(di Antonio Socci)
I mass media parlano solo di politica, pettegolezzi, porcate, idiozie.
Come la gente di duemila anni fa. E noi non ci accorgiamo che intanto nel mondo c’è Lui, con i suoi amici…
E’ un milanese l’uomo che ha affascinato il cuore di uno dei paesi più poveri del Sud America, il Perù. Soprattutto nelle baraccopoli più misere di Lima, “Andrés” era considerato un angelo. Mercoledì scorso il suo cuore ancora giovane (55 anni) - che ardeva per questa gente – si è spezzato. E sabato, in una grande basilica di Lima affacciata sull’Oceano Pacifico, davanti a migliaia di persone in lacrime, si è celebrata la sua “nascita al cielo”. Nella stessa mattina di sabato, commosso, il cardinal Cipriani, arcivescovo di Lima, ha parlato di lui alla radio nazionale. Ma in Italia uomini come Andrea Aziani restano sconosciuti. Instancabile e radioso, Andrés, in quella megalopoli sull’oceano che è la capitale peruviana, viveva da 20 anni, mandato da don Giussani. Lo conoscevano tutti: dal presidente della Repubblica fino al venditore ambulante di “emolliente” che è venuto a dargli l’ultimo saluto in chiesa e fra la folla ripeteva piangendo: “gli volevo tanto bene”. Poteva discutere nella sua università con i ministri o con i maggiori intellettuali del Paese e subito dopo trascorrere ore nei pueblos più malfamati ad aiutare la povera gente delle baracche, a giocare con i bambini nella polvere delle strade, insegnando loro dei canti o delle preghiere. O portando loro di che vivere. Ce n’era una folla sabato in chiesa di questi suoi “figli”, di cui spesso era “padrino” di battesimo o della comunione o della cresima. Sebastiana é una di queste bambine. Giovedì sera, dopo la veglia, alcuni amici di Andrés, di Comunione e liberazione, sono andati ad accommpagnarla a “casa”. Hanno scoperto che vive in una poverissima capanna in cima a una collina di casupole. La fanciulla ha mostrato loro una cappellina mezza costruita fra le baracche: “il mio padrino ha aiutato tanto a farla...”. Ed è facile immaginare – per chi conosceva Andrés – che il suo è stato anche un aiuto materiale, da muratore improvvisato o manovale. Perché quella povera gente sentisse che Gesù è fra di loro.Pochi, anche fra i suoi amici, sapevano della gran quantità di persone che aiutava. Il cardinal Cipriani, andando a benedire il corpo, giovedì, lo ha detto: “vi accorgerete con il tempo di tutto il bene che umilmente faceva quest’uomo. Lui mi cercava per ripetermi che lui e il movimento di CL volevano servire la Chiesa e mi chiedeva sempre di dargli una missione”. Era uno dei figli di don Giussani. La sua è una storia da film: la storia di una compagnia di giovani che è la vera “meglio gioventù”, quella su cui nessuno farà un film. Andrea aveva partecipato alla nascita di Comunione e liberazione nelle università di Milano. Alla Statale, dove si iscrisse nel 1972 (facoltà di Filosofia), diventò presto il responsabile. Erano anni durissimi. Aggressioni, odio e calunnie dei giornali contro i ciellini che erano gli unici a esserci con una identità cristiana, come agnelli in mezzo ai lupi di ogni estremismo.Anche Andrea si sentiva dare del “fascista” lui che era cresciuto con un nonno, Emanuele Samek Lodovici, che era stato discriminato dal fascismo perché militante del Partito popolare di Sturzo e poi perseguitato a causa delle leggi razziali perché ebreo. Lui era di quella tempra lì. Malmenati nelle università i ciellini erano cacciati anche dai seminari perché i vescovi progressisti del post concilio li ritenevano “integralisti”. Andrea entrò nei Memores Domini, il gruppo dei consacrati laici di CL. Nel 1976 fu mandato da Giussani a Siena. Lì con tre amici iniziò una presenza cattolica nell’ateneo di una delle città più rosse d’Italia. Fu