sabato 30 aprile 2011

I rapporti prematrimoniali




di Corrado Gnerre


Nessuna forma di unione, al di fuori di quella Sacramentale, è in grado di garantire alla coppia la totalità e definitività della mutua donazione: ecco perché ogni rapporto prematrimoniale è in sé illegittimo e irresponsabile, perché può coinvolgere una terza vita.

Quando si ha a che fare con i giovani (e io sono uno che ha a che fare con loro ogni giorno) una delle questioni più sentite è quella attinente alla sessualità e quindi ai cosiddetti “rapporti prematrimoniali”.
Su questo punto molti catechisti non sanno come affrontare il discorso. Coloro i quali si sentono di difendere la posizione del Vangelo e del Magistero (purtroppo mi sembra non tutti... e questo dovrebbe far pensare) lo fanno utilizzando argomenti poco convincenti, nel tentativo di rendere il Precetto più “trattabile” e “adattabile” ad una certa mentalità del giovane contemporaneo.
Eppure di argomenti convincenti ce ne sono. Vediamo quali sono.

La concezione cristiana della sessualità

Prima di tutto bisogna spiegare cosa è la sessualità secondo il Cristianesimo. Per il Cristianesimo la sessualità è un valore, perché creata e quindi voluta da Dio. Per il Cristianesimo non è valore ciò che è conseguito dal peccato, ma ciò che Dio ha iscritto nella natura, in questo caso nella natura dell’uomo.
L’essere umano non è stato voluto da Dio come un angelo, cioè con una natura esclusivamente spirituale, bensì come unione di spirito e di corpo. Ora, la sessualità altro non è che la dimensione corporea della reciproca donazione di quell’uomo verso quella donna e di quella donna verso quell’uomo, che si sono uniti nel vincolo indissolubile del Matrimonio-sacramento.


I rapporti prematrimoniali negano la donazione

Da ciò si capisce l’illegittimità della sessualità prematrimoniale (e ovviamente anche di quella extra-coniugale). Infatti, tale sessualità non può essere vissuta nella dinamica della donazione. La donazione, infatti, ha bisogno della definitività. Non è definitivo ciò che è ancora temporaneo e provvisorio. Nessuno può negare il fatto che il fidanzamento non sia definitivo... se è fidanzamento è proprio perché non c’è alcuna definitività.
Né ha senso fare un’obiezione di questo tipo: “Ma chi ci dice che il matrimonio sarà definitivo?”. Obiezione che non regge: ci sarebbe contraddizione in ciò che afferma la Chiesa se essa ammettesse la solubilità del Matrimonio, cosa che invece non è.
Una volta ascoltai una bellissima definizione di castità prematrimoniale. Per giunta l’ascoltai non da un sacerdote o da un teologo, ma da un laico padre di figli. Una definizione che non solo ritengo precisissima, ma che fa ben capire quanto la castità, in un determinato senso, non si configuri come una forma di rinuncia fine a se stessa, bensì per costruire ciò che conta davvero. La definizione dice così: «La castità prematrimoniale è la capacità di rimaner fedeli al proprio marito e alla propria moglie ancor prima di conoscerli». Ricordando questa definizione, dico ai ragazzi: «Chi si sente di negare quanto sia importante rimaner fedele al proprio marito e alla propria moglie, al proprio fidanzato e alla propria fidanzata? E allora perché negare quanto sia importante la fedeltà anche nella prospettiva del futuro? Perché ritenere che la fedeltà sia un valore solo nella contemporaneità – conoscendo il marito o la moglie – e non anche nella prospettiva del futuro, cioè quando ancora non si sa chi sarà il compagno di vita che la Provvidenza vorrà?».
In merito alla questione dei rapporti prematrimoniali un’altra obiezione che solitamente si riceve è questa: “Ma perché privarsi del piacere della sessualità? Non è Dio stesso che l’ha inserita nella natura umana?”. La risposta non è difficile. Certamente Dio ha inscritto il piacere nella sessualità così come ha iscritto il piacere in ogni bisogno importante della natura umana. Ha iscritto il piacere anche nel mangiare. Immaginate cosa accadrebbe se non provassimo piacere a mangiare. Faremmo questo ragionamento: “Adesso devo fare gnam gnam con le mandibole... chi me lo fa fare? Mangerò stasera...”, e poi anche la sera posticiperemmo al giorno dopo e così via... e intanto moriremmo di inedia. E così anche per la sessualità: se non ci fosse la dimensione del piacere, l’umanità si sarebbe già estinta. Ma – e qui sta il punto – un conto è apprezzare la dimensione del piacere, altro è fare di questo la componente e il criterio fondamentali. Per ritornare all’esempio del mangiare: se devo mangiare per alimentarmi, va bene apprezzare il piacere del mangiare; ma se in quel momento non è bene che mangi per non danneggiare l’organismo, non posso e non devo mangiare solo per soddisfare un piacere che poi si trasformerà in un danno per la mia salute.


