domenica 30 maggio 2010

Solennità della Santissima Trinità


Benedíctus sit Deus Pater,
unigenitúsque Dei Fílius,
Sanctus quoque Spíritus,
quia fecit nobíscum misericórdiam Suam.


Sia benedetto Dio Padre,
e l'unigenito Figlio di Dio,
e lo Spirito Santo:
perché grande è il Suo amore per noi
.




Dall'Angelus del Santo Padre del 7 giugno 2009
(Solennità della Santissima Trinità)

Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. “O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8,2)

La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore.

***


« Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. »

(Matteo 28,19-20 )



Mio Dio, Trinità che adoro,
aiutatemi a dimenticarmi interamente,
per fissarmi in voi, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell'eternità;
che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile Bene,
ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero.
Pacificate la mia anima,
fatene il vostro cielo, la vostra dimora preferita e il luogo del riposo;
che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, tutta desta nella mia fede,
tutta in adorazione, tutta abbandonata alla vostra azione creatrice.

O mio amato Cristo, crocifisso per amore,
vorrei essere una sposa del vostro Cuore;
vorrei coprirvi di gloria e vi chiedo di rivestirmi di Voi stesso,
di immedesimare la mia anima con tutti i movimenti della vostra Anima,
di sommergermi, d'invadermi, di sostituirvi a me,
affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della vostra vita.
Venite nella mia anima come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo Eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarvi;
voglio farmi tutta docilità per imparare tutto da voi.
Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze,
voglio fissare sempre Voi e restare sotto la vostra grande luce.
O mio Astro amato,
incantatemi, perché non possa più uscire dallo splendore dei vostri raggi.

O Fuoco consumatore, Spirito d'amore,
scendete sopra di me,
affinché si faccia della mia anima come un'incarnazione del Verbo,
ed io sia per Lui un'aggiunta d'umanità nella quale Egli rinnovi tutto il suo mistero.

E Voi, o Padre,
chinatevi sulla vostra piccola creatura,
copritela con la vostra ombra, e non guardate in lei che il Diletto
nel quale avete riposto tutte le vostre compiacenze.

O miei TRE, mio Tutto,
mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo,
mi consegno a Voi come una preda.
Seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi,
in attesa di venite a contemplare, nella vostra luce,
l'abisso delle vostre grandezze.

(Beata Elisabetta della Trinità)

sabato 29 maggio 2010

Preghiera per vincere le nostre paure.








Matteo 14,24-27: Gesù cammina sulle acque Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: "È un fantasma" e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: "Coraggio, sono io, non abbiate paura". Pietro gli disse: "Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque". Ed egli disse: "Vieni!". Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: "Tu sei veramente il Figlio di Dio!".




Preghiera

Gesù, ti presento tutte le mie paure: la paura di essere ri­fiutato da Dio, la paura nei confronti degli altri, la paura di certi luoghi e animali, la paura dinanzi al futuro e a situazio­ni difficili, la paura di dare una brutta impressione di me stesso.

Ti presento tutte le mie insicurezze, i miei dubbi, le mie incertezze, il disprezzo che a volte sento di me stesso e della mia vita. Per queste paure e insicurezze mi sento come in mezzo a una tempesta. Tu hai detto agli apostoli sul lago di Galilea in tempesta: "Coraggio, sono Io, non temete!". Dillo anche a me e nel mio cuore si placheranno le onde furiose dell'insicurezza e della paura.
Liberami da ogni dubbio e incertezza irragionevole, da ogni disprezzo di me stesso e della vita.
Sii Tu il mio coraggio, la mia sicurezza, il mio punto d'appoggio, la mia forza di vivere e di agire. Infondi in me il tuo Spirito Santo che è Spirito di potenza e di libertà.

Cuore di Gesù, confido e spero in Te.

martedì 25 maggio 2010

Il Messaggio di Medjugorje e il pericolo del Modernismo.


Il messaggio diffuso ieri da Medjugorje mi ha colpito per un'espressione che - a memoria personale - non è stata mai utilizzata per mettere in guardia i cristiani dai pericoli attuali contrari alle leggi di Dio.


(Messaggio del 25 maggio 2010)
"Cari figli, Dio vi ha dato la grazia di vivere e proteggere tutto il bene che è in voi ed attorno a voi e di esortare gli altri ad essere migliori e piu santi, ma satana non dorme e attraverso il modernismo vi devia e vi guida sulla sua via. Percio figlioli, nell’amore verso il mio Cuore Immacolato amate Dio sopra ogni cosa e vivete i Suoi comandamenti. Cosi la vostra vita avrà senso e la pace regnerà sulla terra.
Grazie per avere risposto alla mia chiamata."

A proprosito di "Modernismo" vi propongo la lettura di un passo della Lettera Enciclica "PASCENDI DOMINICI GREGIS" promulgata dal Papa S.Pio X nel 1907, ma attualissima, che denuncia il tentativo di sviare la fede dei cattolici attraverso le vie eretiche del "modernismo":

"..Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli.
Ed a rompere senza più gl'indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gittano su quanto vi ha di più santo nell'opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo..."



"Dai loro frutti li riconoscerete..." (Mt 7, 15-20)

sabato 22 maggio 2010

Solennità di Pentecoste


Testo latino

Veni, Creator Spiritus
mentes tuorum visita
Imple superna gratia
quae tu creasti pectora.

Qui diceris Paraclitus,
Altissimi donum Dei,
fons vivus, ignis, caritas,
et spiritalis unctio.

Tu septiformis munere,
digitus paternae dexterae;
tu rite promissum Patris,
sermone ditans guttura.

Accende lumen sensibus,
infunde amorem cordibus,
infirma nostri corporis,
virtute firmans perpeti.

Hostem repellas longius,
pacemque dones protinus,
ductore sic te praevio,
vitemus omne noxium.

Per te sciamus da Patrem,
noscamus atque Filium,
teque utriusque Spiritum
credamus omni tempore.

Deo Patri sit gloria
et Filio, qui a mortuis
surrexit, ac Paraclito,
in saeculorum saecula.
Amen.

Traduzione italiana

Vieni, o Spirito creatore,
visita l'anima dei tuoi fedeli,
ricolma di grazia divina
i cuori che hai creato.

Tu sei chiamato Consolatore,
dono di Dio altissimo,
fonte viva, fuoco, amore,
unzione santa e gioia di vita.

Tu dono perfetto e molteplice,
dito di Dio creatore,
solenne promessa del Padre,
per te fiorisce l'umana parola.

Con la tua luce illumina i sensi,
infondi l'amore nei nostri cuori,
le stanche membra del corpo ristora,
con il tuo forte ed eterno vigore.

Da noi respingi l'antico nemico
e senza indugio concedi la pace,
Cammina dinanzi al tuo popolo
affinché non perisca nel male.

Facci conoscere il Padre,
svelaci il mistero del Figlio
e del tuo coeterno Spirito,
fa che sempre in te noi crediamo.