un ciclone. Non si era visto niente di simile dai tempi di santa Caterina. In Università quella ciellina diventò subito la presenza più forte (alle prime elezioni studentesche la lista cattolica prese più del 50 per cento mettendo in allarme tutto il locale apparato del Pci). Ma ad infiammare i cuori di tutti quei giovani non era la politica, era quell’amicizia con Gesù che Andrea proponeva con la sua stessa persona, così affascinante ed entusiasmante. Andrea si faceva in quattro per tutti, senza mai riposare, spesso saltando i pasti. Quando si laureò gli amici della comunità gli regalarono un po’ di vestiti (ne aveva davvero bisogno) e il giorno dopo erano già finiti a dei profughi cambogiani che erano scappati dall’inferno dei Khmer rossi e che – attraverso la Caritas – lui era riuscito a ospitare a Siena.Nel 1989, a 36 anni, ottenne finalmente – come desiderava da sempre - di essere mandato in una delle missioni di CL in Sud America, il Perù. Prima insegnò in alcuni atenei di Lima, poi, con alcuni amici e l’appoggio della Chiesa, fondò l’università “Sedes Sapientiae”. Una università che cerca di far accedere agli studi i più poveri e che è diventata già un modello contagioso per tutto il Sud America. Che senso ha fondare una università in un paese del terzo mondo? Andrea rispondeva: “la peggiore povertà non è quella economica, ma quella umana. Da lì viene la miseria, il degrado e la fame. Educare uomini nuovi significa far crescere una generazione capace di costruire e quindi di dare un futuro a questo povero paese”. E’ esattamente quello che sostiene il decano dei missionari, padre Piero Gheddo. Ed è così che la Chiesa è diventata dovunque una straordinaria sorgente di sviluppo umano. A leggere su un blog le centinaia di messaggi di studenti di Lima, sconvolti dalla morte del professor Aziani, sembra davvero che questa grande avventura sia vincente. E’ impressionante il segno che ha lasciato quest’uomo. Cito qualche espressione dei ragazzi: “che persona straordinaria!”, “gran hombre sabio”, “la passione che irradiava in tutto non lasciava indifferente nessuno”, “donava se stesso attraverso ciò che insegnava”, “la sua sapienza ci affascinava, ma soprattutto la sua grande umanità e la sua purezza di cuore”, “il suo sorriso caldo e amabile”, “un uomo senza paragoni, differente da tutti quelli che incontriamo”, “un vero Maestro, un padre, un amico… que vive en todos nosotros”, “ci dava sempre speranza guardandoci come figli”, “ringrazio Dio: che fortuna averti conosciuto!”, “sei stato un Maestro eccezionale, grazie per l’esempio della tua vita!”, “era entusiasmante”, “trasmetteva una passione per la vita e per gli altri impressionante”, “amico fedele di Gesù, un cuore semplice e puro”, “ricorderò sempre la sua immensa bontà, il suo amore verso tutte le cose”, “che modo straordinario di amare la vita e tutti quelli che incrociavano la sua strada”, “era sempre disponibile, soprattutto per chi aveva bisogno”, “la sua felicità ci ha segnati per sempre: caro amico, grazie per aver avuto fiducia in me”, “un grande uomo che ci ha insegnato a essere uomini”. Al funerale, sabato, il vescovo monsignor Panizza non é riuscito a terminare l’omelia per la commozione. C’erano 1500 persone in chiesa, altre mille all’universita dove gli studenti dalle finestre hanno lanciato una pioggia di petali di fiori. Avevano fatto cartelli con le sue frasi tipiche, come “Febbre di vita”. Il ragazzo che ha parlato ha riferito che Andrea ha terminato la sua ultima lezione dicendo: “ricordatevi sempre: l’amore é piú forte della morte”. Era sconvolgente vedere centinaia di giovani silenziosi in lacrime. Al cimitero altre mille persone. La sua tomba è già meta di pellegrinaggio. Ha un popolo che ora aiuta dal cielo.
