In questi giorni si parla molto di eutanasia, ma se ne parla in modo inquietante, come se fosse l’ultimo grande atto di libertà. Giornali e televisioni celebrano con toni epici il gesto di chi sceglie di porre fine alla propria vita, come fosse un trionfo della volontà sull’umana fragilità. Ma siamo davvero sicuri che sia questa la strada della dignità? Che uccidersi o lasciarsi uccidere sia il segno più alto dell’essere padroni di sé?
Come cristiani, non possiamo
restare in silenzio di fronte a una simile deriva. Siamo chiamati, oggi più che
mai, a dire con chiarezza e carità che la vita è un dono sacro, un bene
indisponibile che nessuno può arrogarsi il diritto di spegnere.
La stampa parla di “diritto”, di “scelta lucida”, ma mai — o quasi mai — parla della solitudine, della disperazione, del vuoto e dell’abbandono spirituale che
accompagnano il gesto estremo dell'eutanasia.
Si tace soprattutto su ciò che
accade in quei Paesi dove l’eutanasia è ormai legalizzata da tempo. In Olanda,
nel solo 2024, oltre 9.900 persone sono morte con eutanasia, un aumento del 10%
rispetto all’anno precedente. E crescono i casi di giovani affetti da disturbi
psicologici, senza malattie terminali, che ottengono il permesso di morire.
Alcuni di loro non volevano morire, ma non hanno trovato nessuno disposto ad
accompagnarli nella loro sofferenza.
Una visione ribaltata: la vita
come ostacolo, non come dono
Ciò che impressiona è il
cambiamento di paradigma: oggi molte vite vengono considerate “non degne” solo
perché non rispondono a certi standard di efficienza o autonomia. La vita
fragile, dipendente, ferita, viene giudicata “inutile”. Ma inutile per chi? Per
una società malata di produttivismo e paura del dolore?
Siamo di fronte a una mentalità
profondamente laicista e materialista che riduce l’uomo a una somma di
funzionalità. È la negazione dell’ontologia umana, del valore intrinseco di
ogni persona, indipendentemente da ciò che può fare o da quanto può durare la
sua esistenza.
Di fronte a questa confusione morale, l’insegnamento della Chiesa risuona con chiarezza e misericordia. Il valore della vita non è negoziabile, perché essa è sacra, creata da Dio e destinata all’eternità.
San Giovanni Paolo
II – Evangelium Vitae (1995)
“L’eutanasia è una grave
violazione della legge di Dio [...]. È un atto intrinsecamente cattivo, in ogni
occasione e circostanza.” (n. 65)
Il Papa non si limita alla
condanna. Indica anche la via: accompagnare, curare, consolare. Mai abbandonare
chi soffre.
Catechismo della
Chiesa Cattolica
“Noi siamo amministratori, non
proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.” (n. 2280)
“L’eutanasia diretta [...] è
moralmente inaccettabile.” (n. 2277)
“La scelta dell’eutanasia si
presenta come una falsa compassione [...]. La vera compassione sostiene la
persona nel dolore, senza sopprimerla.”
Questi insegnamenti non parlano solo ai credenti. Riguardano ogni coscienza aperta alla verità. Perché il rispetto della vita non è un dogma confessionale, ma una verità universale che ogni società giusta dovrebbe riconoscere.
Come cristiani non possiamo
tacere. Non possiamo accettare che la morte venga normalizzata come una
soluzione. Dobbiamo educare, testimoniare, pregare. Ma anche impegnarci con
coraggio nella società per difendere i più fragili. Perché se una civiltà non protegge
i suoi malati, i suoi anziani, i suoi deboli, non è più una civiltà: è una
barbarie tecnocratica travestita da progresso.
Ogni vita merita di essere
vissuta. Anche quella che soffre. Anzi, soprattutto quella che soffre.
Perché è lì che Dio si fa vicino, che l’amore si purifica, che il cuore si apre
al mistero. Non c’è vita inutile. E non c’è morte “bella”. C’è solo la verità
di un’esistenza accolta come dono, accompagnata come vocazione e custodita fino
alla fine con speranza.

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