L’Eucarestia: diritto o dono?
Intervista con S.E. mons. Raymond L. Burke
a cura di Thomas J. McKenna
S.E. mons. Raymond L. Burke, finora arcivescovo di Saint Louis, è stato chiamato lo scorso giugno in Vaticano dal Santo Padre per dirigere il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Affrontiamo con lui il fondamentale tema del rispetto della Santa Eucaristia e degli aspetti pastorali del can. 915 del C.I.C.
Eccellenza, sembra che oggi prevalga una visione lassista nei riguardi della ricezione dell’Eucaristia. Perché? Crede poi che questo influenzi i fedeli nel modo di vivere come cattolici?
Una delle ragioni per cui credo che questo lassismo sia andato sviluppandosi è l’insufficiente enfasi nella devozione eucaristica: in modo speciale mediante il culto al Santissimo con le processioni; con le benedizioni del Santissimo; con tempi più lunghi per l’adorazione solenne e con la devozione delle Quaranta Ore.
Senza devozione al Santissimo Sacramento la gente perde rapidamente la fede eucaristica. Sappiamo che c’è una percentuale elevata di cattolici che non crede che sotto le specie eucaristiche ci siano il corpo e il sangue di Cristo. Sappiamo inoltre esserci un’allarmante percentuale di cattolici che non partecipano alla Messa domenicale.
Un altro aspetto è la perdita del senso di collegamento fra il sacramento dell’Eucaristia e quello della Penitenza. Forse nel passato c’è stata un’enfasi esagerata al punto che la gente credeva che ogni volta che si riceveva l’Eucaristia si doveva prima confessare anche se non avevano un peccato mortale. Ma ora la gente va regolarmente a comunicarsi e forse mai, o molto di rado, si confessa.
Si è perso il senso della nostra propria indegnità per accostarci al Sacramento e del bisogno di confessare i peccati e far penitenza al fine di ricevere degnamente la Sacra Euca ristia. Si somma a questo il senso sviluppatosi a partire dalla sfera civile che consiste nel credere che ricevere l’Eucaristia sia un diritto. Cioè che come cattolici abbiamo il diritto di ricevere la Comunione.
È vero che una volta che siamo stati battezzati e abbiamo raggiunto l’uso della ragione, dovremmo essere preparati per ricevere la Sacra Comunione e, se siamo ben disposti, dobbiamo riceverla. Ma d’altra parte
Ci sono leggi della Chiesa per impedire condotte inadeguate da parte dei fedeli a beneficio della comunità. Potrebbe commentarle e spiegarci fino a che punto la Chiesa e la Gerarchia hanno un obbligo di intervenire allo scopo di chiarire e correggere.
Nei riguardi dell’Eucaristia, per esempio, ci sono due canoni in particolare che hanno a che fare con la degna ricezione del Sacramento. Essi hanno come scopo due beni. Un bene è quello della persona stessa, perché ricevere indegnamente il Corpo e il Sangue di Cristo è un sacrilegio. Se lo si fa deliberatamente in peccato mortale, è un sacrilegio. Quindi per il bene della persona stessa, la Chiesa deve istruirci dicendoci che ogni volta che riceviamo l’Eucaristia, dobbiamo prima esaminare la nostra coscienza. Se abbiamo un peccato mortale sulla coscienza dobbiamo prima confessarci di quel peccato e ricevere l’assoluzione e, soltanto dopo, accostarci al sacramento eucaristico. Molte volte i nostri peccati gravi sono nascosti e noti solo a noi stessi e forse a pochi altri. In quel caso, dobbiamo essere noi a tenere sotto controllo la situazione ed essere in grado di disciplinarci in modo di non ricevere la Comunione. Ma ci sono altri casi di persone che commettono peccati gravi deliberatamente e sono casi pubblici, come un ufficiale pubblico che con conoscenza e con sentimento sostiene azioni che sono contro la legge morale Divina ed Eterna. Per esempio, pubblicamente appoggia l’aborto procurato, che comporta la soppressione di vite umane innocenti e senza difesa. Una persona che commette peccato in questa maniera è da ammonire pubblicamente in modo che non riceva la Comunione finché non abbia