martedì 8 maggio 2012

Quando Gesù subisce nuovamente l'umiliazione della colonna...

Alcune iniziative musicali mirate a ridicolizzare il Sacrificio Eucaristico.... (e non solo)

In un mio scritto del 2006 denunciai con forza che, prendendo parte ad una celebrazione eucaristica nuziale, provai uno smarrimento d’identità a dir poco grave visto che, nel corso del sacro rito, venne propagata una musica certamente non sacra, lontanissima dai basilari criteri della liturgia cattolica. Infatti, tramite una radio amplificata, vennero utilizzate niente poco di meno che canzoni di Lucio Dalla e di Eros Ramazzotti, durante la processione offertoriale, durante la Comunione e al momento delle firme.
Purtroppo, dopo lo spettacolo indecente messo in scena in occasione delle esequie del calciatore PierMario Morosini, non ci resta che meditare ulteriormente sulla crisi liturgico-musicale che sta investendo buona parte delle comunità parrocchiali e, quindi, tantissimi Sacerdoti.
Com’è noto, ai funerali di Morosini, è stata data l’opportunità di cantare durante la Messa un brano di Luciano Ligabue, forse col tentativo di onorare i gusti del defunto. Iniziativa che, semmai, sarebbe stata più opportuna promuovere al di fuori di un edificio sacro.
Dinnanzi alle numerose critiche, qualcuno ha scritto: cosa c’è di male nel compiere un gesto di “amore” nei confronti di un giovane defunto? Il problema è che un’iniziativa come quella di far cantare una canzone non sacra durante la Messa fa presupporre una chiara mancanza di rispetto nei confronti di Gesù Cristo il quale, umiliandosi e divenendo simile agli uomini, morì in croce, per la salvezza dell’umanità e, risorgendo, è rimasto come cibo e bevanda di salvezza proprio nell’Eucaristia: il mirabile sacramento che viene celebrato nella Santa Messa. Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica “Mane nobiscum Domine”, scrive: “tutto il modo di attrarre l’Eucaristia da parte dei ministri e dei fedeli sia improntato a un estremo rispetto”. E ancora: Il mistero dell’Eucaristia “dev’essere ben celebrato, con una seria attenzione anche all’aspetto di sacralità che deve caratterizzare il canto e la musica liturgica”.
San Pio da Pietrelcina, infatti, affermava che durante la Messa, specie nella consacrazione delle specie eucaristiche, si sentiva come un uomo “crocifisso”, cioè come un uomo che viveva fino in fondo la passione e la morte di Cristo. Altro che barzellette e ridicoli spettacoli! Vivere la Santa Messa senza la consapevolezza del sacrificio di Cristo che si rinnova in modo incruento sull’altare, significa ignorare quanto la Messa sia indispensabile per la salvezza delle nostre anime. Proprio per questo, non si possono giustificare o tollerare forme che possano discostarsi, in modo così palese, come nei casi sopra riportati, dalla sacralità richiesta per un evento straordinario qual è la celebrazione eucaristica. Si! La Messa è un evento straordinario. Tanto è vero che gli “antichi” Sacerdoti, nelle sacrestie, raccomandavano a loro stessi di celebrare ogni Messa come se fosse la prima, l’unica e l’ultima.
La causa di certe assurde iniziative liturgico-musicali, ad umile avviso di chi scrive, vanno ricercate in due componenti: lo smarrimento del concetto puro dell’arte e della bellezza e l’ambiguità nei riguardi dell’Eucaristia.
Nella prima, è da segnalare, prima d’ogni cosa, la volontà di discontinuità con tutto ciò che viene contemplato nella gloriosa tradizione della Chiesa. In termini musicali, ad esempio, si è scelto di abbandonare -tranne in alcune realtà, nelle quali è rimasta accesa qualche fiammella significativa- il patrimonio Gregoriano e quello polifonico, per dare ampio spazio ad un genere cosiddetto “leggero”, che si propone di imitare i brani più sdolcinati dei cantautori vissuti negli ultimi 50 anni, specie quelli degli anni Settanta, accompagnati dalla chitarra o dal pianoforte: due meravigliosi strumenti che, però, non hanno nulla a che fare con la misticità della liturgia e con la sacralità di un luogo di culto nel quale è custodita l’Eucaristia!
