07/06/2011
di Dr. Roberto Algranati
Da alcuni anni si è fatta strada in ambiente pro-life e cattolico l’idea di valorizzare quelle parti della legge 194/78 che, almeno formalmente, sembrano proteggere la vita umana prenatale.
Si tratta del titolo della legge “Legge per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza”, e di parte degli 1, 2 e 5.1
Il progetto di valorizzare certi “elementi positivi della legge 194” per difendere le vite umane minacciate dall’aborto è in sé certamente positivo e merita di essere utilizzato e valorizzato. Tuttavia, se esso si associa alla rinuncia a denunciare l’intrinseca ingiustizia ed inaccettabilità della legge 194/78, diventa disastroso.
Si dice che mancano le condizioni per modificare la legge; anzi si aggiunge che continuare a contestare la legge creerebbe una reazione di chiusura da parte dei suoi sostenitori e ostacolerebbe la stessa applicazione delle sue parti positive. Si pensa di “svuotare dall’interno” la legge 194, e di ridurne fortemente l’impatto sociale, di “renderla quasi inutile” potenziando gli aiuti e le alternative offerta alla donna che vuole abortire perché, si dice, “se la donna è veramente libera non abortisce”.
Questo modo di pensare è del tutto irrealistico. Non si tengono in sufficiente considerazione l’origine e gli scopi di questa legge, e i metodi che sono stati usati per giungere alla sua approvazione.
La legge 194/78, infatti, non è un evento isolato, ma fa parte di un processo storico che riguarda, non solo l’Italia, ma tutto il mondo occidentale, con la sola esclusione dell’Irlanda e dell’isola di Malta. Infatti, fra il 1967 e il 1980 tutte le altre nazioni del mondo occidentale hanno introdotto leggi fortemente permissive in materia di aborto.
Perché ciò è avvenuto?
In tutti questi paesi, Italia compresa, esisteva già la possibilità legale dell’aborto terapeutico per salvare la vita della madre o per impedire gravissimi danni alla sua salute fisica, non altrimenti evitabili.
Inoltre lo sviluppo della moderna medicina aveva quasi completamente eliminato la drammatica necessità dell’aborto come estremo mezzo terapeutico.
Anche la mortalità femminile per aborto clandestino, contrariamente a quanto falsamente si è fatto credere, era molto bassa e non superava in Italia lo 0,2% della mortalità femminile in età feconda.
Per questi motivi i medici non avevano mai chiesto leggi più permissive in materia di aborto terapeutico ma, al contrario, ne avevano sempre più ristretto le indicazioni.
In realtà la legge 194, come le altre leggi simili del mondo occidentale, è stata approvata con lo scopo prioritario di legalizzare l’aborto a richiesta della donna nei primi 90 giorni di gravidanza e l’aborto eugenetico fino alla 24° settimana di gestazione. Questa legge non ha alcun fondamento nella biologia scientifica, né nelle esigenze della medicina e nemmeno nei principi generali del diritto, ma è soltanto il frutto di una imposizione culturale tenacemente voluta da politici cinici e conformisti e accettata da un’opinione pubblica ingannata per anni da una sistematica propaganda menzognera sui mezzi di informazione.
In un passato relativamente recente, le stesse caratteristiche sono state proprie delle leggi razziali. Non esisteva alcuna base scientifica né giuridica che giustificasse la presunta superiorità della razza bianca su quella nera o degli ariani sugli ebrei. Solo l’ideologia della “razza superiore”, e il mito i della “purezza razziale”, imposti da politici senza scrupoli, avevano portato alle leggi razziali.
Allo stesso modo, l’ondata di leggi permissive in materia di aborto, che ha interessato il mondo occidentale, è in realtà causata da due ideologie, entrambe nate nel mondo anglosassone. La prima è l’ideologia femminista radicale, che considera un’ingiustizia, inaccettabile per la donna, l’obbligo legale di portare a termine una gravidanza, anche se indesiderata, e vede in ciò un grave ostacolo alla sua affermazione nella società e al raggiungimento di una piena parità con l’uomo. Perciò questa ideologia vuole che alla donna sia riconosciuto il diritto di scelta (choice) fra l’interruzione o il proseguimento della gravidanza. La seconda è l’ideologia neomalthusiana, antinatalista che ritiene la crescita della popolazione mondiale causa prima della fame e del sottosviluppo del terzo mondo e la considera una grave minaccia al benessere delle nazioni ricche. L’arresto della crescita della popolazione mondiale è lo scopo prioritario della IPPF (International Planned Parenthood Federation), la potentissima organizzazione antinatalista, nata nel 1942 negli Stati Uniti con Margaret Sanger e poi estesasi a tutto il mondo a partire dagli anni’50. Questa ideologia è una filiazione diretta delle ideologia razzista ed eugenista della prima metà del 20° secolo.
