Fonte: Ritorno al Reale
di Gustave Thibon
[Da AA.VV., L'amore e il matrimonio, tr. it. Vita e Pensiero, Milano 1955, pp. 85-113]
Non è nostra intenzione esporre qui in tutti i suoi particolari l’insegnamento della teologia cattolica sulla indissolubilità del matrimonio. Supponendo che esso sia noto ai nostri lettori, ci limiteremo a ricordare i principi fondamentali e porremo in evidenza piuttosto l’aspetto psicologico ed «esistenziale» del problema. Su questo argomento come su molti altri il cattolicesimo, che pure possiede una teologia e una morale complete quanto equilibrate, non ha forse fatto quanto era necessario per giustificare i suoi principi sul terreno dell’esperienza psicologica e per rispondere a coloro che gli rimproverano per l’appunto di non tenere in considerazione l’uomo fatto di corpo e d’anima, né le condizioni concrete della sua esistenza.
Che l’uomo non divida…
Il principio dell’indissolubilità del matrimonio è contenuto per intero nel seguente passo del Vangelo: «I Farisei andarono da lui per tentarlo e gli dissero: “È lecito all’uomo di ripudiare per qualunque motivo la propria moglie?” Egli rispose: “Non avete letto che il creatore, al principio, creò l’uomo maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una sola carne. Non divida pertanto l’uomo quel che Dio ha congiunto”» (Mt., XIX, 8-6). E S. Paolo, facendo eco all’insegnamento del Signore, così si esprime: «A coloro che sono sposati ordino (non io, ma il Signore) che la moglie non si separi dal marito. E se è separata rimanga senza maritarsi o si riconcilii col marito. E l’uomo non ripudii la moglie» (I Cor., VII, 10-11).
Tale esigenza di indissolubilità si fonda su due motivi: