Risposte del Cardinale Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” a certi quesiti
Dal momento che alla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” sono giunte frequenti domande sulle ragioni del Motu Proprio “Summorum Pontificum”, delle quali alcune si fondano sulle prescrizioni del Documento “Quattuor abhinc annos” inviato dalla Congregazione per il Culto Divino ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, il 3 ottobre 1984, il Presidente della stessa Commissione, l’Em.mo Card. Dario Castrillon Hoyos ha ritenuto opportuno dare le seguenti risposte:
Domanda: è lecito riferirsi alla Lettera “Quattuor abhinc annos”, per regolare le questioni attinenti alla celebrazione della Forma straordinaria del Rito Romano, cioè secondo il Messale Romano del 1962?
Risposta: evidentemente no. Poiché, con la pubblicazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum” vengono a decadere le prescrizioni per l’uso del Messale del 1962, precedentemente emanate dalla “Quattuor abhinc annos” e, successivamente, dal Motu Proprio del Servo di Dio Giovanni Paolo II “Ecclesia Dei Adflicta”.
Infatti, lo stesso “Summorum Pontificum”, fin dall’art. 1, afferma esplicitamente che: “le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei” vengono sostituite”. Il Motu Proprio enumera le nuove condizioni.
Quindi non ci si potrà più riferire alle restrizioni stabilite da quei due Documenti, per la celebrazione secondo il Messale del 1962.
Domanda: Quali sono le sostanziali differenze tra l’ultimo Motu Proprio e i due precedenti Documenti attinenti a questa materia?
Risposta: La prima sostanziale differenza è certamente quella che ora è lecito celebrare la Santa Messa secondo il Rito straordinario, senza più il bisogno di un permesso speciale, chiamato “indulto”. Il Santo Padre Benedetto XVI, ha stabilito, una volta per tutte, che il Rito Romano consta di due Forme, alle quali ha voluto dare il nome di “Forma Ordinaria” (la celebrazione del Novus Ordo, secondo il Messale di Paolo VI del 1970) e “Forma Straordinaria” (la celebrazione del Rito gregoriano, secondo il Messale del B. Giovanni XXIII del 1962) e ha confermato che questo Messale del 1962 non è mai stato abrogato. Altra differenza è che nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare l’uno o l’altro Messale (art. 2). Inoltre, nelle Messe senza il popolo o con il popolo, spetta al parroco o al rettore della chiesa, dove si intende celebrare, a dare la licenza a tutti quei sacerdoti che presentano il “Celebret” dato dal proprio Ordinario. Se questi negassero il permesso, il Vescovo, a norma del Motu Proprio, deve provvedere a che sia concesso il permesso (cfr. art. 7).
E’ importante sapere che già una Commissione Cardinalizia “ad hoc”, del 12 dicembre 1986, formata dagli Em.mi Cardinali: Paul Augustin Mayer, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Joseph Ratzinger, William W. Baum, Edouard Gagnon, Alfons Stickler, Antonio Innocenti, era stata creata “per volontà del Santo Padre, allo scopo di esaminare gli eventuali provvedimenti da prendere per ovviare alla constatata inefficacia dell’Indulto Pontificio “Quattuor abhinc annos”( circa il ripristino della cosiddetta ‘S. Messa Tridentina’ nella Chiesa Latina col Messale Romano dell’Edizione tipica del 1962), emanato dalla Congregazione per il Culto Divino con Prot. N. 686/84 del 3 Ottobre 1984”. Questa Commissione aveva proposto al Santo Padre Giovanni Paolo II, già allora, a tale scopo, alcuni sostanziali elementi, che sono stati ripresi nel Motu Proprio “Summorum Pontificum”.
Mi permetto di fare una sintesi del verbale che presenta gli interventi degli Em.mi Cardinali per capire come i Documenti posteriori rispecchiano sostanzialmente la visione che una Commissione cardinalizia così importante ha avuto poco tempo dopo “Quattuor abhinc annos”. Infatti si è affermato che:
- “premura, desiderio e mente del Santo Padre (Giovanni Paolo II) era la promozione della concordia interna nella Chiesa e l'edificazione, per essa, dei fratelli”;
- “ciò andava realizzato anche attraverso la primaria ricomposizione della comunione nella pratica della "lex orandi", qual è la sana attuazione della riforma liturgica, pur nel doveroso rispetto delle legittime esigenze di gruppi minoritari ma, spesso, distinti non solo per piena ortodossia teorica ma anche per autentica esemplarità di pratica di vita cristiana intensamente vissuta e di sincero e devoto attaccamento alla Sede Apostolica”;
- “pertanto, doveva essere impegno di coscienza da parte di tutti: Vescovi, sacerdoti e fedeli, di rimuovere gli arbìtri scandalosi che una mal compresa "creatività" ha prodotto, dando luogo alle cosiddette "Messe selvagge" e ad altre dissacrazioni che hanno ferito molti dei predetti fedeli alienandoli dalla facilità d'accoglimento della riforma liturgica e dei nuovi Libri Rituali, compreso il Messale, erroneamente apparsi, purtroppo, e, proprio per tale inedificante desacralizzazione, quasi come causa di essa”.
Nella stessa Commissione si proponeva che:
- “venisse ribadito, da parte del Dicastero competente, che il Papa voleva la pacificazione interna tra tutti i fedeli delle Chiese locali mediante l'attuazione concreta della concessione da Lui fatta con l'Indulto”;
- “venisse eseguita, da parte dei Vescovi, la volontà del Sommo Pontefice ponendosi spiritualmente in sintonia con le Sue intenzioni”.
- “venisse data risposta adeguata, da parte dei Vescovi, a coloro che volessero scoraggiare l'attuazione dell'Indulto, presentandolo come motivo di divisione anziché di ricomposizione. La risposta doveva essere non polemica ma pastorale, spiegando, con delicatezza e pazienza, la lettera e lo spirito dell'Indulto”.
Inoltre si affermava con autorità che:
- “il vero problema in questione non sembrava essere tanto la conflittualità artificiale che l'Indulto intendeva risolvere, quanto piuttosto quella che era a monte di essa e che ne era stata la vera causa e, cioè, la conflittualità tra la retta attuazione della riforma liturgica ed il tollerato abusivismo prodotto dalla incontrollata fantasia. Quindi, oltre l'Indulto, si richiedeva un intervento di ben altro livello generale da parte della Santa Sede per eliminare il predetto abusivismo deformatore della riforma liturgica conciliare”;
- “l'Indulto, così come si presentava, per un verso, dava l'impressione che la Messa in latino, cosiddetta "Tridentina", fosse una realtà inferiore e di second'ordine, la quale veniva ripristinata solo per tollerante commiserazione di chi la richiedeva e, per altro, dava l'impressione, proprio con tutte le pesanti condizioni che conteneva, che la stessa Santa Sede la considerava tale e che non l'avrebbe concessa se non fosse stata costretta a farlo”;
- “occorreva ribadire e chiarire ai Vescovi la vera volontà del Santo Padre, la quale consisteva, non negativamente, in una concessione di tolleranza, ma, positivamente, in una vera e propria iniziativa pastorale presa non per quietare la reazione agli abusi, ma per ricomporre il dissidio in riconciliazione”.
- “bisognava togliere tutte le condizioni contenute nell'Indulto, per eliminare l'impressione avuta dai Vescovi che la Santa Sede non lo voleva e l'impressione da parte dei fedeli, che chiedessero una cosa quasi mal tollerata dalla Santa Sede”.
Negli interventi degli Em.mi Presuli emergeva che:
- “si era favorevoli alla concessione dell'Indulto a tutti i fedeli e sacerdoti che intendessero servirsene "in aedificationem" e senza strumentalizzazione anticonciliare”;
- “occorreva fare capire ai Vescovi che l'Indulto corrispondeva ad una volontà del Papa da osservare e occorreva di far capire ai fedeli che dovevano chiedere con rispetto l'attuazione della volontà del Papa, cosicché i Vescovi, di fronte a richieste rispettose, non avessero più motivo di rifiutarsi”.
