giovedì 12 aprile 2012

Per i neocatecumenali la ricreazione è finita. Si torna a scuola.

L’ordine dato da Benedetto XVI alla congregazione per la dottrina della fede di esaminare se le messe dei neocatecumenali sono o no conformi alla dottrina e alla prassi liturgica della Chiesa cattolica è un colpo durissimo per il movimento fondato da Kiko Argüello e Carmen Hernández:

Quella strana messa che al papa non piace

Ma già lo scorso 20 gennaio, nell’annuale incontro dei neocatecumenali col papa nell’aula delle udienze, Kiko e Carmen avevano capito che il vento era girato loro contro.

Invece di veder trionfalmente approvato il loro “rito” con un decreto del pontificio consiglio per i laici – decreto che in effetti era pronto ma fu cestinato in extremis dal papa – dovettero subire una solenne lavata di capo da Benedetto XVI in persona, proprio sul modo di celebrare la messa.

Naturalmente papa Joseph Ratzinger si espresse con lo stile mite che è suo. Ma la nettezza della sua lezione non poteva passare inosservata agli intenditori.

Uno di questi, infatti, l’archimandrita Manuel Nin, monaco benedettino, rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma e liturgista insigne, non lasciò cadere l’occasione di riprendere e commentare “la bellissima lezione di teologia liturgica” impartita da Benedetto XVI non solo ai neocatecumenali ma all’intera Chiesa.

La sua esegesi apparve su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo. E anch’essa fu presa male in casa neocatecumenale.

È utile qui riproporla, per l’autorevolezza di chi la firma, per l’importanza del giornale che l’ha ospitata e soprattutto per la chiarezza con cui va al cuore della questione.

Che non è di mero carattere cerimoniale ma di sostanza, come prova la decisione del papa di affidarne l’esame alla congregazione per la dottrina della fede.



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LITURGIA E CAMMINO NEOCATECUMENALE NELL’INSEGNAMENTO DI BENEDETTO XVI

di Manuel Nin

I Padri della Chiesa (in particolare Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia) nelle loro catechesi prebattesimali predicate soprattutto durante la Quaresima, introducevano, si potrebbe dire portavano per mano, guidavano, i catecumeni, cioè coloro che si preparavano a ricevere il battesimo nella notte di Pasqua, a scoprire, conoscere e memorizzare la fede cristiana attraverso la professione di fede, il Credo, e dando loro un modello di preghiera, il Padre nostro.

Durante tutto questo periodo di preparazione, nell’attesa del battesimo che, come tutti i sacramenti, è un dono che si riceve, che si accoglie nella grande Chiesa, nel suo grembo che rigenera, i catecumeni erano iniziati alla fede, all’ascolto e alla comprensione della Parola di Dio, e partecipavano soltanto alla prima parte della celebrazione dei santi misteri.

Dopo il Vangelo infatti – e di questo abbiamo una testimonianza ancora oggi nelle liturgie orientali – il diacono congedava i catecumeni, intimava loro di uscire dalla chiesa, mettendoli in qualche modo in attesa, una gioiosa attesa, di partecipare all’unico sacrificio di Cristo, quello celebrato la notte di Pasqua dal vescovo nella grande e unica madre Chiesa che nel Battesimo li rigenerava in Cristo.

Quella notte i catecumeni, accolti nella chiesa al canto del versetto paolino “Tutti quelli che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo, alleluia”, non venivano più chiamati “catecumeni” bensì “neofiti”, cioè innestati, inseriti. Dove? In Cristo nell’unica e grande Chiesa; e da quel momento partecipavano pienamente ai santi misteri del Corpo e del Sangue di Cristo che erano – e sono tuttora – non più una tappa nel catecumenato bensì la pienezza dell’appartenenza di tutti i fedeli cristiani alla vita di Cristo nella Chiesa.

Sulla scia dei grandi Padri della Chiesa, delle loro catechesi e delle loro mistagogie, possiamo collocare il discorso di Benedetto XVI ai membri del Cammino neocatecumenale dello scorso 20 gennaio; udienza che lo stesso papa situa nell’insieme di udienze da lui concesse ai fondatori e agli aderenti a questa realtà ecclesiale.

Si tratta di una lezione di teologia liturgica valida e utile per il Cammino neocatecumenale e per tutta la Chiesa.