Sia gloria a Dio Padre,
al Figlio, che è risorto dai morti
e allo Spirito Santo
per tutti i secoli.


venerdì 21 maggio 2010

Servo di Dio Jozsef Mindszenty Cardinale, Primate d’Ungheria


Csehimindszent, Austria-Ungheria, 29 marzo 1892 - Vienna, Austria, 6 maggio 1975


Già Primate d’Ungheria, venne nominato cardinale da papa Pio XII nel 1946. Per la sua tenace opposizione al regime comunista, venne arrestato una prima volta nel 1944 con l'accusa di alto tradimento. Rilasciato l'anno seguente, fu nuovamente incarcerato il 26 dicembre 1948 e condannato all'ergastolo l'anno successivo con l'accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista ungherese. Liberato dopo otto anni di carcere durante la insurrezione popolare del 1956, trovò asilo politico nell'ambasciata americana di Budapest. Per molti anni Mindszenty rifiutò l'invito del Vaticano a trovare riparo presso lo stato pontificio e solo quindici anni dopo, nel 1971, con l'interessamento dell'allora presidente Nixon, poté finalmente lasciare l'ambasciata e raggiungere la Santa Sede. Poco dopo si stabilì a Vienna, dove morì per un arresto cardiaco sussegente ad un intervento chirurgico. Nel 1991 le sue ceneri vennero solennemente trasportate da Mariazell ad Esztergom, città ungherese nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della Basilica.

Mindzent è un villaggio di campagna nella pianura ungherese. Il 29 marzo 1892, da Janos Pehn e Borbàla Kovacs, viticultori, nacque Jozsef: era bello, sano, robusto e i suoi genitori erano fieri di lui.
Ogni giorno, al tramonto, si raccoglievano tutti, genitori e figli, a pregare la Madonna con il Rosario. Fattosi più grandicello, la mamma insegnò a Jozsef a servire la Santa Messa. Presso l’altare, durante la celebrazione eucaristica, egli percepiva sempre più chiaro che non c’è nulla di più bello e grande al mondo che offrire a Dio il Sacrificio di Gesù e annunciare il Vangelo ai fratelli. Così, affascinato dall’Eucarestia, decise che sarebbe diventato sacerdote.
Nel 1903, entrò nel Seminario tenuto dai Padri Premostratensi a Szombately. Superate le difficoltà iniziali, fu presto tra i primi della classe. Leggeva moltissimo: storia, letteratura, filosofia, teologia. Superata la “maturità” con ottimo in tutte le materie, cominciò gli studi teologici nel Seminario della sua diocesi.
Era giovane, ma aveva la statura di un capo. Durante gli studi di teologia, si appassionò ancora di più a Cristo: seguirlo e amarlo per farlo conoscere e amare dai fratelli era per lui l’avventura più grande che potesse toccare a un uomo sulla terra.
Il 12 giugno 1915, solennità del Sacro Cuore di Gesù, mentre già l’Europa era in fiamme per la 1ª guerra mondiale, Jozsef Pehn diventa sacerdote di Cristo.

Ascesa: 56 anni
Quel giorno fu l’inizio di un lungo cammino, segnato di amore e di pianto, destinazione il Calvario. Il primo ministero, Don Jozsef lo svolse come vice-parroco a Felsopathy. Serviva poveri e ricchi con l’amore di Cristo: esemplare, coltissimo, predicatore dalla parola calda come quella dei profeti. Fu mandato a insegnare religione nelle scuole statali di Zalaegerszeg e i giovani allievi ne furono conquistati.
Nell’ottobre del 1918, per l’azione della massoneria, crollò la monarchia asburgica, e il marzo seguente, in Ungheria, segnò l’avvento al potere dei comunisti di Bela Kun.
Don Joseph fu subito arrestato. Ma la dittatura dei “rossi” finì presto, e Don Jozsef, appena ventottenne, fu nominato parroco di Zalaegerszeg: il 1° ottobre 1919, iniziò il suo apostolato in un territorio di sedicimila anime, con cinque comunità filiali. Il problema più grave gli parve quello dell’istruzione. Il giovane parroco promosse la scuola e la catechesi intensa offrendo luce e verità alle associazioni laicali, e inserendo Gesù tra le persone di cultura. Comprendeva che i tempi nuovi avrebbero richiesto credenti colti e forti nella fede.
Fece costruire chiese, case parrocchiali e scuole, ponendo in primo piano l’evangelizzazione, la preghiera, l’adorazione a Gesù Eucaristico, la devozione alla Madonna. Per 25 anni, tutto il tempo trascorso a Zalaegerszeg, non ci fu settore della sua gente che lui non illuminasse con il Vangelo, appassionato, gentile e irruente come i cavalli della prateria magiara.
Nel 1941, Don Jozsef Pehn, deciso oppositore dei nazisti che dilagavano per l’Europa, per protesta contro di loro, abbandonò il suo cognome d’origine germanica e volle chiamarsi Mindszenty, dal suo paese natale.
Per la sua preparazione e il suo coraggio, in un momento tanto difficile, il 4 marzo 1944, il Santo Padre Pio XII lo nominò Vescovo di Veszprem. Lì giunse dieci giorni dopo che i nazisti avevano occupato la città. Insieme agli altri Vescovi magiari, si impegnò subito a soccorrere gli Ebrei e molti di loro furono salvati dal lager e dalla morte.
Mentre la guerra infieriva, Mons. Mindszenty si spendeva per i più poveri, organizzava giornate di preghiera per i suoi preti, appoggiava l’apostolato dei laici, promuoveva visite tra le famiglie e l’assistenza ai malati, creava nuove parrocchie e apriva scuole. E così presto finì per la seconda volta in carcere, sotto i nazisti.
Intanto da oriente, l’armata rossa invadeva l’Ungheria, saccheggiando, distruggendo, violentando, con il proposito di “liberare” il Paese. In quei giorni terribili, Pio XII nominò Monsignor Mindszenty Arcivescovo di Esztergom (l’antica Strigonia) e Primate d’Ungheria.

