«Possono mutare le condizioni della famiglia. Quello che permane è il suo proprium: il matrimonio tra l’uomo e la donna. Che promette il “per sempre”, custodisce la differenza sessuale, apre alla vita». Intervista al cardinale Scola.
Anticipiamo l’intervista al cardinale di Milano Angelo Scola che uscirà sul numero di Tempi in edicola da giovedì.
Famiglia risorsa decisiva. Questo il titolo dell’ultimo libro del cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola. Volume uscito alla vigilia di queste giornate internazionali della famiglia e presentato dallo stesso Scola al recente Salone del libro di Torino. Nulla di più naïf, si direbbe. Anche solo scorrendone l’indice (“Maschio e femmina li creò”, “Per sempre o finché dura?”, “Pudore e castità: ‘oggetti’ smarriti?” eccetera), si capisce che l’assertività pro famiglia è tra le maggiori “questioni disputate” del nostro tempo. E non tanto in linea di principio. Quanto piuttosto nel prosaico quotidiano. I giovani tendono alle convivenze. I legami affettivi durano una stagione e, diciamo così, gli affetti adolescenziali, insistono ormai anche nell’età adulta.
I divorzi sono in crescita esponenziale, in Italia e ovunque in Occidente. Mentre i matrimoni religiosi sono in drastico calo (nella ex cattolicissima Spagna le unioni civili hanno superato le nozze in chiesa) e sembrano appannaggio di società arcaiche. Non ultimo, si va affermando la cultura e l’istruzione di massa al cosiddetto “gender”. Ovvero il paradigma secondo cui non esisterebbero identità e differenze biologiche ma solo culturali. Ragion per cui, si apprestano a registrare anche le polizze delle grandi assicurazioni internazionali, non si deve più indicare la distinzione tra “maschio” e “femmina”, ma il “genere” a cui liberamente l’individuo decide di appartenere. I sociologi (forse anche per mascherare la loro adesione a quella specie di “summa teologica” del relativismo che è l’agenda gaylesbotransgender) chiamano tutto ciò “società liquida”.
I divorzi sono in crescita esponenziale, in Italia e ovunque in Occidente. Mentre i matrimoni religiosi sono in drastico calo (nella ex cattolicissima Spagna le unioni civili hanno superato le nozze in chiesa) e sembrano appannaggio di società arcaiche. Non ultimo, si va affermando la cultura e l’istruzione di massa al cosiddetto “gender”. Ovvero il paradigma secondo cui non esisterebbero identità e differenze biologiche ma solo culturali. Ragion per cui, si apprestano a registrare anche le polizze delle grandi assicurazioni internazionali, non si deve più indicare la distinzione tra “maschio” e “femmina”, ma il “genere” a cui liberamente l’individuo decide di appartenere. I sociologi (forse anche per mascherare la loro adesione a quella specie di “summa teologica” del relativismo che è l’agenda gaylesbotransgender) chiamano tutto ciò “società liquida”.
Eminenza, quando la Chiesa pone un fatto così socialmente rilevante e spettacolare come le giornate dedicate alla famiglia, un evento internazionale anche confortante per tanti uomini e donne che si riconoscono nel senso umano e cristiano della vita, in che senso essa non testimonia un attaccamento, commovente certo, ma destinato a essere travolto dallo Zeitgeist, l’inesorabile spirito del tempo? In altre parole: in che senso queste giornate non rappresentano un disperato sforzo etico che la Chiesa fa per resistere a un processo di omologazione che invece sembra irresistibile, e irresistibile proprio perché insito nei processi sociali, culturali ed economici di produzione di “nuova umanità”? Non ha forse ragione il ministro Elsa Fornero quando dice che «la famiglia tradizionale rischia di diventare un’eccezione, non una regola» e dunque lo Stato deve attrezzarsi a legiferare intorno alle diverse forme di famiglie e unioni?
