mercoledì 7 aprile 2010

Gianpaolo Barra risponde a Marcello Pera


Scritto da Gianpaolo BARRA

Marcello Pera, Presidente emerito del Senato, non è un credente. Ammira il Cristianesimo, stima Papa Benedetto XVI, apprezza la storia della Chiesa e la fede che genera cultura e civiltà.
Ma tutto ciò non gli basta per spalancare mente e cuore a Cristo e farsi cristiano a pieno titolo.
È per questo che nel suo magistrale articolo pubblicato il 17 marzo scorso sul Corriere della Sera, nel quale riflette da par suo sul tentativo di infangare il Santo Padre coinvolgendolo nella vicenda dei preti pedofili, manca qualcosa. La più importante.
Andiamo con ordine.
Pera riconosce che è in corso una guerra «che ha come bersaglio il Papa». Scatenata brutalmente dal laicismo, mira a esiti devastanti: minare la Chiesa, la sua autorità morale, con essa la religione cristiana intera. Ma la disintegrazione della religione porterà, secondo Pera (e in ciò ha perfettamente ragione) alla distruzione della ragione, con ricadute catastrofiche sul piano etico e politico.
Sul piano etico, con il trionfo inarrestabile della cultura della morte; su quello politico con la fine dell’Europa, di cui il Cristianesimo è, nei fatti e nella storia, il solo comun denominatore.
Pera constata con amarezza l’incomprensione che tanti cattolici hanno di questo conflitto. Peggio: pare che alcuni vi partecipino stando addirittura dalla parte avversa a quella del Papa. Pera li descrive: teologi frustrati, vescovi incerti, cardinali in crisi di fede, intellettuali ubriacati da miscugli imbevibili di idee anticristiane, conferenze episcopali confuse.
Abbiamo riassunto, ovviamente, e nel breve spazio di un editoriale non v’è tempo per fare molti distinguo.
Ma nell’elenco delle conseguenze che la guerra anticristiana va conseguendo, ne manca una, la più drammatica. Che però è comprensibile soltanto da una prospettiva di fede. Quella che, purtroppo, manca a Pera.
Infatti, se dall’orizzonte della vita dei popoli viene a mancare il cristianesimo, il pericolo più grave che incombe sull’uomo riguarda il destino della sua vita eterna. Per la Chiesa, è questa la realtà più importante.
L’aveva ben capito il cardinale John Henry Newman, come ricorda il cardinale Caffarra nel dossier di questo numero, dedicato ai cinque anni di pontificato di Papa Benedetto XVI: «La Chiesa cattolica ritiene che sarebbe meglio che il sole e la luna cadessero dal cielo, che la terra venisse meno e che tutti i milioni di uomini che ci vivono morissero di fame… piuttosto che una sola anima, non dico vada perduta, ma commetta un solo peccato veniale». Perché? Perché con il peccato s’offende Dio e si rischia l’inferno.
Sì, si tolgano pure di mezzo la Chiesa e il Papa e sarà il dilagare inarrestabile del peccato. Allora vedranno – tutti, laicisti e non – che a pagarne le conseguenze sarà innanzitutto l’uomo. E non solo perché verrà sommerso dalla barbarie, etica e politica, ma perché rischierà la dannazione eterna.
Senza la Chiesa, i suoi preti, i suoi confessionali, l’Eucaristia, il peccato – già così abbondante – non troverà alcun argine.
Della barbarie etica e politica, l’uomo potrà avvertirne in tempo il pericolo, e porvi rimedio. Dell’inferno, se ne accorgerà al momento del giudizio divino.

Allora, sarà troppo tardi!

(fonte: IL TIMONE)

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