Gesù porta la croce verso il Calvario
Ventotto farisei armati arrivarono a cavallo per scortare il corteo sui luogo dei supplizio, tra questi vidi i sei sinedriti che avevano guidato la cattura di Gesù sui monte degli Ulivi.
Nel momento in cui i carnefici condussero Gesù al centro del foro, parecchi schiavi entrarono dalla porta occidentale portando il legno della croce. Avvicinandosi ai Signore, essi lo gettarono ai suoi piedi con gran fracasso.
Altri servi portavano gli angoli, i pezzi di legno desti nati a sorreggere i piedi e il prolungamento su cui si doveva inchiodare la tabella. Il Signore s'inginocchiò accanto alla sua croce e l'abbracciò tre volte. Contemporaneamente lo udii supplicare il Padre suo per la redenzione del genere umano. Infine il Salvatore baciò la croce, divenuta altare del suo cruento sacrificio.
Impazienti, i carnefici sollevarono Gesù e gli caricarono sulla spalla destra il pesante fardello.
Egli rimase curvo sotto il grave peso, non sarebbe mai riuscito a sostenerlo sulle spalle se gli angeli non l'avessero di nuovo soccorso. Mentre Gesù pregava, le mani dei due ladroni furono legate saldamente alle assi trasversali delle loro croci poste dietro la nuca.
I tronchi verticali delle due croci erano portati dagli schiavi; una volta sul Golgota si sarebbe provveduto al montaggio.
La tromba della cavalleria di Pilato squillò per dare il segnale della partenza. Uno dei farisei a cavallo si accostò a Gesù, inginocchiato sotto il peso della croce, e gli disse:
«E terminato per sempre il tempo dei bei discorsi. Avanti, avanti! Facciamola finita!».
Allora i carnefici rialzarono il Signore con terribile violenza, facendogli sentire sulle spalle tutto il peso dell'intera croce. Così cominciò la marcia trionfale del Re dei re, tanto ignominiosa sulla terra quanto gloriosa in cielo.
Ai piedi del legno della croce erano state legate due corde, per mezzo delle quali due carnefici la tenevano sollevata.
Altri quattro aguzzini tenevano delle funi attaccate alla catena che cingeva la cintura di Gesù.
Il suo mantello era sollevato e trattenuto dalla cintura.
Gesù mi ricordò Isacco, che portava il legno destinato alla propria immolazione.
Lo stesso Pilato si era messo al comando del distaccamento di soldati per prevenire una sommossa popolare.
Il procuratore romano indossava l'armatura e procedeva a cavallo, protetto dai suoi ufficiali e da una schiera di cavalieri, seguivano trecento fanti provenienti dal confine tra l'Italia e la Svizzera. Il drappello dei legionari romani si mise in marcia sulla strada principale della città, mentre il corteo con i condannati attraversò una viuzza laterale per non intralciare il popolo che si recava al tempio. Precedeva il triste corteo un trombettiere che proclamava a ogni crocevia la sentenza di morte. Qualche passo dietro a lui venivano i servi con le funi, i chiodi, i cunei e tutti gli accessori delle croci dei due ladroni.
Seguivano poi i farisei a cavallo e un giovinetto che portava sul petto l'iscrizione della croce. Questo giovane non era del tutto perverso.
Infine veniva Gesù, il Cristo, curvo e straziato sotto il carico della croce; era ferito in tutto il corpo e aveva i piedi nudi e sanguinanti. Non aveva preso cibo né bevanda dalla sera prima ed era oltremodo sfinito a causa delle perdite di sangue, della febbre e delle molteplici sofferenze.
Il Signore sosteneva la pesante croce sulla spalla aiutandosi con la mano destra, mentre con la sinistra tentava ripetutamente di sollevare la lunga veste che gli ostacola va il passo.
Le sue mani erano ferite e gonfie a causa della brutalità con la quale erano state legate, il suo viso era gonfio e insanguinato, i capelli e la barba imbrattati di sangue raggrumato. La croce e le catene gli premevano sul corpo la veste di lana riaprendogli le piaghe con grande dolore.
