Nel linguaggio comune con la parola fede si intende, di per sé, la disponibilità ad accettare come vere le informazioni che riceviamo dagli altri, senza ancora averne direttamente le prove personali, facendo leva unicamente sull’autorità altrui. Così si crede al medico, al maestro, alla mamma, agli astronomi, agli scienziati ecc. Se poi, invece, si fa riferimento ad un “Essere superiore” (quello che noi chiamiamo Dio), allora si intende proprio un dono dello stesso Dio e soprattutto la prima delle cosiddette tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. E, in senso più ristretto, come assenso della nostra mente a una verità rivelata da Dio e a noi proposta dalla Chiesa, non in forza della sua evidenza, ma in quanto derivante da Dio, il quale non inganna e certamente non può ingannare.
In questo senso la fede è un dono di Dio, ma, nello stesso tempo, è una risposta libera, ragionevole e totale, mediante cui confessiamo la verità circa la divina autorivelazione compiutasi definitivamente in Cristo. È ovvio, quindi, che, trattandosi di un dono di Dio, debba esserci un inscindibile rapporto tra l’uomo che afferma di avere la fede e Dio, il quale, nella tradizione monoteista, è riconosciuto come personale, eterno, immutabile, onnisciente e creatore onnipotente. L’uomo di fede, pertanto, non è colui che afferma di credere in qualcosa di astratto e di non ben definibile, senza alcuna effettiva conseguenza per la sua vita comportamentale, sia a livello di coscienza personale, sia nell’osservanza di quelle norme derivanti dalla rivelazione scritta o orale. No! L’uomo di fede crede in un Essere personale, cioè in una Persona. E infatti il vero motivo che porta alla fede, anzi il fattore decisivo, anche quando si è ricevuta un’educazione religiosa, va trovato nell’autorità di Dio che rivela. Naturalmente l’atto di fede è sempre un atto umano razionale, nel senso che l’esperienza umana, specialmente nei suoi aspetti più profondi, può aiutare la voce di Dio che parla al cuore e alla mente e ad accogliere con fede la parola rivelata; la qualcosa presuppone lo sforzo dell’uomo di conoscere, in qualche modo, questo Dio che rivela, la sorte dell’uomo (il fine per cui egli esiste sulla terra) e la storia del Gesù terrestre il quale si è definito Figlio di Dio, del suo insegnamento e soprattutto del suo Vangelo. Ci si imbatterà così con il mistero, che non è qualcosa di semplicemente oscuro o inspiegabile, ma il piano misterioso di Dio per la salvezza dell’umanità, che è stato svelato per mezzo di Gesù Cristo, pur trascendendo la ragione e la comprensione umana. È chiaro che la mente umana non possa afferrare Dio, ma è Lui che afferra noi. Immettendosi, poi, nel messaggio di Cristo, inevitabilmente l’uomo di fede, incontra la Chiesa, nel senso che Egli ha affidato a quest’ultima il suo insegnamento come un tesoro da custodire, da interpretare, da far conoscere a tutte le genti e da proclamarlo fedelmente a tutti fino alla fine dei tempi. È Cristo stesso che ha affidato alla Chiesa l’ufficio di insegnare autorevolmente il suo Vangelo.
Spunta fuori così il cosiddetto Magistero della Chiesa. I Cattolici credono che questa autorità magisteriale appartenga all’intero Collegio dei vescovi (in quanto successori degli Apostoli) e ai vescovi singoli uniti con il vescovo di Roma (LG 20-25). Si tratta di un ufficio derivante da Cristo stesso; esso è guidato dallo Spirito Santo ed è esercitato all’interno dell’intera comunità dei fedeli. Da quanto finora è stato affermato, ne deriva che oggetto proprio della fede sono i misteri. Credere è essenzialmente un atto dell’intelletto, ma, in pari tempo, l’atto di fede investe tutta la persona e implica soprattutto l’impegno della volontà, mossa dalla grazia derivante da Dio (...).
