"..Per questo non dobbiamo stupirci se oggi le leggi e i tribunali, sulla base di queste teorie, si spingono a ridefinire arbitrariamente la realtà, palesemente contro l'evidenza. E' questo, per esempio, il caso di una recente sentenza che ha conferito ad un minore ben due madri. E c'è da scommettere che con la scusa della “maggior tutela” dei minori presto ci spingeremo ad avere tre, quattro madri. Chissà poi quante. Giustamente, qualcuno ha parlato a questo proposito di “sentenza creativa”, centrando il nocciolo del problema: l'uomo, invece di accettare la realtà, la vuole inventare: la vuole creare a suo piacimento..."
di Alessandro Benigni (14.01.2015)
Il gender non viene dal nulla ed ha una destinazione ben precisa: questo insieme di teorie affonda le sue radici nel Relativismo, in una tentazione che accompagna la storia del pensiero umano, fin delle origini e ripropone fondamentalmente l'idea dell'oltre-uomo.
Emblematico è stato il caso di Protagora (v sec. a. C.), ma è stato a partire dall’Ottocento che questo veleno ha assunto la sua massima potenza e diffusione. Soprattutto ad opera di Nietzsche, il grande profeta del Relativismo e del Nichilismo che oggi infettano la nostra civiltà.
Come vedremo con sempre maggiore chiarezza, Relativismo, Nichilismo e gender sono strettamente e profondamente collegati. Da Nietzsche al post-strutturalismo e in generale al post-moderno, la realtà è diventata sempre più oggetto d’interpretazione nel segno del tramonto del logocentrismo e dell’egemonia stessa del concetto di verità. E' questa la condizione che rende oggi possibile l'idea centrale del gender: l'uomo e la donna non sarebbero così segnati da caratteristiche ontologiche oggettive, ma al contrario dovrebbero essere liberati da ogni tradizione e da ogni struttura culturale per poter decidere liberamente, in base al proprio sentimento, chi o che cosa essere. L'uomo vuole essere creatore, vuole essere libero di realizzarsi a suo piacimento, al di là di ogni limite e di ogni vincolo oggettivo, men che meno di natura morale. E anche a costo di negare il principio dell'evidenza naturale.
Si tratta di un'impresa titanica, che nasce dall'angoscia e dalla paura, dal senso di difficoltà che ciascuno prova nel realizzarsi pienamente e consapevolmente nella propria esistenza e questo capovolgimento del rapporto tra soggetto e realtà (tale per cui non è più il soggetto che deve adeguarsi alla realtà ma al contrario è quest'ultima che deve adeguarsi all'io) ha richiesto una lunga e paziente preparazione.
I tempi sembrano oggi maturi. I gender studies hanno ormai alle spalle quasi mezzo secolo di legittimazione teorica, culturale e politica: dal marxismo ai teorici alla rivoluzione sessuale, dal post strutturalismo aldecostruzionismo e alla critica al logocentrismo occidentale da parte di Derrida, il gender ha condotto una marcia inesorabile che ha portato ad una sua completa infiltrazione in tutti gli apparati e in ogni forma sociale.
L’analisi di questo fenomeno di progressiva penetrazione, nella sua fase più recente, sarebbe lunga: in sintesi diciamo che i padri putativi - dopo Nietzsche e la sua critica radicale a morale, metafisica e religione (si pensi a La genealogia della morale, del 1887) - sono senz’altro Marx, ma anche Freud (con la sua tattica di smascheramento degli inganni della coscienza) ed Heidegger (con la sua critica all'ontoteologia e alla modalità di pensare l'essere nei termini della presenza). Per finire - tra gli altri - Foucault e Derrida hanno portato a termine l'operazione di “decentramento” del senso proclamandone definitivamente l'assenza. Con Derrida e con il decostruzionismo, in particolare, “tutto diventa discorso”: la realtà dell’uomo è non tanto oggetto di narrazione, ma racconto essa stessa.