Quattro carnefici tenevano a distanza le estremità delle corde fissate alla sua cintura. Due lo tiravano in avanti e gli altri due da dietro, così che il suo passo era malfermo.
Benché attorno a Gesù non ci fosse altro che derisione e crudeltà, il suo sguardo era pieno di compassione e le sue labbra si aprivano in preghiera al Padre.
Dietro di lui seguivano i due ladroni trascinati con le funi. Alcuni farisei a cavallo chiudevano il corteo, mentre numerosi soldati romani ne proteggevano i lati in modo che la folla non potesse entrarvi.
Nel percorrere quella stradina larga due passi, sporca e lunga, il Signore subì molte sofferenze. I carnefici gli si stringevano addosso, la plebaglia lo insultava dalle finestre, dalle terrazze, dalla strada e dalle vie laterali, molti gli gettavano addosso fango, immondizie e altre cose immonde; perfino i fanciulli, incitati dagli adulti, gli lanciavano pietre e lo coprivano di ingiurie.
Erano gli stessi fanciulli che lui aveva benedetto e chiamato beati.
La gente accorreva da tutte le parti. Presto una folla considerevole riempì la stradina e le vie laterali per veder passare la triste processione. Molti altri si erano già recati al Calvario.
Al suo termine la stretta viuzza volge a sinistra e va un poco in salita; in quel punto passa una specie di acquedotto sotterraneo che proviene dal monte Sion. Ho udito il gorgoglìo dell'acqua.
Prima caduta di Gesù sotto la croce
Davanti alla salita vi è un avvallamento nel quale si accumula acqua piovana e fango. Per facilitare il passaggio, vi era stata posta una grossa pietra, come se ne vedono in molte vie di Gerusalemme.
Arrivato a quella pietra, con il grave peso sulle spalle, Gesù non riusciva a proseguire. Tirato dai suoi carnefici, cadde e la croce rovinò accanto a lui.
I carnefici lo colmarono di ingiurie e lo colpirono con calci e pugni. Il corteo si fermò e ci fu un grande tumulto.
Invano il Signore tese la mano in cerca d'aiuto; allora esclamò:
«Sarà presto la fine!».
I farisei urlavano:
«Rialzatelo, altrimenti morirà prima della crocifissione!». Ai lati della strada vidi alcune donne e fanciulli atterriti da quello scempio.
Quando Gesù riuscì a riprendersi, quegli uomini abominevoli, invece di alleviare le sue sofferenze, gli rimisero intorno alla testa la corona di spine.
Lo fecero alzare a forza di maltrattamenti e gli misero la croce sul dorso. Egli fu costretto a inclinare da un lato il capo straziato dalle spine.
E Gesù, con questo nuovo supplizio, riprese il doloroso cammino per la ripida strada.
Seconda caduta di Gesù sotto la croce.
Gesù incontra sua Madre
Dopo la sentenza pronunciata da Pilato, l'Addolorata si fece condurre nei luoghi santificati dalle ultime sofferenze del suo adorato Figlio. Ella voleva coprire con le sue calde lacrime il sangue di Gesù. Con profonda devozione, Giovanni e le pie donne accompagnarono la Vergine nel suo sacrificio mistico.
Con questa consacrazione, la santa Vergine divenne lei stessa Chiesa vivente, Madre comune di tutti i cristiani.
Mentre visitava le stazioni della sofferenza di suo Figlio, la Vergine udì il suono agghiacciante delle trombe che annunziavano la partenza del triste corteo diretto al Calvario. Allora, non potendo più trattenere il desiderio di rivedere il santo Figlio, pregò Giovanni di condurla in uno dei luoghi presso i quali doveva passare Gesù.
Scesero dal quartiere di Sion e raggiunsero la piazza dalla quale era partito il corteo con Gesù, e continuarono per le viuzze laterali passando attraverso porte di solito chiuse ma che in quel giorno erano aperte per consentire il transito della folla.
Poi Giovanni, la Vergine Maria, Susanna, Giovanna Cusa e Salomè di Gerusalemme entrarono in un grande palazzo; mi sembra che questa costruzione comunicasse, attraverso viali e cortili, con il palazzo di Pilato, oppure con la dimora di Caifa.
