La Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae riguarda il tema della libertà di religione. Di per sé non è il documento più importante del Vaticano II, però è senz’altro quello che maggiormente è stato assunto a simbolo della presunta “svolta” attuata dal Concilio rispetto al passato. Coloro che interpretano il Concilio non in continuità ma come una svolta si rifanno sempre e principalmente alla Dignitatis humanae. Per questo motivo su questa Costituzione si cono concentrate le maggiori polemiche, che molto spesso impediscono, più che favorire, una corretta lettura del documento. Le opposte fazioni vi sovrappongono le proprie tesi preconcette e laDignitatis humanae è spesso stata utilizzata come una bandiera o un terreno di lotta piuttosto che un autorevole documento da leggersi in continuità con la dottrina e la tradizione cattolica. Detta in altri termini: è il documento più “spinoso” del Vaticano II.
Ed in effetti, guardando solo alla lettera e facendone una lettura affrettata, sembra balzare agli occhi una notevole discontinuità con il passato. Il diritto alla libertà religiosa era sempre stato negato dai Pontefici dell’Ottocento, perché sembrava contenere il “diritto all’errore”. Per proteggere i cittadini dall’errore, nell’Ottocento si assegnava allo Stato il dovere di difendere la vera religione nella forma dello Stato confessionale. La Dichiarazione Dignitatis humanae, invece, dice che «La persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Tale libertà consiste in questo: che tutti gli uomini devono restare immuni da costrizione da parte sia dei singoli, sia dei gruppi sociali e di qualsiasi autorità umana, così che, in materia religiosa, entro certi limiti, nessuno sia forzato ad agire contro la propria coscienza» (n. 2). Ripeto: apparentemente qualcosa di molto diverso da quanto si poteva leggere nell’enciclica Mirari Vos di Gregorio XVI o nella Quanta Cura di Pio IX.
Sotto a queste osservazioni c’è un grosso problema. Allora vuol dire che Gregorio XVI e Pio IX si erano sbagliati? Vuol dire che la Chiesa aveva negato i diritti umani? Ancor di più: vuol dire che dobbiamo vergognarci e condannare quanto la Chiesa ha detto e ha fatto prima del Vaticano II? Si tratta di domande importanti, perché è difficile credere in una Chiesa che “sbaglia”. Eppure queste idee sono circolate e circolano e così alimentano l’errata visione del Vaticano II come un “nuovo inizio” che rompe con il passato della Chiesa.
Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre 2005 sulla interpretazione del Concilio, ha però condannato una visione del Vaticano II come “rottura”. Quindi vuol dire che la Dignitatis humanae ha detto delle cose in continuità anche con quanto affermato da Gregorio XI e Pio IX. Ma su questo tornerò tra breve.
Cosa dice la Dignitatis humanae
Tornando alla libertà di religione, vediamo cosa afferma di preciso la Dignitatis humanae.
Prima di tutto afferma che la libertà di religione va protetta “entro certi limiti”. Quali sono questi limiti? Si tratta del rispetto della legge morale naturale, dell’ordine pubblico, della pubblica moralità, del bene comune della società. Se una religione permette al marito di stuprare la moglie, oppure se prevede la poligamia, che non rispetta la dignità della donna, oppure se prevede mutilazioni fisiche o alte cose di questo genere non può vantare, su questi punti, il diritto alla pubblica libertà né l’appoggio dei pubblici poteri. Già qui si vede che la libertà di religione non mette tutte le religioni sullo stesso piano. Punto, questo, su cui dovremo tornare in seguito.
In secondo luogo, la Dignitatis humanae afferma che il diritto alla libertà religiosa si fonda sul “dovere di cercare la verità” ed è per questo che le convinzioni religiose non possono essere imposte o impedite con la forza. La verità, infatti, si impone solo in virtù di se stessa, accolta nella libertà. E’ proprio l’assunzione di quei doveri che fonda la rivendicazione del diritto alla libertà religiosa. Questo punto è molto importante perché ci dice che la libertà di religione come la intende la Chiesa è diversa dalla libertà di religione come la intende il mondo. La prima ha alle spalle dei doveri e non è quindi assoluta, la seconda invece è assoluta. Non si fonda su un presunto diritto soggettivistico all’autodeterminazione, ma si fonda sulla natura della persona umana. Non è una concessione alle voglie individuali, ma il riconoscimento di un dovere (quello di cercare la verità), che per esercitarsi richiede un corrispettivo diritto.
