fonte: Il Blog di Andrea Tornielli
di ANDREA TORNIELLI
Cari amici su queste pagine, negli anni scorsi, avevo scritto della curiosa reazione “ambrosiana” al motu proprio di Benedetto XVI che nel 2007, come sapete, ha liberalizzato la messa antica. Motu proprio che, ha dichiarato il vicecapo del rito ambrosiano, mons. Luigi Manganini, non si applica alla diocesi di Milano. Quanto è accaduto nei giorni scorsi e poi ancora stamattina, la dice però molto lunga, a mio avviso, sul “rito” ambrosiano e su come un alto esponente dello stesso, arciprete del Duomo di Milano nonché vicario episcopale, guardi (?) al Papa, alla sua parola, al suo insegnamento, al suo esempio.
Questi i fatti. Ieri sera a Seregno si è svolto un convegno sulla figura del neo-beato John Henry Newman, elevato all’onore degli altari da Benedetto XVI durante il recente viaggio in Gran Bretagna. Tra i partecipanti c’era anche il sacerdote belga Jean-Pierre Herman, teologo, cappellano di Notre Dame de Beauraing nonché segretario aggiunto del nuovo arcivescovo di Malines-Bruxelles, André Joseph Leonard. Il sacerdote celebra la messa quotidiana con il messale antico, quello liberalizzato da Benedetto XVI. Don Jean-Pierre ha chiesto di poter celebrare la mattina dopo il convegno quella messa nella chiesa parrocchiale: trattandosi di una messa il sabato mattina alle 11, si trattava ovviamente di una celebrazione al di fuori del normale calendario della parrocchia e vi avrebbero assistito i promotori e qualche partecipante al convegno su Newman della sera precedente.
Il parroco era favorevole, ma ha consultato il responsabile del rito ambrosiano, vale a dire Manganini, che magnanimamente, seguendo la lettera e soprattutto la “mens” del Pontefice, ha pensato bene di rispondere inizialmente di no. Messa vietata. Il presidente del Centro culturale Newman di Seregno, Andrea Sandri, gli ha fatto presente che in base al Codice di diritto canonico, non si poteva vietare. Allora Manganini, telefonicamente, ha detto sì, ma a patto che la celebrazione sia fatta a porte rigorosamente chiuse, “sine populo”, senza fedeli. Sandri ha inviato un fax urgente alla Pontificia commissione Ecclesia Dei, che come sapete da oltre un anno è stata inglobata nella Congregazione per la dottrina della fede. Dal Vaticano hanno risposto nel giro di 48 ore, con una lettera (pubblicata in originale sul blog di Messainlatino). Questo il testo:
Il motu proprio ‘Summorum Pontificum’ di S.S. Benedetto XVI dà facoltà a tutti i sacerdoti cattolici di rito latino, siano essi secolari o religiosi di celebrare nella “forma extraordinaria” del rito romano in tutto l’Orbe cattolico, usando il Messale di Giovanni XXIII ed. 1962, senza aver bisogno di alcun permesso né della Sede Apostolica né dell’Ordinario (cf. S.P. art. 2). Dare la licenza di celebrare in una parrocchia o in una rettoria spetta rispettivamente al Parroco o al Rettore (cf. S.P. art. 5 §3 e §5). Se la chiesa non avesse un Rettore designato, spetta al parroco del territorio, dove è ubicata la chiesa, dare la suddetta licenza. Il Motu Proprio all’art. 5 §3 stabilisce altresì che ai fedeli e ai sacerdoti che chiedono la celebrazione secondo il Messale del b. Giovanni XXIII, il parroco permetta le celebrazioni in questa “forma extraordinaria” anche in circostanze particolari. Trattandosi di una Santa Messa a conclusione di un convegno, si può legittimamente considerare una “circostanza particolare”, a condizione però che il sacerdote celebrante sia idoneo alla celebrazione e non giuridicamente impedito (cf. S.P. art. 5 §4).
