martedì 28 settembre 2010

Gianna Jessen


In una conferenza a Melbourne nel 2008, Gianna Jessen racconta la sua vicenda di bambina non voluta, nata nonostante il tentativo di aborto della madre.



‎"La mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna..!!"



“Vi dico questo perché… che lo sappiate o no, è in corso una battaglia tra la vita e la morte…


Tu da che parte stai??”


Sottotitoli in italiano.














Davanti al crimine tremendo quale è l'omicidio-aborto, davanti alla testimonianza diretta di una sopravissuta tra quei miliardi di bambini che vengono uccisi tra gli applausi di molti, il consenso di tanti e il silenzio dei più, quali parole possono ancora blaterare i promotori di questo genocidio censurato??


E noi, vogliamo continuare a restare nell'indifferenza e nel silenzio?


Divulghiamo questa bellissima testimonianza!

lunedì 27 settembre 2010

L'IMPOSSIBILE INTEGRAZIONE DELL'ISLAM SECONDO IL BEATO CHARLES DE FOUCAULD


La testimonianza insospettabile di chi ha consacrato la sua vita al dialogo con i musulmani

di Massimo Introvigne

Il Beato Charles de Foucauld (1858-1916) si è consacrato a lungo – prima di essere ucciso a Tamanrasset, in Algeria, nel 1916 – a testimoniare la fede cattolica presso i musulmani con la comprensione, l’amicizia e la testimonianza. Nessuno lo ha mai accusato di “islamofobia” preconcetta. La sua opinione sulla possibilità che un musulmano, rimanendo musulmano, possa diventare “veramente francese” (o tedesco, o europeo) è dunque insieme autorevole, perché deriva da una lunga esperienza dell’islam, e insospettabile.
Trascrivo la parte centrale di una lettera inviata da Tamanrasset al suo futuro biografo René Bazin (1853-1932) il 29 luglio 1916, pubblicata in Bulletin du Bureau catholique de presse, n. 5, ottobre 1917 e riprodotta in numerose opere biografiche sul Beato. Certamente nelle opere del Beato si trovano alte espressioni di amicizia e di stima nei confronti di musulmani, apprezzamenti per espressioni specifiche della cultura islamica ed esortazioni alla pazienza e alla carità nei loro confronti.
Esse - a scanso di equivoci - sono del tutto in linea con il Magistero della Chiesa e assolutamente condivisibili, ma non sono affatto in contraddizione con questo lucido giudizio, il quale tratta della diversa questione della possibilità di una vera e piena integrazione di un musulmano che rimanga musulmano nella cultura europea. È chiaro che si tratta qui della questione culturale dell'integrazione, a sua volta diversa dalla gestione politica di un "islam francese" (o italiano) cui le autorità pubbliche oggi sono comunque chiamate a fronte della presenza in Europa di un gran numero di musulmani. Questo testo è in qualche modo “l’ultima parola” del Beato sulla delicata questione dell’integrazione, essendo stato scritto sei mesi prima del suo martirio.
Nella corrispondenza con Bazin egli considera sbagliata “ogni politica che non miri a convertire i musulmani” alla vera fede cattolica, e ritiene che solo questa conversione possa trasformare “veramente” un musulmano in francese.
È anche interessante notare che nella stessa corrispondenza il Beato spiega che il passaggio dei musulmani al laicismo e al libero pensiero, “quello della Turchia”, non è una soluzione: ne nascerà “una élite che avrà perso ogni fede islamica ma che ne manterrà la prassi per potere attraverso questa influenzare le masse”; alla fine questa élite post-musulmana “si servirà dell’islam come di una leva per sollevare la massa” e attaccare l’Occidente. Far diventare i musulmani laicisti – la “soluzione turca” – dunque secondo il Beato non serve. Occorre senza reticenze proporre loro la conversione al cattolicesimo.
Ecco dunque la parte centrale della lettera del 29 luglio 1916:
“I musulmani possono diventare veramente francesi? In via eccezionale, sì; ma in maniera generale, no. Molti dogmi fondamentali della religione islamica vi si oppongono. Con alcuni di questi vi possono essere degli accomodamenti; ma con uno, quello del mahdì, non c'è spazio di mediazione.
Ogni musulmano (non parlo dei liberi pensatori nati musulmani e che hanno perso la fede) crede che, all'arrivo del giudizio finale, arriverà il mahdì che dichiarerà la guerra santa e stabilirà l'islam su tutta la Terra, dopo aver sterminato o sottomesso tutti i non musulmani. All'interno di questa visione di fede, il musulmano considera l'islam come la sua vera patria e ritiene che i popoli non musulmani siano destinati, presto o tardi, ad essere sottomessi da lui, o al massimo dai suoi discendenti.
Se è governato da una nazione non musulmana, egli considera questa situazione come una prova passeggera; la sua fede lo rassicura che ne uscirà e trionferà su coloro che al momento lo tengono sottomesso. La saggezza lo incita a subire questa sua prova con calma: “l’uccello preso in trappola che si dibatte perde le piume e si spezza le ali; ma se rimane tranquillo si ritroverà integro nel giorno della sua liberazione”, dicono. Per questo, i fedeli islamici possono preferire una nazione a un'altra, possono preferire la sottomissione ai francesi piuttosto che ai tedeschi, perché sanno che i primi sono più accondiscendenti; possono essere affezionati a questo o a quel francese, come si è affezionati a un amico straniero; si possono battere con grande coraggio per la Francia, con sentimento d'onore e carattere guerriero, con spirito di corpo e fedeltà di parola, come i soldati di ventura del XVI e XVII secolo.
Ma, in un senso più generale e salvo eccezioni individuali, finché sono musulmani, essi non saranno francesi, perché attenderanno, più o meno pazientemente, il giorno del mahdì, quando sottometteranno la Francia.
Da questo deriva il fatto che i nostri algerini musulmani sono così poco interessati a domandare la nazionalità francese: perché chiedere di far parte di un popolo straniero che, essi lo sanno, in futuro verrà irrimediabilmente sconfitto e sottomesso da quella stessa nazione alla quale loro stessi oggi appartengono?”.

Massimo Introvigne
da Cesnur, 28 agosto 2010

fonte: Bastabugie

mercoledì 22 settembre 2010

23 Settembre - San Pio da Pietrelcina





"Una sola cosa dovete dimandare a nostro Signore: amarlo.
E tutto il resto in ringraziarlo."(P.Pio)

Nel suo lungo cammino verso di Dio, Padre Pio ricevette il dono di fenomeni non ordinari: estasi, bilocazione, ferite d’amore al cuore, stimmate e trasverberazione, segni sostanziali del suo immenso amore verso il Signore. Le prime impronte del prodigio divino apparvero, sotto l’olmo di Piana Romana, il 7 settembre del 1910.

Il giovane frate, confortato da don Salvatore Pannullo, pregò affinché Dio gli togliesse i segni esteriori di tali ferite. Le stimmate scomparvero, lasciando lo struggente dolore che Padre Pio descrive nella lettera del 21 marzo 1912 destinata a padre Agostino:” (…)è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani ed i piedi sembrami che siano trapassati da una spada; tanto è il dolore che sento”. (Epist. I, 266)

Le stimmate divennero di nuovo visibili il 20 settembre 1918.

Era un venerdì mattina, Padre Pio aveva celebrato la sua messa mattutina e si era raccolto in preghiera. Mentre la sua mente era rivolta alla meditazione sulla Passione e morte di Gesù nei misteri dolorosi del Santo Rosario, gli apparve un personaggio celeste che aveva le mani, i piedi ed il costato traforati e grondanti di sangue. Il frate si trascinò nella sua cella e lì esausto si addormentò. Al risveglio lo colse il gran dolore di quelle ferite, che lo segneranno fino al momento della morte, quando le stimmate scomparvero dal suo corpo per sempre .

I teologi mistici considerano le stimmate visibili un segno di edificazione per il fedele e per tutti coloro che le vedono e sono una rappresentazione vivente delle ferite stesse di Cristo. La persona genuinamente stimmatizzata può essere paragonata ad una icona vivente, “usata” da Dio per rappresentare un immagine che mostra l’amore fedele per lui. La volontà di Cristo di subire la crocifissione e la morte per amore del suo popolo, duemila anni fa, è la stessa ancora oggi.









”Sono divorato dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo”. (P.Pio)

Il riconoscimento del successo della visita oltremanica di Benedetto XVI


La forza di gesti e parole incalzanti.


Li ha spinti a pensare e loro hanno risposto

Si potrebbe dire che è la sorpresa del giorno dopo. Anzi, meglio, la «solita» sorpresa. Con qualche ingrediente in più, questa volta. Perché se ai viaggi papali previsti (e raccontati) come «difficili», «complessi» e circondati da un’«atmosfera ostile» siamo abituati, forse nessuno come questo appena concluso nel Regno Unito era stato presentato come una pura e semplice mission impossible. Un’avventura senza speranza nel cuore del secolarismo più avanzato, dell’indifferenza religiosa più acuta, del relativismo etico più manifesto.

Il riconoscimento – e in che misura! – del successo della visita oltremanica di Benedetto XVI risuona, anche per questo, tanto più forte. E non c’è dubbio che, parlando di successo vero e pieno, si parla di qualcosa che va oltre la mondanità degli ascolti, e ben oltre lo stupore immediato. Papa Ratzinger ha colpito con i suoi gesti semplici e le sue parole profonde, incalzanti. All’occorrenza anche dure. A celebrare in Newman, profondamente inglese e anglicano tanto quanto lucidamente cattolico, la modernità teologica aperta al confronto col mondo.

A pressare, proprio in nome di quella modernità, la più antica democrazia del pianeta e a spingerla a interrogarsi se si possa davvero costruire una società migliore mettendo la fede da un parte. A pregare, assieme ai fratelli anglicani, per un’unità che deve diventare testimonianza comune, quotidiana, a ogni livello. A esprimere indignazione e vergogna per gli abusi sui minori commessi da alcuni figli della Chiesa, e a chiedere e assicurare giustizia. A ringraziare, da tedesco, per il contributo decisivo dato dal Regno Unito per fermare la «follia nazista».

La gente ha visto. Ha ascoltato. Ha capito. Certamente, molto ha contribuito, in questo successo, il proscenio offertogli dall’ospite, a cominciare da quella Westminster Hall in cui il Papa ha pronunciato uno dei discorsi più alti del suo già straordinario pontificato. Un interesse, quello verso Oltretevere da parte del mondo britannico, che ha molte ragioni, a cominciare dalla crescita del numero dei cattolici nel Paese – un milione in più in neppure trent’anni, per lo più immigrati – la condivisione con la Santa Sede di tanti obiettivi di sviluppo e, soprattutto, il riconoscimento di un’influenza a livello planetario certamente non proporzionale ai 44 ettari della Città del Vaticano.
Un’attenzione pragmatica, se si vuole, nel più stretto stile d’Oltremanica.

Ma pragmatico non vuol dire utilitaristico. Nel commosso saluto della speaker della Camera a Westminster Hall, nell’abbraccio del Primate della Chiesa d’Inghilterra, o a Birmingham nell’inatteso e commosso saluto finale – «ha dato a tutti noi qualcosa su cui riflettere» – del primo ministro David Cameron, s’è vista la misura di quale breccia Benedetto XVI abbia aperto. Di come abbia sorpreso, e di come questo sia stato un segno intenso e felice. Perché in realtà sorpresa non è stata, ma conferma e risposta a un’attesa manifesta e serena, perfettamente leggibile – da chi avesse voluto – già alla vigilia del viaggio.