Giovanni ottenne dal benevolo portiere il permesso di attraversare il palazzo e uscire dal lato opposto. Costui li fece entrare e si prestò ad aprire la porta orientale dell'edificio.
Nel vedere la Madre di Gesù pallida come una morta, con gli occhi arrossati dal pianto, tremante e sfinita, avvolta in un mantello azzurro, mi sentii morire per il dolore. Sempre più chiari si avvertivano il clamore e gli squilli di tromba che annunciavano i condannati condotti alla crocifissione.
Appena il portiere aprì la porta orientale il clamore si fece ancora più distinto. L'Addolorata chiuse gli occhi, pregò e poi chiese a Giovanni:
«Devo assistere a questo doloroso scempio oppure allontanarmi? Come potrò sopportarlo?».
L'apostolo le rispose:
«Se tu non rimanessi, ne avresti poi sempre il rammarico».
Allora si fermarono sotto il portone e guardarono giù per la via.
Un altro squillo di tromba, questa volta più vicino, trapassò il cuore della santa Vergine. La triste processione era adesso visibile, distava ormai un centinaio di passi dal portone. Il corteo non era preceduto dalla folla, ma questa sta va soltanto ai lati e dietro.
Dopo il trombettiere avanzavano gli schiavi con aria insolente e trionfante; essi portavano gli arnesi del supplizio. A quella vista la Madre di Gesù incominciò a tremare, a singhiozzare e a torcersi le mani.
Uno di quegli insolenti, pieno d'arroganza, chiese agli altri:
«Chi è quella donna che tanto si lamenta?». Gli fu subito risposto:
«E la madre del Galileo».
Subito gli scellerati la colmarono di beffe e la segnarono a dito; uno di essi presentò al suo sguardo addolorato i chiodi che dovevano servire alla crocifissione del Figlio.
Vidi i farisei passare superbi sui loro cavalli, seguiti dal giovinetto che recava l'iscrizione. A pochi passi di distanza seguiva Gesù con l'orrenda corona di spine. Il Signore barcollava ed era sanguinante sotto la pesante croce. Gli occhi spenti e arrossati del Cristo sofferente gettarono sulla santa Madre uno sguardo compassionevole.
Toccata da quello sguardo colmo di misericordioso amore, la santa Vergine giunse le mani e si appoggiò al portone per non cadere. Era pallida ed aveva le labbra livide.
Il Signore inciampò e barcollò, poi cadde per la seconda volta sotto il peso della croce.
La Madre di Gesù, accecata dal dolore, non vide più né i soldati né gli altri, ma solo il Figlio sanguinante torturato dagli aguzzini. Nell'impeto del suo amore, si precipitò in mezzo ai carnefici nel tentativo di abbracciano, così cadde in ginocchio vicino a lui e se lo strinse tra le braccia. Udii esclamare: «Figlio mio!...», «Madre mia!...», ma non sono certa se queste parole fossero state pronunciate realmente o solo nello spirito.
Vidi i soldati commossi di fronte a quella Madre straziata dal dolore: essi avevano cercato di respingerla ma non ebbero il coraggio di farle del male.
Vi fu un momento di confusione generale, in cui Giovanni e le pie donne ne approfittarono per rialzare Maria. Gli sgherri la ingiuriarono e uno le disse:
«Donna, che vieni a fare qui? Se tu lo avessi educato meglio, ora non sarebbe ridotto in questo stato!».
Circondata da Giovanni e dalle pie donne, l'Addolorata fu portata via e il corteo proseguì il suo triste cammino.
Mentre stava per rientrare, e voltava ormai le spalle alla lugubre processione, la Madonna cadde in ginocchio contro la pietra angolare della porta.
La pietra, sulla quale era caduta aveva venature di verde: le ginocchia della Vergine vi lasciarono dei buchi e le sue mani delle impronte nel punto dove le aveva appoggiate.
La Madonna fu rialzata dalle due discepole e riportata nel palazzo, la cui porta fu subito chiusa.
Frattanto la soldataglia aveva rialzato Gesù e gli aveva rimesso la croce sulle spalle.