In sostanza la commissione della Santa Sede deputata a questo, ricorda che non si può impedire ciò che il Papa ha concesso e che la celebrazione poteva tenersi. Mons. Manganini è rimasto sulla sua posizione, e ha messo nero su bianco le sue ragioni in una lettera inviata ad Andrea Sandri. Perché la messa doveva avvenire a porte chiuse? Perché quello della sera precedente non era un convegno ma una semplice conferenza e dunque non c’erano le condizioni per la “circostanza particolare”. Ma soprattutto per non suscitare meraviglia nel popolo, abituato al rito ambrosiano, che si sarebbe trovato improvvisamente spaesato di fronte al rito romano (e per di più antico)…
Già, è facile da immaginare, questa mattina, quale sarebbe stato lo scompiglio provocato in quel di Seregno: centinaia di persone in strada con i manifesti di protesta contro la Curia di Milano che ha concesso a questo prete per di più belga di celebrare non in italiano o in antico lumbard, ma addirittura in latino e secondo il rito romano, in terra ambrosiana, quasi un sacrilegio. Manganini deve aver giustamente temuto il ripertersi di storici moti popolari, dopo le Cinque giornate di Milano, le Cinque giornate di Seregno, combattute dai cattolicissimi genitori e figli, studenti e operai, giovani e teenager, che – è noto – a quell’ora del dì prefestivo – invece di fare jogging, andare a scuola, andare a far la spesa, andare a spasso, preparare il pranzo, andare a lavare la macchina, portare fuori il cane, sistemare il giardino – riempiono fino all’inverosimile tutte le chiese dell’hinterland spinti dallo spirito del Concilio. Occupano ogni sedia, ogni banco. Riempiono ogni spazio libero. E chi il sabato mattina non riesce a trovare posto in chiesa, segue le liturgie, le catechesi, la lectio o la cattedra dei non credenti dal sagrato, dalla piazza, dalle strade circostanti, dai bar, tutti collegati in videoconferenza. Si poteva impressionare tutto questo benemerito popolo di cattolici di Seregno? Si poteva far loro violenza per quaranta minuti con un rito che avrebbe provocato confusione e meraviglia? No, assolutamente no. Manganini deve aver giustamente pensato a quante richieste di ”sbattezzo” sarebbero piovute da lunedì negli uffici della Curia ambrosiana, già peraltro oberata di lavoro. Il decano della zona avrebbe protestato formalmente, ci sarebbe stato il rischio di uno scisma: la Chiesa che è in Seregno, attonita dalla “meraviglia” provocata nel popolo dall’inusitata concessione, avrebbe potuto chiedere di essere aggregata alla confederazione delle Chiese luterane. Non si poteva rischiare. Meglio vietare al popolo di entrare in chiesa. Un atteggiamento autenticamente sacerdotale, attento al bene delle anime, preoccupato che intendano bene il rito e che non vadano dietro a certe anticaglie ancien regime liberalizzate dal Papa.
Sapete che cosa è poi veramente accaduto stamattina? Un fatto gravissimo, una disobbedienza abnorme (si teme scomunica). Le porte della chiesa, alle 11 erano chiuse, ma una trentina di persone, complice il parroco accondiscendente, sono state fatte entrare alla chetichella, dalla porta di servizio. Non so se fuori all’edificio sacro sia stato appeso il cartello “Chiuso per restauri” o “conclave in corso”.
