C’è un vuoto dentro ogni essere
umano che nessuna conquista materiale, nessun successo personale e nessuna
relazione puramente terrena riescono a colmare. È il vuoto di Dio. L’uomo
moderno, nella sua corsa verso l’autonomia assoluta, si è illuso di poter
bastare a sé stesso, di poter dare un senso alla propria esistenza senza fare
riferimento al suo Creatore. Ma la sete di infinito che abita il cuore umano —
quella che Sant’Agostino riconobbe con le parole: “Ci hai fatti per Te, e il
nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” — continua a gridare
dentro ciascuno di noi.
L’uomo che non vuole guardarsi
dentro. Scendere in profondità nel proprio cuore è un atto che richiede
coraggio. Significa smettere di nascondersi dietro l’apparenza, dietro la
produttività, dietro l’illusione di controllo. È un passo che la cultura
contemporanea scoraggia bombardandoci con messaggi fallaci e menzogneri: siamo
invitati a “sentirci bene” ma non a interrogarci sul senso. Eppure, è solo lì,
nel silenzio e nella verità di noi stessi, che emerge il bisogno più radicale
dell’uomo — il bisogno di un Altro che dia consistenza e senso al nostro
essere.
Quando l’uomo rimuove Dio dalla
propria vita, non si libera: si perde. La storia moderna ne è testimone. Le
ideologie materialiste e nichiliste hanno promesso emancipazione, ma hanno
prodotto alienazione. Hanno tolto Dio, ma con Lui hanno tolto anche la verità
sull’uomo. Benedetto XVI lo ha espresso con lucidità: “Quando si esclude
Dio, non si eleva l’uomo, lo si abbandona.”
Il mondo senza Dio diventa un
deserto interiore. Le società che hanno voluto sostituire Dio con il benessere
economico, la tecnica o il potere, si ritrovano oggi afflitte da nuove forme di
schiavitù: depressione, solitudine, perdita di significato, violenza gratuita.
È come se l’umanità avesse voluto tagliare le radici per sentirsi più libera,
scoprendo invece di non saper più respirare. Giovanni Paolo II ricordava che “l’uomo
non può vivere senza amore”: non l’amore come emozione passeggera, ma come
partecipazione al mistero stesso di Dio, che è Amore.
Il seme della superbia, che fin
dall’inizio spinse Adamo a voler “essere come Dio”, continua a germogliare nel
cuore dell’uomo di oggi. È la stessa tentazione di ogni epoca: credere che la
felicità consista nell’autosufficienza. Ma senza Dio, l’uomo diventa schiavo
dei suoi stessi desideri, vittima della sua stessa fame di senso. Noi stessi
possiamo verificarne le nefaste conseguenze. Viviamo in un tempo in cui la
verità sembra divenuta relativa, manipolabile, piegata agli interessi del
momento. I mezzi di comunicazione, che dovrebbero essere strumenti di luce e
conoscenza, spesso invece alimentano deliberatamente confusione, paura,
divisione. L’epoca recente ha mostrato in modo drammatico quanto l’uomo, privo
di un riferimento trascendente, possa smarrire il discernimento e consegnarsi
docilmente alla menzogna.
Durante le crisi globali —
sanitarie, politiche o economiche — si è manifestata con forza la gravissima fragilità
spirituale del nostro tempo: la paura ha sostituito la fiducia, il sospetto ha
distrutto la comunione, l’ansia di sicurezza ha reso molti incapaci di
abbandonarsi alla Provvidenza, inducendo milioni di persone a credere
ciecamente alla menzogna rassicurante. In un mondo che ha smesso di cercare la
Verità, diventa facile credere a qualunque versione parziale della realtà. Oggi
infatti viviamo in un’epoca in cui la falsità ha assunto un volto rispettabile
e la manipolazione si è travestita da bene comune. Ciò che un tempo veniva
riconosciuto come inganno oggi viene applaudito come progresso. Mai come ora
l’uomo ha creduto tanto di sapere, e mai come ora si è dimostrato tanto cieco.
La corsa alla tecnologia, la fiducia cieca nella scienza slegata dall’etica, la
comunicazione ridotta a strumento di consenso: tutto questo ha mostrato la
fragilità di un mondo che ha voluto sostituire Dio con sé stesso.