E, in questo, va dato atto che quella parte della stampa inglese che aveva giocato sull’immagine di mission impossible, alla fine ha avuto l’onestà, e il coraggio, di dare all’ospite tutta l’attenzione dovuta e meritata. Senza nascondere alcunché, e anzi riconoscendo i propri errori di valutazione. Sia di fronte alle decine di migliaia di persone che, anche a Londra, lì sì in modo del tutto inaspettato, si sono riversate sulle strade per vedere il Papa, sia, soprattutto, al cospetto di un pensiero che Benedetto XVI ha presentato nitido, con una semplicità e una forza impossibili da ignorare. Papa Ratzinger col suo stile mite e forte costringe a pensare, ponendo domande che toccano chi sa ascoltare e che nessuno dovrebbe più ignorare.
Salvatore Mazza

fonte: Avvenire

sabato 18 settembre 2010

INDIRIZZO DEL SANTO PADRE AGLI ALUNNI




INDIRIZZO DEL SANTO PADRE AGLI ALUNNI

Campo sportivo del St Mary’s University College


Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
Cari giovani amici,

desidero anzitutto dirvi quanto sia lieto di essere oggi qui in mezzo a voi. Estendo il più cordiale saluto a tutti voi, convenuti alla “Saint Mary’s University” dalle scuole e dai collegi cattolici del Regno Unito, e a tutti coloro che ci stanno seguendo alla televisione o via internet. Ringrazio il vescovo McMahon per il suo cortese benvenuto e il coro e la banda per la bella musica eseguita poco fa, che ha dato inizio alla nostra celebrazione. Ringrazio Miss Bellot e Elaine per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di tutti i giovani presenti. Guardando ai prossimi giochi olimpici, è stato un piacere inaugurare questa Fondazione sportiva intitolata a Giovanni Paolo II, e prego affinché tutti coloro che la frequenteranno rendano gloria a Dio attraverso le loro attività sportive, così come possano trarre giovamento per se stessi e per gli altri.

Non capita spesso ad un Papa — in verità nemmeno a qualsiasi altra persona — l’opportunità di parlare contemporaneamente agli studenti di tutte le scuole cattoliche dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia. E dal momento che ora io ho questa possibilità, c’è qualcosa che mi sta davvero molto a cuore di dirvi. Ho la speranza che fra voi che oggi siete qui ad ascoltarmi vi siano alcuni dei futuri santi del ventunesimo secolo. La cosa che Dio desidera maggiormente per ciascuno di voi è che diventiate santi. Egli vi ama molto più di quanto voi possiate immaginare e desidera per voi il massimo. E la cosa migliore di tutte per voi è di gran lunga il crescere in santità.

Forse alcuni di voi non ci hanno mai pensato prima d’ora. Forse alcuni pensano che essere santi non sia per loro. Lasciatemi spiegare cosa intendo dire. Quando si è giovani, si è soliti pensare a persone che stimiamo e ammiriamo, persone alle quali vorremmo assomigliare. Potrebbe trattarsi di qualcuno che incontriamo nella nostra vita quotidiana e che teniamo in grande stima. Oppure potrebbe essere qualcuno di famoso. Viviamo in una cultura della celebrità ed i giovani sono spesso incoraggiati ad avere come modello figure del mondo dello sport o dello spettacolo. Io vorrei farvi questa domanda: quali sono le qualità che vedete negli altri e che voi stessi vorreste maggiormente possedere? Quale tipo di persona vorreste davvero essere?

Quando vi invito a diventare santi, vi sto chiedendo di non accontentarvi di seconde scelte. Vi sto chiedendo di non perseguire un obiettivo limitato, ignorando tutti gli altri. Avere soldi rende possibile essere generosi e fare del bene nel mondo, ma, da solo, non è sufficiente a renderci felici. Essere grandemente dotati in alcune attività o professioni è una cosa buona, ma non potrà mai soddisfarci, finché non puntiamo a qualcosa di ancora più grande. Potrà renderci famosi, ma non ci renderà felici. La felicità è qualcosa che tutti desideriamo, ma una delle grandi tragedie di questo mondo è che così tanti non riescono mai a trovarla, perché la cercano nei posti sbagliati. La soluzione è molto semplice: la vera felicità va cercata in Dio. Abbiamo bisogno del coraggio di porre le nostre speranze più profonde solo in Dio: non nel denaro, in una carriera, nel successo mondano, o nelle nostre relazioni con gli altri, ma in Dio. Lui solo può soddisfare il bisogno più profondo del nostro cuore.

Dio non solo ci ama con una profondità e intensità che difficilmente possiamo immaginare: egli ci invita a rispondere a questo amore. Tutti voi sapete cosa accade quando incontrate qualcuno di interessante e attraente, come desideriate essere amici di quella persona. Sperate sempre che quella persona vi trovi a sua volta interessanti ed attraenti e voglia fare amicizia con voi. Dio desidera la vostra amicizia. E, una volta che voi siete entrati in amicizia con Dio, ogni cosa nella vostra vita inizia a cambiare. Mentre giungete a conoscerlo meglio, vi rendete conto di voler riflettere nella vostra stessa vita qualcosa della sua infinita bontà. Siete attratti dalla pratica della virtù. Incominciate a vedere l’avidità e l’egoismo, e tutti gli altri peccati, per quello che realmente sono, tendenze distruttive e pericolose che causano profonda sofferenza e grande danno, e volete evitare di cadere voi stessi in quella trappola. Incominciate a provare compassione per quanti sono in difficoltà e desiderate fare qualcosa per aiutarli. Desiderate venire in aiuto al povero e all’affamato, confortare il sofferente, essere buoni e generosi. Quando queste cose iniziano a starvi a cuore, siete già pienamente incamminati sulla via della santità.

C’è sempre un orizzonte più grande, nelle vostre scuole cattoliche, sopra e al di là delle singole materie del vostro studio e delle varie capacità che acquisite. Tutto il lavoro che fate è posto nel contesto della crescita nell’amicizia con Dio, e da quell’amicizia tutto quel lavoro fluisce. In tal modo apprendete non solo ad essere buoni studenti, ma buoni cittadini e buone persone. Mentre proseguite con il percorso scolastico dovete compiere delle scelte circa la materia del vostro studio e iniziare a specializzarvi in vista di ciò che farete nella vita. Ciò è giusto e conveniente. Ricordate sempre però che ogni materia che studiate si inserisce in un orizzonte più ampio. Non riducetevi mai ad un orizzonte ristretto. Il mondo ha bisogno di buoni scienziati, ma una prospettiva scientifica diventa pericolosamente angusta, se ignora la dimensione etica e religiosa della vita, così come la religione diventa angusta, se rifiuta il legittimo contributo della scienza alla nostra comprensione del mondo. Abbiamo bisogno di buoni storici, filosofi ed economisti, ma se la percezione che essi offrono della vita umana all’interno del loro specifico campo è centrata su di una prospettiva troppo ristretta, essi possono seriamente portarci fuori strada.

Una buona scuola offre una formazione completa per l’intera persona. Ed una buona scuola cattolica, al di sopra e al di là di questo, dovrebbe aiutare i suoi studenti a diventare santi. So che vi sono molti non cattolici che studiano nelle scuole cattoliche in Gran Bretagna e desidero rivolgermi a tutti con le mie odierne parole. Prego affinché anche voi vi sentiate incoraggiati a praticare la virtù e a crescere nella conoscenza ed amicizia con Dio, assieme ai vostri compagni cattolici. Voi siete per loro il richiamo all’orizzonte più vasto che esiste fuori della scuola ed è fuor di dubbio che il rispetto e l’amicizia per membri di altre tradizioni religiose debba essere tra le virtù che si apprendono in una scuola cattolica. Spero anche che vorrete condividere con chiunque incontrerete i valori e gli insegnamenti che avrete appresi mediante la formazione cristiana ricevuta.

Cari amici, vi ringrazio per la vostra attenzione, vi prometto di pregare per voi e vi chiedo di pregare per me.
Spero di vedere molti di voi il prossimo agosto, alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Nel frattempo, che Dio benedica tutti voi!



© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 15 settembre 2010

Come vivere la consacrazione alla Madonna nei nostri giorni



di Plinio Corrêa de Oliveira

[Conferenza tenuta nel 1959 dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira per i membri del Terz’Ordine Carmelitano di San Paolo del Brasile, e pubblicato successivamente sulla rivista «O Mensageiro Carmelitano» (15-05-59). Fervido devoto di Elia profeta, fondatore remoto del Carmelo, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira è stato per lunghi anni Priore del Terz’Ordine col nome di Isaia della Madonna del Perpetuo Soccorso.]

Andare oltre le esteriorità
Come Terziari Carmelitani, dobbiamo evitare di restare appena nelle esteriorità. Lo scapolare è un oggetto materiale che simboleggia in modo sensibile il nostro vincolo spirituale con la Madonna. Ma, proprio perché tale simbolo rappresenta bene questa situazione, alcuni spiriti potrebbero facilmente cedere all’idea che il suo mero uso è sufficiente per mantenerli uniti alla Madonna.

La stessa imposizione dello scapolare, fatta abitualmente in modo solenne e festoso, parla molto ai sensi e all’immaginazione. Perciò alcune persone potrebbero figurarsi che il semplice fatto di riceverlo stabilirebbe tra loro e la Madonna un vincolo così profondo che, anche senza nessun onere da parte loro, le manterrebbe ipso facto unite alla Madonna come perfetti Terziari.

La condizione dell’uomo sulla terra è tale che perfino le cose più lodevoli sono suscettibili di abusi, non perché in esse vi sia qualcosa di male, ma perché il male risiede nell’uomo decaduto col peccato originale.

Possiamo quindi dire che le esteriorità sono oltremodo utili, opportune, necessarie alla natura umana. Ma non vanno prese nel modo sbagliato, rimanendo appena nella realtà materiale del simbolo e dimenticando tutto ciò che esso significa.

L’apostolato laico nei nostri tempi
Dobbiamo compenetrarci dell’idea che il semplice possesso dello scapolare e la professione come membri del Terz’Ordine non costituiscono l’essenza del nostro vincolo con la Madonna. Queste esteriorità sarebbero vuote senza una speciale consacrazione interiore alla Vergine del Carmelo. È questo l’elemento fondamentale della nostra condizione di Terziari Carmelitani.

L’uso dello scapolare e la professione religiosa non sono che un oggetto materiale e un atto giuridico — tutte e due di grande significato ed importanza, intendiamoci — che esprimono questa consacrazione. Ma il punto principale è che il Terziario sia interiormente consacrato alla Madonna e viva questa consacrazione tutta la vita con crescente intensità.

In cosa consiste concretamente questa consacrazione interiore? Come possiamo vivere questa consacrazione nei nostri tempi? Ecco il tema della mia conferenza.

Il Terziario Carmelitano vive nel mondo. Egli è un laico e svolge il suo apostolato nel mondo. Questo apostolato consiste nel agire nella società civile per promuovere la salvezza delle anime per tutti i mezzi leciti, compresso quello di permeare con lo spirito della Chiesa tutti i valori dell’ordine temporale.

Non si tratta quindi di evitare le cose del mondo, di fuggire al deserto a fare l’eremita, di rinchiudersi nel silenzio sacrale di un monastero contemplativo. Non si tratta nemmeno di entrare a far parte d’un ordine religioso dedicato all’apostolato esterno. Si tratta, nel nostro caso, di vivere pienamente nel mondo, orientando a Dio i valori della società civile, creata pure da Lui e della quale si può esigere che Gli dia gloria. Si tratta di comunicare a questi valori un vero carattere cristiano.