“Patì sotto Stalin”
“Voglio essere un buon pastore – disse l’8 dicembre 1945 – iniziando il nuovo servizio – un pastore pronto a dare la vita per il suo gregge”.
Apprestò soccorsi contro la fame: i comunisti lo bloccarono. Si diede a proteggere prigionieri e sofferenti: i comunisti glielo proibirono. Anzi, cominciarono la repressione della Chiesa in Ungheria. In difesa della scuola cattolica, organizzò le associazioni dei genitori. Ci vollero tre anni, prima che i comunisti, ormai insidiatisi al governo con la violenza, sostenuti da Stalin, nazionalizzassero le scuole: quando ciò avvenne, il 18 giugno 1948, l’Arcivescovo fece suonare a morto le campane di tutta la nazione in segno di protesta.
Nel ’46, fatto Cardinale, si impegnò ancora di più nel suo lavoro. La porpora ha il colore del sangue effuso per amore a Cristo e alla Chiesa. Lui l’avrebbe, a suo modo, versato. Fondò nuove parrocchie, organizzò pellegrinaggi, il più famoso, al santuario nazionale d’Ungheria, vide centomila persone al suo seguito. Durante l’anno mariano, da lui voluto nel ‘47, cinque milioni di fedeli parteciparono alle celebrazioni. I comunisti impazzivano di rabbia. Rakosi, il proconsole di Stalin a Budapest, attaccò il Cardinale con inaudita violenza: lui rimase impavido come quercia sotto la bufera.
Giunse così il 26 dicembre 1948: allo scendere della sera, mentre il Cardinale pregava per il suo popolo, si spalancò all’improvviso la porta della sua cappella: entrò il colonnello di polizia Decsi con i suoi sgherri e lo dichiarò in arresto. Quelli lo trascinarono al n. 60 di via Andrassy, a Budapest dove già la Gestapo compiva le sue torture. Quello che lì i comunisti compirono contro il santo Cardinale è una delle infamie più grandi della storia.
Per 39 giorni, ogni sera lo portavano in un seminterrato freddo e umido, lo spogliavano tra le risate dei suoi aguzzini, lo coprivano di botte su tutto il corpo, quindi lo riportavano in cella a dormire, per risvegliarlo e cominciare da capo. Il motivo: costringerlo a confessare di essere stato “un nemico del popolo”. Pesto e sanguinante, distrutto ormai nel fisico e nello spirito, lo minacciano di farlo comparire davanti alla sua anziana mamma in quello stato. Dopo 39 giorni, nei quali ha sperimentato sulla sua pelle che cosa è il comunismo, il Card. Mindszenty crolla: pone la sua firma sotto una confessione che quelli sono riusciti a estorcergli e aggiunge sotto il suo nome, “C.F.” (= “coactus feci”: firmai perché costretto). Gli aguzzini comunisti avevano spezzato una delle più nobili figure della Chiesa Cattolica.
In quelle ore terribili, egli pregava la Madonna per il suo popolo, per i giovani, per sé, affinché non mancasse mai la sua fedeltà a Cristo, fino al sangue, fino alla morte.
Il 3 febbraio 1949, i dirigenti comunisti condussero il Cardinale Mindszenty in tribunale, rasato e vestito a nuovo, l’anello al dito. Con un processo farsa, come quello condotto dai giudei contro Gesù, lo condannarono all’ergastolo. Da Roma, Pio XII fu il suo più forte sostenitore e in tutte le occasioni smascherò a voce alta “la giustizia” marxista. Il mondo libero ascoltò la voce del Sommo Pontefice e ne condivise lo sdegno.
Rimase in carcere, offrendo e pregando in unione a Gesù Crocefisso, fino all’ottobre 1956, quando, durante l’insurrezione degli ungheresi contro i sovietici, i suoi figli di Budapest lo liberarono. Pochi giorni di libertà, poi il buio ritornò in terra magiara, con i carri armati di Krusciov. Da allora, il Cardinale Mindszenty visse, senza poter mai uscire, neanche per andare ai funerali della sua vecchia mamma, all’ambasciata americana.
Una vita di silenzio, di preghiera, di offerta continua a Dio per l’Ungheria e per tutta la Chiesa. Segno vivente di che cos’è oggi il martire che patisce per Cristo sotto i moderni Neroni della storia.

L’esule e il santo
Nel 1971, per volontà di Papa Paolo VI, il Cardinale martire dalla porpora insanguinata, giunse libero a Roma. Partecipò al Sinodo dei Vescovi in corso, e alzò indomito la sua voce per dare voce alla Chiesa del silenzio. Poi si stabilì a Vienna, al Pasmaneum, come la sentinella che vigila sulla terra del suo amore e attende l’aurora.
Aveva 80 anni, ma ancora forte e fiero, come Ignazio d’Antiochia e Policarpo di Smirne, i Vescovi martiri della prima generazione cristiana, percorse il mondo a tenere viva la speranza tra gli ungheresi lontani dalla patria, a parlare di Verità, di libertà e di amore in nome di Cristo.
In quei giorni del suo esilio, io che, ancora bambino, mi ero appassionato alla sua vicenda di martirio e mi entusiasmavo per Gesù pensando a lui, gli scrissi una breve lettera in latino per dirgli il mio ossequio e la mia affezione... Mi rispose a stretto giro di posta, con una sua foto e un cartoncino su cui a grandi caratteri, scrisse: “Super te et discipulos tuos, benedictio mea. Josephus Card. Mindszenty”.
Andò incontro a Dio il 6 maggio 1975, a Vienna, dopo aver scritto le sue Memorie (Ed. Rusconi, Milano, 1975), testimonianza altissima della sua grande anima, della sua dedizione a Cristo e della sua santità. Sepolto per 15 anni a Mariazell, in Austria, dal 1990, al crollo del comunismo nell’est europeo, è stato traslato nella sua cattedrale a Budapest, dove a rendergli omaggio si è pure recato il Papa Giovanni Paolo II.
Sulla sua tomba avvengono grazie e guarigioni e dilaga la sua fama di santità. Proprio per questo, è in corso la sua causa di beatificazione. Il suo esempio per tutti – e quella sua benedizione per me indimenticabile – che profuma di sangue versato come quello di Gesù, e la sua intercessione in cielo presso Dio ci aiutino a comprendere, nell’indifferenza di oggi, come si ama, come si lavora, come si soffre per il Cristo e per la Chiesa e come si converte il mondo a Lui.

Autore: Paolo Risso
(fonte: Santi e Beati)

lunedì 17 maggio 2010

Lettera di Suor Lucia, veggente di Fatima, a un sacerdote molto preoccupato e occupato.


sabato 15 maggio 2010

Lettera di Suor Lucia, veggente di Fatima, a un sacerdote molto preoccupato e occupato.
Un ringraziamento al mio confratello Varghese Puthussery Ofm conv. (provincia indiana del Kerala) che condivide questa bella pagina dalle lettere di suor Lucia a un sacerdote molto impegnato, ma forse con poco tempo da dedicare alla preghiera:



Caro padre: Pax Christi!
Ho notato nella sua lettera che è molto preoccupato per il disorientamento del tempo presente. È nella verità quanto lei lamenta che tanti si lascino dominare dall’onda diabolica che schiavizza il mondo e si incontrano tanti ciechi che non vedono l’errore.
Ma il principale errore è che questi abbandonarono la preghiera, allontanandosi da Dio e senza Dio tutto gli viene meno, perché senza di me non potete fare nulla ( Gv 15,5).
Ora, ciò che soprattutto raccomando è che ci si avvicini al Tabernacolo e si faccia orazione. Lì si incontrerà la luce e la forza per nutrirsi e donarsi agli altri. Donarsi con soavità, con umiltà e, nello stesso tempo con fermezza. Perché coloro che esercitano una responsabilità hanno il dovere di tenere la verità nella dovuta considerazione, con serenità, con giustizia, con carità. Per questo hanno bisogno ogni giorno di più pregare, di stare vicino a Dio, di trattare con Dio di tutti i problemi prima di affrontarli con le creature. Continui per questa strada e vedrà che vicino al Tabernacolo troverà più sapienza, più luce, più forza, più grazia e più virtù che giammai potrà incontrare nei libri, negli studi, né presso creatura alcuna.
Non giudichi mai perduto il tempo che passa nell’orazione e vedrà come Dio le comunicherà la luce, la forza e la grazia di cui ha bisogno, e anche quello che Dio le chiede.
È questo che importa: fare la volontà di Dio, rimanere dove Egli ci vuole e fare ciò che Egli ci chiede. Ma sempre con spirito di umiltà, convinti che da soli non siamo niente e che deve essere Dio a lavorare in noi e servirsi di noi per tutto quello che Lui domanda.
Per questo abbiamo tutti bisogno di intensificare molto la nostra vita di interiore unione con Dio e tutto ciò si consegue per mezzo della preghiera. Che a noi manchi il tempo per tutto, meno che per la preghiera, e vedrà come in meno tempo si farà molto!
Tutti noi, ma specialmente chi ha una responsabilità, senza la preghiera, o che abitualmente sacrifica la preghiera per le cose materiali è come una penna d’oca di cui ci si serve per sbattere l’albume delle uova, elevando castelli di schiuma che, senza zucchero per sostenerli, in seguito si disgregano e si disfanno trasformandosi in acqua putrida.
Per questo Gesù Cristo disse: voi siete il sale della terra, ma se questo perde la forza , a niente altro più serve se non per essere gettato via.
E, siccome questa forza solo da Dio possiamo riceverla, abbiamo bisogno di avvicinarci a Lui, perché ce la comunichi e questa vicinanza si realizza solo per mezzo della preghiera, che è il luogo in cui l’anima si incontra direttamente con Dio.
Raccomandi questo a tutti i suoi fratelli sacerdoti e lo sperimenteranno. E poi mi dica se mi sono ingannata. Sono ben certa di quale sia il principale male del mondo attuale e la causa del regresso nelle anime consacrate. Ci allontaniamo da Dio, e senza Dio inciampiamo e cadiamo. Il demonio è astuto per saper qual è il punto debole e attraverso il quale ha da attaccarci. Se non stiamo attenti e non ci premuriamo con la forza di Dio, soccombiamo perché i tempi sono molto cattivi e noi siamo molto deboli. Solo la forza di Dio ci può sostenere.
Veda se può portare avanti tutto con calma, confidando sempre in Dio e Lui farà tutto quello che noi non possiamo fare e supplirà alla nostra insufficienza.