I rapporti prematrimoniali negano la responsabilità

Ma oltre a tale motivo, i rapporti prematrimoniali sono illeciti anche perché sono sempre irresponsabili. Il ragionamento è molto facile: il metodo contraccettivo più sicuro è la pillola antifecondativa, la quale ha una percentuale di “successo” (rattrista utilizzare questa terminologia, ma lo facciamo per farci capire) non superiore al 90%. Il che significa che i metodi anticoncezionali occasionali (quelli che solitamente si usano tra i giovani) hanno una percentuale di “successo” ben al di sotto del 90%. Ciò vuol dire che la sessualità fuori dal Matrimonio è sempre comunque irresponsabile: si “gioca” con una terza vita che non solo ha il diritto di nascere qualora venisse concepita, ma che ha anche il diritto di trovare un nucleo familiare stabile, un papà e una mamma.
Dunque, la sessualità pre ed extra matrimoniale è, oltre ad un grave peccato (e già questo dovrebbe bastare per capire), un atto sempre e comunque irresponsabile.


La visione di Don Bosco

Purtroppo di queste cose ormai si parla poco. Si prende in considerazione il dato sociologico e quasi ci si arrende. Si pensa: “Ormai è impossibile venirne fuori”. Ora, un simile atteggiamento non solo costituisce un grave peccato di omissione, perché la verità va sempre detta, ma anche una sorta di “complicità” che permette che tante anime si perdano per l’eternità. Sì, avete capito bene: si perdano per l’eternità! La Madonna alla piccola Giacinta di Fatima lo disse chiaramente: «I peccati che fanno andare più all’inferno sono i peccati della carne».
Ho già fatto qualche riflessione su questa frase in un altro mio articolo pubblicato proprio su questo Settimanale. Certamente i peccati della carne, tra i peccati mortali, non sono quelli più gravi. Ma sono quelli che non solo possono essere commessi più facilmente, ma anche quelli che più pervertono il pensiero. Bestializzando il comportamento, bestializzano anche il ragionamento. Giustamente si dice: “Non si agisce come si pensa, ma si finisce sempre col pensare come si agisce”. Per cui, una volta fatta fuori la Legge di Dio dal comportamento, si farà fuori Dio stesso dalle proprie convinzioni e dal proprio giudizio di vita.
C’è una visione che toccò a san Giovanni Bosco e che a riguardo è bene ricordare. La Provvidenza volle che il grande Santo dei giovani vedesse l’inferno per far sì che lui – che appunto stava dedicando la vita ai giovani – venisse a conoscenza di alcune cose importanti per la sua missione. Ecco come lo stesso Don Bosco racconta ciò che gli toccò: «Mi trovai con la mia guida (l’Angelo Custode), in fondo ad un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso, avente una porta altissima, serrata. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva, un fumo grasso, quasi verde, s’innalzava sui muraglioni dell’edificio e guizze di fiamme sanguigne. Domandai: “Dove ci troviamo?”. “Leggi – mi rispose la Guida – l’iscrizione che è sulla porta!”. C’era scritto: “Ubi non est redemptio!” cioè: “Dove non c’è redenzione!”. Intanto vidi precipitare dentro quel baratro prima un giovane, poi un altro ed in seguito altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. Esclamò la Guida: “Ecco la causa principale di queste dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini”. Gli infelici erano giovani da me conosciuti. Domandai: “Ma dunque è inutile che si lavori tra i giovani, se tanti fanno questa fine? Come impedire tanta rovina?”. “Coloro che hai visto sono ancora in vita; questo però è il loro stato attuale e se morissero, verrebbero senz’altro qui!”. Dopo entrammo nell’edificio; si correva con la rapidità del baleno. Lessi questa iscrizione: “Ibunt impii in ignem æternum!”, cioè: “Gli empi andranno nel fuoco eterno!”. “Vieni con me!”, soggiunse la Guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti ad uno sportello, che aprì. Mi si presentò allo sguardo una specie d’immensa caverna, piena di fuoco. Certamente quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore. Io questa spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà. Intanto, all’improvviso, vedevo cadere dei giovani nella caverna ardente. La Guida disse: “La trasgressione del sesto Comandamento è la causa della rovina eterna di tanti giovani”. Io obiettai: “Ma se costoro hanno peccato, si sono però confessati”. “Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o taciute affatto. Ad esempio: uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne disse solo due o tre. Vi sono di quelli, che ne hanno commesso uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l’hanno confessato male e non hanno detto tutto. Altri non ebbero il dolore e il proponimento; anzi, taluni, invece di fare l’esame di coscienza, studiavano il modo di ingannare il confessore. E chi muore con tale risoluzione, risolve di essere nel numero dei reprobi e così sarà per tutta l’eternità... Ed ora vuoi vedere perché la Misericordia di Dio qui ti ha condotto?”. La Guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo Oratorio, che io tutti conoscevo, condannati per questa colpa. Fra essi vi erano di quelli che in apparenza tengono buona condotta. Continuò la Guida: “Predica dappertutto contro l’immodestia!”. Poi parlammo per circa mezz’ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: “Mutare vita!... Mutare vita!”. “Ora – soggiunse l’Amico – che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che provi anche tu un poco di inferno!”. Usciti dall’orribile edificio, la Guida afferrò la mia mano e toccò l’ultimo muro esterno; io emisi un grido... Cessata la visione, osservai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura».
Penso che questo basti ed avanzi... per capire come nel nostro apostolato non dobbiamo trascurare questa importante questione.


fonte: Il Settimanale di Padre Pio

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