Mi ero trattenuto un mese e mezzo fa, dal raccontarvi dell’omelia che mons. Manganini aveva tenuto nella mia parrocchia, in occasione dell’insediamento del nuovo parroco, quando aveva invitato i fedeli a non “idolatrare” l’eucaristia. Non è la prima volta che mi capita: le tre volte che l’ho sentito predicare, mi è sempre sembrato di vedere – e lo dico con rispetto e con affetto – un sacerdote zelante che crede di rivolgersi non a della gente semplice, in una parrocchia di periferia con liturgie minimaliste e rigorosamente novus ordo, ma che pensa invece di essere a una celebrazione lefebvriana, piena di beghine con il velo in testa e uomini in feluca, in una chiesa barocca addobbata con le bandiere della nobiltà papalina, negli anni Cinquanta. Oggi, caro don Manganini, a me – modesto osservatore di cose cattoliche – sembrava che il rischio fosse l’opposto: non quello di idolatrare l’eucaristia, ma quello di non adorarla a sufficienza, o meglio di non adorarla proprio. Il Papa anche su questo insegna, con la parola e con l’esempio, ma evidentementre sbaglia lui e sbaglio io a far notare che sotto la Madonnina un vicario episcopale, arciprete del Duomo nonché responsabile del rito ambrosiano ha così a cuore il bene delle anime e teme così tanto la confusione e la meraviglia, da vietare a un prete, segretario del primate cattolico del Belgio, di celebrare una messa in rito romano antico a chiesa aperta. E per fortuna che con il Concilio la Chiesa doveva aprirsi…
Il parroco era favorevole, ma ha consultato il responsabile del rito ambrosiano, vale a dire Manganini, che magnanimamente, seguendo la lettera e soprattutto la “mens” del Pontefice, ha pensato bene di rispondere inizialmente di no. Messa vietata. Il presidente del Centro culturale Newman di Seregno, Andrea Sandri, gli ha fatto presente che in base al Codice di diritto canonico, non si poteva vietare. Allora Manganini, telefonicamente, ha detto sì, ma a patto che la celebrazione sia fatta a porte rigorosamente chiuse, “sine populo”, senza fedeli. Sandri ha inviato un fax urgente alla Pontificia commissione Ecclesia Dei, che come sapete da oltre un anno è stata inglobata nella Congregazione per la dottrina della fede. Dal Vaticano hanno risposto nel giro di 48 ore, con una lettera (pubblicata in originale sul blog di Messainlatino). Questo il testo:
Il motu proprio ‘Summorum Pontificum’ di S.S. Benedetto XVI dà facoltà a tutti i sacerdoti cattolici di rito latino, siano essi secolari o religiosi di celebrare nella “forma extraordinaria” del rito romano in tutto l’Orbe cattolico, usando il Messale di Giovanni XXIII ed. 1962, senza aver bisogno di alcun permesso né della Sede Apostolica né dell’Ordinario (cf. S.P. art. 2). Dare la licenza di celebrare in una parrocchia o in una rettoria spetta rispettivamente al Parroco o al Rettore (cf. S.P. art. 5 §3 e §5). Se la chiesa non avesse un Rettore designato, spetta al parroco del territorio, dove è ubicata la chiesa, dare la suddetta licenza. Il Motu Proprio all’art. 5 §3 stabilisce altresì che ai fedeli e ai sacerdoti che chiedono la celebrazione secondo il Messale del b. Giovanni XXIII, il parroco permetta le celebrazioni in questa “forma extraordinaria” anche in circostanze particolari. Trattandosi di una Santa Messa a conclusione di un convegno, si può legittimamente considerare una “circostanza particolare”, a condizione però che il sacerdote celebrante sia idoneo alla celebrazione e non giuridicamente impedito (cf. S.P. art. 5 §4).
In sostanza la commissione della Santa Sede deputata a questo, ricorda che non si può impedire ciò che il Papa ha concesso e che la celebrazione poteva tenersi. Mons. Manganini è rimasto sulla sua posizione, e ha messo nero su bianco le sue ragioni in una lettera inviata ad Andrea Sandri. Perché la messa doveva avvenire a porte chiuse? Perché quello della sera precedente non era un convegno ma una semplice conferenza e dunque non c’erano le condizioni per la “circostanza particolare”. Ma soprattutto per non suscitare meraviglia nel popolo, abituato al rito ambrosiano, che si sarebbe trovato improvvisamente spaesato di fronte al rito romano (e per di più antico)…
