mercoledì 11 marzo 2015

” Omofobia ” è desiderio di vedere gli orfanotrofi pieni?




In precedenti riflessioni abbiamo cercato di mostrare l’infondatezza di alcuni tra i tanti luoghi comuni su cui si basa l’ideologia Lgbt, a cominciare dal pregiudizio che la difesa del matrimonio e della famiglia siadiscriminante per qualcuno, per poi smontare l’idea secondo la quale la scienza dimostrerebbe che uomini e donne sono uguali, che padre e madre non sono necessari per un normale sviluppo del bambino, proseguendo per l’analisi della differenza tra ciò che è legale e ciò che è morale, per poi ricordare che non esiste alcun diritto, per nessuno, ad avere bambini, decostruendo il luogo comune secondo il quale “i bambini non hanno diritto ad avere un padre ed una madre ma qualcuno che li ami e li allevi nel migliore dei modi” e per ribadire invece che i bambini hanno diritto ad un padre e una madre, ad una famiglia vera. Abbiamo poi contestato il falso argomento secondo il quale l’omosessualità è un fatto naturale, mostrando in seguito l’inconsistenza logica dell’equazione “difendere i diritti dei bambini = omofobia “.

Questa volta prendiamo in esame un nuovo luogo comune che viene giocato ad effetto, come i precedenti, facendo leva sull’emotività dell’interlocutore: a chi non dispiace vedere un bambino in un orfanotrofio?
Lo slogan si presenta in molte versioni che tuttavia possono essere tutte ricondotte a questa forma generale:

“Diverse migliaia di bambini sono in attesa di adozione ed è meglio per loro essere adottati da una coppia omosessuale che restare in un orfanotrofio”.

Oppure: “Ti invito ad andare negli orfanotrofi a parlare a questi bambini di quanto siano importanti dei punti di riferimento per la loro crescita e quanto sia dannoso non averli: è meglio che questi bambini siano cresciuti da personale stipendiato piuttosto che da persone che li amano?“

In base a questo apparente buon “argomento” si sostiene che ai bambini orfani non può essere negata la possibilità di adozione da parte di una coppia omosessuale principalmente per due motivi, collegati fra loro:

a) la famiglia originaria non c’è più (magari si tratta addirittura di un caso di abbandono), ed i bambini hanno urgente bisogno di affetto e di qualcuno che si prenda cura di loro e

b) non è giusto negare questo affetto che il bambino potrebbe benissimo trovare in un contesto omosessuale per motivi ideologici: la priorità va data ai bisogni del bambino e se nessuno se ne fa carico perché non dare questa possibilità ad una coppia di omosessuali?

Tuttavia le “ragioni” di questo “argomento” sono soltanto apparenti.

Prima di tutto si deve precisare che (in Italia) la legge 149 del 28 marzo 2001 ha decretato per il 31 dicembre 2006, la chiusura degli orfanotrofi, trasferendo i minori in case-famiglia e dove possibile, presso famiglie affidatarie (che poi possono diventare adottive).

La casa-famiglia, in Italia, è una struttura destinata all’accoglienza, è una «comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni» la cui finalità è l’accoglienza di minorenni, disabili, anziani, adulti in difficoltà, etc. I requisiti di tali strutture sono contenuti nel decreto ministeriale del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001 n. 308 emanato ai sensi dell’art. 11 della legge 8 novembre 2000 n. 328. Molte case-famiglia, si occupano dell’accoglienza di minori «per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia». Sono quindi molto differenti dagli orfanotrofi in quanto, a differenza di questi, dovrebbero avere alcune caratteristiche che la renderebbero somiglianti – spesso coincidente – ad una famiglia.

I tratti di maggiore affinità con la famiglia sono i seguenti:

1) Presenza di figure parentali (materna e paterna) che la eleggono a loro famiglia, facendone la propria casa a tutti gli effetti.

2) Numero ridotto di persone accolte, per garantire che i rapporti interpersonali siano quelli di una famiglia.

3) La casa deve avere le caratteristiche architettoniche di una comune abitazione familiare, compatibilmente con le norme, eventualmente, stabilite dalle autorità sanitarie.

4) La casa deve essere radicata nel territorio, deve, cioè, usufruire dei servizi locali (negozi, luoghi di svago, istruzione) e partecipare alla vita sociale della zona.

