lunedì 27 dicembre 2010

L’Europa è un morto che cammi­na.


Uccidono i cristiani ma è l'Europa ad essere morta
di Marcello Veneziani

Nel giro di poche ore l'Ue si dimentica delle festività critiane e si rifiuta di equiparare le vittime del comunismo a quelle del nazismo. E se ne frega se attaccano le chiese in Nigeria e nelle Filippine


Per l’Unione europea il Natale non esi­ste, la Pasqua nemmeno, e se uccidono i cristiani in Nigeria e nelle Filippine, co­me è accaduto nel giorno di Natale, chi se ne frega, la cosa non ci riguarda. I cri­stiani saranno una setta del posto. Noi europei ci occupiamo di misurare le ba­nane, mica di religioni, superstizioni, stragi e amenità varie. Noi siamo civili, lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose. E poi in questi giorni la Commissione europea non lavora, è in vacanza natalizia, anche se non si sa uffi­cialmente la ragione di queste festività, sarà l’anniversario dell’euro o l’onoma­stico di Babbo Natale... Non sto vaneg­giando per overdose di spumanti e pa­nettoni. È stata diffusa in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta Europa e forse anche nei Paesi islamici,l’agenda ufficia­le dell’Europa, firmata della Commissione europea. Nel diario europeo, che mi è capitato di vedere,c’è traccia delle più estrose festività relative alle più minoritarie religioni,ma non c’è alcun riferimen­to alle festività antiche, canoniche e ufficiali della cristianità europea. Non si sa perché festeggiamo Natale e le altre festività religiose, nulla è ac­cennato sull’agenda che ricordi la Natività, la Resurrezione e tutto il re­sto, nulla che segni in rosso una san­­ta festività. Ma quale Natale, Pasqua, Epifania, diceva Totò, a cui evidente­mente si ispira l’Unione Europea. L’ha fatto notare, protestando, il mi­nistro degli Esteri Frattini, ma in que­sti giorni l’Unione europea è chiusa per inventario merci (non esistendo il Santo Natale) e dunque la protesta affonda nel vuoto vacanziero di que­sta vuota Europa. A ragion veduta possiamo perciò accusare l’Unione europea di nega­zionismo. L’Unione europea è un’as­sociazione vigliacca di smemorati banchieri fondata sul negazioni­smo. Nel giro di poche ore, l’Unione eu­ropea ha infatti negato le festività cri­stiane e dunque la sua tradizione principale ancora viva da cui provie­ne e nel cui nome ha un calendario e un sistema di festività. Ed ha pure ne­gato ai Paesi dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di conside­rare i loro milioni di vittime sullo stes­so piano delle vittime del nazismo. Come sapete, la Commissione eu­ropea ha nega­to che si possano equi­parare gli stermini comunisti a quelli nazisti e possa dunque scattare an­che per loro il reato di negazionismo. Pur avendo commesso «atti orren­di », i regimi del gulag, secondo la Commissione europea, «non hanno preso di mira minoranze etniche». E che vuol dire, sterminare i borghesi o i contadini è meglio che sterminare gli appartenenti a una razza? Uccide­re chi non la pensa come te è un cri­mine meno efferato che uccidere chi è di un’altra razza? Tra le fosse di Ka­tyn, le foibe e le camere a gas di Da­chau, qual è la differenza etica, giuri­dica ed umana? Tra chi nega gli ster­mini di popolazioni civili di Paesi in­vasi dal comunismo e chi nega gli stermini etnici, qual è la differenza? È ideologica, signori, puramente ide­ologica. Come ideologica è la nega­zione delle tradizioni cristiane più popolari. Non parliamo infatti del dogma trinitario o di altri quesiti teo­logici, qui parliamo di Natale e Pa­squa, avete presente? Alla base del­l’Europa c’è un negazionismo vi­gliacco e bugiardo, che non è solo quello di negare alcuni colossali orro­ri per riconoscere e perseguirne de­gli altri; ma negare l’Europa stessa,la sua vita, il calendario che scandisce i suoi giorni, la sua realtà e la sua veri­tà, la sua tradizione e la sua storia. Il negazionismo dell’Unione euro­p­ea è ancora più grave del negazioni­smo elevato a reato: perché non ne­ga solo alcuni orrori, ma nega anche in positivo la storia, la provenienza, la vita europea. Del suo passato l’Unione resetta tutto,difende solo la memoria della Shoah, e poi cancella millenni di civiltà cristiana, millenni di natali e pasque, orrori del comuni­smo e di altre tirannidi. Che schifo. Io non ho ancora capito a che serve l’Unione europea fuori dall’ambito economico. Non è un soggetto politi­co che esprime posizioni unitarie, non ha un governo passato dal con­senso del popolo europeo, la sua stes­sa unione non fu voluta o almeno rati­ficata da un referendum costitutivo del popolo sovrano. Non è un sogget­to cul­turale e civile perché non fa nul­la per affermare, difendere o valoriz­zare l’identità europea, anzi fa di tut­to per negarla. Non ha una sua carta costituzionale dove declina le sue ge­neralità storiche, le sue affinità idea­li, i suoi principi, le sue provenienze civili e religiose. Non ha una sua poli­tica es­tera unitaria o una strategia in­ternazionale, e non si occupa di stra­gi dei cristiani, semmai si agita solo se c’è una donna condannata a mor­te per aver ucciso il marito in Iran. Insomma,l’Europa non è mai nata e ha paura pure della sua ombra. Esi­ste solo un sistema monetario unico, un sistema di dazi e di regole, di ban­che e di finanziamenti. È un ente eco­nomico, un istituto per il commer­cio. Per questo l’Unione europea non esiste, abbiamo ancora la Cee, la Comunità economica europea. Anzi non sprechiamo la parola comunità per un consorzio economico, tornia­mo al Mec, Mercato europeo comu­ne. L’Europa è un morto che cammi­na.