Una favola, alla quale in fin dei conti si può anche non prestare troppa fede. Ciò significa che ogni realtà culturale, d’ora in poi, viene ridotta ad una specie di manoscritto che ha valore solo nelle mani di chi l’ha redatto ed è totalmente vagliabile secondo un approccio linguistico: tutto è ridotto a storia, in attesa della sua propria destrutturazione finale.
Per questo non dobbiamo stupirci se oggi le leggi e i tribunali, sulla base di queste teorie, si spingono a ridefinire arbitrariamente la realtà, palesemente contro l'evidenza. E' questo, per esempio, il caso di una recente sentenza che ha conferito ad un minore ben due madri. E c'è da scommettere che con la scusa della “maggior tutela” dei minori presto ci spingeremo ad avere tre, quattro madri. Chissà poi quante. Giustamente, qualcuno ha parlato a questo proposito di “sentenza creativa”, centrando il nocciolo del problema: l'uomo, invece di accettare la realtà, la vuole inventare: la vuole creare a suo piacimento.
La decostruzione – che come abbiamo detto nasce con Nietzsche ed in particolare con la sua opera Genealogia della morale - porta a questo: ogni verità viene posta sotto censura e sostituita da un discorso, da una narrazione che in quanto tale obbedisce solo alle regole che l'hanno prodotta. Non si pone nemmeno più il problema del confronto con la realtà, della coerenza logica e ontologica con ciò che è massimamente evidente.
Tutti conosciamo la battuta: "se la realtà non si adatta alle mie teorie... tanto peggio per la realtà": tutto è da ricondurre non più alla realtà evidente ma alla teoria di volta in volta dominante. La barzelletta è oggi diventata realtà. Il principio di evidenza naturale da fondamento e metro di giudizio, solido ancoraggio di sicurezza per ogni argomentazione possibile, viene oggi percepito come un ostacolo, un impedimento da abbattere. Lo stesso vale per i principi che fondano ogni dire umano dotato di senso: il principio di identità, di non-contraddizione, del terzo escluso sono espunti dal contesto argomentativo. Come se fosse realmente possibile farlo.
La volontà-di-potenza, una volontà cieca ed irrazionale che altro non vuole se non distruggere tutti i valori per potersi affermare, è il necessario sbocco del Nichilismo ed estende il proprio dominio fino al cuore stesso dell'umanità: fino alla ragione che guida le scelte socialmente condivise. In questa nuova onto-teologia, in cui l'uomo si illude di poter egli stesso creare, non c'è più spazio alcuno per la realtà data, evidente, vincolante, incontrovertibile. Nessuno spazio per i diritti naturali, per una morale a difesa dell'uomo, salda e condivisa: come abbiamo visto nelle precedenti riflessioni siamo infatti nell'epoca in cui i bambini non hanno più diritto al proprio padre e alla propria madre, ma genericamente a qualcuno che li ami. Ai nostri tempi, l'essere umano viene già fabbricato. I ventri materni vengono affittati. E l'elenco dei nuovi mostri morali sarebbe molto lungo.
Necessariamente per poter dare spazio alla libera creazione di nuovi "valori" si deve prima creare questo spazio vuoto, questo piano libero da ogni ostacolo, questo nihil, questo nulla, appunto. L'abbattimento di tutto ciò che è saldo, di tutto ciò che si oppone, di tutto ciò che resiste a questa infinita manipolazione è un momento critico-decostruttivo assolutamente necessario.
Non a caso Nietzsche ne La gaia scienza proclamava la fine di morale, metafisica e religione sostenendo che “Dio è morto” ("Gott ist tot"):
«Dio è morto. Dio resta morto. E noi l'abbiamo ucciso. (…) Non è forse la grandezza di questa morte troppo grande per noi? Non dovremmo forse diventare divinità semplicemente per esserne degni?»
E' questa l'antica tentazione che riemerge: l'uomo vuole farsi Dio, vuole mettersi al posto di Dio, vuole liberamente creare come se fosse Dio. Da creatura, vuole farsi creatore: vuole andare oltre la sua umanità finita, vuole diventare un oltre-uomo. Per questo è necessario scardinare ogni ordine oggettivo, negare ogni verità condizionante, rendere il mondo un racconto da poter interpretare come meglio si crede: la morte di Dio conduce inevitabilmente al rifiuto di qualsiasi valore assoluto e dunque al rifiuto di qualsiasi legge morale oggettiva e legge universale.