A questo punto, qualcuno potrebbe dire che si è in rottura con il Concilio Ecumenico Vaticano II quando di parla di tradizione. Nulla di più sbagliato! Sono proprio queste “nuove” modalità artistiche ad aver tradito il senso originale del Concilio; sono maggiormente quei Sacerdoti, i quali fanno subire certe ridicole novità alla sacra liturgia, che si pongono in palese conflitto con alcuni documenti dello stesso Concilio. Sarebbe importante leggere, a tal proposito, il capitolo VI della costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium”: sono sicuro che molti tra questi “avventurieri di modernità”, che si spacciano oltretutto per “figli del Concilio”, rimarrebbero molto delusi, specie quando si fa riferimento al canto Gregoriano o all’uso dell’organo nella liturgia.
Desidero citare altresì un passaggio dell’istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti “Redemptionis Sacramentum” che, al N. 57, dice testualmente: “E’ diritto della comunità dei fedeli che ci sia regolarmente, soprattutto nella celebrazione domenicale, una adeguata e idonea musica sacra”. Ci sarebbe molto da meditare, specie sugli aggettivi “adeguata” e “idonea”. Probabilmente, sono da riferire all’identità della Santa Madre Chiesa; un’identità costruita con arte e nel puro concetto di bellezza durante i vari secoli e che, purtroppo, si cerca di snaturare, con il pretesto di interpretare ed attuare un Concilio -quello Vaticano II- che, invece, in termini musicali, non ha fatto altro che fare riferimento alla tradizione.
Joseph Ratzinger -il nostro amato Santo Padre Benedetto XVI- in “Rapporto sulla Fede” (2005), a proposito della musica sacra, afferma che “molti liturgisti hanno messo da parte quel tesoro -che per la Chiesa è la musica sacra- dichiarandolo accessibile a pochi, l’hanno accantonato in nome della comprensibilità per tutti e in ogni momento della liturgia postconciliare. Dunque, non più musica sacra -relegata, semmai, per occasioni speciali, nelle cattedrali- ma solo “musica d’uso”, canzonette, facili melodie, cose correnti. E’ divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile. L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia “semplice” non significa misera o a buon mercato: c’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica. Si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome di una “partecipazione attiva”: ma questa “partecipazione” non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c’è proprio nulla di “attivo” nell’ascoltare, nell’intuire, nel commuoversi?”
Questa “crisi artistica” nelle nostre comunità, e l’ho scritto più volte, deriva dalla mancata formazione musicale nell’ambito del percorso seminariale. Fin quando, nei seminari, i candidati al sacerdozio non saranno messi nelle condizioni di poter seriamente studiare il canto Gregoriano e la musica sacra in generale, sostenendone gli esami, così come si sostiene un normale esame si teologia o di filosofia, le cose non cambieranno mai! Perché, quei Sacerdoti non musicalmente formati, influiranno, nell’ambito delle parrocchie, sulla scelta del repertorio e umilieranno spesso quei laici che, in termini liturgico-musicali, magari, ne sanno più di molti di loro. Spesso, infatti, vari direttori di coro, sono costretti ad avventurarsi in “acrobazie musicali”, solo per soddisfare l’ignoranza di qualche Sacerdote. Ho già avuto modo di scrivere, ad esempio, in merito alla volgare iniziativa legata alla recita del “Padre nostro” nella Santa Messa, durante la quale viene umiliato il ruolo della musica che, come sappiamo, dev’essere al completo servizio del testo, soprattutto per esaltarne il contenuto. Al posto del “Padre nostro”, infatti, viene cantato l’adattamento di un testo -che nulla a che fare con quello della preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato- alla nota canzone “Sound of silence" di Simon & Garfunkel, oppure l’altra versione: “Padre nostro, che sei nei cieli, dona la pace a tutti noi, dacci la forza d’esser sempre più buoni, ecc…”.
Molti, purtroppo, non vogliono capire che la Santa Messa non è uno show e il tempio di Dio non è il teatrino parrocchiale o l’oratorio. E’ tutt’altro! Quella del “Padre nostro” è una preghiera fondamentale, per questo è indispensabile reagire a questa ondata di sentimentalismo sterile che la sta offuscando proprio all’interno della celebrazione eucaristica.