sabato 25 dicembre 2010

Indulto della Comunione sulla mano revocato alle Messe Papali!

Deo Gratias!

Notizia di enorme significato:


nelle Messe celebrate dal Santo Padre (a partire dalla Messa della Notte di Natale 2010), non solo lui, ma tutti i sacerdoti che lo aiutano a distribuire ai fedeli la comunione, non porranno più l'ostia santa sul palmo della mano, ma solo in bocca, a ciascun comunicando, laico o chierico che sia.
Non c'è dubbio, per chi è stato anche una sola volta alle messe celebrate in San Pietro dal Papa, che il momento della comunione è spesso di grande confusione, e c'è gente che allunga le mani verso ogni sacerdote, a volte dando quasi l'impressione di voler ghermire una particola. Adesso ciascuno, con più ordine, e con meno pericoli di far cadere a terra le particole, dovrà con calma presentarsi di fronte al ministro e ricevere da lui sulla bocca la santa comunione.


Questo modo di ricevere il Corpo di Cristo, non solo aumenta la devozione e la consapevolezza della reale presenza del Salvatore, ma previene anche non difficili furti delle sacre specie che possono avvenire nelle messe più affollate.


A quanti diranno che "si torna indietro" ecc. ecc., è bene SEMPRE ricordare:


a) Il modo UNICO previsto dal Messale di Paolo VI è ricevere la comunione sulla bocca.


b) La possibilità alternativa di ricevere sulle mani è regolata da un INDULTO che può essere messo in vigore in alcuni luoghi (e ritirato) da alcuni vescovi (e non da altri).



Testo preso da: Cantuale Antonianum

La liturgia secondo il Cardinale Cañizares Llovera



di Andrea Tornielli

La liturgia cattolica vive «una certa crisi» e Benedetto XVI vuole dar vita a un nuovo movimento liturgico, che riporti più sacralità e silenzio nella messa, e più attenzione alla bellezza nel canto, nella musica e nell’arte sacra.

Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, 65 anni, Prefetto della Congregazione del culto divino, che quando era vescovo in Spagna veniva chiamato «il piccolo Ratzinger», è l’uomo al quale il Papa ha affidato questo compito. In questa intervista al Giornale, il «ministro» della liturgia di Benedetto XVI rivela e spiega programmi e progetti.