In queste condizioni, dobbiamo avere un’idea esatta di come la consacrazione alla Madonna si realizzi nel mondo. Ma parlare di "mondo" è troppo generico. Noi dobbiamo considerare la società civile come essa è concretamente nei giorni nostri, con le peculiarità cioè dei nostri tempi.

Per vivere i nostri tempi dobbiamo, sì, conoscerne gli aspetti positivi. Ma non possiamo dimenticare gli aspetti negativi. Chi è il principe di questo mondo? Chi è il nemico al quale noi non possiamo servire? Chi è quell’altro "signore" che ci chiede pure di consacrarci a lui, con una consacrazione del tutto opposta ed escludente riguardo alla consacrazione alla Madonna? Senza un deciso rigetto di questo "signore" e di ogni forma di servitù e di vassallaggio a lui, la nostra consacrazione alla Madonna non sarà veramente piena.

Eccoci passati dall’enunziazione generica del problema alla domanda concreta: come possiamo realizzare la nostra consacrazione alla Madonna come figli della Chiesa Militante del secolo XX?

Questo implica un’altra domanda: quale sono i valori genuini della società civile? Per rispondere a questa domanda prendo spunto da alcune considerazioni teoriche.

Dio, causa finale e causa esemplare dell’universo
Dio è il fine di tutte le cose. È quindi naturale che tutte le cose siano ordinate a Lui. E ciò si realizza quando tutto è ordinato al compimento della Legge di Dio, alla salvezza delle anime e all’esaltazione della Chiesa.

Questi principi sono così veri, chiari e conosciuti che non credo di dover trattenermi sull’argomento. Vi è però un’altro principio, raramente proposto all’attenzione della massa dei fedeli. Ed è su questo che vorrei parlare più a lungo.

Dio ha creato l’universo e poi ha concesso all’uomo la facoltà di poter completare diversi aspetti dell’ordine e della bellezza dell’universo, per mezzo della sua azione. Il Dante rende molto bene l’idea quando dice che, se le creature sono figlie di Dio, le opere del genio umano sono le Sue nipoti. Nel creare l’universo, Dio aveva in mente un meraviglioso piano di armonia e di bellezza. Ma Egli realizzò appena una parte di quel piano, lasciandone il resto al genio e all’arbitrio dell’uomo.

Qual’è questo piano?

Insisto sull’idea della bellezza nel universo. La tendenza oggi è di considerare l’universo soprattutto come un’immensa macchina di funzionamento perfetto.

Per esempio, quando si parla della saggezza del Creatore, si risalta come le cose sono concatenate fra di loro in modo tale che non si distruggono, non si scontrano, bensì coesistono in armonia appoggiandosi a vicenda. È una visione funzionale del universo, interamente valida, che però ne svela appena un aspetto, proprio quello più gradito al nostro secolo meccanicista ed ultra-tecnicista.

C’è però un’altro aspetto dell’universo che riguarda Dio in quanto causa esemplare, cioè in quanto Essere increato e infinitamente bello, la cui bellezza si rispecchia in mille modi nelle creature, di modo tale che non c’è nessuna creatura che, d’un modo o d’altro, non rifletta la bellezza increata di Dio.

La bellezza di Dio si rispecchia soprattutto nel insieme, gerarchico e armonico, di tutte le creature. Sicché, in un certo senso, possiamo dire che non c’è mezzo migliore per conoscere la bellezza infinita e increata di Dio che contemplare la bellezza finita e creata dell’universo, considerato non tanto in ogni essere isolato, ma nel suo insieme.

La Santa Chiesa Cattolica: immagine perfetta di Dio
Dio si rispecchia ancora, in modo eminente, in un’opera più nobile e più perfetta dell’universo stesso: il Corpo Mistico di Cristo, la società soprannaturale che noi veneriamo col nome di Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. La Chiesa da se costituisce un universo di elementi, variegati ed armonici, che cantano e rispecchiano, ognuno a modo suo, la santa ed ineffabile bellezza del Verbo Incarnato.

Nel contemplare sia l’universo che la Santa Chiesa Cattolica, noi possiamo elevarci alla considerazione della bellezza santa, infinita, increata di Dio.

Vi sono alcune regole di estetica che possono aiutarci a comprendere la bellezza nell’universo, come ponto di partenza per elevarci alla considerazione della bellezza increata di Dio. La più fondamentale è la coesistenza armonica dell’unita nella varietà. In cosa consiste questa regola? Anziché darne una definizione astratta, forse conviene considerarla concretamente in una creatura: il mare.

Il mare rispecchia la bellezza infinita di Dio
Il primo elemento che salta agli occhi è proprio l’unità. Tutti i mari comunicano fra di loro, costituendo un’immensa massa d’acqua che cinge la terra intera. Contemplando un pezzo di mare in qualunque posto del mondo, una delle più deliziose riflessioni che possiamo fare è considerare che quella massa liquida che ci sta davanti non si esaurisce nell’orizzonte, ma ha dietro di se immensità che susseguono ad altre immensità, fino a formare un’unica immensità che è il mare, che si muove, gioca, ruzza su tutta la superficie della terra.

Ma allo stesso tempo che mostra quella splendida unità, il mare impressiona anche per la grande varietà di aspetti.

Una prima varietà è quella dei movimenti. Ora il mare si presenta manso e sereno, sembrando voler soddisfare tutti i desideri di pace, di tranquillità e di riposo della nostra anima. Ora egli si muove discretamente, soavemente, formando sulla superficie piccole onde che sembrano voler giocare con noi per farci sorridere e rilassare il nostro spirito, presentandoci le realtà amene e piacevoli della vita. Ora egli si mostra maestosamente impetuoso, alzandosi in sublimi movimenti, scagliandosi con furia contro i faraglioni, dislocando dagli abissi masse d’acqua colossali che sommergono le isole e invadono i continenti. Egli sembra in preda ad una furia inarrestabile, che canta col fragore delle acque scatenate una grandezza imprigionata nelle sue profondità, e che nessuno avrebbe intuito nei momenti di dolcezza.

Vi è nel mare una seconda varietà, quella della estetica. A volte egli è così diafano che possiamo attraversarlo con lo sguardo come se fosse un cristallo, scorgendone perfino il fondo. A volte egli si presenta invece cupo, impenetrabile, profondo, misterioso. A volte egli ostenta immense superfici aperte, che si perdono in panorami sconfinati. A volte invece egli è circoscritto dagli accidenti geografici e forma piccoli golfi chiusi nei quali, per così dire, egli ci si mostra nell’intimità, facendosi piccolo per farsi gustare meglio.

Un’altra varietà sta nei rumori del mare. Ora il suo mormorio sembra una carezza che ninna e addormenta. Ora il suo rumore, in sottofondo, è come la conversazione d’un vecchio amico mille volte sentito. Ora invece egli parla col ruggito dominatore d’un re che vuole imporsi sugli elementi.

Il modo nel quale il mare si "comporta" sulla spiaggia è pure incredibilmente variato. Ora egli piomba sulla sabbia risoluto e sbuffante. Ora egli arriva con passo pigro, in onde che procedono languidamente. Ora invece egli sembra fermo, contentandosi appena con bagnare la terra.

Tutte queste varietà del mare, però, non avrebbero nessuna nesso, e quindi nessun incanto, se non si presentassero sul grande sfondo d’una unità fissa, invariabile e grandiosa. Questa è la bellezza dell’unità nella varietà.

La varietà del mare è in questo modo bella perché non è una qualsiasi varietà, bensì una varietà armonica. In cosa consiste?

Varietà armonica nel mare
Un primo elemento è che questa varietà giunge all’opposizione. Cioè, essa è così amplia che i suoi aspetti estremi giungono ad essere opposti e come contraddittori fra di loro. Questa varietà, proprio perché riunisce in una sola gamma estremi così dispari, possiede una suprema armonia, un’indiscutibile bellezza. Noi non riscontreremmo tanta bellezza nel mare se egli non fosse, per esempio, così estremamente furioso, così estremamente maestoso, ma anche così estremamente grazioso. Il mare armonizza l’estremo della mansuetudine e l’estremo della furia.

Un secondo elemento è che questa varietà che giunge all’opposizione deve comportare una certa simetria. Se il mare, per esempio, fosse estremamente furioso in alcuni momenti ma appena un poco sereno in altri momenti, vi sarebbe uno squilibrio, la sua bellezza non sarebbe perfetta. Affinché l’opposizione sia perfetta, il mare dev’essere tanto furioso in alcuni momenti quanto egli è sereno in altri momenti.

Abbiamo poi le varietà armoniche delle gamme intermedie. Ci sono certe situazioni di transizione fra uno stato e l’altro, nelle quali non possiamo dire che il mare sia di questo o di quel modo. Egli sta passando da un estremo all’altro, con tutt’una ricchissima gamma di situazioni intermedie così splendidamente sfumate ed armoniche che spesso il linguaggio umano non riesce nemmeno a coglierli.

Prendiamo l’esempio d’un mare che comincia a calmarsi dopo la tempesta. Chi ha vissuto la tempesta dirà: ecco che il mare finalmente si calma! Chi lo compara invece col mare sereno dirà: il mare è ancora agitato! È una sorta di contraddizione di aspetti opposti che coesistono in una situazione intermedia.

Un’ultimo elemento è la continuità. Da un estremo all’altro il mare non balza, ma attraversa tutte le gamme intermedie, con maggior o minor velocità, in una sequenza di sfumature successive. Quando questa sequenza è perfetta, a volte può anche sembrare che il mare non cambia, salvo poi, dopo un certo tempo, accorgersi che si ha davanti un panorama nuovo. In questo caso, i cambiamenti sono così delicati ed impercettibili, che eccedono alla nostra capacità sensoriale.

Vi è, finalmente, un elemento non tanto visibile nel mare, ma molto vistoso nel firmamento: la varietà del progresso.

Possiamo scorgere nel firmamento una varietà di aspetti che vanno dall’aurora fino alla notte. Il giorno sorge incantevole, giovanile, fresco. Man mano che avanza, va guadagnando colori, forza e maestà, fino a raggiungere la gloriosa pienezza del mezzo giorno. Poi va declinando lentamente fino a sprofondare nella tristezza del tramonto. Finalmente, prende il suo aspetto notturno, che conserva fino ai primi bagliori dell’aurora.

Possiamo menzionare anche un’altro principio che conferisce al firmamento la sua particolare bellezza: è il principio monarchico, cioè la disposizione delle molteplici forme della varietà attorno a un elemento o punto centrale, in funzione del quale esse si armonizzano e si spiegano a vicenda. È questo, per esempio, il ruolo del sole nel firmamento.

Ecco i vari principi di bellezza esistenti in due splendide creature di Dio: il mare e il firmamento.

La Vergine Santissima: apice della bellezza dell’universo
La dottrina cattolica ci insegna che la bellezza di queste creature è un’immagine di Dio, puro Spirito infinitamente perfetto. Ma, visto che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, essa è anche un’immagine dell’uomo. I vari aspetti del mare e del firmamento, per esempio, fanno pensare all’anima umana in alcuni suoi atteggiamenti, soprattutto quando essa riflette veramente la santità di Dio Nostro Signore.