Al di là delle diversità con cui si manifesta nelle varie culture e società, la famiglia fondata sul matrimonio, fedele ed aperto alla vita, tra un uomo ed una donna, continua ad imporsi come la via maestra per la generazione e l’educazione della persona. Un conto è costatare determinati trend sociali, un altro è affermare come cosa buona la crescita di certi fenomeni. La parola “crisi” significa giudizio ed evoca crinale, trasformazione, cambiamento. Ebbene: nessuno può negare che la famiglia, sociologicamente parlando, si presenti oggi assai diversa da quella che abbiamo conosciuto in un recente passato. Un solo dato, tra i tanti: il livello di istruzione delle donne tra i 20 e i 30 anni è già mediamente superiore a quello degli uomini. Il che, ovviamente, pone domande nuove sull’equilibrio lavoro-casa, sulla distribuzione dei compiti familiari, sui compiti educativi…
Dunque, le forme di vita della famiglia cambiano. Ma la voglia di famiglia non è sparita. La quarta indagine European Values Study sui valori in cui credono gli europei evidenzia che la famiglia è ritenuta importantissima dall’84 per cento degli europei e addirittura dal 91 per cento degli italiani. In ben 46 paesi su 47 viene messa al primo posto, precedendo aspetti centrali del vivere sociale. Aggiungo che anch’io, nella mia esperienza di pastore, riscontro continuamente un diffuso desiderio di “famiglia”, anche se non privo di contraddizioni…
Quel che mi preme dire, rispondendo alla sua domanda, è che se è vero che le “forme esterne”, le condizioni sociali della famiglia possono mutare, quel che permane è il proprium della famiglia. Esso consiste nel matrimonio di un uomo e di una donna inteso come unione stabile, che si promette il “per sempre”. Questa unione è aperta alla vita: i figli rappresentano precisamente la seconda differenza costitutiva dell’umano che la famiglia custodisce – la prima è la differenza sessuale –, ovvero quella fra le generazioni, tra chi genera (padre e madre) e chi è generato (figli). Riaffermare oggi queste verità elementari – in un clima di riflessione, testimonianza e festa, come avverrà nei giorni del VII Incontro mondiale – non significa affatto, per citare le sue parole, compiere «un disperato sforzo etico», bensì offrire una rinnovata prospettiva positiva e pro-positiva di vita buona all’intera società.
La famiglia, come tale, è “patrimonio dell’umanità” e dunque un bene da custodire e promuovere. Del resto, proprio per i caratteri che la differenziano da altre forme di convivenza (trattandosi di un legame tra un uomo e una donna, pubblico, stabile, fedele e aperto alla vita, custodito dall’indissolubilità), il matrimonio garantisce un salto di qualità all’amore tra l’uomo e la donna e questo ha, evidentemente, una ricaduta sociale positiva. Recenti studi hanno appurato, attraverso una rigorosa analisi empirica, che la famiglia “normocostituita”, marito, moglie e due figli, è la più felice. Per queste ragioni parlo serenamente di famiglia come “risorsa decisiva”.
Qualche anno fa, uno dei più brillanti editorialisti del Daily Telegraph, James Bartholomew, in un saggio (The welfare state we’re in) che è stato accolto da Milton Friedman come «una devastante critica allo Stato assistenziale», ha sostenuto che uno dei motivi non secondari della disgregazione della famiglia sono proprio le politiche di welfare. E questo perché tali politiche di “non discriminazione” tendono a sostenere, appunto, “indiscriminatamente”, qualsiasi tipo di unione. Perciò, nei fatti, rendono non conveniente (quando non addirittura controproducente, ad esempio sul piano fiscale) il matrimonio che impegna le persone alla durata, stabilità e responsabilità anche in relazione al buon ordine e alla vita di una società, all’educazione dei figli, al cespite fiscale eccetera.
Eminenza, non sarà che il liberismo è più amico della famiglia del solidarismo?
Gli “-ismi”, per definizione, non rappresentano dei valori, ma – al più – delle loro caricature. In un contesto di travaglio sociale e di crisi economica non passeggera, che impone necessariamente la decisa rilettura delle forme attuali di welfare, la soluzione dei problemi non sta nell’abbracciare ideologicamente un modello piuttosto di un altro. Sta invece nell’attuare adeguatamente due criteri decisivi: la sussidiarietà e la solidarietà. Detto in altro modo: se la famiglia viene riconosciuta davvero per quello che la Costituzione prevede, ossia un elemento insostituibile della “cosa pubblica”, è chiaro che temi quali il “quoziente familiare” o proposte simili non verranno più interpretati come richieste di parte, quanto piuttosto come una modalità innovativa di impostare il rapporto tra cittadino, corpi intermedi e istituzioni. Mettere al centro dell’azione politica e dell’economia la famiglia non significa puntare su uno schema ideologico bensì mutare il paradigma, spostare il baricentro, in un’ottica di bene comune. E farlo attraverso un welfare di comunità che veda uniti gli sforzi dello Stato e del cosiddetto “privato sociale”.