Da cardinale, Joseph Ratzinger aveva lamentato una certa fretta nella riforma liturgica postconciliare. Qual è il suo giudizio?


«La riforma liturgica è stata realizzata con molta fretta. C’erano ottime intenzioni e il desiderio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione. Non si è dato tempo e spazio sufficiente per accogliere e interiorizzare gli insegnamenti del Concilio, di colpo si è cambiato il modo di celebrare.
Ricordo bene la mentalità allora diffusa: bisognava cambiare, creare qualcosa di nuovo. Quello che avevamo ricevuto, la tradizione, era vista come un ostacolo. La riforma è stata intesa come opera umana, molti pensavano che la Chiesa fosse opera delle nostre mani, invece che di Dio.
Il rinnovamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e della creatività, la parola magica di allora».


Da cardinale Ratzinger aveva auspicato una «riforma della riforma» liturgica, parole oggi impronunciabili persino in Vaticano. Appare però evidente che Benedetto XVI la desideri. Può parlarcene?


«Non so se si possa, o se convenga, parlare di “riforma della riforma”. Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgico in tutta la Chiesa. Perché, come spiega Benedetto XVI nel primo volume della sua Opera Omnia, nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa. Cristo è presente nella Chiesa attraverso i sacramenti. Dio è il soggetto della liturgia, non noi. La liturgia non è un’azione dell’uomo, ma è azione di Dio».


Il Papa più che con le decisioni calate dall’alto, parla con l’esempio: come leggere i cambiamenti da lui introdotti nelle celebrazioni papali?


«Innanzitutto non deve esserci alcun dubbio sulla bontà del rinnovamento liturgico conciliare, che ha portato grandi benefici nella vita della Chiesa, come la partecipazione più cosciente e attiva dei fedeli e la presenza arricchita della Sacra Scrittura. Ma oltre a questi e altri benefici, non sono mancate delle ombre, emerse negli anni successivi al Vaticano II: la liturgia, questo è un fatto, è stata “ferita” da deformazioni arbitrarie, provocate anche dalla secolarizzazione che purtroppo colpisce pure all’interno della Chiesa. Di conseguenza, in tante celebrazioni, non si pone più al centro Dio, ma l’uomo e il suo protagonismo, la sua azione creativa, il ruolo principale dato all’assemblea. Il rinnovamento conciliare è stato inteso come una rottura e non come sviluppo organico della tradizione. Dobbiamo ravvivare lo spirito della liturgia e per questo sono significativi i gesti introdotti nelle liturgie del Papa: l’orientamento dell’azione liturgica, la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio, la bellezza nell’arte sacra. È anche necessario e urgente promuovere l’adorazione eucaristica: di fronte alla presenza reale del Signore non si può che stare in adorazione».


Quando si parla di un recupero della dimensione del sacro c’è sempre chi presenta tutto questo come un semplice ritorno al passato, frutto di nostalgia. Come risponde?


«La perdita del senso del sacro, del Mistero, di Dio, è una delle perdite più gravi di conseguenze per un vero umanesimo. Chi pensa che ravvivare, recuperare e rafforzare lo spirito della liturgia, e la verità della celebrazione, sia un semplice ritorno a un passato superato, ignora la verità delle cose. Porre la liturgia al centro della vita della Chiesa non è affatto nostalgico, ma al contrario è la garanzia di essere in cammino verso il futuro».


Come giudica lo stato della liturgia cattolica nel mondo?