E’ un milanese l’uomo che ha affascinato il cuore di uno dei paesi più poveri del Sud America, il Perù. Soprattutto nelle baraccopoli più misere di Lima, “Andrés” era considerato un angelo. Mercoledì scorso il suo cuore ancora giovane (55 anni) - che ardeva per questa gente – si è spezzato. E sabato, in una grande basilica di Lima affacciata sull’Oceano Pacifico, davanti a migliaia di persone in lacrime, si è celebrata la sua “nascita al cielo”. Nella stessa mattina di sabato, commosso, il cardinal Cipriani, arcivescovo di Lima, ha parlato di lui alla radio nazionale. Ma in Italia uomini come Andrea Aziani restano sconosciuti. Instancabile e radioso, Andrés, in quella megalopoli sull’oceano che è la capitale peruviana, viveva da 20 anni, mandato da don Giussani. Lo conoscevano tutti: dal presidente della Repubblica fino al venditore ambulante di “emolliente” che è venuto a dargli l’ultimo saluto in chiesa e fra la folla ripeteva piangendo: “gli volevo tanto bene”. Poteva discutere nella sua università con i ministri o con i maggiori intellettuali del Paese e subito dopo trascorrere ore nei pueblos più malfamati ad aiutare la povera gente delle baracche, a giocare con i bambini nella polvere delle strade, insegnando loro dei canti o delle preghiere. O portando loro di che vivere. Ce n’era una folla sabato in chiesa di questi suoi “figli”, di cui spesso era “padrino” di battesimo o della comunione o della cresima. Sebastiana é una di queste bambine. Giovedì sera, dopo la veglia, alcuni amici di Andrés, di Comunione e liberazione, sono andati ad accommpagnarla a “casa”. Hanno scoperto che vive in una poverissima capanna in cima a una collina di casupole. La fanciulla ha mostrato loro una cappellina mezza costruita fra le baracche: “il mio padrino ha aiutato tanto a farla...”. Ed è facile immaginare – per chi conosceva Andrés – che il suo è stato anche un aiuto materiale, da muratore improvvisato o manovale. Perché quella povera gente sentisse che Gesù è fra di loro.Pochi, anche fra i suoi amici, sapevano della gran quantità di persone che aiutava. Il cardinal Cipriani, andando a benedire il corpo, giovedì, lo ha detto: “vi accorgerete con il tempo di tutto il bene che umilmente faceva quest’uomo. Lui mi cercava per ripetermi che lui e il movimento di CL volevano servire la Chiesa e mi chiedeva sempre di dargli una missione”. Era uno dei figli di don Giussani. La sua è una storia da film: la storia di una compagnia di giovani che è la vera “meglio gioventù”, quella su cui nessuno farà un film. Andrea aveva partecipato alla nascita di Comunione e liberazione nelle università di Milano. Alla Statale, dove si iscrisse nel 1972 (facoltà di Filosofia), diventò presto il responsabile. Erano anni durissimi. Aggressioni, odio e calunnie dei giornali contro i ciellini che erano gli unici a esserci con una identità cristiana, come agnelli in mezzo ai lupi di ogni estremismo.Anche Andrea si sentiva dare del “fascista” lui che era cresciuto con un nonno, Emanuele Samek Lodovici, che era stato discriminato dal fascismo perché militante del Partito popolare di Sturzo e poi perseguitato a causa delle leggi razziali perché ebreo. Lui era di quella tempra lì. Malmenati nelle università i ciellini erano cacciati anche dai seminari perché i vescovi progressisti del post concilio li ritenevano “integralisti”. Andrea entrò nei Memores Domini, il gruppo dei consacrati laici di CL. Nel 1976 fu mandato da Giussani a Siena. Lì con tre amici iniziò una presenza cattolica nell’ateneo di una delle città più rosse d’Italia. Fu un ciclone. Non si era visto niente di simile dai tempi di santa Caterina. In Università quella ciellina diventò subito la presenza più forte (alle prime elezioni studentesche la lista cattolica prese più del 50 per cento mettendo in allarme tutto il locale apparato del Pci). Ma ad infiammare i cuori di tutti quei giovani non era la politica, era quell’amicizia con Gesù