di Massimo Micaletti
Ancora una volta, come ogni anno, coloro che difendono veramente il concepito sono chiamati a raccolta alla Marcia per la Vita, un evento straordinario se si pensa alla limitatezza delle persone e delle risorse che lo permettono.
Mentre a Torino Silvio Viale si vanta pubblicamente di frullare i bambini[1], ed in Polonia i bambini Down vengono lasciati ad agonizzare per un’ora finché non crepano per asfissia e lesioni cerebrali[2], a Roma si raccoglie un popolo che i bambini li ama e che non porta a casa lo stipendio frullandoli o lasciandoli a crepare.
Ma non è Silvio Viale o l’abortista polacco il nemico della Marcia.
Non lo sono neppure quelle associazioni o movimenti culturali e politici che ignorano da sempre la Marcia, cercano di non menzionarla, non considerarla, capaci di minimizzare anche quando – come nel 2015 – essa ha radunato quarantamila persone. Certo, quando sai che questa o quella sigla “non aderisce ufficialmente” o che questo o quel quotidiano (apparentemente) cattolico spenderà qualche centimetro quadro di carta al’ultimo momento e nulla più, ecco, ci rimani un po’ male. Ma non più di tanto. I veri pro life sono abituati ad essere guardati da una certa distanza, a sentirsi dire che sono troppo questo e troppo quello: non è una medaglia, non è un merito, è una condizione, fa parte del pacchetto. Difendi la vita senza compromesso e al dunque ti ritroverai con altri quattro gatti. E’ così da sempre.