"Esprimo la mia riconoscenza a Giacinta per i sacrifici per il Santo Padre, che aveva visto soffrire"(Giovanni Paolo II).
La sera del 20 febbraio 1920, sola, come la Madonna le aveva
annunciato, moriva la più piccola dei veggenti di Fatima, Giacinta Marto.
Nel mese di febbraio ricorreva dunque l’anniversario della
sua partenza per il Cielo e la Chiesa celebra la sua memoria da quando, il 13
maggio 2000, a Fatima, è stata proclamata Beata da Giovanni Paolo II insieme al
fratello Francesco, anch’egli testimone e protagonista delle apparizioni di
Fatima.
Chi era la piccola Giacinta Marto? E come è possibile che
una bambina di soli dieci anni – ne aveva sette al tempo delle apparizioni –
possa aver scalato in così poco tempo la vetta della santità tanto da indurre
la Chiesa a elevarla alla gloria degli altari?
«Io prometto...»
Giacinta conduceva le pecore al pascolo con suo fratello
Francesco in uno sperduto villaggio del Portogallo, alla Cova da Iria. Non
aveva ancora fatto la prima Comunione quando le apparve la "Bella
Signora", il 13 maggio 1917.
Entrambi i fratelli non erano particolarmente devoti. Lo
conferma il modo piuttosto birichino che essi avevano di recitare il rosario:
dicevano Padre nostro e poi subito infilavano le parole Ave Maria, una dietro
l’altra, fino al Pater successivo. Così il rosario finiva in un baleno e loro
potevano tornare, senza rimorsi, ai loro giochi.
Per primo apparve l’Angelo, insegnando loro una preghiera:
«Mio Dio, io credo, adoro, spero e ti amo! Ti domando perdono per quelli che
non credono, non adorano, non sperano e non ti amano…». Per poi aggiungere:
«Pregate così. I Cuori santissimi di Gesù e Maria sono attenti alle vostre
suppliche».
In seguito ai bambini – con Giacinta e Francesco c’era anche
la cugina di qualche anno più grande, Lucia dos Santos – apparve la Vergine il
13 maggio 1917, chiedendo preghiere e sacrifici per i peccatori, la
consacrazione al suo Cuore immacolato, ed annunciando infine una «grande
promessa».
In che cosa consiste questa grande promessa di Fatima?
«Io prometto – disse la Vergine – di assistere nell’ora
della morte, con le grazie necessarie alla salvezza, coloro che nel primo
sabato di cinque mesi consecutivi si confesseranno, riceveranno la Comunione,
diranno una corona del rosario e mi faranno compagnia per un quarto d’ora meditando
i misteri del rosario, con l’intenzione di offrirmi riparazione».
Un dono totale
La consacrazione a Maria non deve essere un effimero
entusiasmo, un fervore solo esteriore, ma un dono totale. Il dono di sé, nelle
facoltà del corpo e dello spirito, a colei che è la cristifera, la soglia che
ci introduce a Cristo, cuore del mistero trinitario. «Io prometto», dice la
Vergine, e la sua non è una promessa alla maniera degli uomini, così facili a
tirarsi indietro, così inclini al cambiamento. È una promessa che vale come
salvacondotto per la vita eterna.
«Pregate molto»
Fin dal tempo delle prime apparizioni, Giacinta prese
l’abitudine di dare la sua merenda ai poveri. Per saziare gli stimoli della
fame si nutriva alla meglio con radici, ghiande, frutti selvatici. «Così si
convertiranno più peccatori», diceva.
Sicura, per la promessa della Madre celeste, di dover
lasciare presto la terra, Giacinta preferiva spesso saltare la scuola per
fermarsi in chiesa a pregare.
Le sue giornate e quelle di Francesco erano puntellate di
giaculatorie, atti d’amore a Gesù e Maria.
«Nella vicenda di questi due bambini – ha sottolineato
Stefano De Fiores all’indomani della beatificazione dei fratelli Marto – c’è un
piccolo trattato di antropologia cristiana. Chi è l’uomo? La tradizione
illuminista lo vide una coscienza in grado di determinarsi. È una grande acquisizione.