«Di fronte al rischio della routine, di fronte ad alcune confusioni, alla povertà e alla banalità del canto e della musica sacra, si può dire che vi sia una certa crisi. Per questo è urgente un nuovo movimento liturgico. Benedetto XVI indicando l’esempio di san Francesco d’Assisi, molto devoto al Santissimo Sacramento, ha spiegato che il vero riformatore è qualcuno che obbedisce alla fede: non si muove in modo arbitrario e non si arroga alcuna discrezionalità sul rito. Non è il padrone ma il custode del tesoro istituito dal Signore e consegnato a noi. Il Papa chiede dunque alla nostra Congregazione di promuovere un rinnovamento conforme al Vaticano II, in sintonia con la tradizione liturgica della Chiesa, senza dimenticare la norma conciliare che prescrive di non introdurre innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità per la Chiesa, con l’avvertenza che le nuove forme, in ogni caso, devono scaturire organicamente da quelle già esistenti».


Che cosa intendete fare come Congregazione?


«Dobbiamo considerare il rinnovamento liturgico secondo l’ermeneutica della continuità nella riforma indicata da Benedetto XVI per leggere il Concilio. E per far questo bisogna superare la tendenza a “congelare” lo stato attuale della riforma postconciliare, in un modo che non rende giustizia allo sviluppo organico della liturgia della Chiesa.
Stiamo tentando di portare avanti un grande impegno nella formazione di sacerdoti, seminaristi, consacrati e fedeli laici, per favorire la comprensione del vero significato delle celebrazioni della Chiesa. Ciò richiede un’adeguata e ampia istruzione, vigilanza e fedeltà nei riti e un’autentica educazione per viverli pienamente. Questo impegno sarà accompagnato dalla revisione e dall’aggiornamento dei testi introduttivi alle diverse celebrazioni (prenotanda). Siamo anche coscienti che dare impulso a questo movimento non sarà possibile senza un rinnovamento della pastorale dell’iniziazione cristiana».


Una prospettiva che andrebbe applicata anche all’arte e alla musica...


«Il nuovo movimento liturgico dovrà far scoprire la bellezza della liturgia. Perciò apriremo una nuova sezione della nostra Congregazione dedicata ad “Arte e musica sacra” al servizio della liturgia. Ciò ci porterà a offrire quanto prima criteri e orientamenti per l’arte, il canto e la musica sacri. Come pure pensiamo di offrire prima possibile criteri e orientamenti per la predicazione».


Nelle chiese spariscono gli inginocchiatoi, la messa talvolta è ancora uno spazio aperto alla creatività, si tagliano persino le parti più sacre del canone: come invertire questa tendenza?


«La vigilanza della Chiesa è fondamentale e non deve essere considerata come qualcosa di inquisitorio o repressivo, ma un servizio. In ogni caso dobbiamo rendere tutti coscienti dell’esigenza, non solo dei diritti dei fedeli, ma anche del “diritto di Dio”».


Esiste anche il rischio opposto, cioè quello di credere che la sacralità della liturgia dipenda dalla ricchezza dei paramenti: una posizione frutto di estetismo che sembra ignorare il cuore della liturgia…


«La bellezza è fondamentale, ma è qualcosa di ben diverso da un’estetismo vuoto, formalista e sterile, nel quale invece talvolta si cade. Esiste il rischio di credere che la bellezza e la sacralità del liturgia dipendano dalla ricchezza o dall’antichità dei paramenti. Ci vuole una buona formazione e una buona catechesi basata sul Catechismo della Chiesa cattolica, evitando anche il rischio opposto, quello della banalizzazione, e agendo con decisione ed energia quando si ricorre a usanze che hanno avuto il loro senso nel passato ma oggi non ce l’hanno o non aiutano in alcun modo la verità della celebrazione».


Può dare qualche indicazione concreta su che cosa potrebbe cambiare nella liturgia?


«Più che pensare a cambiamenti, dobbiamo impegnarci nel ravvivare e promuovere un nuovo movimento liturgico, seguendo l’insegnamento di Benedetto XVI, e ravvivare il senso del sacro e del Mistero, mettendo Dio al centro di tutto. Dobbiamo dare impulso all’adorazione eucaristica, rinnovare e migliorare il canto liturgico, coltivare il silenzio, dare più spazio alla meditazione. Da questo scaturiranno i cambiamenti...».