Suor Lucia, scc
A mons. Pasquale Mainolfi
Autore del libro: Fatima –cronaca e profezia

sabato 15 maggio 2010

L'attualità della missione profetica di Fátima


Benedetto XVI conclude il viaggio in Portogallo
ribadendo che la Chiesa è pronta a dialogare con culture e religioni

Rinnovati dall'amore per trasformare il mondo

L'attualità della missione profetica di Fátima
di fronte ai gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo o individuo


Solo cristiani che imparano da Dio a essere persone "per gli altri" possono toccare il cuore degli uomini e trasformare il mondo. Nel lasciare il Portogallo venerdì 14 maggio, a conclusione del viaggio iniziato lo scorso martedì, il Papa conferma la concretezza profetica del messaggio di Fátima. E ribadisce che il compito della Chiesa oggi è quello di "dialogare con culture e religioni diverse, cercando di costruire insieme a ogni persona di buona volontà la pacifica convivenza dei popoli". Si tratta - spiega nell'omelia della messa celebrata in mattinata a Porto - di "rinnovare la faccia della terra partendo da Dio, sempre e solo da Dio". Perché nella missione dei credenti al servizio dell'umanità - assicura - "tutto si definisce a partire da Cristo".
Di concordia Benedetto XVI torna a parlare al momento del congedo dal Paese, ricordando che essa è "essenziale per una salda coesione" e "necessaria per affrontare con responsabilità comune le sfide" che attendono la popolazione lusitana. Nell'ultimo discorso prima della partenza il Pontefice raccomanda ai portoghesi di coniugare sempre "il profondo senso di Dio" con "l'apertura solidale" ai valori dell'umanesimo cristiano. E rivela: "A Fátima ho pregato per il mondo intero chiedendo che il futuro porti maggiore fraternità e solidarietà, un maggiore rispetto reciproco e una rinnovata fiducia e confidenza in Dio".
Proprio dalla cittadina portoghese legata alle apparizioni mariane del 1917 il Papa aveva rilanciato l'attualità della "missione profetica" del messaggio della Vergine di fronte ai "gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo" ancora prevalenti nella storia dell'umanità. La fede in Dio - aveva sottolineato nella messa celebrata giovedì mattina sulla spianata del santuario - "apre all'uomo l'orizzonte di una speranza certa": a patto che egli si abbandoni "pieno di fiducia nelle mani dell'Amore che sostiene il mondo".
Forza di trasformazione e "legge fondamentale della perfezione umana", l'amore - aveva poi ribadito incontrando gli organismi della pastorale sociale - è alla radice della "proposta creativa" della Chiesa di fronte alle esigenze dello "sviluppo umano integrale". Da qui la necessità di "formare una nuova generazione di leader servitori" capaci di sottrarre l'attività caritativa alla logica dell'efficienza e della visibilità o agli influssi della politica e delle ideologie, per guardare unicamente al bene comune e ai bisogni delle persone. Un impegno, questo, che il Papa non considera monopolio esclusivo dei laici. Tanto che ai presuli del Paese, incontrati giovedì sera a Fátima, ha ricordato che autorità, responsabilità e paternità episcopale non vanno mai separate dal compito di essere "profeti della giustizia e della pace" e "voce dei più deboli", in particolare "degli oppressi, degli umiliati e dei maltrattati".

L'Osservatore Romano - 14-15 maggio 2010)

Responsabilità e Paternità Episcopale


13 Maggio 2010
Incontro con i vescovi del Portogallo
Riscoprire la paternità episcopale
Venerati e cari Fratelli nell’Episcopato,

Rendo grazie a Dio per l’occasione che mi offre di incontrarvi tutti qui nel cuore spirituale del Portogallo, che è il Santuario di Fatima, dove moltitudini di pellegrini provenienti dai luoghi più vari della terra, cercano di ritrovare o di rafforzare in sé stessi le certezze del Cielo. Tra loro è venuto da Roma il Successore di Pietro, accogliendo i ripetuti inviti ricevuti e mosso da un debito di riconoscenza verso la Vergine Maria, la quale proprio qui ha trasmesso ai suoi veggenti e pellegrini un intenso amore per il Santo Padre che fruttifica in una vigorosa schiera orante con Gesù alla guida: Pietro, «io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32).

Come vedete, il Papa ha bisogno di aprirsi sempre di più al mistero della Croce, abbracciandola quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare nel Crocifisso tutti i suoi fratelli e sorelle in umanità. Obbedendo alla Parola di Dio, egli è chiamato a vivere non per sé stesso ma per la presenza di Dio nel mondo. Mi è di conforto la determinazione con cui anche voi mi seguite da vicino senza temere null’altro che la perdita della salvezza eterna del vostro popolo, come bene dimostrano le parole con cui Mons. Jorge Ortiga ha voluto salutare il mio arrivo in mezzo a voi e testimoniare l’incondizionata fedeltà dei Vescovi del Portogallo al Successore di Pietro. Di cuore vi ringrazio. Grazie inoltre per tutta la premura che avete avuto nell’organizzazione di questa mia Visita. Dio vi ricompensi, riversando in abbondanza su di voi e sulle vostre diocesi lo Spirito Santo, affinché possiate, in un cuor solo e un’anima sola, portare a termine l’impegno pastorale che vi siete proposti, quello, cioè, di offrire ad ogni fedele un’iniziazione cristiana esigente e affascinante, che comunichi l’integrità della fede e della spiritualità, radicata nel Vangelo e formatrice di operatori liberi in mezzo alla vita pubblica.

In verità, i tempi nei quali viviamo esigono un nuovo vigore missionario dei cristiani, chiamati a formare un laicato maturo, identificato con la Chiesa, solidale con la complessa trasformazione del mondo. C’è bisogno di autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita. In tali ambiti non mancano credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo, costruttore di barriere all’ispirazione cristiana. Nel frattempo, amati Fratelli, quanti difendono in tali ambienti, con coraggio, un vigoroso pensiero cattolico, fedele al Magistero, continuino a ricevere il vostro stimolo e la vostra parola illuminante, per vivere, da fedeli laici, la libertà cristiana.

