Il terzo comandamento obbliga i fedeli a santificare il giorno del Signore. Nella versione originaria, contenuta nel libro dell’Esodo, è l’unico comandamento, oltre al primo, a non avere semplicemente una formulazione imperativa, ma ad essere dettagliatamente articolato per una più perfetta comprensione del suo contenuto: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro” (Es 20,8-11). Santificare il Sabato, secondo il testo biblico, significa dunque fondamentalmente astenersi dalle fatiche del lavoro, in ricordo del “riposo” di Dio dopo la creazione del mondo. Sappiamo bene quanto Gesù dovette lottare con i suoi contemporanei che avevano fatto del precetto del riposo sabbatico una sorta di vero e proprio “incubo” (tuttora constatabile negli ambienti dell’ebraismo di stretta osservanza), attraverso interpretazioni ad litteramdel tutto errate quando non proprio assurde: Gesù fu rimproverato in più circostanze di fare miracoli in giorno di Sabato e fu sgridato perché i suoi apostoli, stanchi e affamati, coglievano le spighe di grano per mangiarle. Vedendo tali comportamenti del tutto formalistici e esteriori, che avevano completamente travisato lo spirito del precetto, il Signore ebbe a pronunciare con estrema perentorietà il celebre aforisma: “Dio ha fatto il Sabato per l’uomo e non l’uomo per il Sabato” (Mc 2,27), dando così a intendere che il precetto del riposo settimanale e della santificazione del giorno del Signore deve essere vissuto nella gioia e nella libertà dei figli di Dio ed è finalizzato ad alimentare tali disposizioni, perfettamente degne dell’uomo e consone ai suoi più profondi bisogni.
Il senso di questo comandamento è più profondo di quanto sembra a prima vista e lo si comprende proprio interpretando rettamente il divieto di dedicarsi alle “fatiche del lavoro”. Il lavoro, infatti, secondo la Rivelazione, rientra tra i castighi imposti da Dio dopo la colpa d’origine e serve, oltre che ad elevare e nobilitare l’uomo e il creato, alla dura necessità di guadagnarsi il necessario per vivere in questo mondo. Ma l’uomo, su questa terra, è di passaggio, onde non può e non deve perdere la bussola e il senso dell’orientamento, la percezione chiara della sua origine e del suo fine e le grandi motivazioni che muovono la sua esistenza. Il giorno del Signore, dunque, è un giorno in cui è fatto un vero e proprio obbligo, all’uomo, di mettere in secondo piano le necessità, i travagli e le fatiche della vita terrena e pensare alla vita celeste, alla vita dello spirito, a Colui dal quale viene e al Quale, inesorabilmente anche se a volte inconsapevolmente, tende. Ovviamente questo non può (e non deve) essere vissuto in forma estrema, rigida o malata (come era al tempo dei farisei): ma il valore del precetto (e gli obblighi, come vedremo, ad esso connessi) rimangono e sono validi.
C’è anche un’altra motivazione profonda alla base del terzo comandamento, più banale se si vuole, ma comunque da non sottovalutare. Il lavoro, dimensione fondamentale della vita terrena, assorbe molte energie e molto tempo all’uomo che vive in questo mondo, sottraendogli larga parte della disponibilità della sua giornata. Astenersene per un giorno significa ricevere in regalo da Dio del tempo (libero) per dedicarsi alla preghiera (che per limiti di tempo, ordinariamente, è alquanto trascurata), al dovere di rendere a Dio il culto che gli è dovuto (tramite la partecipazione alla sacra liturgia domenicale), al dovere di dare il giusto riposo al proprio corpo, al dovere di dedicarsi con calma alle altre realtà belle che il Signore regala (stare in famiglia, trascorrere qualche ora in sane attività ricreative, conversare con un amico, etc.). Come ebbe modo di scrivere il beato Giovanni Paolo II nella lettera Dies Domini, la nostra società, travolta da ritmi a dir poco forsennati e abituata a procedere a velocità supersoniche, ha quanto mai urgenza e bisogno di ricuperare il senso del giorno del Signore. L’uomo contemporaneo non sa riposare e, meno che mai, sa riposare nel Signore, fonte e origine del vero, sano e santo riposo.
Con la risurrezione di Gesù, avvenuta di Domenica, il giorno del Signore, oltre che ad essere “spostato” (non più il sabato in ricordo del riposo di Dio dalla creazione, ma la Domenica in ricordo del giorno della “nuova creazione”) ha peraltro acquisito ulteriori e ancor più grandi significazioni: è il giorno in cui si contempla la nostra umanità riscattata e liberata da tutti i bisogni, le miserie e i problemi legati alla vita presente. Gesù risorto, infatti, è la primizia di coloro che risorgeranno e, riacquisendo un vero corpo uguale a quello attuale, saranno però conformati al suo corpo deificato. Potranno mangiare, ma non sentiranno mai più la fame; potranno bere, ma non avranno più sete; non sentiranno più il freddo o il caldo, non avranno più bisogno di dormire, né sentiranno fatica e stanchezza; non conosceranno mai più dolori fisici, né malattie, né disfacimento o decadenze del corpo; non saranno più soggetti alle molteplici (e assai umilianti) necessità igieniche e fisiologiche legate alla vita presente, godranno di gloria, di agilità, di capacità di attraversare i corpi gravi senza incontrare resistenze, della visione della santissima umanità di Gesù, della Madonna e della compagnia di tutti i santi. Non sarà il caso di pensare spesso a queste stupende verità? E magari qualche volta anche al fatto che per i corpi risorti dei dannati varrà esattamente il contrario di quanto sopra? Non sarà anche opportuno ricordare che non esistono “lasciapassare” per il Paradiso distribuiti gratuitamente ma che, per godere di tale beatificazione eterna, bisogna passare attraverso molte fatiche e tribolazioni (simboleggiate dai sei giorni lavorativi) conservandosi fedeli in tutto e per tutto a Dio e alla sua legge? E perché questo sia concretamente possibile, non sarà necessario essere regolarmente istruiti su Dio e le cose di Dio?
Si comprende bene, dunque, già da queste note introduttorie, l’importanza e il valore di questo giorno e, quindi, la funzione di tutela di questi valori svolta dalle norme imperative da osservare per adempiere questo comandamento. Si badi, infatti, che questo comandamento (insieme al quarto) è formulato alpositivo (contiene, cioè un dovere di “fare” non una proibizione di non fare qualcosa). Onde è quanto mai necessario avere chiare le condizioni minime per cui questo comandamento possa dirsi adempiuto ed anche se e quando si possa essere dispensati in tutto o in parte dalla loro osservanza. È quanto, a Dio piacendo, tenteremo di fare dalla prossima settimana.
Fonte: Istruzione Cattolica (Gloria tv)
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