Ma ha rischiato di chiudere l’uomo su se stesso. Francesco e Giacinta, invece,
vedono l’altro non come un estraneo, ma come qualcuno con cui solidarizzare
fino al punto di assumersene il peso. È l’idea di un’antropologia relazionale,
che in qualche modo è anche un riflesso della vita trinitaria».
Dopo le apparizioni, la piccola Marto cominciò a trascorrere
lunghe ore in preghiera, specialmente nella recita del rosario, tanto
raccomandato dalla Madonna. Le parole della Vergine si stamparono indelebilmente
nel suo cuore, furono il faro di tutte le sue azioni. «Pregate, pregate molto e
fate sacrifici per i peccatori. Badate che molte, molte anime vanno all’inferno
perché non vi è chi preghi e si sacrifichi per loro. Siete disposti a offrirvi
al Signore, pronti a fare sacrifici e ad accettare volentieri tutte le
sofferenze che egli vorrà mandarvi, in riparazione di tanti peccati con i quali
viene offesa la sua divina maestà, per ottenere la conversione dei peccatori e
in riparazione delle offese fatte contro l’immacolato Cuore di Maria?».
«O mio Gesù...»
Giacinta praticava l’immolazione nascosta per salvare i
peccatori, portando una corda stretta attorno al corpo e sopportando in spirito
di penitenza ogni contrarietà. Alla fine della sua vita, gravemente ammalata,
fu internata in un ospedale di Lisbona, dove morì da sola. «O mio Gesù – furono
le sue parole – ora puoi convertire molti peccatori, perché questo sacrificio è
molto grande…».
Modello di santità
«Alla scuola della Vergine, l’anima progredisce di più in
una settimana che in un anno fuori della sua scuola!», sosteneva il grande
devoto di Maria, Grignion di Montfort. Queste parole nella vita di Giacinta si
sono realizzate alla lettera. La pedagogia squisitamente materna di Maria in
pochi anni ha fatto sì che Giacinta giungesse alle vette della santità. Del
resto, «Giacinta era bambina soltanto negli anni», aveva detto di lei la cugina
Lucia.
Un procedimento lungo e complesso, con difficoltà quasi
insormontabili, ha portato Giacinta – e il fratello Fracesco – sugli altari. Il
processo canonico circa l’eroicità delle loro virtù ha contribuito ad
accertare, contro la convinzione dominante in precedenza, che anche i bambini
possono essere santi.
La loro causa di beatificazione, infatti, era rimasta
bloccata per vari decenni perché, secondo la dottrina tradizionale, si
richiedeva che l’esercizio eroico delle virtù cristiane (quelle teologali di
fede, speranza e carità e quelle cardinali di prudenza, giustizia, fortezza e
temperanza) dovesse avvenire «per un periodo duraturo», il che escludeva dal
prendere in considerazione dei fanciulli.
Nel 1981 il Dicastero per le cause dei santi dedicò
un’assemblea allo studio di tale possibilità e la risposta da parte di teologi,
giuristi, pedagoghi e psicologi fu affermativa. L’abolizione di quella
restrizione, suffragata dai più moderni studi di psicologia infantile, ha così
aperto la strada della santità canonica per i due fanciulli di Fatima e per
altri che verranno dopo di loro.
La santità di Giacinta è stata nell’aver aderito pienamente
al messaggio di Fatima. Quel messaggio era il Vangelo di Gesù predicato dalla
Madonna. La piccola Marto, dunque, viene proposta come modello di santità non
perché ha vissuto col fratellino Francesco l’esperienza di veggente della più
importante apparizione mariana del ’900, ma, come ha efficacemente ribadito il
postulatore della causa, il gesuita Paolo Molinari, «per come dei bambini hanno
saputo sviluppare il loro spirito di fede nel Signore e mettere in pratica
quello che la Madonna aveva loro detto: pregare il rosario e sacrificarsi per i
peccatori».
Maria Di Lorenzo
Font: stpaulus.it
Resto sempre meravigliata ogni qualvolta mi soffermo su questa piccola santa. Con quale coraggio ed amore ha aderito alle richieste della Vergine Maria! Lascia strabiliati considerare il fatto che fosse solo una bambina.
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