A proposito dell’immissione in commercio della pillola abortiva Ru486, approvata dall’Agenzia del Farmaco, bisogna dire subito una cosa, e dirla chiaramente: si è realizzata un’alleanza stretta tra gli interessi economici di chi la pillola la produce; la posizione ideologica di chi questa pillola la vuole, come ulteriore passo verso una fantomatica liberazione ed autodeterminazione della donna, e la voglia matta di molti medici abortisti che non vedono l’ora di deresponsabilizzarsi di fronte all’intervento di interruzione della gravidanza.Diciamolo meglio: si è trattato di una vera e propria crociata in favore di una pillola che “non offre particolari vantaggi rispetto all’alternativa chirurgica”, parola di Guido Rasi, Direttore generale dell’Agenzia che ha adottato il provvedimento. La pillola, stando al Rasi, rappresenta solo un’opzione per quelle donne che non possono sopportare un’anestesia.E’ noto come questo piccolo, limitatissimo vantaggio, va a scontrarsi contro una serie di controindicazioni:Questa pillola fa male, come ammette a denti stretti la stessa casa produttrice, e pare che abbia già provocato la morte di 29 donne.Questa pillola contravviene alla stessa legge 194, che vuole che l’aborto venga espletato in ospedale. Rasi sostiene che la Ru846 dovrà essere usata solo all’interno di quanto previsto dalla 194, quindi che la donna non potrà andare a completare l’aborto a casa sua, ma che sarà dimessa dall’ospedale solo ad aborto avvenuto. Ed ammette che “non è un vantaggio dal lato economico”. L’ospedalizzazione costa, e la degenza di almeno quattro giorni sarà a carico dei contribuenti. In altre parole, l’aborto con la pillola costerà allo comunità più dell’aborto chirurgico.Come spiega Assuntina Morresi, “i farmaci che si utilizzano per l’aborto medico – Ru486 e prostaglandina – possono essere teratogeni, cioè causare malformazioni all’embrione che sopravvivesse all’aborto. Poiché la procedura abortiva dura almeno quindici giorni, può succedere – sono fatti già accaduti e documentati – che in questo lungo periodo di tempo la donna ci ripensi, soprattutto quando la procedura fallisce e dopo quindici giorni l’embrione è ancora vivo, e decida di continuare la gravidanza. A quel punto, però, se ci ripensa corre il rischio di avere un figlio malformato. Per evitare questo, l’unica possibilità è ricorrere all’aborto chirurgico”. Un circolo vizioso, come si vede.A fronte di queste indiscutibili verità, fa veramente tristezza la dichiarazione rilasciata dalla cattolica adulta Livia Turco, che si è data molto da fare, al tempo dello sciagurato governo Prodi, per giungere a questo risultato: «Finalmente anche nel nostro paese si rispettano i ruoli della politica che fa la sua parte, e gli organismi tecnico scientifici che fanno la loro. Sono contenta di poter rivendicare di aver dato da ministro della Sanità il mio contributo al raggiungimento di questo risultato. Spero che adesso finisca la crociata contro un farmaco che in realtà era una crociata contro le donne e i medici».E’ evidente, invece, che la crociata l’ha fatta lei e quelli come lei e che l’Italia poteva fare benissimo a meno della pillola Ru486. Di più: con l’immissione in commercio di questa pillola non si fa altro che dare un ulteriore incentivo alla pratica abortiva, sia a livello di cultura e di mentalità diffusa, sia a livello di opportunità pratica. Si sta cercando di far diventare l’aborto un fatto del tutto privato, una questione esclusiva della donna che se la vede da sola col proprio corpo e col proprio feto. Il medico non s’insanguinerà più le mani, si limiterà a prescrivere una pillola. Il resto toccherà alla donna, nella triste solitudine della propria camera.Il vincolare l’utilizzo del farmaco a quanto previsto dalla 194 è solo un modo per aggirare momentaneamente l’ostacolo, pur di introdurre in commercio la pillola. Non ci facciamo illusioni: è sempre la Morresi a ricordare che “in Emilia Romagna l’aborto medico, praticato dal 2005 importando direttamente dalla Francia la Ru486, avviene in regime di day hospital, e dall’ultima relazione al parlamento risulta che solo una donna su 563 è stata ricoverata in regime ordinario, nel 2007, con questa procedura abortiva”. Insomma, sono già quattro anni che in Italia le donne vanno in ospedale solo per assumere la pillola e poi abortiscono a casa loro. Questo perché quella pillola è nata con l’obiettivo di diffondere una specie di “aborto fai da te”. Non si vede perché in Italia debbano aver successo le complicazioni escogitate dall’Aifa.Nessun vantaggio concreto, dunque, anzi, molti svantaggi. Almeno per le donne (che non sono affatto sicure con questo farmaco) e per il contribuente, che continua a finanziare, contro coscienza, un sempre più oneroso ricorso all’aborto. E questo senza nemmeno toccare l’aspetto etico della questione.
Complimenti!
Gianluca Zappa
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