Santo Natale del Signore


Oggi su di noi splenderà la Luce,

perché è nato per noi il Signore;

Dio Onnipotente sarà il Suo nome,

Principe della pace, Padre dell'eternità:

il Suo regno non avrà fine.
(Isaia 9,2 - Luca 1,33)

mercoledì 15 dicembre 2010

Cristianofobia europea, c'è.



11/12/2010

In un rapporto lungo quaranta pagine, l'«Observatory on intolerance and discrimination against christians in Europe» — organizzazione non governativa austriaca — sottolinea come questo fenomeno sia purtroppo in crescita anche nel vecchio continente.



MARCO TOSATTI

Limitazioni della libertà di coscienza e di espressione, diffamazione e insulto anche a mezzo stampa, rimozione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, fino ad arrivare a veri e propri atti di vandalismo e di violenza: è lunga la lista degli episodi di intolleranza e di discriminazione contro i cristiani in Europa denunciati dall'omonimo Osservatorio oggi a Vienna nel corso di un meeting sulla libertà di religione promosso dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). In un rapporto lungo quaranta pagine, l'«Observatory on intolerance and discrimination against christians in Europe» — organizzazione non governativa austriaca — sottolinea come questo fenomeno sia purtroppo in crescita anche nel vecchio continente. Nulla a che vedere con la persecuzione in atto in Iraq o con le discriminazioni compiute in numerosi altri Paesi asiatici o africani: è un'intolleranza sottile, quasi invisibile, e fa sensazione che tutto ciò accada in nazioni europee spesso in prima fila nella denuncia delle violenze commesse contro i cristiani negli altri continenti. Il documento passa in dettagliata rassegna fatti e situazioni registrati fra il 2005 e il 2010 in diversi Paesi, dalla Spagna al Regno Unito, dal Belgio alla Francia, dalla Germania all'Italia, dai Paesi Bassi alla Turchia. Nei capitoli dedicati alla libertà di coscienza e di espressione, si cita ad esempio la richiesta fatta nell'ottobre scorso da una parlamentare britannica all'assemblea del Consiglio d'Europa di imporre limitazioni all'obiezione di coscienza in caso di aborto; o casi di mancato rispetto di luoghi religiosi come la provocazione organizzata a febbraio da un gruppo di attivisti gay di fronte alla cattedrale di Notre-Dame a Parigi, o come l'irruzione in Olanda di un altro gruppo di attivisti durante un servizio liturgico cattolico per protestare contro il rifiuto di dare la comunione a persone dichiaratamente omosessuali. Atti di vandalismo contro luoghi di culto e cimiteri sono quasi all'ordine del giorno in Francia, ma gravi episodi si sono verificati anche in Albania e in Belgio. E non mancano gli attacchi verbali a uomini di Chiesa, come accaduto all'arcivescovo di Malines-Bruxelles, André-Mutien Léonard, presidente della Conferenza episcopale belga, per aver espresso la sua posizione sul virus dell'aids. Fino a crimini efferati, come l'uccisione, il 3 giugno scorso in Turchia, del vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico di Anatolia. I cristiani sono discriminati anche sui luoghi di lavoro. Come ricorda anche l'agenzia Sir, in Spagna, nel novembre 2008, un giudice, che aveva invocato al riguardo il diritto all'obiezione di coscienza, è stato sospeso per aver rinviato la pratica di adozione di una bambina richiesta dalla partner della madre. In Europa si registra inoltre la difficoltà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose: è il caso soprattutto dei corsi di educazione sessuale previsti nei sistemi scolastici di Austria, Germania e Regno Unito. «Leggi