Sulla seconda componente, invece, bisogna affermare che il problema, purtroppo, consiste nel fatto che, in molti casi, non venga data la giusta importanza all’Eucaristia, durante e dopo la Messa, con conseguenti abusi ed oltraggi nei riguardi di Cristo, realmente presente nelle specie eucaristiche.
Qualche anno fa, ad esempio, fui costretto a “scomodare”, senza ottenere alcun esito positivo, varie personalità ecclesiastiche di primissimo piano e gravate da importanti responsabilità, poiché in una piccolissima parrocchia erano state istituite diverse decine di ministri dell’Eucaristia (più di 30!) i quali aprivano e chiudevano il Tabernacolo, anche al di fuori della Messa, come se si trattasse di un frigobar e distribuivano la comunione come quando si distribuiscono caramelle, mentre il celebrante se ne stava comodamente seduto ignorando, evidentemente, il punto n° 88 della “Redemptionis Sacramentum”, nel quale si afferma che “spetta al Sacerdote celebrante, eventualmente coadiuvato da altri Sacerdoti o dai Diaconi, distribuire la Comunione. Soltanto laddove la necessità lo richieda, i ministri straordinari possono, a norma del diritto, aiutare il Sacerdote celebrante”.
Un giorno, in quel contesto, una signora ha distribuito la Comunione mentre teneva in braccio il suo bambino; ad un’altra signora, invece, avendo probabilmente appena terminato le pulizie di casa, puzzavano le mani di candeggina e la gente che si accostava al banchetto eucaristico subiva quella puzza insopportabile, anziché godere del profumo soave dell’Ostia santissima. La cosa più grave è che, pur con delle lettere molto dettagliate, nessuno ha ritenuto opportuno intervenire per porre fine a quello scempio che ridicolizzava l’Eucaristia.
Ed ancora, com’è possibile permettere ad una persona di distribuire l’Eucaristia, aprire e chiudere il Tabernacolo, preparare la mensa eucaristica, purificare i vasi sacri, svolgendo in questo modo le funzioni previste per il Diacono e per l’Accolito, pur sapendo che tale persona, così com’è realmente accaduto, dopo la Messa per le quarant’ore di carnevale, ha preso parte ad una festa in maschera, travestito da “sacerdote-zombi”, con tanto di talare?
In un mio articolo su “Eucaristia e satanismo” ho scritto che il fine principale del demonio -quasi parallelamente alla dannazione delle anime- è quello di cercare di ridicolizzare e sminuire il mirabile sacramento dell’Eucaristia. Proprio attraverso un’attenta opera ambigua, confusionaria e, come vedremo, di totale sacrilegio da parte del diavolo e dei suoi seguaci, l’Eucaristia è costretta a subire abusi di ogni genere. Durante i rituali satanici, Gesù, buon pastore, è nuovamente costretto a subire l’umiliazione della colonna. Ma il suo preziosissimo corpo non è più dilaniato da verghe, da bastoni spinosi con nodi a punta, da cinghie munite di uncini all’estremità, bensì dalle forme più orribili, compiute dalla creatura umana, quando diviene strumento nelle mani del male assoluto. Gesù Eucaristia, pur subendo oltraggi gravissimi, rimane silenzioso, inerme. Il suo splendore e la sua luminosità non si affievoliscono solo perché, quale Agnello mansueto, vuole continuare ad elargire a noi, sue creature, il dono di averlo come nostro nutrimento. Il Corpo di Gesù e il corpo umano vengono sistematicamente contrappuntati, per essere assieme profanati nell’unione più blasfema: un vero contrappunto infernale. Satana combatte concretamente contro la Santissima Trinità profanando l’Eucaristia, servendosi dell’anima malata della creatura”. A questo punto, meditiamo sinceramente su quanto sia altrettanto grave ridicolizzare e spettacolarizzare nelle nostre chiese il sacrificio eucaristico. Del resto, lo stesso Giovanni Paolo II, in Mane nobiscum Domine, ha scritto: “Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente nell’Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo”. Desidero concludere, citando una frase, forse profetica, scritta dal Missionario Apostolico Don Matteo Lamanna (1710-1772), nella “sua” regola del 1752, per i “Sacerdoti Missionari figli di Maria Santissima”: “Bisogna dare ripari al Tabernacolo. Anzi, al Laterano quasi cascante!”.
Stefano Cropanese

(www.stefanocropanese.it)

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