Queste regole dell’estetica dell’universo che ho appena spiegato servono quindi anche per considerare la bellezza della santità nell’uomo e, soprattutto, nella più alta delle creature: la Madonna. La Madonna, così spesso paragonata al firmamento od al mare, possiede un’anima d’una immensità insondabile, un’anima nella quale tutte le forme di virtù e di bellezza coesistono in una perfezione super-eminente, e della quale noi non possiamo farci un’idea esatta. La Madonna è proprio quel oceano, quel firmamento di virtù davanti al quale rimaniamo estasiati, allibiti, e che dobbiamo cercare di amare e di imitare.

Possiamo riscontrare nella Madonna la stessa unità nella varietà nei molteplici doni con i quali Dio l’ha onorata. Ella è madre di clemenza e di misericordia, ma è anche "terribile come un esercito schierato a battaglia" 1; Ella è la salute degli infermi, ma è anche la Madonna dei dolori; Ella è ausilio dei cristiani e anche rifugio dei peccatori. Ella è celebrata per la sua imparagonabile umiltà, e ciononostante tutti i veggenti che hanno avuto la gioia di contemplarLa coincidono nel commentare la Sua sovrana maestà.

Nella Madonna si armonizzano perfettamente gli aspetti più contrastanti e perfino apparentemente inconciliabili. Per esempio, vi può essere un contrasto più radicale di quello d’essere la Vergine Madre? Ella è Vergine delle vergini. Ma potrebbe benissimo essere chiamata pure Madre delle madri. Nessuna è più pienamente Vergine di Lei. Nessuna è più pienamente Madre di Lei.

La consacrazione alla Madonna nei giorni nostri
La consacrazione alla Madonna consiste nel darsi a Lei. E, giacché noi possiamo realizzare in noi stessi, in qualche modo, le virtù che in Lei rifulgono in modo eccelso, darsi a Lei significa servirLa e cercare di imitarLa. La conoscenza della Madonna, l’ammirazione per la Madonna, il servizio alla Madonna e il desiderio di imitarLa sono quindi gli elementi della perfetta consacrazione.

Ma dobbiamo procedere ad un’altra domanda: come possiamo vivere questa consacrazione nelle condizioni concrete dei nostri giorni?

La società dev’essere tale che gli stessi principi di bellezza universale che abbiamo appena spiegato, e che poi si traducono in principi di moralità e di santità, si riflettano non solo nelle anime ma in tutto ciò che circonda l’uomo.

Per una misteriosa affinità, le forme, i suoni, i colori, gli aromi possono esprimere stati di spirito dell’uomo. Bisogna quindi che esprimano stati di spirito virtuosi, affinché l’uomo possa trarre dagli ambienti nei quali vive risorse per la sua santificazione. Gli ambienti devono contenere immagini di Dio che parlino ai sensi, devono essere tali da stimolare nell’uomo la pratica della virtù, devono suscitare in lui l’appetenza della bellezza increata di Dio, che lui poi verrà faccia a faccia nella gloria dei Cieli.

Ecco la grande missione dei laici che vivono nel mondo: organizzare l’ordine temporale in modo tale che forme le anime attirandole verso il Cielo. È chiaro che questo ordine temporale avrebbe una consonanza profonda con la Rivelazione, con gli insegnamenti e leggi della Chiesa, così come con i dettami della vera scienza. Sarebbe perciò il Regno di Cristo, il Regno di Maria sulla terra.

Torno dunque alla domanda: nel nostro secolo, in cosa consiste il servizio alla Madonna? Consiste nel salvare le anime per tutti i mezzi leciti, fra i quali voglio accentuare questo: ordinare tutte le cose secondo lo spirito che ho appena descritto, costruendo in questo modo la cultura e la civiltà cristiane. Sia una che l’altra, in fondo, non sono che la disposizione delle cose affinché siano in questa vita un riflesso di Dio, orientando quindi le anime per la vita eterna.

Essere consacrato alla Madonna e servirLa significa sostentare, promuovere e difendere contro eventuali nemici la cultura e la civiltà cristiane, che costituiscono quella pace in terra promessa agli uomini di buona volontà dagli angeli a Betlemme. L’unica pace che gli uomini di buona volontà possono avere sulla terra è la pace di Cristo nel Regno di Maria.

Possiamo dunque dire che il vero Terziario Carmelitano, consapevole di cosa implichi la sua consacrazione, è non solo una persona di spiccata vita interiore, ma anche un soldato genuino della cultura e della civiltà cristiane.

Problemi dell’apostolato nel secolo XX
Per comprendere ancor meglio come dobbiamo servire la Madonna nel nostro secolo, dobbiamo considerare certe circostanze ad esso peculiari.

Noi viviamo in un processo rivoluzionario che, iniziatosi col Protestantesimo e l’Umanesimo nel secolo XVI, ha ottenuto un grande trionfo con la Rivoluzione francese nel secolo XVIII. Questo processo giunge adesso al suo culmine con l’affermarsi del comunismo. Siamo quindi nel vortice di una lunga serie di apostasie. E in questo consiste il marchio dominante degli avvenimenti nei giorni nostri, delle circostanze nelle quali la Chiesa vive, agisce e lotta attualmente.2

In tutti i tempi la Chiesa si è trovata davanti avversari da contrastare. Ma forse mai essa ha dovuto subire un attacco così furibondo che la colpisce in ogni punto della sua dottrina, delle sue costumi, delle sue istituzioni e delle sue leggi. Mai i suoi nemici avevano ostentato una tale coerenza, una tale unità di intenzione e un tale rancore quanto nei giorni nostri. I testi pontifici in questo senso sono talmente numerosi che io mi esimo dal menzionarli.

Dunque, da qualsiasi angolazione noi consideriamo il panorama odierno, dobbiamo collocare al centro questo fenomeno, cioè l’offensiva plurisecolare delle forze del male contro la Chiesa che oggi giunge al suo parossismo. Viviamo, come ho detto poc’anzi, in un processo rivoluzionario che corrode una realtà gloriosa, luminosa ma ormai agonizzante: la Civiltà cristiana.

Abbiamo quindi un nemico da contrastare e un patrimonio da difendere. Questo patrimonio è l’immenso e inapprezzabile tesoro delle tradizioni tramandateci da venti secoli di Civiltà cristiana. Un patrimonio che non va considerato come un valore estatico ma, al contrario, come qualcosa che i successivi secoli hanno man mano costruito. Anche noi, per la nostra fedeltà e la nostra lotta, accresciamo questo tesoro della tradizione. Davanti a noi c’è la Rivoluzione, che rappresenta esattamente il contrario di tutto ciò che amiamo. Noi dobbiamo confrontarla in tutte le sue manifestazioni.

Ecco un aspetto essenziale del apostolato cattolico nei giorni nostri. Questo aspetto merita un’ulteriore spiegazione.

Il cattolico deve’essere un uomo del suo tempo?
Dicono che il cattolico dev’essere un uomo del suo tempo, con lo sguardo aperto ad ogni forma di progresso, adattandosi in tutta la misura del possibile al mondo nel quale vive.

Nessuno oserebbe dire che queste affermazioni siano in se false. Ma dobbiamo saper distinguere un’accettazione intelligente e piena di discernimento, da un’accettazione sprovveduta, spensierata, debole che assume non solo gli aspetti buoni dell’epoca ma anche tutto ciò che lo spirito della Rivoluzione vi ha instillato, a volte velatamente.

Se vogliamo essere pienamente uomini del nostro tempo dobbiamo saper tracciare questa linea divisoria con molta chiarezza.

Ogni epoca dice di voler distanziarsi da quella precedente correggendone i difetti. Ma capita spesso che voglia anche distanziarsene perché dissente dai suoi valori. E qui ci vuole discernimento. Riguardo all’epoca immediatamente anteriore alla nostra, noi non vogliamo, non possiamo e non dobbiamo né accettare tutto né rigettare tutto. Dobbiamo analizzare con attenzione i diversi elementi.

Nessun’epoca passata deve rimanere intoccata. È sempre possibile, per mezzo di un vero progresso, abolirne i difetti e migliorarne i valori. Ma questo non basta. Noi non possiamo perdere di vista che molte delle trasformazioni in atto oggidì non rappresentano affatto un lavoro intelligente per depurare e perfezionare le tradizioni che abbiamo ricevuto dai nostri padri ma, al contrario, costituiscono un voluto sforzo di distruzione sistematica o di corrosione surrettizia dei valori della Civiltà cristiana.

In una lettera indirizzata al cardinale Carlos Mota, arcivescovo di San Paolo, mons. Dell’Acqua, allora Sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede, affermava che, per effetto del laicismo, il mondo contemporaneo aveva ormai perso quasi completamente il senso cristiano della vita.

Richiamo l’attenzione di lor signori su queste ultime parole. Noi sappiamo che l’uomo non può rimanere privo di qualsiasi senso. Se egli perde il senso cristiano, è giocoforza che lo rimpiazzi con un senso non cristiano. Dobbiamo quindi concludere che la stragrande maggioranza degli uomini di oggi sono segnati, in grado minore o maggiore, da un senso non cristiano della vita, quando non addirittura da un senso anticristiano. Noi stessi, figli del nostro tempo, siamo esposti al rischio di portare nel nostro spirito, a volte anche velatamente, alcune infiltrazioni di questo senso anticristiano della vita.

Troppo frequentemente ci troviamo attorno persone che pensano di avere il vero spirito cattolico perché ricevono ogni tanto i sacramenti e praticano alcuni atti di pietà. Eppure, il loro modo di pensare, di sentire, e di agire sono segnati da uno spirito opposto a quello della Chiesa. Anche se in grado ovviamente minore, questo succede perfino con persone pietose. In queste condizioni, c’è motivo per essere diffidenti perfino con noi stessi.

Con grande diligenza dobbiamo dedicarci al compito di discernere ciò che in nostra epoca è buono da ciò che è cattivo. Ci spinge il timore di, per sbaglio, spacciare qualcosa di quel deposito di tradizioni cattoliche che abbiamo ricevuto da nostri padri e che dobbiamo trasmettere non solo intatto ma accresciuto.

Dobbiamo, sì, correggere giudiziosamente il passato. Ma cambiarlo senza discernimento, sconsideratamente, in ogni caso, e a volte perfino appena per la smania di cambiare, ecco un atteggiamento che va decisamente respinto. Niente di più estraneo alla vera consacrazione alla Madonna di questa negligenza nel proteggere la tradizione cristiana.

Se un membro del Terzo’Ordine Carmelitano si consegna al mondo senza ritegno, sappia che egli serve due signori, egli non è un vero Carmelitano e la sua consacrazione non è una vera consacrazione.

Ripudiando dunque formalmente l’idea che dobbiamo conservare intatto il passato, affermiamo che mai nella storia della Civiltà cristiana fu così difficile discernere fra i veri valori del passato e quello che nei giorni nostri dev’essere rettificato.

La tradizione nel magistero pontificio
Per illustrare questo punto, niente meglio delle luminose parole di Papa Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, del 19 gennaio 1944. Il Santo Padre spiega molto bene in cosa consista un rinnovamento fatto secondo lo spirito della Chiesa, animato da un profondo amore alla tradizione:

"Le cose terrene scorrono come un fiume nell’alveo del tempo: necessariamente il passato cede il posto e la via all’avvenire, e il presente non è che un istante fugace che congiunge l’uno con l’altro. È un fatto, è un moto, è una legge; non è in se un male. Il male sarebbe, se questo presente che dovrebbe essere un flutto tranquillo nella continuità della corrente, divenisse una tromba marina, sconvolgendo ogni cosa come tifone o uragano al suo avanzarsi, e scavando con furioso distruggimento e rapimento un abisso tra ciò che fu e ciò ch deve seguire. Tale sbalzi disordinati, che fa la storia nel suo corso, costituiscono allora e segnano ciò che si chiama una crisi, vale a dire un passaggio pericoloso, che può far capo a salvezza o a rovina irreparabile, ma la cui soluzione è tuttora avvolta di mistero entro la caligine delle forze contrastanti. (...)

