giovedì 2 luglio 2009
Ieri il Papa ha detto cose importantissime sulla fede, la grazia, la concretezza del sostegno ai poveri e ai perseguitati. Soprattutto ha spiegato chi è il sacerdote cattolico, il prete di Cristo e della Chiesa. Inizia infatti, dopo l’anno dedicato a San paolo, quello dedicato ai presbiteri (che sono appunto coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine). Lo so, c’ero. Ero in piazza mentre il sole batteva, sul sagrato di piazza San Pietro.
A un certo punto, nei saluti finali, il Papa ha ricordato la presenza di un Gruppo interparlamentare e ho scommesso: le notizie giornalistiche punteranno a questo, anche se è una perfetta banalità. Infatti Benedetto XVI testualmente ha pronunciato queste parole: «Saluto poi gli esponenti dell’Associazione interparlamentare "Cultori dell’etica", la cui presenza mi offre l’opportunità di sottolineare l’importanza dei valori etici e morali nella politica». Sarebbe stata una notizia se avesse detto: i valori etici e morali non vanno rispettati dai politici. Ma tant’è, è passata questa frase.
Che cosa vuol dire rispettare i valori etici e morali per un politico? Il Papa in passato ha elencato con precisione i tre principi non negoziabili: la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale; la famiglia così come è stata voluta da Dio, senza cedimenti alle mode psicosessuali; la libertà di educazione, sia in via di teoria che di sostegno pratico della parità scolastica. Ma questo non è ancora la morale in politica, se non nei punti di sbarramento decisivi.
Da cardinale, ha mostrato come la moralità in politica sia la rinuncia all’utopia. Ha scritto: «Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose», spiega Ratzinger, «ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità dell'uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell'avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell'uomo e compie, entro queste misure, l'opera dell'uomo. Non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica». Strano, vero? La moralità è un comportamento adeguato alla verità dell’oggetto di azione. In politica è quanto appena citato: il compromesso per il bene comune.
Ma a me come politico non basta questo. Non basta l’etica a farmi essere un uomo, non è quella la strada della pienezza. Anche se mi interessa- essendo deputato - essere il massimo come deputato. Perché la pienezza del mio essere uomo non può che esprimersi dentro la circostanza in cui mi tocca essere, dando testimonianza lì. E allora dico che la moralità in sommo grado è riconoscere che non è la morale il centro della questione. Mettere al centro la morale è la cosa più immorale, perché falsa, che ci sia. Sostituisce all’utopia sociale, l’utopia della perfetta coerenza.
Mi colpisce molto quanto detto nella splendida lezione di Benedetto XVI su chi sia il sacerdote. Parlava del prete ma anche di tutti noi. Ha detto: «Anche per i presbiteri vale quanto ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva"». L’essere cristiano, che è poi il modo per il compimento delle domande del cuore, è quel che abbiamo appena letto. E non lo ripeto o sintetizzo onde evitare di stravolgere o banalizzare il Papa.
Un’altra piccola frase ha pronunciato il Papa. Eccola: «…È urgente il recupero di un giudizio chiaro e inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: "Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo" (Summa Theologiae, I-II, q. 113, a. 9, ad 2)».
A un certo punto, nei saluti finali, il Papa ha ricordato la presenza di un Gruppo interparlamentare e ho scommesso: le notizie giornalistiche punteranno a questo, anche se è una perfetta banalità. Infatti Benedetto XVI testualmente ha pronunciato queste parole: «Saluto poi gli esponenti dell’Associazione interparlamentare "Cultori dell’etica", la cui presenza mi offre l’opportunità di sottolineare l’importanza dei valori etici e morali nella politica». Sarebbe stata una notizia se avesse detto: i valori etici e morali non vanno rispettati dai politici. Ma tant’è, è passata questa frase.
Che cosa vuol dire rispettare i valori etici e morali per un politico? Il Papa in passato ha elencato con precisione i tre principi non negoziabili: la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale; la famiglia così come è stata voluta da Dio, senza cedimenti alle mode psicosessuali; la libertà di educazione, sia in via di teoria che di sostegno pratico della parità scolastica. Ma questo non è ancora la morale in politica, se non nei punti di sbarramento decisivi.
Da cardinale, ha mostrato come la moralità in politica sia la rinuncia all’utopia. Ha scritto: «Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose», spiega Ratzinger, «ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità dell'uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell'avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell'uomo e compie, entro queste misure, l'opera dell'uomo. Non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica». Strano, vero? La moralità è un comportamento adeguato alla verità dell’oggetto di azione. In politica è quanto appena citato: il compromesso per il bene comune.
Ma a me come politico non basta questo. Non basta l’etica a farmi essere un uomo, non è quella la strada della pienezza. Anche se mi interessa- essendo deputato - essere il massimo come deputato. Perché la pienezza del mio essere uomo non può che esprimersi dentro la circostanza in cui mi tocca essere, dando testimonianza lì. E allora dico che la moralità in sommo grado è riconoscere che non è la morale il centro della questione. Mettere al centro la morale è la cosa più immorale, perché falsa, che ci sia. Sostituisce all’utopia sociale, l’utopia della perfetta coerenza.
Mi colpisce molto quanto detto nella splendida lezione di Benedetto XVI su chi sia il sacerdote. Parlava del prete ma anche di tutti noi. Ha detto: «Anche per i presbiteri vale quanto ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva"». L’essere cristiano, che è poi il modo per il compimento delle domande del cuore, è quel che abbiamo appena letto. E non lo ripeto o sintetizzo onde evitare di stravolgere o banalizzare il Papa.
Un’altra piccola frase ha pronunciato il Papa. Eccola: «…È urgente il recupero di un giudizio chiaro e inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: "Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo" (Summa Theologiae, I-II, q. 113, a. 9, ad 2)».
Il primato è della grazia. Il resto segue.
fonte: il sussidiario.net
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