E infatti il suo presidente non è eletto ma nominato dal papa.

Introducendo l'8 novembre i lavori della conferenza episcopale ad Assisi, l'attuale presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, ha citato un commento di Ratzinger al fatto che il Concilio Vaticano II dedicò la sua prima sessione proprio alla liturgia:

"Cominciando con l’argomento della liturgia, si poneva inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità assoluta del tema ‘Dio’. Prima di tutto Dio: questo dice l’iniziare con la liturgia. Là dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento".

Ma per capire più a fondo qual è il senso della "riforma della riforma" voluta da papa Ratzinger, ecco qui di seguito che cosa ha scritto ai vescovi italiani, sulla liturgia.

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"OGNI VERO RIFORMATORE È UN OBBEDIENTE DELLA FEDE"

Dal messaggio di Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale


[...] 1. In questi giorni siete riuniti ad Assisi, la città nella quale “nacque al mondo un sole” (Dante, Paradiso, Canto XI), proclamato dal venerabile Pio XII patrono d’Italia: san Francesco, che conserva intatte la sua freschezza e la sua attualità – i santi non tramontano mai! – dovute al suo essersi conformato totalmente a Cristo, di cui fu icona viva.

Come il nostro, anche il tempo in cui visse san Francesco era segnato da profonde trasformazioni culturali, favorite dalla nascita delle università, dallo sviluppo dei comuni e dal diffondersi di nuove esperienze religiose.

Proprio in quella stagione, grazie all’opera di papa Innocenzo III – lo stesso dal quale il Poverello di Assisi ottenne il primo riconoscimento canonico – la Chiesa avviò una profonda riforma liturgica.

Ne è espressione eminente il Concilio Lateranense IV (1215), che annovera tra i suoi frutti il “Breviario”. Questo libro di preghiera accoglieva in se la ricchezza della riflessione teologica e del vissuto orante del millennio precedente. Adottandolo, san Francesco e i suoi frati fecero propria la preghiera liturgica del sommo pontefice: in questo modo il santo ascoltava e meditava assiduamente la Parola di Dio, fino a farla sua e a trasporla poi nelle preghiere di cui è autore, come in generale in tutti i suoi scritti.

Lo stesso Concilio Lateranense IV, considerando con particolare attenzione il sacramento dell’altare, inserì nella professione di fede il termine “transustanziazione”, per affermare la presenza reale di Cristo nel sacrificio eucaristico: “Il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo e il vino nel sangue per divino potere” (DS, 802).

Dall’assistere alla santa messa e dal ricevere con devozione la santa comunione sgorga la vita evangelica di san Francesco e la sua vocazione a ripercorrere il cammino di Cristo Crocifisso: “Il Signore – leggiamo nel Testamento del 1226 – mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo” (Fonti Francescane, n. 111).

In questa esperienza trova origine anche la grande deferenza che portava ai sacerdoti e la consegna ai frati di rispettarli sempre e comunque, “perché dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri” (Fonti Francescane, n. 113).

Davanti a tale dono, cari fratelli, quale responsabilità di vita ne consegue per ognuno di noi! “Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti – raccomandava ancora Francesco – e siate santi perché egli è santo” (Lettera al Capitolo Generale e a tutti i frati, in Fonti Francescane, n. 220)! Sì, la santità dell’eucaristia esige che si celebri e si adori questo mistero consapevoli della sua grandezza, importanza ed efficacia per la vita cristiana, ma esige anche purezza, coerenza e santità di vita da ciascuno di noi, per essere testimoni viventi dell’unico sacrificio di amore di Cristo.

Il santo di Assisi non smetteva di contemplare come “il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umìli da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane” (ibid., n. 221), e con veemenza chiedeva ai suoi frati: “Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, che quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umilmente i sacerdoti perchè venerino sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo” (Lettera a tutti i custodi, in Fonti Francescane, n. 241).

2. L’autentico credente, in ogni tempo, sperimenta nella liturgia la presenza, il primato e l’opera di Dio. Essa è “veritatis splendor” (Sacramentum caritatis, 35), avvenimento nuziale, pregustazione della città nuova e definitiva e partecipazione ad essa; è legame di creazione e di redenzione, cielo aperto sulla terra degli uomini, passaggio dal mondo a Dio; è Pasqua, nella croce e nella risurrezione di Gesù Cristo; è l’anima della vita cristiana, chiamata alla sequela, riconciliazione che muove a carità fraterna.

Cari fratelli nell’episcopato, il vostro convenire pone al centro dei lavori assembleari l’esame della traduzione italiana della terza edizione tipica del Messale Romano. La corrispondenza della preghiera della Chiesa (lex orandi) con la regola della fede (lex credendi) plasma il pensiero e i sentimenti della comunità cristiana, dando forma alla Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito. Ogni parola umana non può prescindere dal tempo, anche quando, come nel caso della liturgia, costituisce una finestra che si apre oltre il tempo. Dare voce a una realtà perennemente valida esige pertanto il sapiente equilibrio di continuità e novità, di tradizione e attualizzazione.