- “bisognerebbe domandarsi se per favorire la riconciliazione, era proprio necessario chiedere il consenso del Vescovo per celebrare la S. Messa in latino”;
- “come atteggiamento generale sarebbe da attenuare la rigorosità delle condizioni limitative dell'Indulto stesso e di eliminare quelle aggiuntive dei Vescovi”;
- “per quanto riguardava la riserva ai Gruppi, poiché l'Indulto fu concepito per essi, bisognava mantenerla, ma iuxta modum, e, cioè, per un verso non intendendo per Gruppi tre o quattro persone e, per l'altro non proibendo che ai Gruppi che hanno preso l'iniziativa, possano, poi, aggiungersi altre persone nella pratica della concessione ottenuta”.
Nella stessa Commissione si faceva presente che:
- “non c’era difficoltà per consentire le letture in lingua volgare”;
- “quanto all'uso facoltativo del Lezionario, c’era qualche riserva, temendo qualche confusione a causa della non perfetta corrispondenza di esso ai calendari dei due Messali, mentre non si vedeva nessuna difficoltà per consentire l'uso dei Prefazi del nuovo Messale”.
- “sarebbero da togliere le condizioni aggiunte dai Vescovi ed anche quelle relative alle chiese non parrocchiali ed ai gruppi contenute nell'Indulto”.
- “premesso che il latino, come espressione di unità non può e non deve scomparire dalla Chiesa, e desiderando i Vescovi più di essere "aiutati" che di essere troppo "rispettati" nelle loro prerogative, occorreva venire loro incontro riducendo la complessa casistica condizionante dell'Indulto a criteri di maggiore semplicità; si poteva così anche eliminare l'impressione che, con quelle condizioni, la S. Sede volesse far capire di aver concesso l'Indulto solo "obtorto collo”. Inoltre, nel far questo, si poteva evidenziare la coerenza evolutiva anche dei provvedimenti pontifici correttivi ovviando a loro contraddittorie contrapposizioni”.
Citando quindi il n. 23 della "Sacrosanctum Concilium" “a proposito dei criteri che devono essere osservati nella conciliazione tra tradizione e progresso nella riforma liturgica, ed il n. 26 dello stesso documento conciliare, a proposito delle norme che devono presiedere a tale riforma, come derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria della liturgia, si proponeva di insistere, nell'eventuale documento di revisione dell'Indulto, sull'oggettività e non sull'arbitrarietà della attuazione della riforma liturgica; ugualmente di far capire come, sia l'uso della lingua latina e sia quello dell'una o dell'altra edizione del Messale Romano, vada considerato nell'ambito di tale logica; di concedere, almeno nelle grandi città, che nei giorni festivi si possa celebrare in ogni chiesa una s. Messa in latino con libera scelta dell’una o dell’altra edizione tipica (1962 o 1980) del Messale Romano”.
- “si è proposto, altresì, di allargare la concessione dell’Indulto anche agli Ordinari, ai Superiori Generali o Provinciali religiosi ed altri”.
- “circa la necessità o meno dell’assenso del Vescovo per la celebrazione della S. Messa in latino, è stato ricordato che Paolo VI ebbe a dire che, per se, il Sacerdote, privatamente, dovrebbe celebrare in latino, in quanto la concessione fatta per l'uso delle lingue volgari è soltanto di ordine pastorale, per consentire ai fedeli di comprendere i contenuti del rito e, così, partecipare meglio”.
- “si è ribadita la necessità di lasciare libera l'opzione dell'uso dell'uno o dell'altro Messale per la celebrazione della S. Messa in latino”.
- “circa il tipo d'intervento si opterebbe per un nuovo documento pontificio (Papale) in cui, facendosi il punto sull'attuale reale situazione della riforma liturgica, si stabilisse chiaramente la citata libertà di scelta fra i due Messali in latino, presentando l'uno come sviluppo e non come contrapposizione dell'altro ed eliminando l'impressione che ogni Messale sia il prodotto temporaneo di ciascuna epoca storica”.
- “riferendosi alle precedenti premure espresse, si è ribadita la necessità di assicurare l'evidenza della logica linearità evolutiva dei documenti della Chiesa e della libera opzione tra i due Messali per la celebrazione della S. Messa e si è proposto di evidenziare che essi non possono essere considerati se non l'uno come sviluppo dell'altro giacché le norme liturgiche, non essendo delle vere e proprie "leggi", non possono essere abrogate ma surrogate: le precedenti nelle successive”.
Di tutto questo si è fatta relazione al Santo Padre.
