Affronto oggi un argomento che apparentemente si colloca al di fuori della tradizionale impostazione cattolica di questo blog, ma che in realtà tocca da vicino la vita di ogni credente. L’educazione civica, infatti, non è un elemento marginale della convivenza sociale: essa rappresenta il terreno concreto sul quale si misura la capacità di un cristiano di testimoniare, attraverso i propri comportamenti quotidiani, il rispetto per l’altro e per il mondo che lo circonda. Vivere con senso civico significa, in fondo, vivere la carità in una forma pubblica e concreta, traducendo in gesti visibili quel comandamento evangelico che ci invita ad amare il prossimo come noi stessi.
Oggi più che mai, tuttavia, ci troviamo di fronte a una deriva culturale che rischia di svuotare questo valore. Da una parte, si assiste alla diffusione di una mentalità fondata su un ambientalismo spesso ridotto a slogan, utilizzato in maniera strumentale per interessi economici o ideologici, che nulla hanno a che vedere con la custodia autentica del creato. Dall’altra, si perde di vista la vera responsabilità che ogni persona ha nel prendersi cura del bene comune e degli spazi condivisi. In questo modo il rispetto per l’ambiente e per le relazioni sociali viene sostituito da una forma di estetica o di moda del momento, che non incide realmente sul modo di vivere quotidiano.
Il rischio è quello di una contraddizione evidente: si parla di tutela della natura in termini astratti e globali, ma poi si tollerano comportamenti quotidiani che sporcano, degradano e offendono la bellezza del creato. Si innalzano bandiere di ecologismo ideologico, mentre si chiude un occhio davanti all’incuria delle strade, all’abbandono dei rifiuti o all’uso sconsiderato degli spazi pubblici. È questa incoerenza che rivela quanto sia urgente recuperare il senso autentico di un’educazione civica, che non è semplice rispetto delle regole, ma riconoscimento del valore intrinseco di ogni frammento di realtà che ci è stato affidato.
Per un cristiano, questo significa tornare a vedere nella società e nel creato non solo luoghi di transito, ma spazi da custodire come dono ricevuto. Un dono che comporta responsabilità, perché il rispetto per l’ambiente e per gli altri è la prima forma di testimonianza della nostra fede. Non c’è vero amore per Dio se non si traduce in amore e rispetto per ciò che Egli ha creato e per le persone con cui ci chiama a vivere.
Le nostre città vivono da tempo una contraddizione evidente: da una parte, l’amore verso gli animali domestici, in particolare i cani, che sono diventati veri e propri compagni di vita; dall’altra, l’incapacità di gestire questa presenza in modo civile e rispettoso della comunità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: marciapiedi trasformati in latrine a cielo aperto, muri e portoni imbrattati dall’urina, giardini pubblici invasi da deiezioni non raccolte. Un quadro che non solo degrada il decoro urbano, ma mina la salute pubblica e la qualità della convivenza quotidiana.
La radice del problema non è l’animale, che non ha colpa, ma il comportamento dei proprietari. In Italia, più che altrove, manca una solida educazione civica di base che insegni a considerare la cosa pubblica come patrimonio comune da rispettare. Siamo un Paese in cui troppo spesso si pensa che ciò che è di tutti, in realtà, non sia di nessuno, e quindi possa essere utilizzato e maltrattato senza conseguenze.
Questa mancanza è stata amplificata da anni di lassismo istituzionale e da un permissivismo che ha fatto credere che ogni comportamento sia legittimo. Il risultato è una forma di “deviazione civica” che porta molte persone a credere che sia naturale lasciare il proprio cane sporcare sui marciapiedi, o che sia accettabile trattare l’animale come un figlio e gli spazi urbani come un’estensione della propria casa. Ma la città non è un salotto privato: è un luogo di convivenza, e in quanto tale richiede regole e rispetto reciproco. Un altro elemento che alimenta il problema è la diffusa “tolleranza di facciata”: chi si lamenta o richiama all’ordine viene subito etichettato come intollerante, nemico degli animali o persona insensibile. Si crea così un paradosso: il cittadino che difende il bene comune diventa bersaglio di critiche, mentre chi sporca e viola le regole viene considerato nel giusto.