Gli ultimi anni hanno messo in
luce in modo drammatico questa deriva. Intere popolazioni, smarrite dalla
paura, si sono consegnate a poteri che promettevano salvezza ma rinnegavano la
verità. Si è creduto a ciò che veniva ripetuto con forza, non a ciò che
resisteva alla prova della coscienza. Si è scelto di fidarsi degli uomini
invece che di Dio. E il prezzo di questa fiducia mal riposta è stato alto:
solitudini, divisioni, un dolore profondo che ancora chiede guarigione. Il
punto non è la scienza in sé, ma l’uso idolatrico che ne è stato fatto: l’uomo
che si proclama salvatore di sé stesso dimentica che solo Dio salva davvero.
Quando la ragione si separa dalla fede, la conoscenza si perverte in potere, e
il potere — senza amore — diventa tirannia. Benedetto XVI lo aveva previsto: “Un
mondo senza Dio diventa un mondo senza speranza.”
Le conseguenze di questo distacco
sono sotto gli occhi di tutti: una società che diffida del prossimo, che teme
il futuro, che ha perso il gusto della verità. La menzogna ripetuta e
presentata come soluzione ha avvelenato le relazioni e confuso le coscienze. Ma
Cristo è venuto proprio per questo: per rendere testimonianza alla Verità. Solo
in Lui l’uomo può ritrovare il coraggio di credere, di pensare, di amare. Benedetto
XVI, nella sua enciclica Caritas in veritate, ci ricorda che “senza
verità, la carità degenera nel sentimentalismo” e che solo radicando la
vita nella verità di Dio possiamo resistere alla manipolazione e alla paura. Il
vuoto lasciato da Dio non resta mai neutro: viene riempito da nuove idolatrie —
la tecnica, l’economia, l’informazione — che si trasformano in strumenti di
dominio.
Come si guarisce questa ferita
spirituale? Con l’umiltà. Il primo passo è riconoscere la propria condizione di
necessità che Papa Francesco indica spesso come la “beatitudine della
mancanza”: quella che apre lo spazio per l’accoglienza della grazia. Ritrovare
Dio significa anche ritrovare sé stessi. San Giovanni Paolo II lo ha affermato
con forza: “L’uomo non può comprendere se stesso pienamente senza Cristo.”
Solo riscoprendo la luce del Verbo incarnato, l’essere umano scopre di essere
amato, perdonato, chiamato. Lontano da Dio, l’uomo è un enigma irrisolto; con
Dio, ogni frammento della sua vita trova un posto nel mosaico dell’eternità.
È tempo di un risveglio
spirituale. La verità è una sola, ha un volto e un nome: Gesù Cristo, il
Signore.
Ed allora, quali possono essere i
cammini concreti per ritrovare Dio? La preghiera è la strada maestra: solo lasciando
spazio al dialogo con Dio l’uomo si riscopre figlio e non padrone della vita. I
Sacramenti sono luoghi di guarigione dove la Grazia opera nel profondo. Un
altro aspetto da affrontare è la ricerca della verità: come invitava Benedetto
XVI, è urgente una “nuova evangelizzazione dell’intelligenza”, capace di
ricucire fede e ragione impropriamente separate dall’uomo, ma mai dalla Chiesa.
Ed infine una carità fattiva: In un mondo che misura tutto in termini di
utilità, l’amore gratuito è la più concreta testimonianza della presenza di
Dio.
Abbiamo dunque bisogno di Dio,
anche se non lo sappiamo. Egli non è un limite alla nostra libertà, ma la condizione
perché essa si realizzi pienamente. Senza di Lui, l’uomo perde la direzione e
si smarrisce nel deserto dell’autosufficienza. Con Lui, ogni domanda, ogni
dolore, ogni desiderio trova un senso. Non serve inventare un nuovo umanesimo:
basta tornare a riconoscere che l’uomo è veramente uomo solo quando si lascia
amare da Dio.Come ricordava Santa Teresa di Calcutta: “Tutto comincia con la
preghiera e termina con la preghiera. Se non preghiamo, non possiamo vedere Dio
in chi ci sta accanto.”
E forse è proprio da qui che può
rinascere il mondo: dal riconoscere, umilmente, che Dio ci è necessario come
l’aria che respiriamo.

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