Dal momento che alla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” sono giunte frequenti domande sulle ragioni del Motu Proprio “Summorum Pontificum”, delle quali alcune si fondano sulle prescrizioni del Documento “Quattuor abhinc annos” inviato dalla Congregazione per il Culto Divino ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, il 3 ottobre 1984, il Presidente della stessa Commissione, l’Em.mo Card. Dario Castrillon Hoyos ha ritenuto opportuno dare le seguenti risposte:
Domanda: è lecito riferirsi alla Lettera “Quattuor abhinc annos”, per regolare le questioni attinenti alla celebrazione della Forma straordinaria del Rito Romano, cioè secondo il Messale Romano del 1962?
Risposta: evidentemente no. Poiché, con la pubblicazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum” vengono a decadere le prescrizioni per l’uso del Messale del 1962, precedentemente emanate dalla “Quattuor abhinc annos” e, successivamente, dal Motu Proprio del Servo di Dio Giovanni Paolo II “Ecclesia Dei Adflicta”.
Infatti, lo stesso “Summorum Pontificum”, fin dall’art. 1, afferma esplicitamente che: “le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei” vengono sostituite”. Il Motu Proprio enumera le nuove condizioni.
Quindi non ci si potrà più riferire alle restrizioni stabilite da quei due Documenti, per la celebrazione secondo il Messale del 1962.
Domanda: Quali sono le sostanziali differenze tra l’ultimo Motu Proprio e i due precedenti Documenti attinenti a questa materia?
Risposta: La prima sostanziale differenza è certamente quella che ora è lecito celebrare la Santa Messa secondo il Rito straordinario, senza più il bisogno di un permesso speciale, chiamato “indulto”. Il Santo Padre Benedetto XVI, ha stabilito, una volta per tutte, che il Rito Romano consta di due Forme, alle quali ha voluto dare il nome di “Forma Ordinaria” (la celebrazione del Novus Ordo, secondo il Messale di Paolo VI del 1970) e “Forma Straordinaria” (la celebrazione del Rito gregoriano, secondo il Messale del B. Giovanni XXIII del 1962) e ha confermato che questo Messale del 1962 non è mai stato abrogato. Altra differenza è che nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare l’uno o l’altro Messale (art. 2). Inoltre, nelle Messe senza il popolo o con il popolo, spetta al parroco o al rettore della chiesa, dove si intende celebrare, a dare la licenza a tutti quei sacerdoti che presentano il “Celebret” dato dal proprio Ordinario. Se questi negassero il permesso, il Vescovo, a norma del Motu Proprio, deve provvedere a che sia concesso il permesso (cfr. art. 7).
E’ importante sapere che già una Commissione Cardinalizia “ad hoc”, del 12 dicembre 1986, formata dagli Em.mi Cardinali: Paul Augustin Mayer, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Joseph Ratzinger, William W. Baum, Edouard Gagnon, Alfons Stickler, Antonio Innocenti, era stata creata “per volontà del Santo Padre, allo scopo di esaminare gli eventuali provvedimenti da prendere per ovviare alla constatata inefficacia dell’Indulto Pontificio “Quattuor abhinc annos”( circa il ripristino della cosiddetta ‘S. Messa Tridentina’ nella Chiesa Latina col Messale Romano dell’Edizione tipica del 1962), emanato dalla Congregazione per il Culto Divino con Prot. N. 686/84 del 3 Ottobre 1984”. Questa Commissione aveva proposto al Santo Padre Giovanni Paolo II, già allora, a tale scopo, alcuni sostanziali elementi, che sono stati ripresi nel Motu Proprio “Summorum Pontificum”.