discriminatorie — si legge nel rapporto dell'Osservatorio — direttamente o indirettamente impediscono un equo esercizio della libertà. Nei confronti del cristianesimo in Europa, ciò si verifica sovente nei settori della libertà di parola, di coscienza e di religione. Quest'ultima include il diritto a educare i figli secondo la propria fede, a condividere la fede con gli altri, a pubblicare materiale religioso senza censure, a cambiare religione (per scelta, non per coercizione) e a non praticare alcuna religione». Gli autori della ricerca dicono di essersi imbattuti spesso in una situazione quasi paradossale: l'uguale trattamento e la legislazione anti-discriminazione a volte sono intesi in un modo così esteso da provocare un effetto collaterale indiretto di discriminazione nei confronti dei cristiani. Una situazione che si riscontra anche nel campo dell'espressione, dell'educazione e della dialettica, quando a venir discriminati sono gli elementi fondamentali dell'insegnamento cristiano. E quando l'intolleranza religiosa è condotta da uno Stato, non si tratta più di un fenomeno sociale ma si trasforma in discriminazione riguardo l'esercizio delle libertà fondamentali. Un capitolo a parte è riservato alla repressione e alla rimozione dei simboli religiosi. Indossare o esporli — si legge nel rapporto — è un elemento costitutivo della fede e «il simbolo cristiano della croce è più di un simbolo religioso, in quanto mostra le radici spirituali. La sua rimozione è quindi più di un atto meramente neutrale». All'interno viene naturalmente citata la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa alla richiesta di rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche italiane e sono segnalati casi simili in Germania (per gli ospedali) e nel Regno Unito (in una scuola). In Grecia un prete ortodosso è stato denunciato, nel gennaio 2008, per aver suonato le campane della sua chiesa «troppo forte e troppo spesso». «La libertà religiosa — spiega il direttore dell’Osservatorio, Gudrun Kugler — è in pericolo soprattutto per quanto riguarda la sua dimensione pubblica e istituzionale. Abbiamo ricevuto molte segnalazioni sulla rimozione dei simboli cristiani, sulla rappresentazione travisata, stereotipata e negativa dei cristiani nei media, e sui disagi sociali di cui sono vittime i cristiani, come l’essere ridicolizzati o svantaggiati nei luoghi di lavoro». Tutto ciò — è scritto nel rapporto — non è offensivo solo nei confronti dei cristiani ma crea un'atmosfera sociale di ostilità che non fa bene a nessuno. Come quando in Ungheria, durante un talk show di grande successo andato in onda a gennaio, si è affermato che «la vita di un bambino può essere distrutta da due cose: il cristianesimo e la pornografia». Kugler ha invitato a lavorare «per una maggiore consapevolezza di un problema crescente in Europa, primo passo per arrivare a un rimedio. Il nostro obiettivo sono diritti uguali per tutti, compresi i cristiani». Il dossier presentato oggi all'Osce si conclude con una serie di raccomandazioni. Ai governi dei Paesi europei si chiede di garantire la libertà di religione e di credo, la libertà di espressione e il diritto all'obiezione di coscienza, e inoltre di condannare i casi di intolleranza e di discriminazione contro i cristiani e di assicurare «il diritto dei cristiani a partecipare pienamente alla vita pubblica» delle singole nazioni. L'appello si rivolge anche all'Unione europea e alle istituzioni internazionali sui diritti umani perché incoraggino i governi a monitorare attentamente la situazione dei cristiani nel continente.