"Patriziato e Nobiltà, voi rappresentate e continuate la tradizione. (...)

"Molti animi, anche sinceri, s’immaginano e credono che la tradizione non sia altro che il ricordo, il pallido vestigio di un passato che non c’è più, che non può più tornare, che tutt’al più viene con venerazione, con riconoscenza se vi piace, relegato e conservato in un museo. (...)

"Ma la tradizione è cosa molto diversa dal semplice attaccamento ad un passato scomparso; è tutto l’opposto di una reazione che diffida di ogni sano progresso. Il suo stesso vocabolo etimologicamente è sinonimo di cammino e di avanzamento. Sinonimia, non identità. Mentre infatti il progresso indica soltanto il fatto del cammino in avanti passo innanzi passo, cercando con lo sguardo un incerto avvenire; la tradizione dice pure un cammino in avanti, ma un cammino continuo, che si svolge in pari tempo tranquillo e vivace, secondo le leggi della vita. (...)

"In forza della tradizione, la gioventù, illuminata e guidata dall’esperienza degli anziani, si avanza di un passo più sicuro, e la vecchiaia trasmette e consegna fiduciosa l’aratro a mani più vigorose che proseguono il solco cominciato. Come indica col suo nome, la tradizione è il dono che passa di generazione in generazione la fiaccola che il corridore ad ogni cambio pone in mano e affida all’altro corridore, senza che la corsa si arresti o si rallenti. Tradizione e progresso s’integrano a vicenda con tanta armonia, che, come la tradizione senza il progresso contraddirebbe a sé stessa, così il progresso senza la tradizione sarebbe una impresa temeraria, un salto nel buio".

Conclusione
Reverendi sacerdoti, cari confratelli, abbiamo dunque visto che la nostra consacrazione alla Madonna, espressa nel atto affettivo della professione religiosa e ricordata dal uso dello scapolare, si realizza nei giorni nostri nel ricondurre le anime e tutti i valori della società temporale affinché diano gloria a Dio, sulla scia della Civiltà cristiana, avendo Dio come causa esemplare, e proseguendo nella traiettoria indicata dai magnifici principi della tradizione cristiana.
Grazie!

Il glossario demenziale dei vescovi cattolici inglesi sulla messa: “E’ uno show”


La mia insistente domanda è: quali saranno i provvedimenti di Roma contro queste gravissime affermazioni?


14 settembre 2010

Cos’è la messa? Uno “spettacolo”, anzi uno “show di musica”. Cos’è l’altare? “Un tavolo”. L’eucaristia? “Un po’ di pane e un po’ di vino” che “vengono fatti uscire” in un momento preciso dello show. I liturgisti? Sono un po’ degli “artisti” e un po’ degli “attori”. La sagrestia? Il “backstage” della messa. Non si tratta di un libro per bambini. E non è nemmeno uno scherzo di cattivo gusto. Si tratta invece di un glossario che i vescovi cattolici di Scozia e Inghilterra hanno stampato in forma ufficiale per spiegare ai non cattolici le varie celebrazioni che Papa Benedetto XVI terrà nel loro paese in occasione dell’imminente viaggio apostolico (da giovedì prossimo a domenica). Un glossario che in queste ore sta facendo molto discutere non soltanto il mondo inglese, ma anche oltre il Tevere dove la trovata dell’episcopato britannico non è piaciuta a tutti. Dice al Foglio un monsignore della curia romana: “Il Papa cura sempre nei minimi dettagli le sue celebrazioni. Queste sono il cuore della vita di fede. Attraverso i sacramenti correttamente vissuti i fedeli incontrano il trascendente. Dire che la messa è come un concerto rock o, di più, che i celebranti sono come degli attori o degli artisti significa far sì che i non credenti non capiscano nulla della fede cattolica. E significa confondere le idee a chi già crede”.

Il glossario è uscito da pochi giorni. Ha l’imprimatur ufficiale della chiesa cattolica britannica e in particolare del team che da Londra lavora per la visita, l’arcivescovo di Westminster Vincent Nichols in testa. L’opuscolo è arrivato nelle stanze del Foreign Office. Anche qui, dove due mesi fa era stata partorita una nota che ironizzava sulla “visita ideale” del Papa in Gran Bretagna, il testo è stato ritenuto potenzialmente offensivo per la chiesa e per la sua guida. I giornali inglesi riportano in queste ore il commento di un vescovo del loro paese. Dice l’anonimo presule: “E’ sempre la solita storia. Le gerarchie inglesi cercano d’essere ‘trendy’ ma così facendo si espongono al ridicolo e insieme mettono in serio pericolo la credibilità del viaggio”. Un pensiero, quest’ultimo, condiviso da molti anche oltre il Tevere.

La chiesa cattolica inglese ha provato a reagire. La risposta è arrivata attraverso il portavoce di Westminster che ha detto: “L’opuscolo è stato pensato per i non credenti ma anche per coloro che devono garantire il servizio d’ordine durante gli eventi ai quali partecipa il Papa. Qui c’è molta gente che non conosce la vita della chiesa e occorreva offrire parametri comprensibili a tutti. Per questo abbiamo voluto far capire che l’attenzione che si deve dare a una messa è la medesima che si deve prestare quando c’è un concerto e così via”. Tentativi di chiarimento a parte, le polemiche non mancano. L’organizzazione del viaggio messa in campo dalla chiesa inglese non soddisfa molti. Sempre in Vaticano non è piaciuta a tutti l’idea di mettere in vendita dei biglietti per accedere alle manifestazioni più importanti. Il problema, infatti, è principalmente uno: chi compra i biglietti? A oggi molti sono invenduti. Tanto che Westminster sta correndo contro il tempo per trovare più acquirenti possibili.

© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Paolo Rodari

lunedì 13 settembre 2010

Perché la comunione in ginocchio






Benedetto XVI la vuole così, nelle messe da lui celebrate. Ma pochissimi vescovi e sacerdoti lo imitano. Eppure i pavimenti delle chiese erano resi preziosi anche per questo.


Una guida alla scoperta del loro significato.

di Sandro Magister

ROMA, 13 settembre 2010 – Questa sopra è una panoramica parziale dell'immenso mosaico che ricopre il pavimento della cattedrale di Otranto, sulla costa sudorientale dell'Italia.

I fedeli, percorrendolo dall'ingresso all'altare, hanno come guida l'albero della storia della salvezza, una storia che è sacra e profana insieme, con episodi dell'Antico Testamento, dei Vangeli, del romanzo di Alessandro Magno e del ciclo di Re Artù.

Il mosaico è del XII secolo, un'epoca nella quale le chiese erano vuote di sedie e di panche e il pavimento appariva ai fedeli nella sua integrità. Anche quando non era figurato, il pavimento delle chiese era comunque prezioso per materiali e disegni. Su di esso si camminava. Si pregava. Ci si inginocchiava in adorazione.

Oggi l'inginocchiarsi – specie sul nudo pavimento – è caduto in desuetudine. Tant'è vero che suscita stupore la volontà di Benedetto XVI di dare la comunione ai fedeli in bocca e in ginocchio.

Questa della comunione in ginocchio è una delle novità che papa Joseph Ratzinger ha introdotto quando celebra l'eucaristia.

Ma più che di novità si tratta di ritorni alla tradizione. Le altre sono il crocifisso al centro dell'altare, "perché tutti nella messa guardiamo verso Cristo e non gli uni verso gli altri", e l'uso frequente del latino "per sottolineare l'universalità della fede e la continuità della Chiesa".

In un'intervista al settimanale inglese "Catholic Herald", il maestro delle cerimonie pontificie Guido Marini ha confermato che anche nelle messe del suo prossimo viaggio nel Regno Unito il papa si atterrà a questo suo stile di celebrazione.

In particolare, Marini ha annunciato che Benedetto XVI pronuncerà interamente in latino il prefazio e il canone, mentre per gli altri testi della messa adotterà la nuova traduzione inglese che entrerà in uso in tutto il mondo anglofono la prima domenica di Avvento del 2011: questo perché la nuova traduzione "è più aderente all'originale latino e di stile più elevato" rispetto a quelle correnti.

L'attrazione che ha esercitato la Chiesa di Roma su molti convertiti illustri inglesi dell'Ottocento e del primo Novecento – da Newman a Chesterton a Benson – era anche l'universalismo della liturgia latina. Un'attrazione per una fede solida e antica che oggi muove numerose comunità anglicane a chiedere di entrare nel cattolicesimo.

La "riforma della riforma" attribuita a papa Ratzinger in campo liturgico avviene anche così: semplicemente con l'esempio dato da lui quando celebra.

Ma tra i gesti esemplari di Benedetto XVI il meno compreso – sinora – è forse quello della comunione data ai fedeli inginocchiati.

Nelle chiese di tutto il mondo non lo si fa quasi più. Anche perché le balaustre alle quali ci si inginocchiava per ricevere la comunione sono state quasi dappertutto disertate o smantellate.

Ma si è perso di vista anche il senso delle pavimentazioni delle chiese. Tradizionalmente molto ornate proprio per far da fondamento e da guida alla grandezza e profondità dei misteri celebrati.

Pochi oggi avvertono che pavimenti così belli e preziosi sono fatti anche per le ginocchia dei fedeli: un tappeto di pietre su cui prostrarsi davanti allo splendore dell'epifania divina.

....continua : http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1344719

giovedì 9 settembre 2010

Inaccessibili Altezze...

Condivido con i lettori di questo blog un video che mi ha subito portato a pensare a Dio!
Saranno le altezze, le vette, il cielo, sarà la creazione stessa, che con la sua voce, proclama la grandezza di Dio!


martedì 7 settembre 2010

8 Settembre - Maria Santissima





TRATTATO DELLA VERA DEVOZIONE A MARIA
San Luigi Maria Grignion de Montfort

Introduzione


1. Per mezzo della santissima Vergine Maria Gesù Cristo è venuto al mondo, ugualmente per mezzo di lei egli deve regnare nel mondo.

2. Maria condusse una vita assai nascosta; per questo è chiamata dallo Spirito Santo e dalla Chiesa Alma Mater: Madre nascosta e segreta. La sua umiltà fu così profonda che ella non ebbe sulla terra attrattiva più potente e continua che quella di celarsi a se stessa e ad ogni creatura, per non essere conosciuta che da Dio solo.

3. Dio, per esaudirla nelle richieste ch'ella gli fece di tenerla nascosta, povera e umile, si compiacque di nasconderla nella sua concezione, nella sua nascita, nella sua vita, nei suoi misteri, nella sua risurrezione e assunzione, a quasi ogni creatura umana. I suoi genitori stessi non la conoscevano; e gli angeli si domandavano spesso l'un l'altro: «Chi è costei?» (Ct 8,5). Perché l'Altissimo la nascondeva loro; o se ne svelava loro qualcosa, ne nascondeva loro infinitamente di più.