Il papa sin dall’inizio sottolinea il valore dell’impegno missionario e di evangelizzazione del Cammino neocatecumenale, impegno che deve essere fatto sempre – e il Santo Padre lo ricorda per ben due volte – “in comunione con tutta la Chiesa e con il successore di Pietro”; cercando “sempre una profonda comunione con la sede apostolica e con i pastori delle Chiese particolari nelle quali siete inseriti”.

Si direbbe che il vescovo di Roma non dimentichi mai il suo ruolo di principio di comunione con tutti i pastori della Chiesa cattolica: “L’unità e l’armonia del corpo ecclesiale sono una importante testimonianza a Cristo e al suo Vangelo nel mondo in cui viviamo”.

Benedetto XVI, da buon pastore, ancora e giustamente non si risparmia nel mettere in luce la generosità e lo sforzo missionario del Cammino neocatecumenale – e anche le difficoltà che incontra nel suo impegno evangelizzatore – e nell’incoraggiare i suoi membri, sacerdoti, laici, famiglie intere a continuare nello zelo di annunciare ovunque, anche in luoghi molto lontani dal cristianesimo, il Vangelo, sempre nell’amore a Cristo e alla Chiesa.

Dopo le parole introduttive, il papa spiega il senso dell’approvazione per il Cammino neocatecumenale di quelle celebrazioni che “non sono strettamente liturgiche, ma fanno parte dell’itinerario di crescita della fede”. Benedetto XVI ricorda al Cammino neocatecumenale e a tutta la Chiesa che le celebrazioni liturgiche sono quelle approvate dalla Chiesa nei diversi testi del magistero del vescovo di Roma o dei vari concili ecumenici che hanno regolato e approvato la liturgia della Chiesa. Il papa mette in evidenza come l’approvazione delle celebrazioni presenti nel “Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale” vada letta in maniera strettamente vincolata al “sensus Ecclesiae” e in sintonia con le esigenze della costruzione del “corpus Ecclesiae”. Il papa mostra il suo cuore di pastore della Chiesa “che comprende la vostra ricchezza, ma guarda anche alla comunione e all’armonia dell’intero ‘corpus Ecclesiae’”. Ancora una volta, lungo il pontificato di Benedetto XVI, vediamo Pietro come fondamento di comunione e di unità nella Chiesa.

Quanto detto sul ruolo e l’impegno nell’annuncio del Vangelo da parte del Cammino neocatecumenale e sull’approvazione delle celebrazioni non strettamente liturgiche previste dal “Direttorio catechetico”, offre a Benedetto XVI anche l’occasione per parlare del valore della liturgia, cioè di quella realtà della vita ecclesiale che precisamente non ha nessuna necessità di specifica approvazione perché già esaminata, approvata e regolata dalla sede romana e dallo stesso Vaticano II. Il papa non pretende di “spiegare” cos’è la liturgia, bensì ne vuol mettere in luce il “valore”, cioè quello che essa ha di centrale e di valido nella vita della Chiesa e di ogni cristiano.

Volendo fissare dei principi chiari nel suo ragionamento, Benedetto XVI inizia la sua riflessione partendo dal n. 7 della costituzione conciliare “Sacrosantum concilium”: la liturgia è “opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa”. Mette al centro della sua catechesi l’anno liturgico che non soltanto ricorda ma celebra, fa presente e attuale con una forza veramente epicletica tutto il mistero di Cristo per e nella Chiesa: “La passione, morte e risurrezione di Gesù non sono solo avvenimenti storici; raggiungono e penetrano la storia, ma la trascendono e rimangono sempre presenti nel cuore di Cristo. Nell’azione liturgica della Chiesa c’è la presenza attiva di Cristo Risorto che rende presente ed efficace per noi oggi lo stesso mistero pasquale, per la nostra salvezza; ci attira in questo atto di dono di sé che nel suo cuore è sempre presente e ci fa partecipare a questa presenza del mistero pasquale”. La Chiesa, quindi, celebrando il mistero di Cristo ne diventa il suo corpo. E Benedetto XVI corrobora la sua riflessione citando sant’Agostino: “Questa opera del Signore Gesù, che è il vero contenuto della Liturgia, è anche opera della Chiesa, che, essendo suo corpo, è un unico soggetto con Cristo: ‘Christus totus caput et corpus’”.