Mantenete viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché «la parola di Dio non è incatenata!» (2Tm 2,9). Le persone invocano la Buona Novella di Gesù Cristo, che dona senso alle loro vite e salvaguarda la loro dignità. In qualità di primi evangelizzatori, vi sarà utile conoscere e comprendere i diversi fattori sociali e culturali, valutare le carenze spirituali e programmare efficacemente le risorse pastorali; decisivo, però, è riuscire ad inculcare in ogni agente evangelizzatore un vero ardore di santità, consapevoli che il risultato deriva soprattutto dall’unione con Cristo e dall’azione del suo Spirito.

Infatti, quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da «divinità» e signori di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami morali e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani. Il richiamo coraggioso e integrale ai principi è essenziale e indispensabile; tuttavia il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui. Mi vengono in mente queste parole del Papa Giovanni Paolo II: «La Chiesa ha bisogno soprattutto di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità fra i “christifideles” perché è dalla santità che nasce ogni autentico rinnovamento della Chiesa, ogni arricchimento dell’intelligenza della fede e della sequela cristiana, una ri-attualizzazione vitale e feconda del cristianesimo nell’incontro con i bisogni degli uomini, una rinnovata forma di presenza nel cuore dell’esistenza umana e della cultura delle nazioni» (Discorso per il XX della promulgazione del Decreto conciliare «Apostolicam actuositatem», 18 novembre 1985). Qualcuno potrebbe dire: «la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità…, ma non ci sono!».

A questo proposito, vi confesso la piacevole sorpresa che ho avuto nel prendere contatto con i movimenti e le nuove comunità ecclesiali. Osservandoli, ho avuto la gioia e la grazia di vedere come, in un momento di fatica della Chiesa, in un momento in cui si parlava di «inverno della Chiesa», lo Spirito Santo creava una nuova primavera, facendo svegliare nei giovani e negli adulti la gioia di essere cristiani, di vivere nella Chiesa, che è il Corpo vivo di Cristo. Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all’evento presente di Cristo.

Condizione necessaria, naturalmente, è che queste nuove realtà vogliano vivere nella Chiesa comune, pur con spazi in qualche modo riservati per la loro vita, così che questa diventi poi feconda per tutti gli altri. I portatori di un carisma particolare devono sentirsi fondamentalmente responsabili della comunione, della fede comune della Chiesa e devono sottomettersi alla guida dei Pastori. Sono questi che devono garantire l’ecclesialità dei movimenti. I Pastori non sono soltanto persone che occupano una carica, ma essi stessi sono portatori di carismi, sono responsabili per l’apertura della Chiesa all’azione dello Spirito Santo. Noi, Vescovi, nel sacramento, siamo unti dallo Spirito Santo e quindi il sacramento ci garantisce anche l’apertura ai suoi doni. Così, da una parte, dobbiamo sentire la responsabilità di accogliere questi impulsi che sono doni per la Chiesa e le conferiscono nuova vitalità, ma, dall’altra, dobbiamo anche aiutare i movimenti a trovare la strada giusta, facendo delle correzioni con comprensione – quella comprensione spirituale e umana che sa unire guida, riconoscenza e una certa apertura e disponibilità ad accettare di imparare.

Iniziate o confermate proprio in questo i presbiteri. Nell’Anno sacerdotale che volge al termine, riscoprite, amati Fratelli, la paternità episcopale soprattutto verso il vostro clero. Per troppo tempo si è relegata in secondo piano la responsabilità dell’autorità come servizio alla crescita degli altri, e, prima di tutti, dei sacerdoti. Questi sono chiamati a servire, nel loro ministero pastorale, integrati in un’azione pastorale di comunione o di insieme, come ci ricorda il Decreto conciliare Presbyterorum ordinis: «Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa» (n. 7). Non si tratta di ritornare al passato, né di un semplice ritorno alle origini, ma di un ricupero del fervore delle origini, della gioia dell’inizio dell’esperienza cristiana, facendosi accompagnare da Cristo come i discepoli di Emmaus nel giorno di Pasqua, lasciando che la sua parola ci riscaldi il cuore, che il «pane spezzato» apra i nostri occhi alla contemplazione del suo volto. Soltanto così il fuoco della carità sarà ardente abbastanza da spingere ogni fedele cristiano a diventare dispensatore di luce e di vita nella Chiesa e tra gli uomini.

Prima di concludere, vorrei chiedervi, nella vostra qualità di presidenti e ministri della carità nella Chiesa, di rinvigorire in voi stessi e intorno a voi i sentimenti di misericordia e di compassione per essere in grado di rispondere alle situazioni di gravi carenze sociali. Si costituiscano organizzazioni e si perfezionino quelle già esistenti, perché siano in grado di rispondere con creatività ad ogni povertà, includendo quelle della mancanza di senso della vita e dell’assenza di speranza. È molto lodevole lo sforzo che fate per aiutare le diocesi più bisognose, soprattutto dei Paesi lusofoni. Le difficoltà, che adesso si fanno sentire di più, non vi facciano indebolire nella logica del dono. Continui ben viva, nel Paese, la vostra testimonianza di profeti della giustizia e della pace, difensori dei diritti inalienabili della persona, unendo la vostra voce a quella dei più deboli, che avete saggiamente motivato a possedere voce propria, senza temere mai di alzare la voce in favore degli oppressi, degli umiliati e dei maltrattati.

Mentre vi affido alla Madonna di Fatima, chiedendole di sostenervi maternamente nelle sfide in cui siete impegnati, perché siate promotori di una cultura e di una spiritualità di carità e di pace, di speranza e di giustizia, di fede e di servizio, di cuore vi imparto la mia Benedizione Apostolica, estendendola ai vostri familiari e alle comunità diocesane.


(fonte: Avvenire)

giovedì 13 maggio 2010

13 Maggio - Beata Vergine Maria di Fatima




Oggi si celebrano le apparizioni della Vergine Maria a Fatima, in Portogallo nel 1917. A tre pastorelli, Lucia di Gesù, Francesco e Giacinta, apparve per sei volte la Madonna che lasciò loro un messaggio per tutta l’umanità. Il vescovo di Leiria, nella sua lettera pastorale a chiusura del cinquantenario, ha affermato che il messaggio di Fatima "racchiude un contenuto dottrinale tanto vasto da poter certamente affermare che non gli sfugge alcuno dei temi fondamentali della nostra fede cristiana...".

Era la domenica 13 maggio 1917; i tre cuginetti dopo aver assistito alla Santa Messa nella chiesa parrocchiale di Fatima, tornarono ad Aljustrel per prepararsi a condurre al pascolo le loro pecore.
Il tempo primaverile era splendido e quindi decisero di andare questa volta fino alla Cova da Iria, una grande radura a forma di anfiteatro, delimitata verso nord da una piccola altura.
Mentre allegri giocavano, nel cielo apparve un bagliore come lampi di fulmini, per cui preoccupati per un possibile temporale in arrivo, decisero di ridiscendere la collina per portare il gregge al riparo.
A metà strada dal pendio, vicino ad un leccio, la luce sfolgorò ancora e pochi passi più avanti videro una bella Signora vestita di bianco ritta sopra il leccio, era tutta luminosa, emanante una luce sfolgorante; si trovavano a poco più di un metro e i tre ragazzi rimasero stupiti a contemplarla; mentre per la prima volta la dolce Signora parlò rassicurandoli: “Non abbiate paura, non vi farò del male”.

Il suo vestito fatto di luce e bianco come la neve, aveva per cintura un cordone d’oro; un velo merlettato d’oro le copriva il capo e le spalle, scendendo fino ai piedi come un vestito; dalle sue dita portate sul petto in un atteggiamento di preghiera, penzolava il Rosario luccicante con una croce d’argento, sui piedi erano poggiate due rose.