Nel 1967 l’ALRA (Abortion Law Repeal Association), portabandiera delle femministe inglesi, ottenne in Inghilterra l’approvazione dall’ Abortion Act (aborto praticamente a richiesta fino alla 24a settimana di gravidanza).
Poco dopo la IPPF, che fino ad allora aveva propagandato solo la contraccezione e la sterilizzazione, nel suo congresso mondiale a Dacca (28/1/– 4/2/1969), decise di promuovere su scala planetaria la legalizzazione permissiva dell’ aborto (definito testualmente “il mezzo chirurgico della contraccezione”) ritenendolo, come risulta dagli atti, la soluzione più efficace per arrestare la crescita della popolazione mondiale. Lo stesso orientamento venne ribadito ai congressi della IPPF per l’Europa (Budapest 1969) e per l’estremo oriente ed il Pacifico (Tokio 1970)
Per ottenere l'approvazione di leggi permissive in materia d’aborto fu messo a punto un programma basato sulla menzogna sistematica e studiato in modo da ingannare l'opinione pubblica tramite i mezzi di comunicazione di massa, così da convincerla che la legalizzazione dell'aborto in forma permissiva era una necessità sociale ed una misura umanitaria e progressista.
Questo programma è stato realizzato in modo uguale in tutto il mondo occidentale, Italia compresa.
Il programma si articola nei seguenti punti:
1. Affermare che il numero degli aborti clandestini è elevatissimo.
2. Affermare che la legalizzazione dell'aborto è indispensabile per evitare un’ecatombe di giovani donne causata dai numerosissimi aborti clandestini.
3. Negare, anche contro l'evidenza scientifica, la natura umana del bambino non ancora nato e cercare di far dimenticare la sua esistenza modificando opportunamente il linguaggio e trattando l'argomento dell'aborto come un fatto che non lo riguarda.
4. Tenere rigorosamente nascoste le moderne conoscenze di embriologia umana e la natura atroce delle tecniche abortive screditando con l'accusa di " terrorismo psicologico "chiunque voglia farle conoscere.
5. Affermare che le leggi permissive in materia d’aborto promuovono l’emancipazione, la libertà e la dignità della donna e che, quindi, voler sostenere il diritto alla vita del nascituro fin dal concepimento è frutto di una mentalità arretrata, maschilista ed ostile all'emancipazione femminile.
6. Sfruttare i processi per reati d’aborto clandestino e tutte le possibili occasioni, anche le più drammatiche, per promuovere la legalizzazione dell'aborto.
Ed ecco come in Italia, sulla falsariga di questo programma internazionale, è stato promossa la legalizzazione permissiva dell’aborto, poi conclusasi con la promulgazione della legge 194 il 22 maggio 1978.
Secondo questi promotori, negli anni ’70, in Italia gli aborti clandestini sarebbero stati da 800 000 a tre milioni ( da 2 a 8 in media per ogni donna nel corso della sua vita !! ).
Le donne morte per aborto clandestino sarebbero state ben 20-25000 all’anno (tre volte le morti annuali per incidenti stradali negli anni ’70). Queste cifre comparvero negli anni ‘70 su giornali e settimanali come La Stampa, il Corriere della Sera, Panorama, l’Espresso e altri, e furono ritenute così attendibili da alcuni politici da essere riportate in ben tre disegni di legge regolarmente depositati in Parlamento (DDL Banfi, Brizioli e Fortuna).
La legge italiana che proibiva l’aborto sarebbe stata fascista perché contenuta nel codice Rocco del 1930, anche se era perfettamente uguale a quella del precedente codice penale Zanardelli del 1889.
Nel 1976 l’incidente di Seveso e l’inquinamento ambientale da diossina fu l’occasione per spingere all’ aborto le donne incinte colpite dall’inquinamento (anche contro la legge allora vigente) al fine di impedire la nascita di eventuali bambini con malformazioni. “Non vogliamo mostri” fu lo slogan delle femministe accorse prontamente a Seveso. Vennero eseguiti, in deroga alla legge, 30 aborti.
