giovedì 9 ottobre 2025

Abbiamo bisogno di Dio, anche se non lo sappiamo

 




C’è un vuoto dentro ogni essere umano che nessuna conquista materiale, nessun successo personale e nessuna relazione puramente terrena riescono a colmare. È il vuoto di Dio. L’uomo moderno, nella sua corsa verso l’autonomia assoluta, si è illuso di poter bastare a sé stesso, di poter dare un senso alla propria esistenza senza fare riferimento al suo Creatore. Ma la sete di infinito che abita il cuore umano — quella che Sant’Agostino riconobbe con le parole: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” — continua a gridare dentro ciascuno di noi.

L’uomo che non vuole guardarsi dentro. Scendere in profondità nel proprio cuore è un atto che richiede coraggio. Significa smettere di nascondersi dietro l’apparenza, dietro la produttività, dietro l’illusione di controllo. È un passo che la cultura contemporanea scoraggia bombardandoci con messaggi fallaci e menzogneri: siamo invitati a “sentirci bene” ma non a interrogarci sul senso. Eppure, è solo lì, nel silenzio e nella verità di noi stessi, che emerge il bisogno più radicale dell’uomo — il bisogno di un Altro che dia consistenza e senso al nostro essere.

Quando l’uomo rimuove Dio dalla propria vita, non si libera: si perde. La storia moderna ne è testimone. Le ideologie materialiste e nichiliste hanno promesso emancipazione, ma hanno prodotto alienazione. Hanno tolto Dio, ma con Lui hanno tolto anche la verità sull’uomo. Benedetto XVI lo ha espresso con lucidità: “Quando si esclude Dio, non si eleva l’uomo, lo si abbandona.”

Il mondo senza Dio diventa un deserto interiore. Le società che hanno voluto sostituire Dio con il benessere economico, la tecnica o il potere, si ritrovano oggi afflitte da nuove forme di schiavitù: depressione, solitudine, perdita di significato, violenza gratuita. È come se l’umanità avesse voluto tagliare le radici per sentirsi più libera, scoprendo invece di non saper più respirare. Giovanni Paolo II ricordava che “l’uomo non può vivere senza amore”: non l’amore come emozione passeggera, ma come partecipazione al mistero stesso di Dio, che è Amore.

Il seme della superbia, che fin dall’inizio spinse Adamo a voler “essere come Dio”, continua a germogliare nel cuore dell’uomo di oggi. È la stessa tentazione di ogni epoca: credere che la felicità consista nell’autosufficienza. Ma senza Dio, l’uomo diventa schiavo dei suoi stessi desideri, vittima della sua stessa fame di senso. Noi stessi possiamo verificarne le nefaste conseguenze. Viviamo in un tempo in cui la verità sembra divenuta relativa, manipolabile, piegata agli interessi del momento. I mezzi di comunicazione, che dovrebbero essere strumenti di luce e conoscenza, spesso invece alimentano deliberatamente confusione, paura, divisione. L’epoca recente ha mostrato in modo drammatico quanto l’uomo, privo di un riferimento trascendente, possa smarrire il discernimento e consegnarsi docilmente alla menzogna.

Durante le crisi globali — sanitarie, politiche o economiche — si è manifestata con forza la gravissima fragilità spirituale del nostro tempo: la paura ha sostituito la fiducia, il sospetto ha distrutto la comunione, l’ansia di sicurezza ha reso molti incapaci di abbandonarsi alla Provvidenza, inducendo milioni di persone a credere ciecamente alla menzogna rassicurante. In un mondo che ha smesso di cercare la Verità, diventa facile credere a qualunque versione parziale della realtà. Oggi infatti viviamo in un’epoca in cui la falsità ha assunto un volto rispettabile e la manipolazione si è travestita da bene comune. Ciò che un tempo veniva riconosciuto come inganno oggi viene applaudito come progresso. Mai come ora l’uomo ha creduto tanto di sapere, e mai come ora si è dimostrato tanto cieco. La corsa alla tecnologia, la fiducia cieca nella scienza slegata dall’etica, la comunicazione ridotta a strumento di consenso: tutto questo ha mostrato la fragilità di un mondo che ha voluto sostituire Dio con sé stesso.