In questo modo devono essere decostruite le nozioni stesse di ragione, evidenza, realtà, e la stessa sorte tocca al principio d'identità, al principio di individuazione, e così via.
Pertanto non dobbiamo stupirci se la radicalità della decostruzione ha influenzato i gender studies e il pensiero post-moderno in generale, che hanno visto in essa uno strumento per distruggere il concetto di "identità", proclamandone la fluidità: maschile e femminile vengono necessariamente ridotti a categorie culturali e pertanto soggette a smobilitazione filosofica e sociale, prodotti umani privi di contorni netti e di un'autonoma sussistenza ontologica. E questo è avvenuto necessariamente, in quanto il principio d’identificazione si manifesta prima di tutto a partire dalla struttura binaria del reale: luce-tenebre, vero-falso, bene-male, vita-morte. Maschile-femminile.
Il tutto a favore di una concezione intrinsecamente molteplice e contraddittoria, oscillante e instabile dell'identità, irriducibile a categorie metafisiche definite e oggetto invece di continua rinegoziazione da parte dei soggetti che se ne fanno portatori. Il massimo dello spazio dev'essere concesso alla libera creatività umana: anche a costo di negare Dio ed ogni valore morale.
Questo era d'altra parte il messaggio che Nietzsche portava in Così parlò Zarathustra e che la nostra civiltà sta ancora cercando di fare proprio:
“Creare: questa è la grande liberazione dal dolore, che rende spensierata la vita. Ma perché il creatore sia, sono necessari il dolore e molte metamorfosi. (…) Tutto il senziente soffre in me ed è in prigione: ma la mia volontà viene sempre a me liberatrice e apportatrice di gioia. Il volere libero: questo è il vero insegnamento intorno alla volontà e alla libertà; così vi insegna Zarathustra. (…) Questa volontà mi ha allontanato da Dio e dagli dèi; e che cosa mai vi sarebbe da creare, se gli dèi esistessero!” (cap. “Delle isole beate”)
Non stava forse parlando di noi e dei nostri tempi?
Che cosa resterebbe da creare se esistesse un Dio? Quale nuovo valore potrebbe essere inventato dall'uomo se esistesse una differenza oggettiva tra bene e male? Dunque, poiché l'uomo deve poter creare, Dio e valori devono essere negati.
Non dobbiamo però dimenticare che la negazione della realtà è indice di psicosi. Nel sua pretesa di sostituirsi a Dio l'uomo mostra tutta la sua angoscia. Si tratta di idealizzazione, un meccanismo di difesa: esso si manifesta con la costruzione di caratteristiche (del Sé) onnipotenti e non rispondenti alla realtà oggettiva, al fine di proteggere i bisogni narcisistici, proiettando su se stessi una potenza creativa che non c'è.
E quali sono i nuovi valori che l'uomo ha creato, quando si è illuso di poter cassare dal suo orizzonte la trascendenza (morale, metafisica, religione)? E' ancora una volta Nietzsche a risponderci, con molta chiarezza. Delineando i tratti caratteristici, i segni distintivi del suo oltre-uomo, il profeta di Nichilismo si esprime infatti in questo modo:
“Voluttà, sete di dominio, egoismo: queste tre cose sono state fino ad ora le più maledette e più malfamate e calunniate, ed io le voglio pesare umanamente bene”.
(Così parlò Zarathustra, cap. Del passare oltre)
Per inciso, è forse interessante ricordare che Nietzsche – senz'altro uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi - termina la sua esistenza in uno stato di grave alterazione psichica, passando da momenti di esaltazione ad afflizione profonda. Ricoverato in una clinica psichiatrica, trascorre il suo tempo in un mutismo quasi totale, con l'aggravarsi delle condizioni (numerose paralisi, forse accentuate dalle eccessive dosi di farmaci per tenere sotto controllo gli attacchi di follia), fino alla morte (25 agosto del 1900).
Fonte: Progetto 21
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