A questo punto la più grande di loro, Lucia, chiese alla Signora “Da dove venite?” “Vengo dal Cielo” e Lucia “Dal cielo! E perché è venuta Lei fin qui?”, “Per chiedervi che veniate qui durante i prossimi sei mesi ogni giorno 13 a questa stessa ora; in seguito vi dirò chi sono e cosa desidero, ritornerò poi ancora qui una settima volta”.
E Lucia, “E anch’io andrò in cielo?”, “Si”, e “Giacinta?”, “anche lei”, “e Francesco?”, “anche lui, ma dovrà dire il suo rosario”.

La Vergine poi chiese: “Volete offrire a Dio tutte le sofferenze che Egli desidera mandarvi, in riparazione dei peccati dai quali Egli è offeso, e per domandare la conversione dei peccatori?”. “Si lo vogliamo” rispose Lucia, “Allora dovrete soffrire molto, ma la Grazia di Dio sarà il vostro conforto”.

E dopo avere raccomandato ai bambini di recitare il rosario tutti i giorni, per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra, la Signora cominciò ad elevarsi e sparì nel cielo.
Lucia durante tutte le apparizioni, sarà quella che converserà con la Signora, Giacinta la vedrà e udirà le sue parole ma senza parlarle, Francesco non l’udirà, ma la vedrà solamente, accettando di sapere dalle due bambine, quello che la Signora diceva.




mercoledì 12 maggio 2010

I giovani in Portogallo: NOI SCEGLIAMO DI CREDERE!



All'iniziativa "Eu Acredito" si sono iscritti 11.000 giovani.



“Vogliamo esprimere il nostro sostegno al Papa in questa sua importante missione di guidare la Chiesa e dirgli che siamo sempre con lui, presenti con la preghiera e come parte vibrante di una Chiesa viva e giovane”, dicono gli organizzatori.

“Vogliamo dire ai portoghesi e al mondo che nonostante le varie crisi che attraversiamo Noi Crediamo!

Quando siamo tristi, quando le possibilità sembrano limitate, quando il futuro spaventa, quando dobbiamo confrontarci con le dure realtà della povertà, della corruzione, della violenza, dell'ingiustizia... Noi scegliamo di Credere!”.






Il Papa in Portogallo!

(fonte: Il Magistero di Benedetto XVI)

Ieri mattina, nel corso del viaggio aereo verso il Portogallo, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato i giornalisti del Volo Papale. Pubblichiamo di seguito la trascrizione dell’intervista concessa dal Papa agli operatori dei media:

TESTO DELL’INTERVISTA

Padre Lombardi: Santità, quali preoccupazioni e sentimenti porta con sé sulla situazione della Chiesa in Portogallo? Che cosa si può dire al Portogallo, in passato profondamente cattolico e portatore della fede nel mondo, ma oggi in via di profonda secolarizzazione, sia nella vita quotidiana, sia a livello giuridico e culturale? Come annunciare la fede in un contesto indifferente e ostile alla Chiesa?

Papa: Innanzitutto buona giornata a voi tutti e ci auguriamo buon viaggio, nonostante la famosa nuvola sotto la quale siamo.
Quanto al Portogallo, provo soprattutto sentimenti di gioia, di gratitudine per quanto ha fatto e fa questo Paese nel mondo e nella storia e per la profonda umanità di questo popolo, che ho potuto conoscere in una visita e con tanti amici portoghesi.
Direi che è vero, verissimo che il Portogallo è stato una grande forza della fede cattolica, ha portato questa fede in tutte le parti del mondo; una fede coraggiosa, intelligente e creativa; ha saputo creare grande cultura, lo vediamo in Brasile, nello stesso Portogallo, ma anche la presenza dello spirito portoghese in Africa, in Asia.
E d’altra parte la presenza del secolarismo non è una cosa del tutto nuova. La dialettica tra secolarismo e fede in Portogallo ha una lunga storia. Già nel ’700 c’è una forte presenza dell’Illuminismo, basti pensare al nome Pombal.
Così vediamo che in questi secoli il Portogallo ha vissuto sempre nella dialettica, che naturalmente oggi si è radicalizzata e si mostra con tutti i segni dello spirito europeo di oggi. E questa mi sembra una sfida e anche una grande possibilità. In questi secoli di dialettica tra illuminismo, secolarismo e fede, non mancavano mai persone che volevano creare dei ponti e creare un dialogo, ma purtroppo la tendenza dominante fu quella della contrarietà e dell’esclusione l’uno dell’altro.
Oggi vediamo che proprio questa dialettica è una chance, che dobbiamo trovare la sintesi e un foriero e profondo dialogo. Nella situazione multiculturale nella quale siamo tutti, si vede che una cultura europea che fosse solo razionalista non avrebbe la dimensione religiosa trascendente, non sarebbe in grado di entrare in dialogo con le grandi culture dell’umanità, che hanno tutte questa dimensione religiosa trascendente, che è una dimensione dell’essere umano.
E quindi pensare che ci sarebbe una ragione pura, anti-storica, solo esistente in se stessa e che sarebbe questa "la" ragione, è un errore; scopriamo sempre più che tocca solo una parte dell’uomo, esprime una certa situazione storica, non è la ragione come tale. La ragione come tale è aperta alla trascendenza e solo nell’incontro tra la realtà trascendente e la fede e la ragione l’uomo trova se stesso.

Quindi penso che proprio il compito e la missione dell’Europa in questa situazione è trovare questo dialogo, integrare fede e razionalità moderna in un'unica visione antropologica, che completa l’essere umano e rende così anche comunicabili le culture umane.

Perciò direi che la presenza del secolarismo è una cosa normale, ma la separazione, la contrarietà tra secolarismo e cultura della fede è anomala e deve essere superata. La grande sfida di questo momento è che i due si incontrino e così trovino la loro vera identità. Questa, come ho detto, è una missione dell’Europa e la necessità umana in questa nostra storia.

Padre Lombardi: Grazie, Santità, e continuiamo allora sul tema dell’Europa. La crisi economica si è recentemente aggravata in Europa e coinvolge in particolare anche il Portogallo. Alcuni leaders europei pensano che il futuro dell’Unione Europea sia a rischio. Quali lezioni imparare da questa crisi, anche sul piano etico e morale? Quali le chiavi per consolidare l’unità e la cooperazione dei Paesi europei in futuro?

Papa
: Direi che proprio questa crisi economica, con la sua componente morale, che nessuno può non vedere, sia un caso di applicazione, di concretizzazione di quanto avevo detto prima, cioè che due correnti culturali separate devono incontrarsi, altrimenti non troviamo la strada verso il futuro. Anche qui vediamo un dualismo falso, cioè un positivismo economico che pensa di potersi realizzare senza la componente etica, un mercato che è sarebbe regolato solo da se stesso, dalle pure forze economiche, dalla razionalità positivista e pragmatista dell’economia - l’etica sarebbe qualcosa d’altro, estranea a questo. In realtà, vediamo adesso che un puro pragmatismo economico, che prescinde dalla realtà dell’uomo - che è un essere etico -, non finisce positivamente, ma crea problemi irresolubili.
Perciò, adesso è il momento di vedere che l’etica non è una cosa esterna, ma interna alla razionalità e al pragmatismo economico. D’altra parte, dobbiamo anche confessare che la fede cattolica, cristiana, spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo. Quindi, anche qui dobbiamo entrare in un dialogo concreto.

