Quando la società cancella la domenica, essa non priva solo i cittadini di un giorno di pausa, ma snatura la stessa struttura spirituale dell’uomo, che ha necessità di un tempo “gratuito”, non finalizzato al profitto.
La domenica, giorno del Signore, nasce dal comandamento sabbatico: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo” (Es 20,8). Per i cristiani, questo precetto trova compimento nella Risurrezione di Cristo, avvenuta nel primo giorno della settimana, che diventa così il nuovo giorno del Signore (dies Domini).
San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Dies Domini (1998), afferma con chiarezza: “Non abbiate paura di dare tempo a Cristo! Sì, apriamo a Cristo il nostro tempo, perché Egli lo illumini e lo orienti” (n. 7). Questo tempo, che la domenica rappresenta in modo unico, non appartiene al mercato né alla logica del consumo, ma è segno della libertà del cristiano.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto chiaro: “La domenica e gli altri giorni di festa di precetto i fedeli sono tenuti ad astenersi da quei lavori e attività che impediscono di rendere culto a Dio, di godere della letizia propria del giorno del Signore, di fare le opere di misericordia e di avere il giusto riposo della mente e del corpo” (CCC, 2185).
Questo precetto non è solo un dovere morale, ma anche una protezione della dignità umana. La Chiesa si oppone al lavoro domenicale sistematico perché esso:
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distrugge il tempo della famiglia e della comunità,
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riduce l’uomo a produttore e consumatore,
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cancella il segno pubblico della fede e dell’appartenenza cristiana
mina nel profondo il senso e il significato della Resurezione di Cristo dalla morte.
Papa Benedetto XVI ricordava che “senza Dio l’uomo non sa dove andare né riesce a capire chi egli stesso sia” (Deus Caritas Est, 28). Proprio per questo, la perdita della domenica conduce inevitabilmente all’indifferentismo religioso: se il tempo non è più aperto a Dio, Dio diventa irrilevante nella vita quotidiana.
Alla luce dell’antropologia spirituale e del Magistero, la missione della Chiesa è chiara: custodire la domenica come patrimonio di umanità e di fede. I sacerdoti, in particolare, hanno la responsabilità di:
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Educare i fedeli a comprendere che la domenica non è un optional, ma il cuore della vita cristiana.
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Denunciare profeticamente le logiche economiche che schiavizzano l’uomo e annullano la sua apertura a Dio.
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Proporre alternative comunitarie, valorizzando la Messa domenicale, le opere di carità, i momenti di condivisione familiare e parrocchiale.
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Contrastare l’indifferentismo religioso, mostrando che senza la domenica l’uomo perde se stesso e la società si impoverisce spiritualmente e umanamente. Difendere la Domenica significa custodire la nostra identità cristiana e umana, riscoprirne il significato e restituire il nostro tempo a Dio.
La domenica non è un semplice giorno di pausa: è il segno della libertà dell’uomo che sceglie di orientarsi verso Dio. Ma se oggi lo stesso clero abdica a questo annuncio, alla possibilità di fare riscoprire al popolo il significato del riposo come mezzo per giungere ad una maggiore intimità e amicizia con Dio, se lo stesso clero ammicca di fronte all'invadenza del mercato che mercifica l'uomo e lo utilizza come mezzo di lucro per affari milionari, come potrà l'uomo liberarsi dal gioco del mercato? Come potrà Dio ritornare al PRIMO posto nel flusso della vita quotidiana? La Domenica serve proprio per ricaricare le energie disperse nella frenesia della settimana e aiutare i fedeli a ri-orientarsi verso Dio.
D.D.
foto dal web

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