In mezzo alla masnada, che seguiva il corteo per ingiuriare il Signore, vidi alcune donne velate piangere in silenzio.
Simone di Cirene.
Terza caduta di Gesù
«Nell'uscire, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Si mone, e lo costrinsero a portare la croce con lui» (Matteo 27,32).
Proseguendo il suo triste cammino, il corteo passò sotto l'arco di un antico muro della città. Davanti a quell'arco vi è una piazza da cui si diramano tre vie trasversali. Vidi parecchie persone ben vestite allontanarsi alla vista di Gesù per il farisaico timore di contaminarsi.
Costretto ancora una volta a passare su una grande pietra, Gesù barcollò e cadde a terra sotto la croce.
Molta gente, che si recava al tempio, esclamò con compassione:
«Ahimè, quel poveretto muore! ».
Siccome il Signore non riusciva più a sollevarsi, i farisei, che precedevano il corteo, dissero ai soldati:
«Non arriverà alla crocifissione se non troveremo qualcuno disposto ad aiutarlo a portare la croce».
Proprio in quel momento passava di là un pagano accompagnato dai suoi tre figli: si chiamava Simone ed era nativo di Cirene. Egli tornava dal suo lavoro e portava sottobraccio un fascio di ramoscelli. Costui era giardiniere e ogni anno nel tempo pasquale veniva a Gerusalemme a curare le siepi del muro orientale della città.
Avendolo riconosciuto per un pagano dagli abiti che indossava, i soldati gli intimarono di aiutare il Galileo a portare la croce.
In un primo momento il Cireneo respinse quell'ingiusta imposizione, ma vi fu ugualmente costretto; alcune conoscenti presero i suoi figli in lacrime.
Simone provava una forte ripugnanza per lo stato miserabile in cui versava il Signore, e per la sua veste macchiata di fango e di sangue. Poiché Gesù piangeva e lo guardava con occhi pietosi, egli l'aiutò a rialzarsi. I carnefici legarono sulle spalle del pagano l'albero della croce e diedero a Gesù la trave trasversale. Il Cireneo seguiva il Redentore, alleggerito dell'enorme peso.
Simone aveva circa quarant'anni ed era di costituzione robusta. Più tardi, i due figli maggiori, Rufo e Alessandro, si unirono ai discepoli del Signore, mentre il minore seguì santo Stefano.
L'iniziale senso di ripugnanza, provato dal Cireneo nei confronti del Redentore, alla fine si mutò in un sentimento di dolorosa compassione.
Santa Veronica con il sudario
Non avevano fatto nemmeno duecento passi da quan o il Cireneo era venuto a portare la croce del Signore, allorché vidi una donna uscire da una casa e gettarsi davanti al corteo. Costei era alta e bella e conduceva per mano una giovinetta.
La donna si chiamava Serafia ed era moglie di Sirach, un membro del consiglio del tempio. A seguito dell'avvenimento di questo giorno fu chiamata Veronica (da vera icon, vero ritratto). Serafia aveva preparato a casa un eccellente vino aromatico per confortare Gesù sul doloroso cammino.
Impaziente di compiere la sua offerta, la pia donna era uscita più volte per andare incontro alla triste processione. Infatti l'avevo vista correre al fianco dei soldati tenendo per mano la sua figlia adottiva di circa nove anni.
Poiché non le era stato possibile aprirsi un varco tra i soldati per raggiungere il Redentore, ella era rientrata a casa per attendere il passaggio del corteo.
Giunto l'atteso momento, Serafia discese nella strada, velata e con un sudario di lino sulle spalle. La bimba, tenendosi stretta vicino a lei, manteneva nascosto sotto il grembiulino il vaso chiuso di vino aromatico.
Questa volta Serafia attraversò d'impeto la folla venendo finalmente dinanzi a Gesù. Invano i soldati avevano cercato di trattenerla. Alla presenza del Figlio di Dio ella cadde in ginocchio: fuori di sé dalla compassione, dispiegò per uno dei lati il sudario e gli disse:
«Oh, fammi degna di tergere il volto del mio Signore!».