che Andrea proponeva con la sua stessa persona, così affascinante ed entusiasmante. Andrea si faceva in quattro per tutti, senza mai riposare, spesso saltando i pasti. Quando si laureò gli amici della comunità gli regalarono un po’ di vestiti (ne aveva davvero bisogno) e il giorno dopo erano già finiti a dei profughi cambogiani che erano scappati dall’inferno dei Khmer rossi e che – attraverso la Caritas – lui era riuscito a ospitare a Siena.Nel 1989, a 36 anni, ottenne finalmente – come desiderava da sempre - di essere mandato in una delle missioni di CL in Sud America, il Perù. Prima insegnò in alcuni atenei di Lima, poi, con alcuni amici e l’appoggio della Chiesa, fondò l’università “Sedes Sapientiae”. Una università che cerca di far accedere agli studi i più poveri e che è diventata già un modello contagioso per tutto il Sud America. Che senso ha fondare una università in un paese del terzo mondo? Andrea rispondeva: “la peggiore povertà non è quella economica, ma quella umana. Da lì viene la miseria, il degrado e la fame. Educare uomini nuovi significa far crescere una generazione capace di costruire e quindi di dare un futuro a questo povero paese”. E’ esattamente quello che sostiene il decano dei missionari, padre Piero Gheddo. Ed è così che la Chiesa è diventata dovunque una straordinaria sorgente di sviluppo umano. A leggere su un blog le centinaia di messaggi di studenti di Lima, sconvolti dalla morte del professor Aziani, sembra davvero che questa grande avventura sia vincente. E’ impressionante il segno che ha lasciato quest’uomo. Cito qualche espressione dei ragazzi: “che persona straordinaria!”, “gran hombre sabio”, “la passione che irradiava in tutto non lasciava indifferente nessuno”, “donava se stesso attraverso ciò che insegnava”, “la sua sapienza ci affascinava, ma soprattutto la sua grande umanità e la sua purezza di cuore”, “il suo sorriso caldo e amabile”, “un uomo senza paragoni, differente da tutti quelli che incontriamo”, “un vero Maestro, un padre, un amico… que vive en todos nosotros”, “ci dava sempre speranza guardandoci come figli”, “ringrazio Dio: che fortuna averti conosciuto!”, “sei stato un Maestro eccezionale, grazie per l’esempio della tua vita!”, “era entusiasmante”, “trasmetteva una passione per la vita e per gli altri impressionante”, “amico fedele di Gesù, un cuore semplice e puro”, “ricorderò sempre la sua immensa bontà, il suo amore verso tutte le cose”, “che modo straordinario di amare la vita e tutti quelli che incrociavano la sua strada”, “era sempre disponibile, soprattutto per chi aveva bisogno”, “la sua felicità ci ha segnati per sempre: caro amico, grazie per aver avuto fiducia in me”, “un grande uomo che ci ha insegnato a essere uomini”. Al funerale, sabato, il vescovo monsignor Panizza non é riuscito a terminare l’omelia per la commozione. C’erano 1500 persone in chiesa, altre mille all’universita dove gli studenti dalle finestre hanno lanciato una pioggia di petali di fiori. Avevano fatto cartelli con le sue frasi tipiche, come “Febbre di vita”. Il ragazzo che ha parlato ha riferito che Andrea ha terminato la sua ultima lezione dicendo: “ricordatevi sempre: l’amore é piú forte della morte”. Era sconvolgente vedere centinaia di giovani silenziosi in lacrime. Al cimitero altre mille persone. La sua tomba è già meta di pellegrinaggio. Ha un popolo che ora aiuta dal cielo.
In una lettera del 1993 a un amico, Andrea ricordava una frase di santa Caterina e scriveva: “Che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi. Ma perché sia così, noi dobbiamo bruciare, letteralmente, ardere di passione perché Cristo lo raggiunga. Perché attraverso questo bruciare sia Cristo a raggiungerlo”. Don Giussani un giorno lesse queste righe davanti a centinaia di persone e, commosso, commentò: “vi sfido a trovare una testimonianza simile. Dovunque!”.
Da “Libero”, 7 agosto 2008
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