Ma qual’era la verità?
Il numero annuale di aborti clandestini in Italia era compreso fra 100 e 200 000, e il numero di donne, morte per aborto clandestino, all’incirca 30 all’anno: lo 0,2% della mortalità femminile in età feconda che, nel 1972, è stata, per tutte le cause di morte, di circa 15000 unità. Molto meno delle 20- 25000 morti attribuite al solo aborto clandestino dai promotori della legge abortista!
Queste stime obbiettive furono pubblicate dal prof. Colombo, demografo dell’Università di Padova, nel 1977 e risultarono esatte. L’approvazione della legge 194 non produsse, infatti, alcuna modificazione apprezzabile della mortalità femminile in età feconda, che continuò a diminuire con la stessa velocità di prima (circa il 2,5% all’anno), grazie al continuo progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria. Ciò dimostra che la mortalità per aborto clandestino era statisticamente insignificante.
Nessuno dei feti abortiti a Seveso risultò malformato; i figli e le figlie delle donne che allora rifiutarono l’aborto sono oggi giovani uomini e donne del tutto normali.
La natura ideologica della legge 194/78 è evidenziata non solo dalla sua origine e dai metodi seguiti per la sua approvazione, ma anche dall’accanimento irragionevole con cui si continua ad affermare che gli aborti legali sono diminuiti per merito di questa legge permissiva. E’ contro il semplice buon senso sostenere che, trasformando l’aborto da reato in diritto garantito dal Servizio Sanitario, la sua frequenza diminuisca. Se essa di fatto si riduce, la causa deve, necessariamente, essere diversa e risiede, in massima parte, nell’uso massiccio della pillola del giorno dopo (300 000 confezioni vendute ogni anno in Italia). Questo prodotto farmaceutico causa aborti precocissimi, che sfuggono alla statistica. E’ comunque sconcertante e anche motivo di preoccupazione che simili assurdità siano state ripetutamente affermate da due Ministri della Sanità anche recentemente siano state ribadite dal sottosegretario al Ministero della Salute.
Tuttavia è logico. e in fondo inevitabile. che i sostenitori della legge 194/78 facciano simili affermazioni, perché questa legge, come quelle razziali del passato, è unicamente di natura ideologica. Le ideologie sono sostenute, non dall’amore per la verità, ma solo da una “volontà di potenza” e perciò resistono alla logica, alla scienza, al buon senso e persino alla realtà dei fatti. In altri termini: certe affermazioni vengono fatte non perché sono vere ma solo perché servono a giustificare il contenuto dell’ideologia, nel caso specifico, il diritto della donna all’aborto il mantenimento in vigore della legge.
Negli anni ‘70 c’era però ancora un serio ostacolo alla legalizzazione permissiva dell’aborto in Italia: La sentenza della Corte Costituzionale n° 27 de 12/ 2/ 1975. Questa sentenza affermava la liceità costituzionale del solo aborto terapeutico diretto a proteggere, non solo la vita, ma anche la salute della madre. La sentenza però precisava “…… ritiene anche la Corte che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione: e perciò la liceità dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla. "
Per cercare di conformarsi (solo a parole) alla sentenza della Corte Costituzionale, la legge 194 venne impostata come una regolamentazione dell’aborto terapeutico, in cui però, nei primi 90 giorni, è la sola donna che decide, a suo insindacabile giudizio, se l’aborto è necessario per la sua piena salute fisica e psichica “….in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito….” (Art.4). Poi, fino alla 24a settimana di gravidanza, l’aborto terapeutico è legalmente permesso “…..quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (Art. 6) L’accertamento deve essere effettuato e documentato da un medico del servizio ginecologico dove avverrà l’intervento, che può, ma non è obbligato, a servirsi di un consulente specialistico.
Da notare: L’aborto è legalmente lecito anche se i processi patologici o le malformazioni potrebbero essere guariti o corretti prima o dopo la nascita.
Inoltre il ginecologo, non essendo obbligato alla consulenza specialistica, può valutare e documentare anche da solo la sussistenza di un grave pericolo per la salute psichica della donna.