Mi permetto di fare una sintesi del verbale che presenta gli interventi degli Em.mi Cardinali per capire come i Documenti posteriori rispecchiano sostanzialmente la visione che una Commissione cardinalizia così importante ha avuto poco tempo dopo “Quattuor abhinc annos”. Infatti si è affermato che:
- “premura, desiderio e mente del Santo Padre (Giovanni Paolo II) era la promozione della concordia interna nella Chiesa e l'edificazione, per essa, dei fratelli”;
- “ciò andava realizzato anche attraverso la primaria ricomposizione della comunione nella pratica della "lex orandi", qual è la sana attuazione della riforma liturgica, pur nel doveroso rispetto delle legittime esigenze di gruppi minoritari ma, spesso, distinti non solo per piena ortodossia teorica ma anche per autentica esemplarità di pratica di vita cristiana intensamente vissuta e di sincero e devoto attaccamento alla Sede Apostolica”;
- “pertanto, doveva essere impegno di coscienza da parte di tutti: Vescovi, sacerdoti e fedeli, di rimuovere gli arbìtri scandalosi che una mal compresa "creatività" ha prodotto, dando luogo alle cosiddette "Messe selvagge" e ad altre dissacrazioni che hanno ferito molti dei predetti fedeli alienandoli dalla facilità d'accoglimento della riforma liturgica e dei nuovi Libri Rituali, compreso il Messale, erroneamente apparsi, purtroppo, e, proprio per tale inedificante desacralizzazione, quasi come causa di essa”.
Nella stessa Commissione si proponeva che:
- “venisse ribadito, da parte del Dicastero competente, che il Papa voleva la pacificazione interna tra tutti i fedeli delle Chiese locali mediante l'attuazione concreta della concessione da Lui fatta con l'Indulto”;
- “venisse eseguita, da parte dei Vescovi, la volontà del Sommo Pontefice ponendosi spiritualmente in sintonia con le Sue intenzioni”.
- “venisse data risposta adeguata, da parte dei Vescovi, a coloro che volessero scoraggiare l'attuazione dell'Indulto, presentandolo come motivo di divisione anziché di ricomposizione. La risposta doveva essere non polemica ma pastorale, spiegando, con delicatezza e pazienza, la lettera e lo spirito dell'Indulto”.
Inoltre si affermava con autorità che:
- “il vero problema in questione non sembrava essere tanto la conflittualità artificiale che l'Indulto intendeva risolvere, quanto piuttosto quella che era a monte di essa e che ne era stata la vera causa e, cioè, la conflittualità tra la retta attuazione della riforma liturgica ed il tollerato abusivismo prodotto dalla incontrollata fantasia. Quindi, oltre l'Indulto, si richiedeva un intervento di ben altro livello generale da parte della Santa Sede per eliminare il predetto abusivismo deformatore della riforma liturgica conciliare”;
- “l'Indulto, così come si presentava, per un verso, dava l'impressione che la Messa in latino, cosiddetta "Tridentina", fosse una realtà inferiore e di second'ordine, la quale veniva ripristinata solo per tollerante commiserazione di chi la richiedeva e, per altro, dava l'impressione, proprio con tutte le pesanti condizioni che conteneva, che la stessa Santa Sede la considerava tale e che non l'avrebbe concessa se non fosse stata costretta a farlo”;
- “occorreva ribadire e chiarire ai Vescovi la vera volontà del Santo Padre, la quale consisteva, non negativamente, in una concessione di tolleranza, ma, positivamente, in una vera e propria iniziativa pastorale presa non per quietare la reazione agli abusi, ma per ricomporre il dissidio in riconciliazione”.
- “bisognava togliere tutte le condizioni contenute nell'Indulto, per eliminare l'impressione avuta dai Vescovi che la Santa Sede non lo voleva e l'impressione da parte dei fedeli, che chiedessero una cosa quasi mal tollerata dalla Santa Sede”.
Negli interventi degli Em.mi Presuli emergeva che:
- “si era favorevoli alla concessione dell'Indulto a tutti i fedeli e sacerdoti che intendessero servirsene "in aedificationem" e senza strumentalizzazione anticonciliare”;
- “occorreva fare capire ai Vescovi che l'Indulto corrispondeva ad una volontà del Papa da osservare e occorreva di far capire ai fedeli che dovevano chiedere con rispetto l'attuazione della volontà del Papa, cosicché i Vescovi, di fronte a richieste rispettose, non avessero più motivo di rifiutarsi”.