riformato la propria vita. Se una persona che è stata ammonita persiste in un peccato mortale pubblico e si avvicina per ricevere la Comunione , allora il ministro dell’Eucaristia ha l’obbligo di rifiutargliela. Perchè? Innanzitutto per la salvezza della persona stessa, cioè per impedirle di compiere un sacrilegio. Ma anche per la salvezza di tutta la Chiesa , per impedire che ci sia scandalo in due maniere. Primo, uno scandalo riguardante quale debba essere la nostra disposizione per ricevere la Santa Comu nione. In altre parole, si deve evitare che la gente sia indotta a pensare che si può essere in stato di peccato mortale e accostarsi all’Eucaristia. Secondo, ci potrebbe essere un’altra forma di scandalo, consistente nell’indurre la gente a pensare che l’atto pubblico che questa persona sta facendo, che finora tutti credono sia un peccato serio, non debba esserlo tanto se la Chiesa permette a quella persona di ricevere la Comunione. Se abbiamo una figura pubblica che apertamente e deliberatamente sostiene i diritti abortisti e che riceve l’Eucaristia, che finirà per pensare la gente comune?
Essa può essere portata a credere che è corretto in un certo qual modo sopprimere una vita innocente nel seno materno. Ora la Chiesa ha queste discipline e sono molto antiche. In realtà risalgono ai tempi di san Paolo. Ma lungo la sua storia, la Chiesa ha sempre dovuto disciplinare la materia della ricezione della Comunione, che è il più sacro tesoro che essa possiede. È il dono del Corpo e del Sangue di Cristo. Disciplinare questa pratica in modo che, primo, la gente non si avvicini né riceva la Santa Comunione indegnamente a costo del proprio danno morale e, secondo, che la fede eucaristica sia sempre rispettata e i fedeli non siano indotti in confusione, persino in errore, nei riguardi della sacralità del sacramento e della legge morale. Eccellenza ci sono casi in cui figure pubbliche vanno a Messa e ricevono i sacramenti e pubblicamente dicono di essere cattolici ma che in pratica sostengono legislazioni contrarie alla morale cattolica. Alcuni di loro, come scusante, sostengono di sentire in coscienza che non fanno niente di sbagliato e che comunque è una vicenda privata. Lei potrebbe spiegare perché questa posizione è erronea e come la formazione della propria coscienza non sia una questione soggettiva. È vero che dobbiamo agire in modo conforme ai dettami della nostra coscienza, ma essa deve essere adeguatamente formata. La nostra coscienza deve conformarsi alla verità delle situazioni. Essa non è una realtà soggettiva con cui giudico per me stesso cosa è bene e cosa è male. Anzi, essa è una realtà oggettiva per la quale devo conformare il mio pensiero alla verità. A volte si sente parlare del primato della coscienza nel senso di dire “qualsiasi cosa io decida in coscienza, questo devo fare”, e un tale assioma poi regola la vita. Certo, questo è vero se la coscienza è stata formata adeguatamente.
Essa può essere portata a credere che è corretto in un certo qual modo sopprimere una vita innocente nel seno materno.
Amo ripetere quello che ha detto il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney: “anziché parlare di primato della coscienza dobbiamo parlare di primato della verità”. Cioè, la verità della legge morale di Dio con la quale la nostra coscienza deve conformarsi. Fatto questo, allora sì che la coscienza ha quel primato che le viene attribuito.
Anzitutto bisogna dire che il Corpo e il Sangue di Cristo sono un dono dell’amore di Dio per noi. Il più grande dono, un dono che va oltre la nostra capacità di descriverlo. Dunque nessuno ha diritto a questo dono, esattamente come non abbiamo mai diritto a nessun dono che ci viene fatto.
Un dono è gratuito, causato dall’amore, e ciò è precisamente quanto Dio fa ogni volta che partecipiamo alla Messa e riceviamo la Sacra Eucaristia. Pertanto, dire che abbiamo diritto di ricevere la Comunione non è corretto.