Veniamo ora al preteso “argomento” in base al quale dovrebbe essere concessa la facoltà di adozione alle coppie omosessuali per sottrarre i bambini agli “orfanotrofi”.

Partiamo, come sempre, dall’evidenza.

1) Il bambino che richiede di essere adottato ha subito un danno gravissimo.

2) Il bambino adottato ha, più degli altri, bisogno di un padre e una madre.

3) L’abbandono è vissuto dal bambino come una ferita molto profonda, accentuata dalla percezione della diversità oggettiva della propria condizione rispetto a quella della maggior parte dei coetanei.

4) Il bambino abbandonato cerca i suoi punti di riferimento in un padre e una madre – come qualsiasi altro bambino – e aspira a ritrovare ciò che ha perduto.

5) Nel più profondo di se stesso, visceralmente, egli desidera riavvicinarsi alla cellula base che gli ha donato la vita: un padre e una madre.

6) Il bambino adottato deve assumere i traumi simultanei dell’abbandono e della doppia identità familiare.

7) Più di un altro, il bambino ha bisogno di una filiazione biologica evidente. Poiché, più di un altro, non crede di discendere dal frutto di un amore. Qualcosa è andato storto e teme di non essere stato desiderato: non ha gli occhi di nessuno e non si riconosce in nessuno della sua famiglia di accoglienza.

8) È inoltre frequente che il bambino adottato rigetti uno dei due sessi. E’ dunque fondamentale che possa identificarsi a due genitori di sesso differente: a sua madre, poiché ha bisogno di riconciliarsi con la donna; a suo padre per conoscere la presenza di un uomo senza cui sua madre non avrebbe potuto avere bambini.

Per questi fatti, evidenti, l’adozione da parte di una coppia omosessuale aggrava di fatto il trauma del bambino abbandonato, anziché attenuarlo, in quanto la catena della filiazione viene doppiamente spezzata: nella realtà dei fatti dal suo abbandono, nella simbolica dal fatto dell’omosessualità dei suoi genitori adottivi.

A un bambino già profondamente ferito dal suo passato, si ha il diritto di imporre di adattarsi alla situazione affettiva dei suoi genitori, differente sia da quella della maggioranza degli altri bambini sia da quella che egli aspira a ritrovare?

Incombe forse sul bambino adottato il dovere di adattarsi alle scelte di vita affettiva dei suoi genitori?

Occorre ripeterlo: l’adozione esiste per dare una famiglia con padre e madre ad un bambino, e non per dare bambini ad adulti che li desiderano.

L’adozione è destinata a riparare una situazione di difficoltà per il bambino. È dunque indispensabile discernere bene la richiesta di ogni coppia che faccia domanda di adozione: il bambino è adottato per se stesso o per soddisfare un bisogno di coppia? La coppia vuole rimediare alla situazione di difficoltà del bambino o desidera rimediare alla sua situazione dolorosa di non poter avere figli?

Beninteso, una coppia non adotta un bambino se non ne sente il bisogno. Però, bisogna vigilare affinché l’interesse del bambino sia prioritario, come si desume dal nostro diritto di famiglia: ogni bambino ha diritto a una famiglia, in primo luogo alla sua, e – in mancanza della sua – quella che ha la vocazione a diventare la sua per adozione, se tale è il suo interesse. Ecco perché è necessario ricordare che desiderare un bambino non è sufficiente per adottarlo, e che le soluzioni compassionevoli e apparentemente semplici non sono sempre delle buone soluzioni: è possibile causare molte ferite in nome del bene.

Da ultimo va sfatata una leggenda metropolitana di matrice Lgbt: NON E’ VERO che negli “orfanotrofi” ci sono infinite schiere di bambini in attesa di essere adottati: è vero piuttosto che ci sono INFINITE SCHIERE DI COPPIE ETEROSESSUALI che sono in lista d’attesa per l’adozione (tant’è vero che molti ricorrono all’adozione internazionale, nonostante gli oneri enormi che essa comporta…). Che poi la questione sia complicata dalle inefficienze burocratiche e le complicazioni tipiche italiane, è questione che non ha niente a che vedere con i gusti sessuali delle persone. E questa è tutta un’altra storia.

Alessandro Benigni

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