Avenire 6 Luglio 2009
Non è un segno di reale progresso sociale e culturale il fatto che "oggi si sia arrivati ad agire e a parlare con sfrontatezza senza limiti di cose di cui si dovrebbe veramente arrossire e vergognare".
"Non è in gioco - spiega Crociata - un moralismo d'altri tempi, superato; è in pericolo il bene stesso dell'uomo". "La festa di santa Maria Goretti - rileva il presule - fa affiorare alle nostre labbra parole desuete, come purezza, castità, verginità, che facciamo fatica a pronunciare, che ci fanno forse arrossire. Ed è questo il paradosso: si arrossisce per 'tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lodè, per dirla con san Paolo".
Secondo il segretario della Cei, "l'esempio di santa Maria Goretti ci riporta ad alcune verità umane e cristiane fondamentali: la dignità e l'identità della persona, la grandezza del corpo, la bontà della sessualità, la natura della libertà". E tutto questo, spiega, "non ci spinge alcun disprezzo del corpo, alcuna tabù circa la sessualità, alcun timore della libertà; ci sollecita la pena che suscita lo spettacolo quotidiano di degrado morale che si consuma in tante immagini proiettate dai mezzi di comunicazione e nelle cronache di vite senza fine devastate". "Abbiamo bisogno - esorta mons. Crociata - di riscoprire che il corpo non è un oggetto di cui usare dissennatamente, che anche il corpo è persona; e la sessualità ne è la dimensione più profonda e intima, che orienta e dirige all'amicizia, all'amore e alla comunione. Abbiamo bisogno di riscoprire che siamo fatti per amare nel rispetto di noi stessi e degli altri, secondo l'ordine scritto nella nostra natura prima che nelle pagine della Bibbia. A questa capacità di amare autenticamente, cioè nella logica del dono e non del consumo egoistico e dello sfruttamento, abbiamo bisogno di educarci e lasciarci continuamente rieducare".
È sotto gli occhi di tutti, sottolinea Crociata, il fatto che "la libertà intesa come sfrenatezza e sregolatezza non porta affatto all'autentica espressione di sè e alla gioia dell'amore, ma all'uso dell'altro, alla sua sottomissione e all'annullamento come persona".
"Assistiamo - lamenta il segretario della Cei - ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria, con cui fin dall'antichità si è voluto stigmatizzare la fatua esibizione di una eleganza che in realtà mette in mostra uno sfarzo narcisista; salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere".
Secondo mons. Crociata, "nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall'aver tolto l'innocenza a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e la malvagità. Per questa via - osserva il presule - non c'è liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile emanciparsi".
In proposito, mons. Crociata ha citato anche quanto detto di recente dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco: 'Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l'influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerentì. "Abbiamo dinanzi a noi - conclude il vescovo - un compito educativo enorme, che è anche e anzitutto autoeducativo, se non in tanti casi autocorrettivo: purezza e castità riappaiono come valori costitutivi di un tale percorso formativo, in cui ci sono responsabilità di genitori ed educatori, e responsabilità di istituzioni e della società intera".
oggi mi è balzato alla mente come una rivelazione che io, come capo di una scuola, ho il dovere di parlare alle famiglie del pudore come senso di responsabilità dell'adulto verso i giovani.coinvolgere vescovo famiglie e docenti...ma così potrebbe sembrare troppo "di parte"per i non cristiani e questo errore lo vorrei evitare.COSA NE PENSATE?
RispondiEliminaCredo che non sia necessario richiamare il proprio senso di responsabilità come capo di una scuola per parlare del pudore. I cristiani dovrebbero sentirsi tutti impegnati in questa vera e propria battaglia "culturale" contro spinte sociali e mass-mediatiche tutte in controtendenza da questo punto di vista.
RispondiEliminaOggi da tutte le parti arrivano messaggi che instillano veleni mortiferi dal punto di vista del pudore ed in modo flebile - a mio parere - si sente una risposta che ne smascheri i tentativi...
Non credo che il discorso riguardi solo i cristiani. Pudore significa innanzitutto rispetto per se stessi e per gli altri... rispetto verso tutti, a prescindere da qualsiasi religione essi professino.
Pace e Bene