4. Dio Padre acconsentì che ella non facesse miracoli nella sua vita, almeno di strepitosi, nonostante gliene avesse dato il potere. Dio Figlio acconsentì ch'ella non parlasse quasi mai, benché le avesse comunicato la sua sapienza. Dio Spirito Santo acconsentì che i suoi Apostoli ed Evangelisti ne parlassero pochissimo e soltanto quanto era necessario per far conoscere Gesù Cristo, sebbene fosse la sua Sposa fedele.

5. Maria è l'eccellente capolavoro dell'Altissimo, di cui egli si riservò la conoscenza e il possesso. Maria è la Madre ammirabile del Figlio, che si compiacque di umiliarla e nasconderla nella sua vita, per assecondare la sua umiltà, trattandola col nome di donna, mulier, come un'estranea, benché nel suo cuore la stimasse e l'amasse più di tutti gli angeli e gli uomini. Maria è la fonte sigillata e la Sposa fedele dello Spirito Santo, ove egli solo può entrare. Maria è il santuario e il riposo della Santissima Trinità, dove Dio si trova in modo più sublime e divino che in qualsiasi altro luogo dell'universo, senza escludere la sua dimora sopra i cherubini e i serafini; e non è permesso a nessuna creatura, per quanto sia pura, entrarvi senza un grande privilegio.

6. Io dico con i santi: la divina Maria è il paradiso terrestre del nuovo Adamo, ove s'incarnò per opera dello Spirito Santo, per operarvi meraviglie incomprensibili. È il grande e divino mondo di Dio, ove sono bellezze e tesori ineffabili. È la magnificenza dell'Altissimo, ove egli nascose, come nel suo seno, il suo unico Figlio, e in lui tutto quanto vi è di più eccellente e di più prezioso. Oh! quante cose grandi e nascoste Dio onnipotente operò in questa creatura ammirabile, come ella stessa fu obbligata a dire, malgrado la sua profonda umiltà: «Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente» (Lc 1,49). Il mondo non le conosce, perché ne è incapace e indegno.

7. I santi hanno detto cose meravigliose di questa santa città di Dio; e non furono mai tanto eloquenti e contenti, come essi confessano, come quando parlarono di lei. Ciononostante, esclamano che l'altezza dei suoi meriti, che ella ha elevati fino al trono della Divinità, non si può scorgere; che la larghezza della sua carità, che ella ha più estesa della terra, non si può misurare; che la grandezza della sua potenza, che ella ha perfino su un Dio, non si può comprendere; e infine, che la profondità della sua umiltà e di tutte le sue virtù e grazie, che sono un abisso, non si può sondare. O altezza incomprensibile! O larghezza ineffabile! O grandezza smisurata! O abisso impenetrabile!

8. Tutti i giorni, da un capo all'altro della terra, nel più alto dei cieli, nel più profondo degli abissi, tutto predica, tutto pubblica l'ammirabile Maria. I nove cori degli angeli, gli uomini di ogni sesso, età, condizione, religione, buoni e cattivi, perfino i demoni, sono obbligati a chiamarla beata, volentieri o no, dall'evidenza della verità. Tutti gli angeli in cielo le cantano incessantemente, come dice san Bonaventura: «Santa, santa, santa Maria, Madre di Dio e Vergine»; e le offrono milioni e milioni di volte al giorno la Salutazione angelica: «Ave Maria, ecc.», prostrandosi davanti a lei e domandandole come grazia di onorarli di qualche suo comando. Perfino san Michele, dice sant'Agostino, quantunque il principe di tutta la corte celeste, è il più zelante nel renderle e farle rendere ogni sorta di onori, sempre in attesa di avere l'onore di andare, ad una sua parola, a rendere servizio a qualcuno dei suoi servi.

9. Tutta la terra è piena della sua gloria, particolarmente presso i cristiani dove ella è scelta quale patrona e protettrice in parecchi regni, province, diocesi e città. Parecchie cattedrali sono consacrate a Dio sotto il suo nome. Non vi è chiesa senza altare in suo onore; non contrada dove non si trovi qualche sua immagine miracolosa, dove ogni specie di male viene guarito e ogni sorta di bene ottenuto. Quante confraternite e congregazioni in suo onore! quanti ordini religiosi sotto il suo nome e la sua protezione! quanti confratelli e consorelle di tutte le confraternite e quanti religiosi e religiose di tutti gli ordini religiosi pubblicano le sue lodi e annunciano le sue misericordie! Non vi è bambino che, balbettando l'Ave Maria, non la lodi; non vi è peccatore che, nella sua stessa durezza, non abbia in lei qualche scintilla di fiducia; non vi è nemmeno demonio nell'inferno che, temendola, non la rispetti.

10. Dopo questo bisogna dire veramente con i santi:

«De Maria numquam satis».

Maria non è stata ancora abbastanza lodata, esaltata, onorata, amata e servita. Ella merita ancora più lodi, ossequi, amore e servizi.

11. Dopo questo bisogna dire con lo Spirito Santo: «Tutta la gloria della figlia del Re è nell'interno» (Sal 45,14), come se tutta la gloria esteriore che le rendono a gara il cielo e la terra fosse nulla, in paragone di quella che riceve interiormente dal Creatore, e che non è conosciuta dalle piccole creature, che non possono conoscere il segreto dei segreti del Re.

12. Dopo questo bisogna esclamare con l'Apostolo: «Occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1 Cor 2,9) le bellezze, le grandezze, le perfezioni di Maria, il miracolo dei miracoli della grazia, della natura e della gloria. Se volete comprendere la Madre, dice un santo, comprendete il Figlio. Ella è una degna Madre di Dio: «Qui ogni lingua rimanga muta».

13. Il cuore mi ha dettato tutto ciò che ho scritto, con gioia particolare, per mostrare che la divina Maria non è stata finora conosciuta, e che è una delle ragioni per cui Gesù Cristo non è conosciuto come deve esserlo. Se dunque, come è certo, la conoscenza e il regno di Gesù Cristo devono venire nel mondo, ciò sarà necessaria conseguenza della conoscenza e del regno della santissima Vergine Maria, che l'ha messo al mondo la prima volta e lo farà risplendere la seconda.

lunedì 6 settembre 2010

Io, Gianna Jessen, sopravvissuta all’aborto.

Dio sta usando Gianna per ricordare al mondo che ogni essere umano è prezioso per Lui. È bello vedere la forza dell’amore di Gesù che Egli ha riversato nel suo cuore. La mia preghiera per Gianna, e per tutti quelli che la ascoltano, è che il messaggio dell’amore di Dio ponga fine all’aborto con il potere dell'amore.

Madre Teresa di Calcutta





Mi chiamo Gianna Jessen. Vorrei dirvi grazie per la possibilità di parlare oggi. Non è una piccola cosa dire la verità. Dipende unicamente dalla grazia di Dio il poterlo fare. Ho 23 anni. Sono stata abortita e non sono morta. La mia madre biologica era incinta di sette mesi quando andò da Planned Parenthood nella California del sud e le consigliarono di effettuare un aborto salino tardivo. Un aborto salino consiste nell’iniezione di una soluzione di sale nell’utero della madre. Il bambino inghiottisce la soluzione, che brucia il bambino dentro e fuori, e poi la madre partorisce un bambino morto entro 24 ore. Questo è capitato a me! Sono rimasta nella soluzione per circa 18 ore e sono stata partorita VIVA il 6 aprile 1977 alle 6 del mattino in una clinica per aborti della California. C’erano giovani donne nella stanza che avevano appena ricevuto le loro iniezioni ed aspettavano di partorire bambini morti. Quando mi videro, provarono l’orrore dell’omicidio. Un’infermiera chiamò un’ambulanza e mi fece trasferire all’ospedale. Fortunatamente per me il medico abortista non era alla clinica. Ero arrivata in anticipo, non si aspettavano la mia morte fino alle 9 del mattino, quando sarebbe probabilmente arrivato per il turno d’ufficio. Sono sicura che non sarei qui oggi se il medico abortista fosse stato alla clinica dato che il suo lavoro è togliere la vita, non sostenerla. Qualcuno ha detto che sono un “aborto mal riuscito”, il risultato di un lavoro non ben fatto. Fui salvata dal puro potere di Gesù Cristo. Signore e Signori, dovrei essere cieca, bruciata… dovrei essere morta! E tuttavia, io vivo!
Rimasi all’ospedale per circa tre mesi. Non c’era molta speranza per me all’inizio. Pesavo solo nove etti. Oggi, sono sopravvissuti bambini più piccoli di quanto lo ero io. Un medico una volta mi disse che avevo una gran voglia di vivere e che lottavo per la mia vita. Alla fine potei lasciare l’ospedale ed essere data in adozione.
Per via di una mancanza di ossigeno durante l’aborto vivo con la paralisi cerebrale. Quando mi fu diagnosticata, tutto quello che potevo fare era stare sdraiata. Dissero alla mia madre adottiva che difficilmente avrei mai potuto gattonare o camminare. Non riuscivo a tirarmi su e mettermi a sedere da sola. Attraverso le preghiere e l’impegno della mia madre adottiva, e poi di tanta altra gente, alla fine ho imparato a sedere, a gattonare e stare in piedi. Camminavo con un girello e un apparecchio ortopedico alle gambe poco prima di compiere quattro anni. Fui adottata legalmente dalla figlia della mia madre adottiva, Diana De Paul, pochi mesi dopo che cominciai a camminare. Il Dipartimento dei Servizi Sociali non mi avrebbe rilasciato prima per essere adottata.
Ho continuato la fisioterapia per la mia disabilità e, dopo in tutto quattro interventi chirurgici, ora posso camminare senza assistenza. Non è sempre facile. A volte cado, ma ho imparato a cadere con grazia dopo essere caduta per 19 anni.
Sono così grata per la mia paralisi cerebrale. Mi permette di dipendere veramente solo da Gesù per ogni cosa.
Sono felice di essere viva. Sono quasi morta. Ogni giorno ringrazio Dio per la vita. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto, o un altro dei titoli dati ad un bambino nell’utero. Non penso che nessuna persona concepita sia una di quelle cose.
Ho incontrato altri sopravvissuti all’aborto. Sono tutti grati per la vita. Solo alcuni mesi fa ho incontrato un’altra sopravvissuta all’aborto. Si chiama Sarah. Ha due anni. Anche Sarah ha la paralisi cerebrale, ma la sua diagnosi non è buona. È cieca ed ha delle gravi crisi . L’abortista, oltre ad iniettare nella madre la soluzione salina, la inietta anche nelle piccole vittime. A Sarah l’ha iniettata nella testa. Ho visto il punto della sua testa dove l’ha fatto. Quando parlo, non parlo solo per me stessa, ma per gli altri sopravvissuti, come Sarah, ed anche per quelli che non possono parlare…
Oggi, un bambino è un bambino, quando fa comodo. È un tessuto o qualcos’altro quando non è il momento giusto. Un bambino è un bambino quando c’è un aborto spontaneo a due, tre, quattro mesi. Un bambino è chiamato tessuto o massa di cellule quando l’aborto volontario avviene a due, tre, quattro mesi. Perché? Non vedo differenza. Che cosa vedete? Molti chiudono gli occhi…
La cosa migliore che posso farvi vedere per difendere la vita è la mia vita. È stata un grande dono. Uccidere non è la risposta a nessuna domanda o situazione. Fatemi vedere come possa essere la risposta.
C’è una frase incisa negli alti soffitti di uno degli edifici del parlamento del nostro stato [la California]. La frase dice: “Ciò che è moralmente sbagliato, non è corretto politicamente”. L’aborto è moralmente sbagliato. Il nostro paese sta spargendo il sangue degli innocenti. L’America sta uccidento il suo futuro.
Tutta la vita ha valore. Tutta la vita è un dono del nostro Creatore. Dobbiamo ricevere e conservare i doni che ci sono dati. Dobbiamo onorare il diritto alla vita.
Quando le libertà di un gruppo di cittadini indifesi sono violate, come per i nascituri, i neonati, i disabili e i cosiddetti “imperfetti”, capiamo che le nostre libertà come NAZIONE e Individui sono in grande pericolo.
Vengo oggi a parlare in favore di questa legge a favore della protezione della vita. Vongo a parlare per conto dei bimbi che sono morti e per quelli condannati a morte. Learned Hand, un giurista americano rispettato (del nostro secolo) disse: “Lo spirito della libertà è lo spirito che non è troppo sicuro di essere giusto; lo spirito della libertà è lo spirito che cerca di capire le opinioni degli altri uomini e donne; lo spirito della libertà è lo spirito che pesa i loro interessi insieme ai propri, senza pregiudizi; lo spirito della libertà ci ricorda che neanche un passero cade a terra inosservato; lo spirito della libertà è lo spirito di Colui che, circa 2000 anni fa, ha insegnato all’umanità la lezione che non ha mai imparato, ma non ha mai dimenticato; che c’è un regno dove gli ultimi saranno ascoltati e considerati accanto ai più grandi.”
Dov’è l’anima dell’America?! Voi membri di questo comitato: dov’è il VOSTRO cuore? Come potete trattare le questioni di una nazione senza esaminare la sua anima? Uno spirito omicida non si fermerà davanti a nulla finché non avrà divorato una nazione. Il Salmo 52,2-4 dice: “Lo stolto pensa: «Dio non esiste». Sono corrotti, fanno cose abominevoli, nessuno fa il bene. Dio dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c'è un uomo saggio che cerca Dio. Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno.”
Adolf Hitler una volta disse: “L’abilità ricettiva delle grandi masse è solo molto limitata, la loro comprensione è piccola; d’altro lato la loro smemoratezza è grande. Essendo così, tutta la propaganda efficace deve essere limitata a pochissimi punti che a loro volta dovrebbero essere usati come slogan finché l’ultimo uomo sia capace di immaginare che cosa significhino tali parole”. Gli slogan di oggi sono: “Il diritto di una donna di scegliere”, “Libertà di scelta”, eccetera.
C’era una volta un uomo che parlava dall’inferno (ne parla il capitolo 16 di Luca) che disse: “Sono tormentato da questa fiamma”. L’inferno è reale. Così lo è Satana, e lo stesso odio che crocifisse Gesù 2000 anni fa, ancora si trova nei cuori dei peccatori oggi. Perché pensate che questa intera aula tremi quando menziono il nome di Gesù Cristo? È così perché Egli è REALE! Egli può dare grazia per il pentimento e perdono a voi ed all’America. Noi siamo sotto il giudizio di Dio – ma possiamo essere salvati attraverso Cristo. Dice la Lettera ai Romani: 5,8-10: “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo NEMICI, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.”
La morte non ha prevalso su di me… ed io sono così grata!!!