Gli ultimi anni hanno messo in luce in modo drammatico questa deriva. Intere popolazioni, smarrite dalla paura, si sono consegnate a poteri che promettevano salvezza ma rinnegavano la verità. Si è creduto a ciò che veniva ripetuto con forza, non a ciò che resisteva alla prova della coscienza. Si è scelto di fidarsi degli uomini invece che di Dio. E il prezzo di questa fiducia mal riposta è stato alto: solitudini, divisioni, un dolore profondo che ancora chiede guarigione. Il punto non è la scienza in sé, ma l’uso idolatrico che ne è stato fatto: l’uomo che si proclama salvatore di sé stesso dimentica che solo Dio salva davvero. Quando la ragione si separa dalla fede, la conoscenza si perverte in potere, e il potere — senza amore — diventa tirannia. Benedetto XVI lo aveva previsto: “Un mondo senza Dio diventa un mondo senza speranza.”

Le conseguenze di questo distacco sono sotto gli occhi di tutti: una società che diffida del prossimo, che teme il futuro, che ha perso il gusto della verità. La menzogna ripetuta e presentata come soluzione ha avvelenato le relazioni e confuso le coscienze. Ma Cristo è venuto proprio per questo: per rendere testimonianza alla Verità. Solo in Lui l’uomo può ritrovare il coraggio di credere, di pensare, di amare. Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritas in veritate, ci ricorda che “senza verità, la carità degenera nel sentimentalismo” e che solo radicando la vita nella verità di Dio possiamo resistere alla manipolazione e alla paura. Il vuoto lasciato da Dio non resta mai neutro: viene riempito da nuove idolatrie — la tecnica, l’economia, l’informazione — che si trasformano in strumenti di dominio.

Come si guarisce questa ferita spirituale? Con l’umiltà. Il primo passo è riconoscere la propria condizione di necessità che Papa Francesco indica spesso come la “beatitudine della mancanza”: quella che apre lo spazio per l’accoglienza della grazia. Ritrovare Dio significa anche ritrovare sé stessi. San Giovanni Paolo II lo ha affermato con forza: “L’uomo non può comprendere se stesso pienamente senza Cristo.” Solo riscoprendo la luce del Verbo incarnato, l’essere umano scopre di essere amato, perdonato, chiamato. Lontano da Dio, l’uomo è un enigma irrisolto; con Dio, ogni frammento della sua vita trova un posto nel mosaico dell’eternità.

È tempo di un risveglio spirituale. La verità è una sola, ha un volto e un nome: Gesù Cristo, il Signore.

Ed allora, quali possono essere i cammini concreti per ritrovare Dio? La preghiera è la strada maestra: solo lasciando spazio al dialogo con Dio l’uomo si riscopre figlio e non padrone della vita. I Sacramenti sono luoghi di guarigione dove la Grazia opera nel profondo. Un altro aspetto da affrontare è la ricerca della verità: come invitava Benedetto XVI, è urgente una “nuova evangelizzazione dell’intelligenza”, capace di ricucire fede e ragione impropriamente separate dall’uomo, ma mai dalla Chiesa. Ed infine una carità fattiva: In un mondo che misura tutto in termini di utilità, l’amore gratuito è la più concreta testimonianza della presenza di Dio.

Abbiamo dunque bisogno di Dio, anche se non lo sappiamo. Egli non è un limite alla nostra libertà, ma la condizione perché essa si realizzi pienamente. Senza di Lui, l’uomo perde la direzione e si smarrisce nel deserto dell’autosufficienza. Con Lui, ogni domanda, ogni dolore, ogni desiderio trova un senso. Non serve inventare un nuovo umanesimo: basta tornare a riconoscere che l’uomo è veramente uomo solo quando si lascia amare da Dio.Come ricordava Santa Teresa di Calcutta: “Tutto comincia con la preghiera e termina con la preghiera. Se non preghiamo, non possiamo vedere Dio in chi ci sta accanto.”

E forse è proprio da qui che può rinascere il mondo: dal riconoscere, umilmente, che Dio ci è necessario come l’aria che respiriamo.

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