Con il suo pronunciamento a favore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, il presidente americano Barack Obama ha segnato un bel punto a favore della ulteriore legittimazione sul piano antropologico, politico e culturale, di quella agenda Lgbt che, sospinta verso il basso dalle élite, tende ad essere acquisita nel patrimonio di valori della cultura di massa occidentale. Pare evidente che se Obama verrà confermato presidente degli Stati Uniti, ne usciranno rafforzati gli organismi internazionali che già oggi spingono per l’acquisizione a livello di Carta Onu di quelli che l’agenda Lgbt proclama essere “diritti umani”. La Chiesa si troverà nella situazione in cui non si sono trovati neppure i primi cristiani sotto l’impero romano: cioè davanti a leggi internazionali non soltanto indifferenti alla visione che della vita e dell’uomo sono emersi e sono stati codificati da duemila anni di cristianesimo, ma “al di là del bene e del male”, al di là di Socrate e di ogni evidenza naturale. Come valuta questa prospettiva?
Il processo di legittimazione culturale dell’«agenda Lgbt» non è nuovo e si alimenta, in primis, di un’antropologia che annulla di fatto quella differenza sessuale di cui si parlava poc’anzi, fattore insuperabilmente costitutivo di ogni persona umana in quanto tale. La differenza sessuale, infatti, è la dimensione interna all’io che ne esprime l’apertura. La differenza sessuale è intrapersonale, per questo non può mai essere superata. Lo dicono, tra l’altro, accurati studi di psicologia del profondo. Non ha nulla a che fare con la diversità che è interpersonale. Passo dopo passo, questo processo sta ricevendo dalla politica riconoscimenti indebiti. Quanto alla politica di Obama e alle sue scelte recenti, consiglio di considerare attentamente le prese di distanza dei vescovi americani.
Ma torniamo al dato culturale. Cito, ancora una volta, un antropologo, Claude Lévy-Strauss, non certo sospettabile di simpatie cattoliche, il quale affermava: «Un’unione socialmente approvata tra un uomo e una donna e i loro figli è un fenomeno universale presente in ogni e qualunque tipo di società». Ebbene, è a questo “universale” che si addice propriamente il nome di famiglia. Le “cose” e le parole nascono insieme. Altre forme di convivenza potranno ricevere altri nomi, ma non si possono chiamare famiglia e, quindi, non possono esigere un primato solo ad essa dovuto.
È evidente che siamo qui in presenza di un circolo vizioso: da un lato si fanno strada una cultura e un’antropologia “altre” che chiedono alla politica una legittimazione; la politica, per ragioni ideologiche e di consenso, interviene spesso, in materie sensibili come questa, avvalorando abusivamente determinate richieste. La somma di queste due spinte produce un cambiamento radicale nell’ethos collettivo e questo non può non interpellarci, come cittadini e come cristiani. Come cristiani, siamo chiamati ad un impegno affascinante: testimoniare la bellezza della fede, che esalta in pieno la nostra umanità, non escludendo nulla di ciò che ci sta a cuore, a partire dall’io e dalle sue relazioni fondamentali. Tra queste il biblico “bell’amore” è determinante ed avvincente.
Luigi Amicone
fonte: Tempi.it
PURTROPPO LA CHIESA CATTOLICA è RIMASTA FERMA IN UN TEMPO PSICHICO E MORALE MEDIEVALE. SPIACE VEDERE COME QUESTA SITUAZIONE DI SCOLLAMENTO DALLA REALTà PORTI A UN ALTRETTANTO SCOLLAMENTO DELLA BASE DEI FEDELI DALLA CHIESA STESSA.
RispondiEliminaESSENDO UN FEDELE DELLA CHIESA CRISTIANA PROTESTANTE VALDESE, RISPETTO OGNI DOTTRINA CRISTIANA, COMPRESA QUELLA CATTOLICA,MA MI SENTO FELICE E ORGOGLIOSO DI ESSERE E VIVERE NEL MIO TEMPO CON LA MIA CHIESA.
GRAZIE PER L'OSPITALITà.
M.M.
Mi creda M.M. quando le dico che lo “scollamento” tra Chiesa e fedeli esiste solo nella misura in cui questi ultimi si allontanano da Gesù Cristo.
EliminaInfatti chi segue la Sua Parola che è eterna ed immutabile sa perfettamente che Gesù Cristo ha affidato a Pietro e agli apostoli la Sua Chiesa. (Mt 16,13-19)
Dunque io sono felice di fare parte della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, l’unica che abbia ricevuto questa missione e la promessa del sostegno e della presenza di Dio fino alla fine del mondo.