giovedì 24 luglio 2025

Difendere la vita, sempre: contro la cultura della morte travestita da libertà


 

In questi giorni si parla molto di eutanasia, ma se ne parla in modo inquietante, come se fosse l’ultimo grande atto di libertà. Giornali e televisioni celebrano con toni epici il gesto di chi sceglie di porre fine alla propria vita, come fosse un trionfo della volontà sull’umana fragilità. Ma siamo davvero sicuri che sia questa la strada della dignità? Che uccidersi o lasciarsi uccidere sia il segno più alto dell’essere padroni di sé?

Come cristiani, non possiamo restare in silenzio di fronte a una simile deriva. Siamo chiamati, oggi più che mai, a dire con chiarezza e carità che la vita è un dono sacro, un bene indisponibile che nessuno può arrogarsi il diritto di spegnere.

La stampa parla di “diritto”, di “scelta lucida”, ma mai — o quasi mai — parla della solitudine, della disperazione, del vuoto e dell’abbandono spirituale che accompagnano il gesto estremo dell'eutanasia.

Si tace soprattutto su ciò che accade in quei Paesi dove l’eutanasia è ormai legalizzata da tempo. In Olanda, nel solo 2024, oltre 9.900 persone sono morte con eutanasia, un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. E crescono i casi di giovani affetti da disturbi psicologici, senza malattie terminali, che ottengono il permesso di morire. Alcuni di loro non volevano morire, ma non hanno trovato nessuno disposto ad accompagnarli nella loro sofferenza.

Una visione ribaltata: la vita come ostacolo, non come dono

Ciò che impressiona è il cambiamento di paradigma: oggi molte vite vengono considerate “non degne” solo perché non rispondono a certi standard di efficienza o autonomia. La vita fragile, dipendente, ferita, viene giudicata “inutile”. Ma inutile per chi? Per una società malata di produttivismo e paura del dolore?

Siamo di fronte a una mentalità profondamente laicista e materialista che riduce l’uomo a una somma di funzionalità. È la negazione dell’ontologia umana, del valore intrinseco di ogni persona, indipendentemente da ciò che può fare o da quanto può durare la sua esistenza.

Di fronte a questa confusione morale, l’insegnamento della Chiesa risuona con chiarezza e misericordia. Il valore della vita non è negoziabile, perché essa è sacra, creata da Dio e destinata all’eternità.

San Giovanni Paolo II – Evangelium Vitae (1995)

“L’eutanasia è una grave violazione della legge di Dio [...]. È un atto intrinsecamente cattivo, in ogni occasione e circostanza.” (n. 65)

Il Papa non si limita alla condanna. Indica anche la via: accompagnare, curare, consolare. Mai abbandonare chi soffre.

Catechismo della Chiesa Cattolica

“Noi siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.” (n. 2280)

“L’eutanasia diretta [...] è moralmente inaccettabile.” (n. 2277)

 Congregazione per la Dottrina della Fede – Samaritanus bonus (2020)

“La scelta dell’eutanasia si presenta come una falsa compassione [...]. La vera compassione sostiene la persona nel dolore, senza sopprimerla.”

Questi insegnamenti non parlano solo ai credenti. Riguardano ogni coscienza aperta alla verità. Perché il rispetto della vita non è un dogma confessionale, ma una verità universale che ogni società giusta dovrebbe riconoscere.

Come cristiani non possiamo tacere. Non possiamo accettare che la morte venga normalizzata come una soluzione. Dobbiamo educare, testimoniare, pregare. Ma anche impegnarci con coraggio nella società per difendere i più fragili. Perché se una civiltà non protegge i suoi malati, i suoi anziani, i suoi deboli, non è più una civiltà: è una barbarie tecnocratica travestita da progresso.

Ogni vita merita di essere vissuta. Anche quella che soffre. Anzi, soprattutto quella che soffre. Perché è lì che Dio si fa vicino, che l’amore si purifica, che il cuore si apre al mistero. Non c’è vita inutile. E non c’è morte “bella”. C’è solo la verità di un’esistenza accolta come dono, accompagnata come vocazione e custodita fino alla fine con speranza.

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