I teologi dicono che la fede fondamentalmente è un dono di Dio, ma è anche una conquista, nel senso che essa deve crescere anche nell’intelligenza. In altri termini la fede non cade bella e fatta dal cielo. Raggiunge l'uomo nell'intimo della sua storia, e lo può prendere di sorpresa, come un amore, alla svolta di un incontro, di una relazione, di un'amicizia, di una lettura, di un evento lieto o triste. Ma nulla, neppure la testimonianza di una vita cristiana eroica, può costringere a credere. Tutt'al più, i mezzi o gli esempi possono togliere alcuni ostacoli contrari alla scelta della fede e destare, porre in ascolto, rendere disponibili. Alcuni parlano di uno scatto o di una scintilla. Il fatto di aver ricevuto il battesimo fin da bambino o di essere giunti molto tardi alla fede, non cambia fondamentalmente nulla nella questione: si tratta di impegnarsi personalmente. Ovviamente i teologi si interessano soprattutto sul progetto di Dio nella storia degli uomini, cioè in quanto è vissuto come evento nell’attualità della storia. In questo senso la fede non è soltanto fedeltà a un passato, difesa di una eredità o di un patrimonio, ma sforzo per rispondere alla chiamata di Dio nell’epoca in cui ci troviamo.
Credere significa aderire a una presenza di Dio nel cuore del mondo e della storia. La fede, cioè, è un fatto nella storia, nella società, nella vita di coloro che vi aderiscono. Per il cristiano la fede è dono. È riconoscimento dell’esistenza di Qualcuno, accoglienza di un messaggio, comunione a un mistero; è adesione alla volontà di Dio che mira alla vita e al compimento della vera umanità (...).
Guardando, però, alla fede così come si presenta nella storia dei popoli, da sempre essa si è imbattuta in incredibili contrasti, derivanti soprattutto dal fatto che quanti hanno la fede non possono vivere in una condizione di isolamento narcisistico, ma necessariamente impegnati anzitutto a costruire se stessi e successivamente a costruire il mondo secondo determinati orientamenti. A motivo di ciò, è più che normale che vi siano stati e vi siano tuttora quelli che non riescono ad accettare supinamente tutto questo. Sono nate così delle forti correnti di contrapposizione, come, ad esempio, il fideismo, l’ateismo, l’anticlericalismo, la massoneria e soprattutto il relativismo. Tutte correnti di pensiero, di cui sono impregnati libri, riviste, spettacoli televisivi, incidenze educative che facilmente attecchiscono nel periodo dell’adolescenza e di cui abbiamo già precedentemente parlato. Così nasce un netto rifiuto della fede e in parole povere il non credente (...)
Nonostante tutte queste difficoltà noi possiamo conservare la fede. Ecco perché alla domanda: «ma perché io ho la fede?» si può benissimo dare una risposta più che convincente: la fede non è soltanto un dono di Dio, ma è anche una conquista. Con questa affermazione si vuole sostenere che il cristiano, se vuole mantenere integra la sua fede, anzitutto deve crescere nell’intelligenza della sua fede; cosa che purtroppo non si nota in tutti i cosiddetti credenti e tanto meno nei cattolici del fai da te o nei cosiddetti cattolici adulti, la maggior parte dei quali probabilmente non ha dato al tema della fede lo spazio necessario alla riflessione, alla meditazione, alla ricerca teologica della verità rivelata, alla scuola di quanti, con la successione episcopale Apostolica, hanno ricevuto un carisma certo di verità (Dei Verbum, n. 8), alla preghiera, facendosi conquistare dalla tesi di qualche teologo. In questo senso, la fede è sempre una conquista derivante dall’impegno preso seriamente di fronte a Dio, non lasciandosi condizionare mai da falsi profeti sempre esistenti, anche se in maniera latente, e dagli anticristi che, purtroppo, fanno parte della visione cristiana della storia.
Né si dimentichi che soltanto il Magistero della Chiesa ha ricevuto il compito Apostolico di insegnare e di custodire il deposito della fede, con il dovere di proteggere i credenti da quanti presumono di spargere interpretazioni errate di quanto il Cristo Signore ha affidato agli Apostoli e ai loro successori. Ci si dirà che non sia facile mantenersi su questa linea. È vero: non è facile, ma non impossibile!
Dal libro"Perchè credo. I miei interrogativi sulla fede" di Mons. Girolamo Grillo
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