Testimonianze di Gianna Jessen rilasciate il 22 aprile 1996 ed il 20 luglio 2000 davanti al Sottocomitato Giudiziario del Congresso sulla Costituzione
http://www.abortionfacts.com/survivors/giannajessen.asp
http://www.godandscience.org/doctrine/jessen.html
GiannaJessen.com


VEDI ANCHE IL SEGUENTE LINK: GIANNA JESSEN


FONTE: Sindrome Post-Aborto

Atto di Offerta Santa Teresina del Bambin Gesù




Atto d'offerta all'Amore misericordioso di Dio.
J. M. J. T.

Offerta di me stessa come vittima d'olocausto all'Amore misericordioso del Buon Dio.

Mio Dio! Trinità beata, desidero amarti e farti amare, lavorare per la glorificazione della santa Chiesa, salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelle che sono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la vostra volontà e arrivare al grado di gloria che m'avete preparato nel tuo regno. In una parola, desidero essere santa, ma sento la mia impotenza e ti domando, o mio Dio, di essere tu stesso la mia santità. Poiché mi avete amata fino a darmi il tuo unico Figlio perché fosse il mio salvatore e il mio sposo, i tesori dei suoi meriti appartengono a me ed io ve li offro con gioia, supplicandoti di non guardare a me se non attraverso il volto di Gesù e nel suo cuore bruciante d'amore. Ti offro inoltre tutti i meriti dei Santi (che sono in cielo e sulla terra), i loro atti d'amore e quelli dei santi Angeli; ti offro infine, o beata Trinità, l'amore e i meriti della santa Vergine, mia madre diletta. A lei abbandono la mia offerta e la prego di presentarvela. Il suo Figlio divino, mio sposo diletto, nei giorni della sua vita mortale, ci ha detto: "Tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio, ve lo darà!". Sono dunque certa che esaudirete i miei desideri; lo so, mio Dio, più volete dare, più fate desiderare. Sento nel mio cuore desideri immensi e ti chiedo con tanta fiducia di venire a prendere possesso della mia anima. Ah! non posso ricevere la santa comunione così spesso come vorrei, ma, Signore, non siete l'onnipotente?... Restate in me come nel tabernacolo, non allontanateti mai dalla vostra piccola ostia...Vorrei consolarti dell'ingratitudine dei cattivi e ti supplico di togliermi la libertà di dispiacerti. Se qualche volta cado per mia debolezza, il tuo sguardo divino purifichi subito la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma ogni cosa in se stesso...Ti ringrazio, o mio Dio, di tutte le grazie che m'avete accordate, in particolare di avermi fatta passare attraverso il crogiolo della sofferenza. Sarò felice di vederti comparire, nel giorno finale, con lo scettro della croce. Poiché ti sei degnato di darmi come eredità questa croce tanto preziosa, spero di rassomigliare a te nel cielo e di veder brillare sul mio corpo glorificato le sacre stimmate della vostra passione. Dopo l'esilio della terra, spero di venire a goderti nella patria, ma non voglio ammassare dei meriti per il cielo, voglio lavorare solo per tuo amore, con l'unico scopo di farti piacere, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare anime che ti ameranno eternamente. Al crepuscolo di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno macchie ai vostri occhi (Is 64,6). Voglio quindi vestirmi della tua Giustizia e ricevere dal Tuo Amore il possesso eterno di Te stesso. Non voglio nessun altro Trono e nessun’ altra Corona che te, mio Diletto… Ai tuoi occhi il tempo non è nulla; un giorno solo è come mille anni (Sal 89,4), tu poi quindi in un istante prepararmi a comparire davanti a te...Affinchè io possa vivere in un atto di perfetto amore, MI OFFRO COME VITTIMA D'OLOCAUSTO AL TUO AMORE MISERICORDIOSO, supplicandoti di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i flutti d'infinita tenerezza che sono racchiusi in te, e così possa diventare martire del tuo amore, o mio Dio!...Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a Te, mi faccia infine morire e la mia anima si slanci senza alcuna sosta verso l'eterno abbraccio del tuo amore misericordioso...Voglio, o mio Diletto, ad ogni battito del cuore rinnovarti questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirti il mio amore in un faccia a faccia eterno!

Maria Francesca Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo di Gesù
rel. carm. ind.
Festa delta Santissima Trinità,
il 9 giugno dell'anno di grazia 1895

domenica 5 settembre 2010

Triregno




Il Triregno (la Tiara papale formata da tre corone simboleggianti il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo) del XVIII secolo, con cui viene incoronato nella Basilica Vaticana il San Pietro bronzeo il 29 giugno, festa del santo.

L'uso della Tiara, di rito nelle cerimonie solenni, è stato abbandonato fin dal Pontificato di Paolo VI.

La Tiara è un alto copricapo terminante ad ogiva e argenteo, al quale si applicavano al tempo di Bonifacio VIII due corone e dal 1314 in poi tre corone (ragione per cui è chiamato triregno), cimato da un piccolo globo crociato d'oro.

Tra le varie interpretazioni citeremo quella che dice le tre corone rappresentare la Chiese militante, la sofferente, la trionfante.

La forma del Triregno venne variata nel corso dei tempi. Lo troviamo rappresentato più o meno rigonfio, in alcuni casi privo del globo e della crocetta. Altre volte ancora con la posizione delle infule (due nastri caricate ciascuna di una crocetta patente) modificata.


Storia della Tiara


Copricapo extraliturgico che il Sommo Pontefice assumeva durante la cerimonia dell'incoronazione ed usava portare allorché si recava a qualche solenne funzione e ritornando da esse. Circa l'origine della tiara vi è tra gli autori una certa discordanza di opinioni, la più comune delle quali la fa derivare dal camelaucum, o phrygium, un alto berretto conico di stoffa bianca di foggia frigia, che dall'Oriente passò quindi a Roma, dove veniva considerato come un simbolo di libertà, e con il quale i papi cominciarono a coprirsi il capo intorno alla fine del IV secolo, dovendosi ritenere tuttavia pura leggenda che Silvestro I (314-335) possa aver ricevuto il camelauco dall'imperatore Costantino in segno della libertà della Chiesa. Incerto è altresì il papa che abbia collocato alla base di un tal berretto il primo cerchio d'oro o corona, facendosi in merito da alcuni il nome di Simmaco (498-514), da altri quello di Leone III (795-816) o di Niccolò I (858-867). È indubbio però che sia stato Bonifacio VIII (1294-1303) ad aggiungervi la seconda corona, arricchendo inoltre la tiara di splendide gemme, mentre a Clemente V (1305-14) viene generalmente attribuita l'aggiunta della terza, trovandosi infatti in un inventario del 1315 la più antica menzione della tiara a tre corone, detta pertanto anche triregno, divenuto simbolo dell'autorità papale. Come la mitra, pure la tiara reca le due bande (vitte) posteriori introdotte, a quanto pare, nel secolo XIII, mentre soltanto dall'inizio del XVI essa si presenta sormontata dal bottone e dalla crocetta, come si può riscontrare in quella di Giulio II (1503-13).

Le tre corone che compongono la tiara stanno ad indicare il triplice potere pontificio qual era espresso nella formula stessa dell'incoronazione che, secondo il Pontificale romano del 1596 designava il papa come «padre dei principi e dei re, rettore del mondo, vicario in terra di Cristo», antica formula sostituita ora con altra differente, dopo che Paolo VI, ultimo papa ad essere incoronato con la tiara (1963), fece dono della propria ai poveri, rinunciando pertanto al suo uso e sostituendola con la mitra, quindi soppresse anche la carica e la denominazione di Custode dei sacri triregni, allorché provvide al riordinamento della Casa Pontificia in forza del motuproprio Pontificalis Domus del 28 marzo 1968 (AAS, LX [1968], pp. 305-315).

[Fonte: Mondo Vaticano - Passato e Presente a cura di Niccolò Del Re, 1995, Libreria Editrice Vaticana.]
[Bibliografia: G. Antici-Mattei, Insegne della potestà Pontificale: le origini e le forme della tiara, in L'Illustrazione Vaticana, 9 (1938); R. Spiazzi, La triplice corona, in Ecclesia, 15 (1956); A. Lipinsky, Il triregno dei Romani Pontefici, ibid., 17 (1958).]

venerdì 3 settembre 2010

Lèon Harmel l'imprenditore "Francescano"


Lèon Harmel nacque nelle Ardenne, a Neuville-les-Wasigny, il 25 novembre 1829. Nel 1841 il padre fondò la filatura a Val de Bois, in diocesi di Reims, della quale, nel 1858, Lèon assunse la direzione.