E’ evidente che così il legislatore ha voluto legalizzare sia l’aborto a richiesta nei primi 90 giorni, sia l’aborto eugenetico fino alla 24° settimana gravidanza, mascherandoli entrambi da aborti terapeutici per tutelare la salute fisica e psichica della donna. La valutazione del grave pericolo per la salute psichica, dopo i 90° giorno di gravidanza, è a affetta inevitabilmente da un giudizio molto soggettivo da parte del medico ed è difficilmente contestabile.
Per di più, nei primi 90 giorni di gravidanza, non soltanto è la donna che da sola valuta, a suo insindacabile giudizio, se l’aborto è necessario per tutelare la sua salute fisica o psichica, come previsto dall’articolo 4, ma nessuno può impedirle di attuare la sua decisione. Neppure il padre del nascituro, anche se legittimo marito della donna, e nemmeno i genitori di una minorenne che, per la legge 194, può abortire anche a loro insaputa. Infine la legge obbliga gli enti ospedalieri (oggi le ASL) ad eseguire le interruzioni legali di gravidanza, e prevede che la Regione ne controlli e garantisca l'attuazione (art. 9). Il direttore di una ASL, che si rifiuti di garantire il servizio di aborto legale, è passibile di condanna per omissione di atti d’ufficio e per lui non è ammessa l’obbiezione di coscienza.
Dunque, nei primi 90 giorni di gravidanza è la donna che decide di abortire e le ASL sono obbligate ad eseguire. Nessun altro intervento può essere imposto ad una struttura sanitaria, se i medici non lo ritengono giustificato; ma l’aborto sì, può essere imposto e ciò in forza della legge 194/78.
Così il legislatore ha implicitamente riconosciuto anche l’autodeterminazione della donna e il suo diritto all’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza in contrasto con la sentenza n° 27 / 75 della Corte Costituzionale.
Al contrario, tutte le parti della legge che parlano di aiuto alla donna per evitare l’aborto sono configurate non già come “obblighi” ma come “compiti” del Consultorio o della struttura socio sanitaria e pertanto, nella stessa legge, non è prevista alcuna sanzione per chi non li rispetti.
Tutto ciò dimostra che è completamente falsa l’affermazione, anche oggi ripetuta, che la legge 194 permetterebbe l’aborto solo per casi estremi, o come “ultima spiaggia. Chi fa queste affermazioni o non conosce la legge o è in malafede.
La legge 194 fu approvata dal Parlamento con solo 14 voti di maggioranza e furono determinanti i voti dei cosiddetti “cattolici per il socialismo”, quegli stessi che avevano inserito nel titolo della legge l’espressione “ tutela della maternità” e all’ Art. 1 l’affermazione “la legge tutela la vita umana fin dal suo inizio”; un’affermazione destinata a rimanere lettera morta perché, volutamente, si era evitato di specificare quando, per la legge, iniziava la “vita umana”
Allora i sostenitori della legge 194 non si preoccuparono affatto di “lacerare il paese”, di “di creare steccati” e di innalzare “muro contro muro”, slogan che ora vengono lanciati immediatamente contro chi propone qualsiasi modifica restrittiva della legge 194. L’auspicio che spesso oggi si sente ripetere di trovare “soluzioni ampiamente condivise” fu allora completamente disatteso.
L’ultimo atto dell’iter legislativo della legge 194 si compì il 22 maggio 1978.
Ben sei democristiani firmarono la legge 194/78:
il Presidente della Repubblica Leone, il Presidente del Consiglio Andreotti e quattro ministri: Anselmi (Sanità), Bonifacio (Giustizia), Pandolfi (Finanze ) e Morlino (Tesoro).
Il Presidente della Repubblica, come garante della Costituzione avrebbe dovuto riconoscere almeno la dubbia costituzionalità della legge e rimandarla perciò al Parlamento per un’adeguata modifica. Invece la firmò lo stesso.
Ancora più sconcertante fu la firma dell’allora ministro della giustizia on. Bonifacio, lo stesso che tre anni prima, come Presidente della Corte Costituzionale, aveva firmato proprio la già citata sentenza n° 27 del febbraio 1975 in cui si affermava che è “….obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione." Non si era accorto, l’on. Bonifacio, che all’art. 4 la legge non prevedeva alcun accertamento sulla realtà e gravità del danno o pericolo..?
La ragione profonda e inconfessata di queste contraddizioni era, in realtà, di natura politica: tre anni prima, il 21/ 4/ 1975, al congresso nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro aveva detto testualmente:
“La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo della coscienza certe valutazioni rigorose, certe impostazioni di principio che erano proprie della nostra formazione in una diversa stagione della vita sociale, ma che ora fanno ostacolo alla comunicazione con le masse e alla collaborazione di governo. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza.”