Se vogliamo dire che, se siamo ben disposti, possiamo accostarci all’Eucaristia nella Messa che si sta celebrando, che abbiamo il diritto di ricevere la Comunione nel senso che abbiamo il diritto di avvicinarci per farlo, allora sì, questo è vero.
Orbene, nella ricezione della Sacra Eucaristia sono coinvolti Nostro Signore stesso, la persona che deve ricevere, e infine il ministro del sacramento, che ha la responsabilità di assicurarsi che l’Eucaristia sia data solo alle persone degne di riceverla. Certamente la Chiesa ha il diritto di dire a chi persiste in serio peccato pubblico, che non potrà ricevere la Comunione finché non sarà ben disposto per farlo. Questo diritto del ministro di rifiutarsi a dare la Comunione a qualcuno che persiste nel peccato grave e pubblico è salvaguardato dal codice di Diritto Canonico sotto il canone 915. Altrimenti, se si vede negato il diritto del rifiuto a dare l’Eucaristia a un peccatore pubblico che si avvicini a riceverla dando scandalo a tutti, è il ministro che viene messo in situazione di violentare la propria coscienza al riguardo di una materia serissima. Ciò sarebbe semplicemente sbagliato.
Eccellenza, sembra che spesso la richiesta di adempire la legge canonica da parte di un vescovo, di un sacerdote e persino di un’autorità della Curia Vaticana, è vista da alcuni come una crudeltà, come un atto prevaricatore nei riguardi dei fedeli. Non vedono questo come un atto di carità, finalizzato a evitare che qualcuno si accosti all’Eucaristia in modo indegno compromettendo la sua salvezza eterna. Per questa ragione la Chiesa ha le sue regole. Potrebbe commentare questo aspetto del ministero?
Sono d’accordo, certo. E il più grande atto di carità evitare che qualcuno faccia una cosa sacrilega. Prima si deve ammonire chi vuole farlo e poi si deve evitare di prendere parte a un sacrilegio.
E una situazione analoga a quella del genitore che deve opporsi a che il bambino giochi col fuoco. A chi verrebbe di dire che il genitore non è caritatevole perché lo richiama alla disciplina? Anzi, diremmo che questo è un genitore che veramente ama il figlio.
Lo stesso fa la Chiesa ; nel suo amore Essa vieta di far cose gravemente offensive a Dio e gravemente dannose alle anime stesse.
Si dice a volte che quando un membro della Gerarchia ammonisce cattolici che sono figure pubbliche, stia usando la sua influenza per interferire nella politica. Come risponde a questa obiezione?
Il vescovo o l’autorità ecclesiastica, potrebbe essere anche il parroco, che interviene in queste situazioni, lo fa solo per il bene dell’anima della figura pubblica coinvolta. Non c’entra nulla la volontà di interferire nella vita pubblica, bensì nello stato spirituale del politico o dell’ufficiale pubblico che, se è cattolico, è tenuto a seguire la legge divina anche nella sfera pubblica. Se non lo fa, deve essere ammonito dal suo pastore.
Dunque, è semplicemente ridicolo e sbagliato cercare di zittire un pastore accusandolo di interferire in politica affinché non possa fare il bene all’anima di un membro del suo gregge.
Questo si desume anche da quanto ha denunciato il Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi, cioè il desiderio di alcune persone della nostra società di relegare completamente la fede religiosa nell’ambito privato, affermando che essa non ha niente a che fare con l’ambito pubblico. Questo è semplicemente sbagliato.
Dobbiamo dare testimonianza della nostra fede non soltanto nel privato dei nostri focolari ma anche nel nostro interagire pubblico con gli altri, per dare una forte testimonianza di Cristo. Quindi dobbiamo finirla con l’idea che in un certo qual modo la nostra fede è una materia completamente privata che non c’entra con la nostra vita pubblica.
(pubblicato in Fede e teologia, 3(2008), 40-44)
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