Gesù prese il velo con la mano sinistra e lo compresse sul suo volto insanguinato, indi muovendo la sinistra col sudano verso la destra che manteneva il capo della croce, strinse il lino con entrambe le mani e glielo rese.
Serafia baciò la stoffa, se la mise sotto il manto e si rialzò.
Ma quando la bambina tese timidamente il vaso di vino verso Gesù, i soldati non glielo permisero. Il popolo fu subito in tumulto di fronte all'ardire di quel pubblico omaggio reso al Salvatore. Il corteo si era arrestato, i farisei e i carnefici, assai irritati, si misero a colpire Gesù, mentre Veronica rientrò in fretta a casa sua.
Appena fu rientrata, ella stese il panno insanguinato sul tavolo e perse i sensi; la bimba si inginocchiò piangendo vicino a lei. Più tardi, un conoscente le trovò svenute accanto al sudario sul quale era impressa l'immagine del volto di Gesù.
L'uomo, colpito dal prodigio, le fece rinvenire e mostrò loro il volto del Signore sul sudario spiegato. Con profonda emozione, Veronica s'inginocchiò e disse:
«Ora che il Signore mi ha onorata del suo ricordo, voglio abbandonare ogni cosa!».
Il lino era tre volte più lungo che largo, abitualmente lo si portava attorno al collo; un'altra stoffa simile si portava pure sulle spalle. A quel tempo, vi era l'uso di andare con i sudari dalle persone malate, o in qualche modo afflitte, e di asciugare loro il viso in segno di amorevole compassione.
Veronica appese il sudario al capezzale del suo letto e lo venerò per tutta la vita. Dopo la sua morte, questo fu passato dalle pie donne alla santa Vergine e poi alla Chiesa degli apostoli.
Serafia era nata a Gerusalemme ed era cugina di Giovanni Battista. La pia donna aveva almeno cinque anni più della santa Vergine e aveva assistito al suo matrimonio con san Giuseppe.
Aveva relazioni di parentela col santo vecchio Simeone e fu compagna dei suoi figli fin dalla giovinezza. Si sposò tardi; da principio suo marito era molto contrario a Gesù e lei ne soffrì molto, finché Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo indussero Sirach a migliori sentimenti.
Durante l'infame giudizio del tribunale di Caifa, Sirach si dichiarò a favore di Gesù e prese posizione con Giuseppe e Nicodemo, e come loro si separò dal sinedrio.
Malgrado i suoi cinquant'anni, Serafia era ancora una bella donna. La domenica delle Palme, per onorare l'entrata trionfale del Signore a Gerusalemme, si era tolta il velo e l'aveva steso sulla strada dove egli passava.
Fu questo stesso velo che ella porse a Gesù per alleviare le sue sofferenze. Il santo velo è tuttora oggetto di venerazione nella Chiesa di Cristo.
Il terzo anno dopo l'ascensione di Cristo, l'imperatore romano, molto malato, inviò un suo fiduciario a Gerusalemme per raccogliere informazioni circa la morte e la risurrezione di Gesù.
Il fiduciario ritornò a Roma accompagnato da Nicodemo, Veronica e il discepolo Epatras, parente di Giovanna Cusa.
Vidi santa Veronica al capezzale dell'imperatore, il cui letto era elevato su due gradini; una grande tenda appesa alla parete pendeva fino a terra.
La camera da letto era quadrata; non era grande e non vidi finestre: la luce proveniva da un'ampia fessura posta in alto. I parenti dell'imperatore si erano riuniti nell'anticamera.
Veronica aveva con sé, oltre al velo, un lenzuolo di Gesù. Ella spiegò il velo davanti all'imperatore, che guardò stupefatto l'impronta di sangue del santo volto del Signore.
Sul lenzuolo, invece, vi era impressa l'immagine del dorso del santo corpo flagellato. Credo che fosse uno di quei grossi lini inviati da Claudia, sui quali vi era stato adagiato il santo corpo del Signore per essere lavato prima del la sepoltura.
L'imperatore guarì alla sola vista di quelle immagini, senza nemmeno toccarle. Egli offrì a santa Veronica un palazzo con gli schiavi, pregandola di stabilirsi a Roma, ma lei chiese il permesso di far ritorno a Gerusalemme per morire vicino al santo sepolcro di Gesù crocifisso.