Questa frase, detta pubblicamente mentre era in corso una massiccia campagna mediatica per ottenere una legge permissiva in materia di aborto, era il segnale che la DC non si sarebbe opposta ad oltranza ad una simile legge. Il contenuto della frase è anche sufficiente per ritenere che questo atteggiamento della DC facesse parte degli accordi per il “compromesso storico” con i comunisti.
Da quanto sopra detto si può dare il seguente giudizio oggettivo sulla legge 194/78:
1. Non ha giustificazioni mediche né giuridiche.
2. E stata voluta solo per ragioni ideologiche e di convenienza politica
3. Contraddice i dati certi della moderna biologia scientifica.
4. Si è affermata con l’uso massiccio e sistematico della menzogna sui mezzi di comunicazione di massa al fine di ingannare l’opinione pubblica.
5. Ha legalizzato di fatto l’aborto a richiesta nei primi 90 giorni di gravidanza e l’aborto eugenetico nel 2° trimestre di gravidanza mascherandoli entrambi come “aborti terapeutici”,
6. Ha istituito di fatto un diritto della donna all’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza.
7. Per i motivi di cui ai punti 5 e 6 è in contrasto con la sentenza 27 / 75 della Corte Costituzionale.
8. Le affermazioni e le disposizione a favore della vita del nascituro o sono puramente declamatorie o sono volutamente di scarsa efficacia perché qualificate solo come “compiti” e non come “obblighi”, per la cui inadempienza la legge non prevede alcuna sanzione.
Sono passati più di trent’ anni dalla promulgazione della legge 194/78 e si può fare un bilancio.
La gestione della legge 194/78 è stata, e continua ad essere, pesantemente abortista, come del resto era inevitabile,dato il suo spirito e la sua struttura.
I consultori familiari che, teoricamente, avrebbero dovuto aiutare la donna a rimuovere le cause che la spingevano all’aborto, hanno provveduto, quasi sempre, solo a distribuire certificati per l’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza.
Gli aborti legali sono stati circa 5 milioni (in media 160 000 all’anno) per il 98% eseguiti a semplice richiesta della madre nei primi 90 giorni di gravidanza secondo l’art. 4 della legge. Formalmente sono stati tutti aborti “terapeutici”, in un’epoca in cui il vero aborto terapeutico, grazie ai progressi delle scienze mediche, è divenuto rarissimo. Gli aborti eugenetici nel secondo trimestre di gravidanza sono stati almeno 100 000 e sono stati eseguiti anche quando i processi patologici o le rilevanti anomalie o malformazioni che li giustificavano avrebbero potuto essere guariti o corretti prima o dopo la nascita.
La legge ha aperto una breccia devastante nell’argine che per secoli il diritto aveva eretto a difesa della vita umana innocente, provocando una grave perdita di valore della vita umana prenatale, soprattutto nei primi 90 giorni di gravidanza. Attraverso questa breccia, oltre a milioni di vittime innocenti, sono passate anche la pillola del giorno dopo, la fecondazione in vitro con embrio-transfer (FIVET), che causa una mortalità del 90% degli embrioni così concepiti, e la Ru 486, cioè l’aborto chimico.
Non c’è da meravigliarsi, perché le leggi hanno un potente effetto educativo. Se lo Stato permette, garantisce e finanzia l’aborto a richiesta della donna nei primi 90 giorni di gravidanza, o fino alla 24a settimana se il feto è malato o malformato, ciò significa che, per lo Stato, la vita di questi esseri umani innocenti non vale nulla e che la loro soppressione è considerata dallo stesso Stato un fatto indifferente o addirittura positivo, degno di tutela legale.
Dopo queste considerazioni, tutte rigorosamente documentabili, si può concludere che è sicuramente perdente la strategia di puntare solo sulla prevenzione dell’aborto, valorizzando i deboli elementi favorevoli presenti nella legge 194/78, senza contestare in radice la gravissima ingiustizia della legge stessa, ma anzi tacendo sul suo vero significato. Perché questa strategia rinforza il concetto perverso che la donna ha il diritto di scegliere se uccidere o lasciar vivere il proprio figlio e si limita soltanto ad aiutarla a scegliere a favore della vita del nascituro. Si dimentica, o si vuole dimenticare, l’ideologia, la cultura, l’atmosfera di menzogna, di ipocrisia, di cinismo e di opportunismo politico che hanno portato all’approvazione della legge 194 e che continuano a mantenerla in vigore.