Nel 1860 si fece Terziario francescano e nella sua Fraternità svolse un'intensa e dinamica opera d'animazione e di organizzazione, cercando in ogni modo d'infondere lo spirito francescano nei confratelli.

Come industriale si era proposto di dare al mondo operaio un carattere associativo e cristiano, con innovazioni che all'esterno sembravano assurde, ma che egli sperimentava direttamente nella sua fabbrica: una casa, assegni familiari, una cassa mutua per l'assistenza, un centro di studi sociali! Attuò il consiglio di fabbrica; costruì un villaggio per i suoi operai, nel quale un'organizzazione democratica di tipo cooperativo assicurava ai lavoratori l'assistenza religiosa, intellettuale e materiale.

In tal modo creò armonia tra operai e ambiente di lavoro, ottenendo da loro un importante senso di responsabilità. Fondò anche una confraternita di "vittime volontarie per la conversione del mondo operaio" e l'associazione cattolica degli industriali del Nord (della Francia), dalla quale derivano in pratica, tutte le organizzazioni di imprenditori cattolici.

Organizzò vari pellegrinaggi di lavoratori francesci a Roma: 1887, 1889 e 1891; cooperò alla diffusione dei principi sociali della Rerum Novarum .

Il suo programma era: il bene dell'operaio per mezzo dell'operaio.

Durante il pontificato di Leone XIII, insieme con i commissari del Terz'Ordine di Francia fu di casa in Vaticano, tante furono le udienze e le lettere di plauso che ricevetta dal Papa.

Le sue idee da alcuni erano apprezzate come una valida risposta contro il diffondersi dei movimenti estremisti, ma molti le criticavano per la fiducia che egli riponeva nell'iniziativa e nella collaborazione degli operai. Soltanto molti anni più tardi sarà riconosciuta la validità dei suoi principi, addiritura dopo la seconda guerra mondiale, quando essi divennero la base della politica sociale cattolica di impresa.

La sua morte avvenuta nel 1915, fu commemorata anche dal "Bollettino del Terz'Ordine Francescano nel primo numero del 1916, con il titolo: "Gemme francescane che scompaiono".


(fonte: "l'Ordine Francescano Secolare" - Storia, legislazione, spiritualità - di Antonio Fregona pagg. 208/211)

Israele completa i preparativi per l’attacco all’Iran.



Una notifica ufficiale del governo Usa certifica la cessione allo Stato ebraico di ingenti quantitativi di carburanti per aerei e mezzi militari terrestri per un costo preventivato di due miliardi di dollari. A Gerusalemme, intanto, si intensifica il dibattito sull’attacco ai reattori nucleari di Teheran che, dal canto suo, continua a puntare sull’energia atomica, visto il boicottaggio americano alla costruzione di raffinerie. Da un lato gli USA boicottano la fornitura di tecnologie per gl’impianti di raffinazione. Dall’altro lato i dirigenti iraniani preferiscono puntare sul nucleare e non sul termoelettrico.
Gli ingredienti per lo scoppio di una grande conflagrazione sono stati profusi a piene mani. Infondo conviene ad entrambe le opposte elite di potere...


Milano (AsiaNews) - Molti segnali evidenziano che Israele si sta preparando o attaccare l’Iran o a lanciare una nuova offensiva nel sud del Libano contro gli Hezbollah.
Lo si deduce dagli ordinativi di approvvigionamenti logistici militari effettuati nel corso delle scorse settimane dalle forze armate dello Stato di Israele.
In particolare Israele ha ordinato negli Stati Uniti all’inizio di agosto 284 milioni di galloni di cherosene aeronautico del tipo JP-8 (un combustibile con caratteristiche tecnologiche molto complesse e particolari, di esclusivo impiego in velivoli militari), oltre a 100 milioni di galloni di gasolio per autotrazione (diesel) e di 60 milioni di galloni di benzina senza piombo – forniture anche queste con caratteristiche per impieghi militari. Il costo preventivato è di due miliardi di dollari.
Se ne ha notizia da una notifica emessa, in conformità alle vigenti leggi USA, dal Ministero della Difesa americana ed in particolare dal dipartimento della Cooperazione di Sicurezza, (Defense Security Cooperation Agency)[1] lo scorso 5 agosto. Tale notifica è obbligatoria come preventiva comunicazione al Parlamento americano in relazione a forniture militari destinate a paesi esteri.
La notifica al Parlamento USA afferma che “la proposta fornitura di cherosene avio militare JP-8 permetterà ad Israele di preservare la capacità operativa della flotta aerea”. “La benzina senza piombo ed il gasolio per autotrazione saranno impiegate per i veicoli delle forze terrestri e per altri strumenti ed apparati impiegati per mantenere la pace e la sicurezza nella regione. Israele non avrà difficoltà nell’assorbire questo carburante addizionale nell’ambito delle proprie forze armate”.
A titolo di paragone l’ultimo ordinativo piazzato in America dallo Stato di Israele fu effettuato il 15 luglio 2008, quando vennero ordinati 186 galloni di avio cherosene JP-8, 54 galloni di gasolio per diesel e 28 milioni di benzina senza piombo, con un costo stimato di 1,3 miliardi.
In precedenza, il 24 agosto 2007, Israele aveva ordinato 90 milioni di JP-8 e 42 milioni di galloni di gasolio per diesel, con un costo stimato di 308 milioni di dollari, mentre il 14 luglio 2006 gli israeliani avevano ordinato un quantitativo non precisato di avio cherosene JP-8 per un costo stimato di 210 milioni di dollari. L’incremento del valore delle forniture di combustibile USA ad Israele è vistoso: dal 2006 ad oggi è decuplicato, da 210 milioni di dollari a due miliardi.
Le ultime due operazioni militari israeliane sono state la guerra del Libano nell’estate del 2006, durata un po’ più di un mese e l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza dal 27 dicembre 2008 al 21 gennaio 2009.
La tensione in Medio Oriente aumenta dopo che all’inizio di agosto, con il sostegno tecnologico russo, è entrato in funzione in Iran l’impianto di Bushehr di produzione di energia nucleare ad uso civile. John Bolton, ex ambasciatore USA presso l’ONU e fervente sostenitore delle politiche dello Stato di Israele, aveva sollecitato un’azione militare prima che l’impianto di Bushehr fosse entrato in funzione. Successivamente, un bombardamento del sito, aveva affermato Bolton, avrebbe comportato il rischio di rilascio di radioattività a danno della popolazione civile. Il governo americano, per bocca di Gary Samore, consigliere di Obama per le questioni nucleari, starebbe perciò cercando di raffreddare le tensioni. Samore ha infatti dichiarato[2] che ci vorrà circa un anno prima che l’Iran sia in grado di convertire l’uranio fissile ad uso civile in uranio per scopi militari[3].
Sull’argomento il dibattito in Israele è alquanto serrato e contrastato con alcune fazioni che spingono per non dilazionare ulteriormente un’iniziativa militare. Ad esempio, l’editorialista del Jerusalem Post, Caroline B. Glick, ha osservato[4] che “Da un punto di vista militare, più Israele aspetta ad attaccare l’Iran, più difficile diventerà portare a compimento l’impresa”. Circa il ministro della difesa israeliano, Ehud Barack, Glick ha commentato “l’inettitudine strategica di Barack è leggendaria”. Sempre sul fronte interventista, ancora secondo il Jerusalem Post [5], un funzionario statunitense, Frederick Hoff, assistente di George Mitchell, inviato del governo USA per la pace in Medio Oriente, avrebbe detto al capo di stato maggiore dell’esercito libanese, Jean Kahwaji, che Israele sarebbe pronta ad attuare un piano per distruggere tutte le infrastrutture militari libanesi in quattro ore, qualora si verificasse un altro incidente di frontiera come capitato di recente quest’estate.
Per parte sua anche l’Iran non manca di mostrare un atteggiamento bellicoso, non solo con l’attivazione dell’impianto di Bushehr, ma anche con il lancio della terza generazione di missili Fateh 110 e svelando di possedere un “drone”, un aereo da bombardamento senza pilota, costruito in Iran, con un raggio di autonomia di 620 miglia.
Fra tanto rullare di tamburi appare sempre più evidente che tutta la questione va opportunamente letta, al di là delle dichiarazioni di propaganda delle parti. In gioco non è tanto l’intenzione degli iraniani, asserita da alcune fazioni israeliane, di dotarsi di armi nucleari. Dal punto di vista militare la supremazia militare israeliana è schiacciante sia per l’armamento convenzionale che quello nucleare. A mettere a rischio nel lungo termine l’attuale egemonia israeliana – ed americana – nell’area è la crescita economica e demografica di paesi culturalmente antagonisti e non sottomessi, ieri l’Iraq di Saddam Hussein oggi l’Iran di Ahmadinejad. Ad esempio, al cuore della vicenda degli impianti di produzione di energia elettrica da reattori nucleari c’è necessità iraniana reale. Per sviluppare il paese, i dirigenti iraniani sanno che devono disporre di più energia. Devono infatti cercare di tenere sotto stretta tutela le nuove generazioni che frustrate dalla disoccupazione sbirciano con curiosità l’occidente e sembra inizino a dimenticare gli ideali della Rivoluzione Islamica del regime fondato da Khomeini dopo la caduta dello Scià. L’Iran galleggia su enormi riserve di petrolio eppure è soffocato nel suo sviluppo dalla mancanza di carburante. Dotarsi di adeguati impianti di raffinazione e di generazione termoelettrica sarebbe la soluzione logica, ma non è quella percorsa. È la concordanza degli opposti. Da un lato gli USA boicottano la fornitura di tecnologie per gl’impianti di raffinazione. Dall’altro lato i dirigenti iraniani preferiscono puntare sul nucleare e non sul termoelettrico anche per compattare il fronte interno lamentando l’ingiusta ostilità nei confronti della nazione.
Gli ingredienti per lo scoppio di una grande conflagrazione sono stati profusi a piene mani. Infondo conviene ad entrambe le opposte elite di potere. È a dir poco dubbio che uno scontro convenga alle popolazioni di entrambi gli schieramenti.

[1] Vedi: http://www.dsca.mil/PressReleases/36-b/2010/Israel_10-41.pdf
[2] Vedi: The Globe and Mail, 20 agosto 2010, Mark Mazzetti/David E. Sanger, 'Iran’s nuclear threat not imminent, U.S. says', http://www.theglobeandmail.com/news/world/africa-mideast/irans-nuclear-threat-not-imminent-us-says/article1679399/
[3] L’Iran dispone di minerale di uranio con una percentuale di fissile al 3 %, mentre per uso in reattori per la produzione di energia elettrica occorre minerale concentrato, fornito per ora dalla Russia, con fissile al 20 %. Per impieghi militari occorre uranio concentrato con contenuto fissile minimo del 80 %, di solito ottenuto mediante speciali centrifughe.
[4] Vedi: Jerusalem Post, 27 agosto 2010, Glick , 'Our World: Accepting the unacceptable', http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/Article.aspx?id=186171
[5] Vedi: Jerusalem Post, 27 agosto 2010, 'Israel ready to destroy LAF in 4 hours' http://www.jpost.com/MiddleEast/Article.aspx?id=186197

di Maurizio d’Orlando
AsiaNews 02/09/2010 09:41

(fonte: Fatti Sentire)