- “bisognerebbe domandarsi se per favorire la riconciliazione, era proprio necessario chiedere il consenso del Vescovo per celebrare la S. Messa in latino”;
- “come atteggiamento generale sarebbe da attenuare la rigorosità delle condizioni limitative dell'Indulto stesso e di eliminare quelle aggiuntive dei Vescovi”;
- “per quanto riguardava la riserva ai Gruppi, poiché l'Indulto fu concepito per essi, bisognava mantenerla, ma iuxta modum, e, cioè, per un verso non intendendo per Gruppi tre o quattro persone e, per l'altro non proibendo che ai Gruppi che hanno preso l'iniziativa, possano, poi, aggiungersi altre persone nella pratica della concessione ottenuta”.
Nella stessa Commissione si faceva presente che:
- “non c’era difficoltà per consentire le letture in lingua volgare”;
- “quanto all'uso facoltativo del Lezionario, c’era qualche riserva, temendo qualche confusione a causa della non perfetta corrispondenza di esso ai calendari dei due Messali, mentre non si vedeva nessuna difficoltà per consentire l'uso dei Prefazi del nuovo Messale”.
- “sarebbero da togliere le condizioni aggiunte dai Vescovi ed anche quelle relative alle chiese non parrocchiali ed ai gruppi contenute nell'Indulto”.
- “premesso che il latino, come espressione di unità non può e non deve scomparire dalla Chiesa, e desiderando i Vescovi più di essere "aiutati" che di essere troppo "rispettati" nelle loro prerogative, occorreva venire loro incontro riducendo la complessa casistica condizionante dell'Indulto a criteri di maggiore semplicità; si poteva così anche eliminare l'impressione che, con quelle condizioni, la S. Sede volesse far capire di aver concesso l'Indulto solo "obtorto collo”. Inoltre, nel far questo, si poteva evidenziare la coerenza evolutiva anche dei provvedimenti pontifici correttivi ovviando a loro contraddittorie contrapposizioni”.
Citando quindi il n. 23 della "Sacrosanctum Concilium" “a proposito dei criteri che devono essere osservati nella conciliazione tra tradizione e progresso nella riforma liturgica, ed il n. 26 dello stesso documento conciliare, a proposito delle norme che devono presiedere a tale riforma, come derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria della liturgia, si proponeva di insistere, nell'eventuale documento di revisione dell'Indulto, sull'oggettività e non sull'arbitrarietà della attuazione della riforma liturgica; ugualmente di far capire come, sia l'uso della lingua latina e sia quello dell'una o dell'altra edizione del Messale Romano, vada considerato nell'ambito di tale logica; di concedere, almeno nelle grandi città, che nei giorni festivi si possa celebrare in ogni chiesa una s. Messa in latino con libera scelta dell’una o dell’altra edizione tipica (1962 o 1980) del Messale Romano”.
- “si è proposto, altresì, di allargare la concessione dell’Indulto anche agli Ordinari, ai Superiori Generali o Provinciali religiosi ed altri”.
- “circa la necessità o meno dell’assenso del Vescovo per la celebrazione della S. Messa in latino, è stato ricordato che Paolo VI ebbe a dire che, per se, il Sacerdote, privatamente, dovrebbe celebrare in latino, in quanto la concessione fatta per l'uso delle lingue volgari è soltanto di ordine pastorale, per consentire ai fedeli di comprendere i contenuti del rito e, così, partecipare meglio”.
- “si è ribadita la necessità di lasciare libera l'opzione dell'uso dell'uno o dell'altro Messale per la celebrazione della S. Messa in latino”.
- “circa il tipo d'intervento si opterebbe per un nuovo documento pontificio (Papale) in cui, facendosi il punto sull'attuale reale situazione della riforma liturgica, si stabilisse chiaramente la citata libertà di scelta fra i due Messali in latino, presentando l'uno come sviluppo e non come contrapposizione dell'altro ed eliminando l'impressione che ogni Messale sia il prodotto temporaneo di ciascuna epoca storica”.
- “riferendosi alle precedenti premure espresse, si è ribadita la necessità di assicurare l'evidenza della logica linearità evolutiva dei documenti della Chiesa e della libera opzione tra i due Messali per la celebrazione della S. Messa e si è proposto di evidenziare che essi non possono essere considerati se non l'uno come sviluppo dell'altro giacché le norme liturgiche, non essendo delle vere e proprie "leggi", non possono essere abrogate ma surrogate: le precedenti nelle successive”.
Di tutto questo si è fatta relazione al Santo Padre.
(fonte: Ecclesia Dei)
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