Ella ritornò a Sion nel periodo della persecuzione contro i cristiani, mentre Lazzaro e le sue sorelle conoscevano la miseria dell'esilio.
Santa Veronica fu costretta a fuggire con altre donne cristiane, ma fu presa e incarcerata. Morì con il santo nome di Gesù sulle labbra.
Ho visto il velo nelle mani delle pie donne, poi in quel le del discepolo Taddeo a Edessa, dove la santa reliquia operò diversi miracoli. Lo vidi ancora a Costantinopoli, e in fine fu consegnato dagli apostoli alla Chiesa.
Mi sembra di aver visto il santo velo a Torino, dove si trova anche la sindone del Redentore.
Quarta e quinta caduta di Gesù.
Le donne di Gerusalemme
«Il Signore gli farà ricadere addosso il sangi versato e lo ri pagherà del suo oltraggio» (Osea 12,15).
Vicino alla porta sud-ovest di Gerusalemme i carnefici spinsero brutalmente il Signore in un pantano.
Siccome Simone voleva passare al di fuori del pantano, la croce vacillò e Gesù cadde nel fango. Era la sua quarta caduta.
Il Cireneo riuscì appena a trattenere la croce. Il Signore cadde nel fango e udii la sua voce, flebile ma distinta, pronunciare queste parole:
«Ahimè, ahimè! Quanto ti ho amata, Gerusalemme! Volevo raccogliere i tuoi figlioletti, come la chioccia raccoglie i suoi piccoli sotto le ali, ma tu mi cacci crudelmente fuori dalle tue porte!».
I farisei, udendo queste parole, lo ingiuriarono:
«L'agitatore non è ancora soddisfatto, continua a straparlare!».
Allora i carnefici lo trascinarono fuori dal pantano e lo percossero.
Nauseato da queste crudeltà, Simone di Cirene esclamò:
«Se non smettete con le vostre infamie, getto via la croce, anche se mi ucciderete!».
Dalla porta, attraverso la quale era uscito il Signore, si snoda un sentiero angusto e roccioso che conduce sul monte Calvario.
All'inizio di questa viuzza era stato fissato un palo con un cartello che annunciava la condanna a morte di Gesù di Nazaret e dei due ladroni. Poco distante vidi un gruppo di povere donne che si lamentavano e piangevano. Non tutte erano di Gerusalemme: erano venute da Betlemme, da Ebron e dai luoghi vicini in occasione della Pasqua. Arrivato a quel posto, Gesù cadde in deliquio, ma non stramazzò a terra, perché Simone appoggiò la croce al suolo e lo sorresse. Fu la quinta caduta del Signore sotto la croce.
Nel vederlo in quello stato miserevole, le giovani e le donne si batterono il petto per il forte dolore.
Esse gli tesero dei sudai con i quali potesse asciugarsi il sangue e il sudore.
Gesù, rivolgendosi a loro, disse:
«Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli, perché verrà un tempo in cui si dirà: “Felici le sterili, i corpi che non hanno partorito e le mammelle che non hanno allattato!”. Allora si comincerà a dire alle montagne: “Piombateci addosso; e voi colline copriteci!”. Perché se questo avviene per il legno verde, che sarà di quello secco?».
Il Signore aggiunse altre parole piene di profondo significato, il cui senso era: le loro lacrime sarebbero state ricompensate e da questo momento avrebbero camminato per altre vie.
Ai piedi del Golgota la triste processione fece una breve sosta, mentre gli inservienti si avviarono sul monte. Essi portavano gli arnesi del supplizio ed erano seguiti da un centinaio dì soldati romani. Pilato, che aveva scortato a di stanza il corteo, rientrò in città con i suoi legionari.
Gesù sul Golgota.
Sesta e settima caduta
Il corteo riprese il cammino. Gesù, piegato dai brutali colpi dei carnefici, curvo sotto il suo fardello, fu costretto a salire penosamente il tortuoso sentiero che conduce al Calvario.