In terzo luogo – e questo è il chiarimento più importante – la libertà di religione non nega che «l’unica vera Religione risieda nella Chiesa cattolica e apostolica” (n. 1) e «lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale degli uomini e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo» (n. 1). Si tratta di due affermazioni della Dignitatis humanae su cui spesso si sorvola, ma che danno senso a tutto il resto.
L’indifferenza alla verità religiosa
Nel post Concilio molti pensano che una religione vale l’altra. La libertà di religione, qui, è intesa come la libertà di comperare questo o quel prodotto al supermercato, secondo i propri desideri. Ma questo sarebbe in contrasto con il dovere di cercare la verità che fonda il diritto alla libertà religiosa. Ne nasce piuttosto l’indifferenza alla verità religiosa. Ed infatti oggi la maggioranza ritiene che le religioni non siano né vere né false, ritiene che non abbiano legami con la verità. Una simile visione della libertà religiosa non è cristiana perché presuppone che anche il Cristianesimo sia privo di verità, una religione come le altre. Ne nasce il relativismo religioso che impedisce la missione e l’annuncio. C’è un’unica vera religione, quella cattolica, anche se semi di verità sono sparsi anche nelle altre religioni. La libertà di religione non può contraddire questo punto. Solo che la verità della religione cattolica non può essere imposta, ma, come ogni verità, deve essere liberamente accolta.
I doveri delle società verso la religione vera
Nei confronti della religione vera c’è però un dovere degli uomini e della società. Questo è un punto molto discusso. Il fatto che questo dovere debba essere liberamente assunto e non imposto non diminuisce la sua forza. Gli uomini e le società non possono essere indifferenti verso le religioni considerandole tutte uguali e, se usano bene le risorse della ragione e del buon senso, vedono la verità dell’una rispetto alle altre. Lo Stato confessionale proteggeva una religione specifica. In questo modo, però, non rispettava la libertà di religione che però proprio i cristiani, davanti all’Imperatore di Roma, avevano rivendicato. Il rifiuto dello Stato confessionale, prima che dalle correnti di pensiero moderne, deriva dalla testimonianza dei martiri cristiani. Ma questo non significa che la religione cattolica sia come tutte le altre, significa solo che la sua utilità per il bene pubblico deve emergere dalla sua verità liberamente accolta e non imposta.
Applicazioni nuove, non principi nuovi
Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre 2005, non ha negato che nel Vaticano II siano emerse delle “discontinuità”. Ha precisato però che non si tratta di discontinuità come rottura, ma discontinuità apparenti o di fatto. Cosa significa? Le discontinuità come rottura mettono in crisi i principi, le discontinuità di fatto non mettono in questione i principi ma riformano le applicazioni, sempre però nella logica dello stesso principio. Il principio della verità della fede cattolica e della sua utilità per il bene pubblico rimane. Nell’Ottocento si applicava questo principio con la formula dello Stato confessionale. In questo modo però non si rispettava la libertà di religione come era stata rivendicata per primi dai martiri cristiani all’epoca delle persecuzioni dell’Imperatore romano. Allora era stata proprio la religione cristiana a rivendicare la libertà di religione, dimostrandosi, anche in questo, religione vera. Nessun’altra religione lo aveva fatto. Oggi questo non solo non è più possibile ma non è nemmeno più opportuno. Oggi il principio della verità della fede cattolica e della sua utilità per il bene pubblico lo si fa tramite la diffusione e la realizzazione della Dottrina sociale della Chiesa e mediante una presenza non qualunquista dei fedeli laici sulla scena pubblica. Con ciò né la verità della fede cattolica né la sua utilità - e addirittura indispensabilità - per la vita pubblica risultano diminuite.
fonte: La Bussola Quotidiana
Ecco il testo del Documento DIGNITATIS HUMANAE.
i martiri cristiani rivendicavano il diritto a testimoniare Cristo, che è ben diverso dalla presunzione di negarlo o relativizzarlo o peggio ancora di insegnare gli errori contenuti nelle false credenze religiose. conciliare l'inconciliabile è spesa inutile e ridicola, si dica che DH non rispecchia l'insegnamento tradizionale del magistero pontificio precedente, che non è un documento infallibile e che, di conseguenza, può contenere errori dottrinali. Finiamola di considerare il Vat.II come tutto divinamente ispirato, Gherardini ha ben dimostrato il contrario, e non mi sembra che si possa dire che il dotto prelato non sia un teologo cattolico.
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