di Rodolfo Casadei
Prendere parte a risse è sempre disdicevole. Ma se proprio fossi stato costretto a partecipare, sotto ricatto o per mancanza di alternative, a quella di domenica scorsa fra i vetturini delle botticelle romane e i militanti del Partito animalista europeo in Piazza di Spagna a Roma, non avrei avuto dubbi nella scelta: dalla parte dei cocchieri e della loro rabbiosa reazione al tentativo dei sedicenti difensori dei “diritti” degli animali di impedire loro di lavorare. Può darsi che alcuni conducenti stessero violando l’ordinanza del sindaco che indica orari e temperature in coincidenza delle quali non è autorizzata la circolazione delle carrozzelle trainate da cavalli, ma i loro critici avevano facoltà di sporgere denuncia, presentare esposti, richiamare l’attenzione degli agenti della polizia municipale in servizio, ecc. Invece hanno scelto la via della provocazione e dello scontro al solo scopo di farsi pubblicità e di diffondere un’immagine negativa di Roma (la scena della rissa in uno dei siti turistici italiani più frequentati è stata videotrasmessa in tutto il mondo), con cui poi ricattare le autorità locali per ottenere misure draconiane, come il ritiro di tutte le licenze ai conduttori di botticelle.
Ma prima che commisurata ai fatti e alle circostanze, la mia presa di posizione è culturale. Perché il linguaggio degli animalisti rappresenta un vero e proprio inquinamento del pensiero e perché al fondo delle loro azioni c’è un’antropologia insostenibile e inaccettabile, sentimentalista e misantropa. È un abuso costante della razionalità l’uso da parte degli animalisti, sull’onda degli scritti di Peter Singer e Richard Ryder, del termine “diritti” in riferimento a quello che potrebbe o non potrebbe essere fatto dagli uomini agli animali. I diritti sono il necessario complemento dei doveri dei soggetti moralmente responsabili, cioè di coloro che dispongono di un certo grado di libertà nelle loro azioni. Gli esseri umani hanno diritti perché hanno doveri: sono tenuti, per esempio, a rispettare l’integrità della vita degli altri uomini, e da ciò discende logicamente il diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. Questo non vale per gli animali, ai quali non può essere chiesto di assolvere a doveri: l’istinto detta tutti i loro comportamenti, e l’animale che uccidesse un essere umano con un’azione innescata o dalla paura, o dalla fame, o dagli imperativi del controllo del loro territorio, ecc. non sarebbe moralmente responsabile della sua azione. La soppressione o la reclusione di un animale che ha causato gravi danni a esseri umani non è una punizione o una pena – concetti relativi all’ambito morale – ma una misura pratica per prevenire il ripetersi del danno. Pertanto gli animali, non avendo doveri verso gli uomini, non hanno nemmeno diritti.