Già, è facile da immaginare, questa mattina, quale sarebbe stato lo scompiglio provocato in quel di Seregno: centinaia di persone in strada con i manifesti di protesta contro la Curia di Milano che ha concesso a questo prete per di più belga di celebrare non in italiano o in antico lumbard, ma addirittura in latino e secondo il rito romano, in terra ambrosiana, quasi un sacrilegio. Manganini deve aver giustamente temuto il ripertersi di storici moti popolari, dopo le Cinque giornate di Milano, le Cinque giornate di Seregno, combattute dai cattolicissimi genitori e figli, studenti e operai, giovani e teenager, che – è noto – a quell’ora del dì prefestivo – invece di fare jogging, andare a scuola, andare a far la spesa, andare a spasso, preparare il pranzo, andare a lavare la macchina, portare fuori il cane, sistemare il giardino – riempiono fino all’inverosimile tutte le chiese dell’hinterland spinti dallo spirito del Concilio. Occupano ogni sedia, ogni banco. Riempiono ogni spazio libero. E chi il sabato mattina non riesce a trovare posto in chiesa, segue le liturgie, le catechesi, la lectio o la cattedra dei non credenti dal sagrato, dalla piazza, dalle strade circostanti, dai bar, tutti collegati in videoconferenza. Si poteva impressionare tutto questo benemerito popolo di cattolici di Seregno? Si poteva far loro violenza per quaranta minuti con un rito che avrebbe provocato confusione e meraviglia? No, assolutamente no. Manganini deve aver giustamente pensato a quante richieste di ”sbattezzo” sarebbero piovute da lunedì negli uffici della Curia ambrosiana, già peraltro oberata di lavoro. Il decano della zona avrebbe protestato formalmente, ci sarebbe stato il rischio di uno scisma: la Chiesa che è in Seregno, attonita dalla “meraviglia” provocata nel popolo dall’inusitata concessione, avrebbe potuto chiedere di essere aggregata alla confederazione delle Chiese luterane. Non si poteva rischiare. Meglio vietare al popolo di entrare in chiesa. Un atteggiamento autenticamente sacerdotale, attento al bene delle anime, preoccupato che intendano bene il rito e che non vadano dietro a certe anticaglie ancien regime liberalizzate dal Papa.
Sapete che cosa è poi veramente accaduto stamattina? Un fatto gravissimo, una disobbedienza abnorme (si teme scomunica). Le porte della chiesa, alle 11 erano chiuse, ma una trentina di persone, complice il parroco accondiscendente, sono state fatte entrare alla chetichella, dalla porta di servizio. Non so se fuori all’edificio sacro sia stato appeso il cartello “Chiuso per restauri” o “conclave in corso”.
Mi ero trattenuto un mese e mezzo fa, dal raccontarvi dell’omelia che mons. Manganini aveva tenuto nella mia parrocchia, in occasione dell’insediamento del nuovo parroco, quando aveva invitato i fedeli a non “idolatrare” l’eucaristia. Non è la prima volta che mi capita: le tre volte che l’ho sentito predicare, mi è sempre sembrato di vedere – e lo dico con rispetto e con affetto – un sacerdote zelante che crede di rivolgersi non a della gente semplice, in una parrocchia di periferia con liturgie minimaliste e rigorosamente novus ordo, ma che pensa invece di essere a una celebrazione lefebvriana, piena di beghine con il velo in testa e uomini in feluca, in una chiesa barocca addobbata con le bandiere della nobiltà papalina, negli anni Cinquanta. Oggi, caro don Manganini, a me – modesto osservatore di cose cattoliche – sembrava che il rischio fosse l’opposto: non quello di idolatrare l’eucaristia, ma quello di non adorarla a sufficienza, o meglio di non adorarla proprio. Il Papa anche su questo insegna, con la parola e con l’esempio, ma evidentementre sbaglia lui e sbaglio io a far notare che sotto la Madonnina un vicario episcopale, arciprete del Duomo nonché responsabile del rito ambrosiano ha così a cuore il bene delle anime e teme così tanto la confusione e la meraviglia, da vietare a un prete, segretario del primate cattolico del Belgio, di celebrare una messa in rito romano antico a chiesa aperta. E per fortuna che con il Concilio la Chiesa doveva aprirsi…
(Nella foto: 21 giugno 1958, il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, ordina prete don Luigi Manganini. Il rito era antico, la chiesa era aperta, la fede era la stessa di oggi)
L'episodio è molto triste e viene sinceramente da chiedersi se erti sacerdoti credano CONCRETAMENTE e REALMENTE alla presenza di Cristo nell'Eucarestia o se il loro dir Messa (che non si può più a questo punto dire celebrare) non sia una reale e concreta presenza ma solo una commemorazione di un devoto ricordo...
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