Fedele alla tradizione catechetica e mistagogica dei Padri della Chiesa, papa Benedetto situa l’Eucaristia come “culmine della vita cristiana”; essa è la piena comunione con Cristo attraverso il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, e con la Chiesa che a sua volta ne è anche corpo e suo custode.

Le Chiese orientali, fedeli all’antica tradizione cristiana, celebrano sempre i sacramenti dell’iniziazione cristiana tutti e tre insieme: Battesimo, Cresima, Eucaristia. Quindi il culmine del cammino del catecumenato che finisce col battesimo nella notte di Pasqua è la partecipazione – nella piena comunione della Chiesa – ai santi e divini misteri. Il papa, citando gli statuti del Cammino neocatecumenale, che contemplano anche l’Eucaristia come una sorta di catecumenato post-battesimale, situa questa particolare visione dell’Eucaristia soprattutto in vista “di favorire il riavvicinamento alla ricchezza della vita sacramentale da parte di persone che si sono allontanate dalla Chiesa, o non hanno ricevuto una formazione adeguata”.

È come se il papa volesse in fondo ricondurre l’Eucaristia da una visione e un contesto di catecumenato verso quel contesto di mistagogia vera e propria che le è specifico. In tal modo intende ricondurre anche l’Eucaristia celebrata dal Cammino neocatecumenale, o da qualsiasi altro gruppo o movimento ecclesiale, al contesto ecclesiale fuori dal quale la celebrazione stessa dei divini misteri si vedrebbe privata dal suo fondamento cristologico ed ecclesiologico: “Ogni celebrazione eucaristica è un’azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa. Questo carattere pubblico della santa Eucaristia si esprime nel fatto che ogni celebrazione della santa messa è ultimamente diretta dal vescovo come membro del collegio episcopale, responsabile per una determinata Chiesa locale”.

Benedetto XVI ancora una volta ribadisce il ruolo, unico e insostituibile, del vescovo come custode e liturgo della Chiesa. La liturgia non appartiene – magari adattata, modificata, fatta a propria misura – a nessuno, si tratti di persone o gruppi o movimenti, ma appartiene alla Chiesa stessa avendo come garante colui che per l’imposizione delle mani ha ricevuto la pienezza della grazia divina e del dono dello Spirito Santo, per pascere il gregge, per essere colui che “veglia dall’alto” (questo è il senso vero e proprio del termine “epìskopos”).

Oserei dire che la liturgia, in qualsiasi Chiesa cristiana d’Oriente e d’Occidente va rispettata e accolta quasi come i santi doni che si ricevono come tali, come doni, non come qualcosa che ognuno si prende o di cui si serve a propria misura e piacimento.

Concludendo il suo discorso, il papa ricorda al Cammino neocatecumenale – e a tutti i membri della Chiesa – la necessaria fedeltà ai libri liturgici che sono lo strumento che regola la celebrazione liturgica, evita qualsiasi arbitrarietà e soggettivismo e che in fondo sono al servizio della comunione ecclesiale che ne deriva.

Il necessario inserimento nella piena vita ecclesiale viene ancora sottolineato dal papa: “Al tempo stesso, la progressiva maturazione nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire il loro inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale, che trova nella celebrazione liturgica della parrocchia, nella quale e per la quale si attua il neocatecumenato, la sua forma ordinaria”.

Infine, Benedetto XVI ribadisce il filo conduttore di tutto il suo intervento: “Ma anche durante il Cammino è importante non separarsi dalla comunità parrocchiale, proprio nella celebrazione dell’Eucaristia che è il vero luogo dell’unità di tutti, dove il Signore ci abbraccia nei diversi stati della nostra maturità spirituale e ci unisce nell’unico pane che ci rende un unico corpo.

La teologia, la liturgia, la comunione ecclesiale. Ecco tre argomenti che stanno a cuore a papa Benedetto. Nel testo del 20 gennaio sono trattati da teologo? Sì, ma soprattutto da mistagogo che sa portare per mano i fedeli alla vera comprensione dei misteri, nella piena comunione con Cristo nella Chiesa.

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Il testo integrale del discorso del 20 gennaio 2012 di Benedetto XVI al Cammino neocatecumenale:

> “Cari fratelli e sorelle…”


fonte: Settimo Cielo di Sandro Magister

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