mercoledì 28 gennaio 2009

28 Gennaio - San Tommaso d'Aquino




Sacerdote e dottore della Chiesa



Tommaso d'Aquino, santo e dottore della Chiesa. (Roccasecca 1224 - Fossanova 1274). Filosofo e teologo, da molti ritenuto il maggior pensatore cattolico ("Doctor Communis"). Figlio del conte Landolfo d'Aquino, dopo aver ricevuto la prima educazione a Montecassino, studiò a Napoli. Affascinato dal nuovo Ordine dei domenicani a Napoli, volle entrarvi contro il parere dei parenti, che lo volevano monaco (con la prospettiva, più che probabile, di raggiungere la prestigiosa funzione di abate di Montecassino), e fu da quelli angariato in molti modi (al punto che tentarono di farlo "cadere" cercandogli una donnina di facili costumi). Ma Tommaso non cedette e si mantenne fermo nella sua decisione.


Studiò teologia alla scuola di Alberto Magno a Colonia e a Parigi (1245-1252). Lì seguì il corso di studi di filosofia e teologia, divenendo prima baccalaureus (bacceliere) biblicus (1252/4) e sententiarius (1254/6), e poi (nel 1256) Magister.


Pur essendo di grandissima dottrina e intelligenza, il suo animo si mantenne umile, per la sua viva fede. Guglielmo di Tocco potè scrivere nella sua biografia:


Tommaso sentiva bassamente di sé, era puro di corpo e d'anima, fervoroso nella preghiera, risoluto nel consiglio, riboccante d'amore, di mente serena, di spirito forte, previdente nel giudicare, dotato di tenace memoria, libero da ogni sensualità, tenne a vile qualunque cosa terrena.

Spesso durante la Messa si commuoveva fino alle lacrime. E quando passava a piedi per i campi, i contadini meravigliati dalla sua imponenza si voltavano verso di lui. Amante della verità sopra ogni cosa, consacrava tutto il suo tempo alla riflessione. Cosicché anche durante i pasti egli continuava a pensare, e i suoi confratelli potevano cambiagli le pietanze nel piatto senza che egli se ne accorgesse. Stimava talmente il valore della sincerità che, giovane, non si sottrasse all'invito di alcuni suoi confratelli burloni, che gli dicevano: "Tommaso, vieni a vedere un bue che vola!" Taciturno, era chiamato dai suoi condiscepoli "Bue muto", "il gran bue muto di Sicilia" (così i confratelli tedeschi, per i quali tutta l'Italia era Sicilia): ma Alberto Magno, suo maestro e che ben lo conosceva, li ammoniva quando muggirà, farà tremare il mondo!


La sua vita si svolse soprattutto nello studio e nell'insegnamento, all'Università di Parigi (1256/9), poi presso lo studium curiae, legato alla Curia pontificia (1259/68), e poi ancora a Parigi (1268/72), presso la cattedra che la Sede Apostolica aveva riservato all'Ordine dei Predicatori. Infine insegnò allo Studium generale dei domenicani a Napoli (1272/4). Morì ospite di un'abbazia cistercense, mentre si recava al concilio di Lione.


Negli ultimi tempi della sua vita, a chi gli chiedeva insistentemente indicazioni concettuali su come completare la Summa Theologiae, Tommaso disse queste parole, che testimoniano la sua grande umiltà e il vivo senso della sproporzione tra l'attuale conoscenza intellettuale di Dio e l'incontro con Lui nella vita che speriamo: mihi videtur ut palea (mi sembra paglia). Alle soglie del grande Incontro faccia a faccia tutto quello che aveva scritto (su Dio) gli sembrava paglia, cioè poca cosa: stava per vedere, in modo pieno e totale, Ciò di cui aveva parlato in modo comunque approssimativo. Così, anche nella sua vita, testimoniò come la fede, caparra della visione (beatifica) conta più della ragione.


Il suo corpo, come non era infrequente, venne presto bollito per favorirne una migliore conservazione.


Giovanni XXII lo dichiarò santo nel 1323 (tot miracula fecit, quot articula scripsit); Pio X proclamò “Dottore della Chiesa”, raccomandandone lo studio come autore particolarmente affidabile.

(fonte: culturanuova)

Pange lingua
di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)

Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.

In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.

Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.

Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.

Amen.


“Pange lingua” (Traduzione italiana)

Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.

Amen.

(fonte: Santi e Beati)

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