Sabato 23 Marzo 2013
Una data che sarà fissata nella storia.
di Andrea Tornielli
Una persona a me molto vicina e cara, l’altro giorno ha detto: «Non riesco a non pensare a Benedetto XVI e non riesco a non star male pensando al fatto che lui sta vedendo quando affetto e quanto entusiasmo circonda il nuovo Papa…». Per quel che si può conoscere di Ratzinger, non c’è da immaginare che possa risentirsi del fatto che il suo successore, Francesco, incontri la simpatia di fedeli e non fedeli. E appaiono francamente fuori luogo anche i commenti di chi si preoccupa per tale simpatia che Papa Bergoglio suscita anche negli ambienti laici e solitamente più distanti dalla Chiesa. Sembra quasi che non si possa essere veramente cattolici senza provocare malumore, contrasti, polemiche, antipatie. Quello che sta accadendo in questi giorni è soltanto la «luna di miele» con il nuovo Papa, destinata a finire presto? Aspettiamo di vedere che cosa accadrà. Dopo aver riconosciuto alla Chiesa cattolica la grande capacità di rinnovarsi e ripartire con slancio nonostante lo shock della rinuncia di un Papa.
I primi giorni di Papa Francesco sono stati caratterizzati dalle molte sottolineature sulle differenze con il predecessore. È vero che Bergoglio ha caratterizzato la sua missione con uno stile semplice, rompendo di continuo un protocollo oggettivamente ingessato, come peraltro aveva fatto anche Papa Wojtyla fin dall’inizio del suo pontificato. Ma già nelle prime ore dopo l’elezione sono cominciate a circolare le leggende metropolitane. Secondo una di queste, Francesco, subito dopo l’elezione, avrebbe rifiutato di indossare la mozzetta di velluto rosso bordata d’ermellino (sintetico) dicendo al maestro delle cerimonie pontificie Guido Marini: «Questa se la metta lei! Il carnevale è finito». Una battuta scortese, anzi villana, nei confronti del capo dei cerimonieri. Da quanto risulta a Vatican Insider, queste parole non sono mai state pronunciate. Francesco ha semplicemente detto a Marini che gli porgeva la mozzetta: «Preferisco di no». Nessuna battuta sul carnevale, nessuna umiliazione per l’obbediente maestro delle cerimonie.
La vera continuità tra Benedetto e Francesco sta in tanti passaggi e in tanti accenni e accenti che si sono ascoltati e visti in questi primi dieci giorni di pontificato: l’umiltà, la coscienza che la Chiesa la conduce il Signore, il mancato protagonismo del Papa: Benedetto XVI disse all’indomani dell’elezione che «il Papa dove va far risplendere la luce di Cristo, non la propria luce», Francesco incontrando i giornalisti ha detto che il «protagonista» è Cristo, non il Papa.
Anche la sensibilità nei confronti della custodia della creazione – di cui l’uomo è il vertice – e della salvaguardia dell’ambiente, è un elemento che accomuna entrambi i Pontefici. Per non parlare del tema del carrierismo e della «mondanità spirituale» nella Chiesa: solo chi ha dimenticato le profonde omelie di Papa Ratzinger su questi argomenti può pensare che non vi sia un’essenziale continuità. Solo chi non conosce i suoi scritti sulla liturgia può pensare che al centro ci fossero i pizzi e i paramenti sempre più ricercati. Per ciò che riguarda la discontinuità tra Ratzinger e Bergoglio, bisognerà interrogarsi su quanto Benedetto XVI sia stato aiutato dai collaboratori a far passare il cuore del suo messaggio. E così come va salvato Paolo VI da certi «montiniani» che si ritengono gli unici custodi autorizzati della sua memoria, così va salvato Benedetto XVI da certi «ratzingeriani» che in più di un’occasione hanno preteso di insegnargli pure il mestiere di Papa.
fonte: Sacri Palazzi
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