martedì 17 dicembre 2013

Il maggior Bene dei bambini.


di Mariolina Ceriotti Migliarese
Lavoro da trent’anni in un servizio di Neuropsichiatria infantile e ho avuto spesso l’occasione di collaborare con gli operatori che si occupano di affidi e adozioni. Posso perciò affermare con tranquillità che quanti seguono a diverso titolo la situazione di minori con famiglie problematiche hanno a cuore in primo luogo il benessere dei bambini, indipendentemente dalle loro opinioni personali. 

Sono certa che, anche in questo caso, la decisione degli operatori sia stata presa dopo aver vagliato i fatti con cura e attenzione. Perché allora, con altrettanta serenità e sicurezza, mi sento di affermare che si tratta di una scelta sbagliata? Perché sono fermamente convinta che venire affidati a una coppia omosessuale, anche stabile, anche affettivamente accogliente, non possa rappresentare il vero bene per un bambino? Non è facile rispondere in poche righe a un quesito così delicato, ma credo sia indispensabile provarci, al di là di ogni polemica, con un pensiero davvero rivolto esclusivamente ai nostri figli e a ciò che li aiuta a crescere. Tutto parte da una domanda cruciale: esiste o no la differenza sessuale? E questa differenza (di natura? di cultura?) se esiste ha un valore, o è semplicemente un elemento marginale nella vita delle persone? Perché se tale differenza non esiste o è marginale, crescere con figure genitoriali dello stesso sesso o di sesso diverso è in fondo una cosa ininfluente; se viceversa la differenza esiste, e soprattutto ha un valore, l’adulto che si assume un compito educativo è tenuto a domandarsi come accompagnare e far maturare questa differenza nel miglior modo possibile, perché porti i suoi frutti. 

Come medico, attento al radicamento primario della nostra identità nel corpo, non posso che ricordare per prima cosa un dato semplice e incontrovertibile: la creatura umana può nascere solo come maschio o come femmina, e tutto il nostro corpo, in ogni singola cellula, fosse anche la più piccola, porta in sé questo decisivo marchio genetico (cromosoma XX per la femmina, XY per il maschio) che continuerà a rimanere inalterato per tutta la vita, indipendentemente dalle scelte sessuali e affettive che ciascuno vorrà compiere successivamente. Per questo motivo la differenza sessuale non può essere considerata una semplice qualità tra le tante, ma è piuttosto un dato costitutivo ineliminabile per l’essere umano, che come tale non può venire ignorato, ma chiede di essere tenuto in attenta considerazione quando si tratta di riflettere sulla costruzione dell’identità personale. Il maschile e il femminile sono due modi di stare nel mondo, due identità di pari valore, entrambe intere e nello stesso tempo incomplete, perché mancanti ciascuna di qualcosa (il maschile/il femminile) che solo l’altro possiede e può dare: questo si traduce nell’evidenza che da soli siamo incapaci di generare, perché solo l’incontro del maschile con il femminile genera nuova vita, fosse anche un incontro in provetta tra ovulo e spermatozoo. 

A livello culturale, questo dato biologico ha generato due codici simbolici fondamentali, a loro volta profondamente differenti e irriducibili uno all’altro: il codice del padre e il codice della madre. Non si tratta di semplici funzioni, ma di figure identitarie: paternità e maternità sono il compimento maturo dell’identità sessuale maschile e femminile, e implicano la consapevolezza sempre più profonda della differenza, della specificità, ma anche del limite e della complementarietà. È molto importante capire che parlare di padre e di madre non è equivalente a parlare di mamma o papà. Mamma e papà sono parole legate a un compito, a un ruolo, a una funzione, e in questo senso è certamente possibile dire che anche in una coppia omosessuale potrebbero essere svolte bene le funzioni affettive e di cura di una mamma e di un papà. Madre e padre invece sono parole di identità, e quindi non vicariabili: nessun uomo, anche se capace di svolgere una funzione affettiva, potrà mai essere o diventare una madre, come nessuna donna potrà essere padre, indipendentemente dalle capacità e dalle intenzioni, mentre i figli hanno proprio bisogno di un padre e di una madre, figure di identità, per costruire la propria identità sessuata. Il cerchio allora si chiude: se il maschile e il femminile costituiscono due modelli identitari che esistono e che hanno un valore, un padre e una madre sono le guide indispensabili perché ogni bambino maturi pienamente la propria identità. Pur nell’inevitabile imperfezione di molti padri e madri, questo rimane comunque il maggior bene per il cucciolo d’uomo.

fonte: Avvenire

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