L’ultima smentita alle utopiche speranze di certi pro-life è l’autorizzazione al commercio, anche in Italia, del RU 486, la pillola dell’aborto chimico. Con questo veleno embrionale, l’aborto nei primi 50 giorni di gravidanza diventa più semplice ed economico per il Servizio Sanitario, è meno ostacolato dall’obbiezione di coscienza degli operatori sanitari, e permette alla donna di simulare facilmente un aborto spontaneo, evitando così la riprovazione sociale ed eventuali conflitti con il partner e i famigliari.
Si afferma che questo tipo di aborto non è conforme alla legge 194/78. Non si coltivino illusioni: lo spirito di questa legge è il diritto incontestabile della donna all’aborto, su richiesta, nei primi 90 giorni di gravidanza; il RU486 rende ancora più semplice il soddisfacimento di questo diritto. Perciò sarà trovato il modo di rendere del tutto legale l’aborto chimico, se necessario “ritoccando la forma” della legge 194/78, per adeguarla, in conformità al suo spirito e ai suoi scopi, alle “ conquiste del progresso scientifico” in questo campo, sconosciute nel 1978.
Un’ultima considerazione deve essere fatta sul ruolo fondamentale che la scristianizzazione dell’Europa ha avuto nella affermazione dell’ideologia abortista, nell’ approvazione e nel mantenimento in vigore delle leggi permissive in materia di aborto.
Solo l’Irlanda e l’isola di Malta non hanno mai introdotto simili leggi e solo la Polonia ha cambiato in senso molto restrittivo la precedente legge permissiva del regime comunista, riducendo così drasticamente gli aborti legali da più di 100 000 a poche centinaia all’anno. Sono nazioni in cui la fede e i valori cristiani hanno ancor oggi una grande importanza nelle decisioni dei laici impegnati in politica.
Una situazione culturale simile c’era in Italia nel 1948, quando l’impegno massiccio dei cattolici salvò l’Italia dal regime comunista e gettò le basi politiche del grande sviluppo economico dei successivi decenni.
Ma trent’ anni dopo, nel 1978, la situazione era già molto cambiata. Una parte dei cattolici era diventata “adulta”, erano nati i “cattolici democratici” e i “cattolici per il socialismo”. L’orientamento prevalente dei politici DC era per il “compromesso storico” con i comunisti, nei cui accordi, come più sopra ricordato, c’era anche la non resistenza ad oltranza della DC ad una legge permissiva sull’aborto. Nel campo politico la cultura cristiana era stata sostituita dalla cultura del compromesso, beninteso “a fin di bene”, “per evitare un male maggiore” per “ridurre il danno” ecc…., ma in realtà espressione di debolezza, di mediocrità culturale e di opportunismo.
Così, anche in Italia, si è giunti all’approvazione di una legge abortista, la legge 194/78, salutata con entusiasmo dai giornali laicisti come vittoria delle donne e conquista di civiltà.
Se si considera, nel suo complesso, il fenomeno storico delle leggi abortiste nelle società democratiche contemporanee, si rimane impressionati sia dal disprezzo della dignità umana, e dalla violenza verso esseri umani innocenti che queste leggi realizzano nella strutture sanitarie, sia dalla menzogna, dall’ipocrisia, e dall’ arroganza culturale con cui queste leggi sono sostenute sulla maggior parte dei mezzi di comunicazione di massa, fino a causare nell’opinione pubblica un’ eclissi della ragione e del naturale senso di giustizia.
Insieme a una piccola minoranza di laici coraggiosi, i cattolici, in Italia, sono rimasti quasi soli a difendere la verità e la giustizia in questo campo.
Di qui la loro particolare responsabilità, quale “luce del mondo e sale della terra”. Il maggiore pericolo sono i compromessi con l’errore, reali od anche solo apparenti, perché essi compromettono gravemente l’identità dei cattolici e influenzano in senso negativo l’opinione pubblica e le convinzioni degli stessi fedeli.
“Se il sale perde il sapore con che cosa gli si renderà il sapore?. Non vale più nulla se non ad essere gettato fuori e calpestato dagli uomini” (Mt. 5, 13)
Fonte: Difendere la Vita - 04/06/2011