Ho cercato nella mia enciclica "Caritas in veritate" - e tutta la tradizione della Dottrina sociale della Chiesa va in questo senso - di allargare l’aspetto etico e della fede al di sopra dell’individuo, alla responsabilità verso il mondo, ad una razionalità "performata" dall’etica. D’altra parte, gli ultimi avvenimenti sul mercato, in questi ultimi due, tre anni, hanno mostrato che la dimensione etica è interna e deve entrare nell’interno dell’agire economico, perché l’uomo è uno, e si tratta dell’uomo, di un’antropologia sana, che implica tutto, e solo così si risolve il problema, solo così l’Europa svolge e realizza la sua missione.

Padre Lombardi: Grazie, e ora veniamo a Fatima, dove sarà un po’ il culmine anche spirituale di questo viaggio. Santità, quale significato hanno oggi per noi le Apparizioni di Fatima? E quando Lei presentò il testo del terzo segreto nella Sala Stampa Vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, Le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei Papi. E’ possibile, secondo Lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori?

Papa: Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia proprio nel suo presente e illumina questa storia. Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, che non viene solo dall’immaginazione della persona, ma in realtà dalla Vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto.
Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era - diciamo – "vestita" in questa visione possibile alle persone concrete.
Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano.
Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano. Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo.

L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù cardinali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione.

Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia.

Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia.

Padre Lombardi: Grazie, Santità, della chiarezza, della profondità delle sue risposte e di questa parola di speranza conclusiva che ci ha dato. Noi le auguriamo veramente di poter svolgere serenamente questo viaggio così impegnativo e di poterlo vivere anche con tutta la gioia e la profondità spirituale che l’incontro con il mistero di Fatima ci ispira. Buon viaggio a Lei e noi cercheremo di fare bene il nostro servizio e di diffondere obiettivamente quello che Lei farà.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 9 maggio 2010

Benedetto XVI: i sacerdoti tornino al confessionale!


(fonte: Totus Tuus)



Cari fratelli e sorelle,

domenica scorsa, nella mia Visita Pastorale a Torino, ho avuto la gioia di sostare in preghiera davanti alla sacra Sindone, unendomi agli oltre due milioni di pellegrini che durante la solenne Ostensione di questi giorni, hanno potuto contemplarla. Quel sacro Telo può nutrire ed alimentare la fede e rinvigorire la pietà cristiana, perché spinge ad andare al Volto di Cristo, al Corpo del Cristo crocifisso e risorto, a contemplare il Mistero Pasquale, centro del Messaggio cristiano. Del Corpo di Cristo risorto, vivo e operante nella storia (cfr Rm 12,5), noi, cari fratelli e sorelle, siamo membra vive, ciascuno secondo la propria funzione, con il compito cioè che il Signore ha voluto affidarci. Oggi, in questa catechesi, vorrei ritornare ai compiti specifici dei sacerdoti, che, secondo la tradizione, sono essenzialmente tre: insegnare, santificare e governare. In una delle catechesi precedenti ho parlato sulla prima di queste tre missioni: l’insegnamento, l’annuncio della verità, l’annuncio del Dio rivelato in Cristo, o – con altre parole – il compito profetico di mettere l’uomo in contatto con la verità, di aiutarlo a conoscere l’essenziale della sua vita, della realtà stessa.


Oggi vorrei soffermarmi brevemente con voi sul secondo compito che ha il sacerdote, quello di santificare gli uomini, soprattutto mediante i Sacramenti e il culto della Chiesa. Qui dobbiamo innanzitutto chiederci: Che cosa vuol dire la parola "Santo"? La risposta è: "Santo" è la qualità specifica dell’essere di Dio, cioè assoluta verità, bontà, amore, bellezza – luce pura. Santificare una persona significa quindi metterla in contatto con Dio, con questo suo essere luce, verità, amore puro. E’ ovvio che tale contatto trasforma la persona. Nell’antichità c’era questa ferma convinzione: Nessuno può vedere Dio senza morire subito. Troppo grande è la forza di verità e di luce! Se l’uomo tocca questa corrente assoluta, non sopravvive. D’altra parte c’era anche la convinzione: Senza un minimo contatto con Dio l’uomo non può vivere. Verità, bontà, amore sono condizioni fondamentali del suo essere. La questione è: Come può trovare l’uomo quel contatto con Dio, che è fondamentale, senza morire sopraffatto dalla grandezza dell’essere divino? La fede della Chiesa ci dice che Dio stesso crea questo contatto, che ci trasforma man mano in vere immagini di Dio.


Così siamo di nuovo arrivati al compito del sacerdote di "santificare". Nessun uomo da sé, a partire dalla sua propria forza può mettere l’altro in contatto con Dio. Parte essenziale della grazia del sacerdozio è il dono, il compito di creare questo contatto. Questo si realizza nell’annuncio della parola di Dio, nella quale la sua luce ci viene incontro. Si realizza in un modo particolarmente denso nei Sacramenti. L’immersione nel Mistero pasquale di morte e risurrezione di Cristo avviene nel Battesimo, è rafforzata nella Confermazione e nella Riconciliazione, è alimentata dall’Eucaristia, Sacramento che edifica la Chiesa come Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores gregis, n. 32). E’ quindi Cristo stesso che rende santi, cioè ci attira nella sfera di Dio. Ma come atto della sua infinita misericordia chiama alcuni a "stare" con Lui (cfr Mc 3,14) e diventare, mediante il Sacramento dell’Ordine, nonostante la povertà umana, partecipi del suo stesso Sacerdozio, ministri di questa santificazione, dispensatori dei suoi misteri, "ponti" dell’incontro con Lui, della sua mediazione tra Dio e gli uomini e tra gli uomini e Dio (cfr PO, 5).


Negli ultimi decenni, vi sono state tendenze orientate a far prevalere, nell’identità e nella missione del sacerdote, la dimensione dell’annuncio, staccandola da quella della santificazione; spesso si è affermato che sarebbe necessario superare una pastorale meramente sacramentale. Ma è possibile esercitare autenticamente il Ministero sacerdotale "superando" la pastorale sacramentale? Che cosa significa propriamente per i sacerdoti evangelizzare, in che cosa consiste il cosiddetto primato dell’annuncio? Come riportano i Vangeli, Gesù afferma che l’annuncio del Regno di Dio è lo scopo della sua missione; questo annuncio, però, non è solo un "discorso", ma include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire; i segni, i miracoli che Gesù compie indicano che il Regno viene come realtà presente e che coincide alla fine con la sua stessa persona, con il dono di se, come abbiamo sentito oggi nella lettura del Vangelo. E lo stesso vale per il ministro ordinato: egli, il sacerdote, rappresenta Cristo, l’Inviato del Padre, ne continua la sua missione, mediante la "parola" e il "sacramento", in questa totalità di corpo e anima, di segno e parola. Sant’Agostino, in una lettera al Vescovo Onorato di Thiabe, riferendosi ai sacerdoti afferma: "Facciano dunque i servi di Cristo, i ministri della parola e del sacramento di Lui, ciò che egli comandò o permise" (Epist. 228, 2). E’ necessario riflettere se, in taluni casi, l’aver sottovalutato l’esercizio fedele del munus sanctificandi, non abbia forse rappresentato un indebolimento della stessa fede nell’efficacia salvifica dei Sacramenti e, in definitiva, nell’operare attuale di Cristo e del suo Spirito, attraverso la Chiesa, nel mondo.


