Non si capisce san Francesco se non riconducendosi
alla sua «teocentricità cristocentrica e rigorosamente Ecclesiale.
«Per san Francesco, Cristo era insieme necessario e sufficiente. Questo dice la spiritualità dell’umile fraticello di Assisi: la sua vita è un appartenere a un altro: Cristo».
Così ne sintetizza la figura il vescovo Francesco Moraglia, che martedì ha celebrato a Gaggiola la ricorrenza del santo d’Assisi.
«La povertà, per Francesco, è conseguenza della volontà di incontrare Cristo in modo pieno, reale, fino in fondo».
Con Francesco, «è come se il Cristianesimo rinascesse». «Non a torto si disse che con l’apparire di Francesco la Chiesa visse un momento di grazia particolarissimo. Ma anche un momento di grandissimo rischio:
Francesco godeva di un’aureola di così grande santità presso i contemporanei, che se solo avesse voluto avrebbe potuto portare la Chiesa dove voleva, asservendola alla sua persona. Avrebbe potuto mettere se stesso al centro della Chiesa – come altre volte accadde da parte di uomini meno santi di lui, o per nulla santi».
Invece, «Francesco vedeva in tutto e in tutti solamente Cristo, che a sua volta era per lui il mediatore al Padre». Da qui nasce una vera esperienza evangelica, «espressione genuina del Nuovo Testamento, assunto “sine glossa”, senza aggiunte».
Attorno a Francesco nasce la riforma della Chiesa in una delle epoche tra le più travagliate della sua storia. Per capire la situazione della Chiesa in quel tempo, «basta leggere quanto scriveva Bernanos, tratteggiando la figura del grande contemporaneo di Francesco, Domenico di Guzman, fondatore dei frati predicatori: “i monaci appartati nei conventi, i vescovi inerti o sospetti, il clero mantenuto in una ignoranza abietta in mezzo a un popolo che il progresso materiale e la facilità crescente della vita affinano ogni giorno, le parrocchie trascurate e abbandonate dai pastori legittimi a vicari mercenari, la predicazione ridotta a zero, il papato impotente, sommerso, tradito. E in questo disordine spaventoso, come lupi attraverso una città saccheggiata, gli apostoli d’una dottrina strana, che fanno del diavolo l’uguale e il rivale di Dio (gli Albigesi)”».
Questa è la situazione in cui Francesco e Domenico sono chiamati. «La sua consegna totale a Cristo fa sì che Francesco venga circondato da una fraternità. Quello che poi sarà chiamato ordine è inizialmente una fraternità dove ognuno si sente fratello e trova in Francesco una vera paternità».
Francesco rimanda la sua opera a una richiesta diretta dell’Altissimo. Tuttavia, sente bisogno di verifica. Ecco allora il frequente consigliarsi col vescovo di Assisi e la richiesta a Innocenzo III e Onorio III di approvare il suo operato, nella consapevolezza di non poter far nulla senza la parola di chi nella Chiesa ha l’autorità.
«Francesco dice cos’è la vera riforma della Chiesa e nella Chiesa. Più un movimento partecipa della Grazia e vive la dimensione carismatica del Cristianesimo, più è chiamato alla verifica da parte dell’istituzione».
Nella regola dei frati minori, Francesco promette “obbedienza e ossequio ai papi e alla Chiesa Romana”. «Francesco comprende che aver posto nella Chiesa una realtà così specifica richiedeva una precisa formulazione canonica».
Quella di Francesco fu quindi «un’esperienza fondamentalmente ecclesiale», consapevole dell’impossibilità di fare qualcosa fuori o contro la Chiesa. Non si capisce san Francesco se non riconducendosi alla sua «teocentricità cristocentrica e rigorosamente ecclesiale».
La messa è stata preceduta da una breve momento sul sagrato in cui, in onore di San Francesco Patrono d’Italia, hanno parlato il prefetto e il sindaco della Spezia.
9 ottobre 2011
fonte: Sfida Educativa – Il blog
Teniamolo bene a mente questo vescovo, ora Patriarca di Venezia. Francesco Moraglia; ne sentiremo parlare...
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