fonte: La Stampa

domenica 12 dicembre 2010

Il terzo Big-Bang



di Antonino Zichichi

11-12-2010


Grazie al “terzo Big-Bang”, cioé al passaggio da un universo con vita priva di ragione ad un universo con vita dotata di ragione, possiamo scrivere libri, esprimere opinioni, discutere di problemi. Eppure, si parla quasi sempre del primo Big-Bang, quello grazie al quale il vuoto si è trasformato in qualcosa che, dopo circa venti miliardi di anni, noi chiamiamo universo, fatto con galassie, stelle e satelliti, su uno dei quali, la Terra, ci troviamo.

L’universo, tuttavia, avrebbe potuto essere esattamente com’è, con le stesse strutture e gli stessi dettagli, ma privo della nostra presenza.

L’evoluzione cosmica parte dal Big-Bang n. 1 e arriva oggi ad un numero di galassie pari a circa duecento miliardi, ciascuna delle quali consta mediamente di duecento miliardi di stelle. Molti dettagli sulla struttura dell’universo ci sono ignoti. Non sappiamo, per esempio, quanti satelliti ha ciascuna stella e quante stelle siano identiche al nostro Sole. Sappiamo che solo una parte delle stelle è come il Sole, anche se nessuna è identica a un’altra. Non è un dettaglio di poco conto: se il nostro Sole fosse più grande, moriremmo di caldo; più piccolo, moriremmo di freddo; ferma restando la condizione di rimanere alla stessa distanza dal Sole nella quale ci troviamo ora.



Non siamo stati noi a scegliere questa distanza. Né a stabilire quale dovesse essere la massa del Sole. Ciò di cui siamo sicuri è che se la distanza fosse più piccola avremmo troppo caldo; se fosse più grande avremmo troppo freddo. Ecco perché vorremmo sapere quante stelle come il nostro Sole esistono nell’universo e quante di queste stelle hanno un satellite come la nostra Terra, le cui caratteristiche sono di vitale importanza per noi.
Non solo: se la Terra fosse più piccola, quindi più leggera, non potrebbe tenere legato a sé quello strato d’aria cui diamo il nome di atmosfera e che ci permette di vivere. Se la Terra fosse più pesante, dovremmo avere una struttura ossea e muscolare adeguata alla forza gravitazionale in gioco.

Vorremmo sapere se certi dettagli, come la massa del Sole, quella della Terra, la distanza Terra-Sole e molte altre peculiarità della nostra esistenza materiale esistono in altre parti dell’universo. Il numero di dettagli necessari per essere come la nostra Terra sono molti. Moltissimi. Sappiamo che ci sono nell’universo – come detto – duecento miliardi di galassie, ciascuna contenente duecento miliardi di stelle. Il totale fa quarantamila miliardi di miliardi di posti in cui potrebbe esserci la vita così come è da noi, sulla Terra. Questo numero deve, però, essere messo a confronto con i dettagli necessari per dar vita a qualcosa di analogo alla nostra forma di materia vivente, dotata di quella proprietà cui diamo il nome di “ragione”. Allora, il problema è quello di capire quanti dettagli debbono essere presenti per arrivare a una forma di materia vivente capace di una attività intellettuale simile alla nostra, in grado di scoprire le grandi conquiste cui è arrivata la nostra forma di materia vivente. Conquiste che si riducono ad appena tre cose: il Linguaggio, la Logica rigorosa e la Scienza. Conquiste che nascono dalla straordinaria proprietà di cui è dotata la nostra forma di materia vivente: la ragione.



Sulla Terra si sono sviluppate centinaia di migliaia di forme diverse di materia vivente. Nessuna di esse, però, è riuscita a scoprire la memoria collettiva permanente (meglio nota come “Scrittura”, che è linguaggio scritto), la Logica rigorosa e la Scienza. Calcolando tutte le condizioni necessarie per arrivare alla materia vivente dotata di ragione, se ne deduce che le stelle presenti nel nostro universo sono troppo poche. Ce ne vorrebbe un numero di gran lunga superiore a quello prima citato – quarantamila miliardi di miliardi – per potere realizzare quell’enorme quantità di “dettagli” necessari all’esistenza della materia vivente dotata di Ragione.
Un leone, un pesce, un’aquila, sono forme di materia vivente prive di ragione. Non v’è traccia di “scrittura” che possa essere legata all’esistenza di una qualsiasi forma di materia vivente, eccetto quella cui noi apparteniamo.

A conti fatti, risulta che, con il numero di stelle e galassie che compongono l’universo, l’esistenza della materia vivente dotata di ragione è davvero un miracolo. Dovrebbero esistere centomila miliardi di miliardi di miliardi di universi per averne uno dotato di vita come la nostra.