Chi dunque salva il mondo e l’uomo? L’unica risposta che possiamo dare è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si attualizza il Mistero della morte e risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? Nell’azione di Cristo mediante la Chiesa, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale redentrice del Figlio di Dio, nel Sacramento della Riconciliazione, in cui dalla morte del peccato si torna alla vita nuova, e in ogni altro atto sacramentale di santificazione (cfr PO, 5). E’ importante, quindi, promuovere una catechesi adeguata per aiutare i fedeli a comprendere il valore dei Sacramenti, ma è altrettanto necessario, sull’esempio del Santo Curato d’Ars, essere disponibili, generosi e attenti nel donare ai fratelli i tesori di grazia che Dio ha posto nelle nostre mani, e dei quali non siamo i "padroni", ma custodi ed amministratori. Soprattutto in questo nostro tempo, nel quale, da un lato, sembra che la fede vada indebolendosi e, dall’altro, emergono un profondo bisogno e una diffusa ricerca di spiritualità, è necessario che ogni sacerdote ricordi che nella sua missione l’annuncio missionario e il culto e i sacramenti non sono mai separati e promuova una sana pastorale sacramentale, per formare il Popolo di Dio e aiutarlo a vivere in pienezza la Liturgia, il culto della Chiesa, i Sacramenti come doni gratuiti di Dio, atti liberi ed efficaci della sua azione di salvezza.


Come ricordavo nella santa Messa Crismale di quest’anno: "Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di Sé. (...) Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali (...) che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso" (S. Messa Crismale, 1 aprile 2010). La verità secondo la quale nel Sacramento "non siamo noi uomini a fare qualcosa" riguarda, e deve riguardare, anche la coscienza sacerdotale: ciascun presbitero sa bene di essere strumento necessario all’agire salvifico di Dio, ma pur sempre strumento. Tale coscienza deve rendere umili e generosi nell’amministrazione dei Sacramenti, nel rispetto delle norme canoniche, ma anche nella profonda convinzione che la propria missione è far sì che tutti gli uomini, uniti a Cristo, possano offrirsi a Dio come ostia viva e santa a Lui gradita (cfr Rm 12,1). Esemplare, circa il primato del munus sanctificandi e della giusta interpretazione della pastorale sacramentale, è ancora san Giovanni Maria Vianney, il quale, un giorno, di fronte ad un uomo che diceva di non aver fede e desiderava discutere con lui, il parroco rispose: "Oh! amico mio, v’indirizzate assai male, io non so ragionare... ma se avete bisogno di qualche consolazione, mettetevi là... (il suo dito indicava l’inesorabile sgabello [del confessionale]) e credetemi, che molti altri vi si sono messi prima di voi, e non ebbero a pentirsene" (cfr Monnin A., Il Curato d’Ars. Vita di Gian-Battista-Maria Vianney, vol. I, Torino 1870, pp. 163-164).


Cari sacerdoti, vivete con gioia e con amore la Liturgia e il culto: è azione che il Risorto compie nella potenza dello Spirito Santo in noi, con noi e per noi. Vorrei rinnovare l’invito fatto recentemente a "tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il Sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui ‘abitare’ più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina, accanto alla Presenza reale nell’Eucaristia" (Discorso alla Penitenzieria Apostolica, 11 marzo 2010). E vorrei anche invitare ogni sacerdote a celebrare e vivere con intensità l’Eucaristia, che è nel cuore del compito di santificare; è Gesù che vuole stare con noi, vivere in noi, donarci se stesso, mostrarci l’infinita misericordia e tenerezza di Dio; è l’unico Sacrificio di amore di Cristo che si rende presente, si realizza tra di noi e giunge fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio, abbraccia l’umanità e ci unisce a Lui (cfr Discorso al Clero di Roma, 18 febbraio 2010). E il sacerdote è chiamato ad essere ministro di questo grande Mistero, nel Sacramento e nella vita. Se "la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate", ciò non toglie nulla "alla necessaria, anzi indispensabile tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale": c’è anche un esempio di fede e di testimonianza di santità, che il Popolo di Dio si attende giustamente dai suoi Pastori (cfr Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria della Congr. per il Clero, 16 marzo 2009). Ed è nella celebrazione dei Santi Misteri che il sacerdote trova la radice della sua santificazione (cfr PO, 12-13).


Cari amici, siate consapevoli del grande dono che i sacerdoti sono per la Chiesa e per il mondo; attraverso il loro ministero, il Signore continua a salvare gli uomini, a rendersi presente, a santificare. Sappiate ringraziare Dio, e soprattutto siate vicini ai vostri sacerdoti con la preghiera e con il sostegno, specialmente nelle difficoltà, affinché siano sempre più Pastori secondo il cuore di Dio. Grazie.

S. S. Benedetto XVI - UDIENZA GENERALE 05.05.2010

domenica 2 maggio 2010

Card. Caffarra: Sulla dittatura del relativismo


Card. Carlo Caffarra

Omelia per il V anniversario della elezione al Soglio Pontificio

di Papa Benedetto XVI (in Cattedrale)

19 aprile 2010



È intrinseco alla testimonianza cristiana lo scontro coi poteri di questo mondo.

Quale è il “potere del mondo” con cui oggi si scontra la testimonianza che quotidianamente Benedetto XVI rende a Cristo? Prima ho parlato della “dittatura del relativismo”. Con questa espressione il S. Padre intende quel modo di pensare oggi così diffuso secondo il quale non esiste alcuna verità universalmente valida circa ciò che è bene o male; che «non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Una tale posizione, sul piano etico, ha una potenza devastante smisurata. Vengono censurate non solo le norme morali del cristianesimo; ma ogni tentativo di mostrare che esistono norme morali che difendono “beni umani non negoziabili”, è rigettato in partenza. Mai l’uomo è stato esposto ad un pericolo più grave, dal momento che è stato privato del potere di riconoscere le prevaricazioni contro se stesso. Il “sistema spirituale immunitario” che lo difende da ogni attacco alla sua dignità – la convinzione che esistano beni umani non negoziabili – è stato annullato.
È su questo livello che lo scontro fra il S. Padre e il potere culturale del mondo è totale.
(fonte: Totus Tuus)

sabato 1 maggio 2010

Lasciamo ai laicisti i riti laici..


1° Maggio San Giuseppe Lavoratore


SAN GIUSEPPE:
CO-PARTECIPAZIONE AI MAGGIORI
EVENTI STORICI




Il grande San Giuseppe, nato da famiglia illustre, conduce frattanto un’esistenza oscura che, in contrasto con lo splendore delle sue origini, lo colloca nella più modesta categoria della società del suo tempo.

Infatti, gli mancano le doti naturali che rendono gli uomini grandi. Non dispone di eserciti né di sudditi, che facciano echeggiare la gloria del suo nome. Non ha denaro per scalare le più elevate posizioni. Vive umile e sconosciuto, all’ombra del Tempio maestoso eretto dal re Davide, nello stesso paese in cui regnò la sapienza di Salomone. Tuttavia, risplende in lui una fiamma della carità. Un intenso amore a Dio, una spiritualità e una vita interiore ammirevoli che fanno della sua anima l’oggetto in cui si compiace la Santissima Trinità.

E quest’uomo umile è chiamato a collaborare in modo diretto agli avvenimenti dai quali saebbero decorsi i più notevoli eventi della Storia – ad esempio, alla Redenzione del mondo.

(Plinio Corrêa de Oliveira, “O Legionario”, 26/03/1933 e “Catolicismo”, Marzo 2009)