Al punto dove lo scabroso sentiero piega a sud, Gesù cadde per la sesta volta. Questa caduta fu la più dolorosa di tutte le altre; gli aguzzini percorsero il Signore con inaudita violenza. Arrivati sulla cima del Calvario, egli cadde ancora sotto il peso della croce perché era stremato. Fu la sua settima e ultima caduta.
Il Cireneo, anch'egli maltrattato e sfinito, era fuori di sé dalla collera e dalla compassione verso Gesù, che avrebbe voluto aiutare a rialzarsi. Ma i carnefici lo scacciarono dalla montagna battendolo e oltraggiandolo.
Con lui, furono fatti allontanare tutti quelli del corteo dei quali non si aveva più bisogno.
Poco tempo dopo Simone si unì ai discepoli del Signore.
Dalla cima del monte Calvario si domina tutta la città.
Il luogo delle crocifissioni è di forma circolare, come un'ampia piazza dalla quale si snodano cinque sentieri. Cinque strade, o sentieri, si trovano dappertutto in Palestina, in particolar modo presso le fonti d'acqua usate per bagnarsi o per battezzare, come la Piscina di Bethsaida. Molte città hanno anche cinque porte.
In Terrasanta quest'antica tradizione ha un significato profondo e profetico, che trova compimento nelle sacre piaghe del Signore: le cinque vie aperte alla, nostra redenzione.
I farisei a cavallo raggiunsero il luogo delle croci da ponente, dove il pendio e più agevole e meno ripido, mentre i condannati venivano fatti passare dal lato opposto, più aspro e scosceso.
I cento soldati romani si erano disposti intorno al promontorio delle crocifissioni per impedire eventuali disordini. Alcuni di essi vigilavano sui ladroni, che ancora non erano stati condotti sulla cima della collina.
I due condannati giacevano al suolo, sul dorso, con le braccia legate agli assi trasversali delle loro croci.
La plebaglia — schiavi, gentili e pagani — non temeva l'impurità e perciò aveva preso posto attorno al luogo delle croci; i fanciulli furono fatti allontanare. Le montagne vicine e la parte occidentale del monte Gihon traboccavano di pellegrini per la Pasqua.
Erano le dodici meno un quarto quando Gesù, giunto sulla cima del Calvario, cadde sotto il peso della croce. Fu, come già detto, la sua settima e ultima caduta. I carnefici lo risollevarono con violenza e gettarono al suolo i pezzi della croce. Che spettacolo pietoso vedere il Signore Gesù in piedi vicino alla sua croce, pallido come un morto e completamente sfigurato!
I miserabili lo gettarono di nuovo a terra ed esclamarono:
«Vieni, gran re, prendiamo le misure per il tuo trono!».
Vidi Gesù stendersi da solo sulla croce per permettere agli aguzzini di prendere le misure per la chiodatura delle sue mani e dei suoi piedi; contemporaneamente i farisei si facevano beffe di lui.
Quando ebbero finito, lo fecero rialzare e lo condussero più in là, vicino a una specie di caverna scavata nella roccia, nella quale ve lo spinsero così brutalmente che si sarebbe spezzato le ginocchia contro la roccia, se non ci fosse stato l'intervento divino. Udii i suoi gemiti di dolore e vidi gli angeli vicino a lui.
I carnefici chiusero la porta della prigione e vi lasciarono a guardia due uomini.
Nel punto più alto del Golgota furono iniziati i preparativi del supplizio. Il luogo delle crocifissioni era un'altura tondeggiante che si elevava circa due piedi dal suolo e vi si accedeva per mezzo di alcuni gradini. In questa specie di piattaforma naturale si preparò la buca per fissarvi dentro la croce di Gesù quando sarebbe stata elevata.
All'estremità dei due tronchi della croce si praticarono i fori per conficcarvi i chiodi. In alto si fissò la tavoletta della sua condanna e in basso uno zoccolo per posarvi i piedi. In mezzo al tronco verticale furono praticate alcune incavature che avrebbero dato spazio alla corona di spine e avrebbero sostenuto il dorso del Signore, in modo che il suo corpo rimanesse sorretto e il peso non gravasse tutto sulle mani.
Dagli scritti della Beata Katerina Emmerick.
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