Il Big-Bang n. 3 è quello necessario per passare dall’universo dotato di vita “priva di ragione” all’universo in cui c’è vita “con ragione”. Alcuni sostengono che tutte le forme di materia vivente debbono essere dotate di ragione, per via del fatto che questa proprietà è necessaria per poter vivere. Un serpente, un pesce, un’aquila, tutte le forme di materia vivente avrebbero proprietà di ragione simili – dicono – alla nostra.
È vero: anche noi dobbiamo mangiare, dormire, e fare altre cose per sopravvivere, al pari delle altre forme di materia vivente. Ma questo livello di “ragione” si riferisce solo al problema legato a ciò che una forma di materia vivente deve fare per poter vivere. Ma – come già detto – nessun leone, né tigre, nessun pesce, né alcun tipo di uccello hanno lasciato tracce di quella cosa cui diamo il nome di “scrittura” e che di fatto è la “memoria collettiva permanente”.

Sappiamo che cosa pensava Platone perché possiamo leggere cosa ha scritto. Nessuna scimmia si è mai posta il problema di capire come si fa a dividere una figura geometrica semplicissima qual è un quadrato in due quadrati. Lo fece Pitagora, con il suo famoso teorema. Nessun cavallo ha mai pensato al problema di quanti granelli di sabbia potrebbero esserci nell’universo. I Pitagorici scoprirono che questo numero era talmente grande da non essere esprimibile – usando la loro matematica – in termini finiti e conclusero che era infinito. Venne Archimede e riuscì a calcolarlo, dimostrando che era possibile esprimerlo in termini finiti, usando una matematica rigorosa più avanzata di quella cui erano arrivati i Pitagorici.
Nessun leopardo o altra forma di materia vivente si è mai occupata di capire com’è fatto il mondo: se siamo figli del caos o se c’è una Logica rigorosa alla base della nostra esistenza materiale. Fu Galilei a scoprire che questa Logica rigorosa esiste. Ad essa si dà il nome di Scienza.



Il Big-Bang n. 3 riguarda esclusivamente la forma di materia vivente cui noi apparteniamo. Nessuna forma di materia vivente è interessata a discutere con noi del profondo rapporto che esiste tra Scienza e imprevisto.
Tutte le grandi scoperte scientifiche sono state rese possibili da eventi inaspettati. La storia della scienza dimostra che le grandi scoperte scientifiche, a qualsiasi livello, sono state tutte inaspettate. Chi aveva previsto l’esistenza dei raggi cosmici? Nessuno. Chi aveva previsto le forze deboli (oggi dette di Fermi)? Nessuno. Con le forze di Fermi oggi possiamo fare previsioni. Ma come nascono le forze di Fermi? Da un evento totalmente inaspettato e non previsto: la radioattività.
Tutte le scoperte scientifiche importanti sono venute in modo del tutto inaspettato. Le previsioni avvengono dopo che una scoperta inattesa ha dato vita ad una formulazione matematica che mette insieme le diverse scoperte inaspettate; e da questa matematica emergono le previsioni.



Sta nelle origini il fulcro del problema. Se le scoperte scientifiche fossero alle origini non previste – come di fatto ci dicono questi quattro secoli di Scienza galileiana – la spiegazione del mistero è semplice. Ed era già nota ai tempi di Galileo Galilei. Fu lui a dire che “Colui che ha fatto il mondo” è più intelligente di tutti. Nessuno escluso. Da questa osservazione è nata la Scienza galileiana. Non c’è infatti altro modo per decifrare la Logica del Creatore: porGli domande. È questo il vero significato di esperimento galileiano. Per fare questo, c’è bisogno di umiltà intellettuale. Rendersi conto che non basta essere intelligenti per capire com’è fatto il mondo. Tutte le civiltà avevano peccato di questa forma di arroganza intellettuale. Ecco perché doveva toccare a un cattolico credente, come Galileo Galilei, scoprire le prime Leggi Fondamentali della Natura da lui chiamate “le prime impronte del Creatore”.

Dopo appena quattro secoli da questo atto di umiltà intellettuale, abbiamo la certezza di avere capito “quasi” tutto sulla Logica che regge il mondo. In quel “quasi” c’è il futuro della Scienza, che nessuno al mondo sa prevedere. Per il semplice motivo che il Creatore di tutte le cose visibili e invisibili è più intelligente di tutti: filosofi, pensatori, artisti, poeti e anche di noi scienziati.

fonte: La Bussola Quotidiana