Il Messale stesso si pone all’interno di questo processo. Ogni vero riformatore, infatti, è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra. [...]

Dal Vaticano, 4 novembre 2010

Benedetto XVI

mercoledì 10 novembre 2010

Gesù aveva cugini, non fratelli.


Gesù aveva fratelli carnali? Ogni tanto la questione viene risollevata, talvolta puntellandola all’interpretazione di nuovi reperti archeologici; è il caso di quell’Ossario di Giacomo che fu presentato nel 2002 a Washington da André Lemaire (ma il reperto oggi è sospettato di falso). Com’è ovvio, una risposta affermativa alla domanda se Gesù avesse fratelli può rendere invalido il dogma della verginità perpetua di Maria. La posizione tradizionale della Chiesa, ribadita dalla patristica a partire da San Girolamo e da numerosi dottori, è che Maria non ebbe altri figli oltre a Gesù.

La posizione protestante (per la quale si espressero Lutero, Zwingli e Calvino) è stata simile per lungo tempo. Fu Elpidio, vescovo ariano di Milano nel IV secolo, che sostenne che gli adelfòi nominati nei Vangeli, Giacomo Giuseppe, Giuda e Simone, siano stati i "fratelli" di Gesù nati da Maria prima o dopo Gesù. A lui rispose, appunto, Girolamo sostenendone la verginità perpetua. Dalla fine dell’Ottocento, il dibattito è stato ripreso in molte chiese riformate (che hanno negato la verginità) e da ricercatori di varia provenienza e serietà. La posizione classica della Chiesa viene attaccata perché sarebbe fondata su una sovrastruttura teologica e non già sulla storia.

Ben consapevole della delicatezza del tema e della presenza d’un dibattito multidisciplinare fittissimo di contributi, Roberto Reggi - giovane studioso che ha già all’attivo una quindicina di traduzioni di testi veterotestamentari - ha scritto il libro I "fratelli" di Gesù, Considerazioni filologiche, ermeneutiche, storiche, statistiche sulla verginità perpetua di Maria , appena pubblicato dalle Edizioni Dehoniane Bologna (pagine 256, euro 22,50), tenendo conto di tutte le posizioni e di tutte le ipotesi che si sono accumulate nei secoli. Per esporre le sue conclusioni con chiarezza e migliorare la leggibilità e la persuasività di un ragionamento che si avvale dell’apporto di discipline storiche (e non poggia sul fideismo), l’autore ha inserito nel suo libro numerosi diagrammi, tabelle, esami comparati, schemi ed analisi statistiche. In questo modo, la discussione sui personaggi che nel Nuovo Testamento possono essere identificati, anche implicitamente, come "fratelli" di Gesù diventa più chiara.

E le varie ipotesi, che gli adelfòi fossero cugini paterni, materni, fratellastri, fratelli o "collaboratori" (apostoli o altri discepoli) vengono presentate con singolare chiarezza visiva assieme a quella che ha la maggiore probabilità di essere vera: che gli adelfòi siano quattro "cugini paterni", figli dello zio paterno di Gesù, Alfeo Cleofa, e di sua moglie Maria di Cleofa. Il termine che traduce il greco adelfòs è polisemico e suscettibile di varie traduzioni. Nel greco precristiano il vocabolo indica proprio i fratelli carnali o i fratellastri, che abbiano in comune almeno un genitore, e occupa dunque un campo semantico circoscritto.

Nelle traduzioni in greco ellenistico di brani di lingue semitiche, il campo semantico, inevitabilmente, si allarga, sfuma, si fa meno certo ed è per questo che sono possibili una mezza dozzina di traduzioni, da precisare a seconda del contesto: cugino o parente in senso generico, fratello, fratellastro e collaboratore-discepolo. Roberto Reggi presenta anche le altre ipotesi e argomenta con efficacia il perché, sulla base di argomenti filologici, di ermeneutica del testo, storiche e antropologiche, esse possano essere considerate, nel complesso, assai meno probabili. Va detto, che questo libro è accessibile anche ai lettori non specialisti grazie proprio alla struttura con la quale è costruito.

Ogni ipotesi viene illustrata con il medesimo metodo e con pari accuratezza, a ciascuna viene dato il giusto spazio. Reggi conclude che l’unica interpretazione che riesce a comporre in un quadro coerente, organico e non contraddittorio le informazioni rintracciabili nel Nuovo Testamento è proprio l’interpretazione di adelfòi come "cugini". A tale approdo si arriva per ragione, e non per forzare le pur frammentarie evidenze storiche all’interno del quadro dell’esigenza teologica. Nessun fideismo cieco ma, al contrario, un’analisi guidata dal lume della ragione, che circoscrive il campo, seleziona i metodi storici e filologici mediante i quali procedere per approdare a conclusioni che - ma questo lo si verifica in fondo al percorso - si armonizzano con gli insegnamenti della Chiesa.
Mario Iannaccone
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fonte: Avvenire