(Benedetto XVI - Incontro del Santo Padre con i parroci e il clero della Diocesi di Roma - 22 Febbraio 2007)
per un arte "autenticamente" cristiana
INTERVISTA SULL'APPELLO AL PAPA
di Guido Horst
1. Ci potrebbe spiegare un po’ la storia di questo appello a Sua Santità…
L’appello nasce a seguito di una lunga fase di gestazione e da una serie di coincidenze certamente “provvidenziali”. Nel novembre del 2008 a Cosenza un giovane editore, Manuel Grillo, ha organizzato un Convegno su “Arte Bellezza e Magistero della Chiesa”. A marzo del 2009 nasce il progetto del mio sito sugli esempi terribili di arte e architettura sacra della contemporaneità (Fides et Forma). Intanto a Roma si chiude con un grande successo la II edizione del Master in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Questo insieme di positive circostanze, fiorite indipendentemente fra di loro, ha portato frutto nell’esperienza dell’Appello, la cui idea primordiale si affacciò nel corso di un Seminario tenuto presso la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa il 23 giugno scorso.
Qui erano presenti numerosi dei futuri membri del “comitato promotore” dell’Appello, uniti ad alcuni ecclesiastici che hanno condiviso e caldeggiato l’idea. D’altra parte, nonostante l’interesse di una parte del mondo clericale, c’è stato un momento in cui si è corso il rischio di trasformare l’Appello in una sorta di “strumento curiale” interno alle politiche vaticane.
Perciò assieme agli “amici” laici con cui abbiamo dato vita a questa splendida idea, si è deciso di procedere in maniera indipendente e non strumentalizzabile. L’Appello non nasce quindi per l’interesse di qualcuno o per far “manovre” all’interno delle mura leoniane. E’ semplicemente un atto di amore per il nostro grande Papa, per la Chiesa tutta e per la ricchezza spirituale di secoli d’arte e architettura sacra che nutrono ancora le nostre anime mettendole in comunicazione con il Signore. Amicizia, fede, amore per Cristo, la Sua Chiesa, il Suo Vicario in terra: ecco, in sintesi, le ragioni del nostro Appello.
2. Il papa ha letto l’appello? Ci sono reazioni nel vaticano?
Ispirandomi al gesto dei monaci di Solesmes che nell’ottocento grazie ai servigi del Card. Pitra riuscirono a far pervenire a Papa Leone XIII le loro pubblicazioni che hanno sancito la rinascita del Gregoriano, anch’io ho voluto porre nelle sante mani di uno straordinario Cardinale, l’Appello, affinché potesse esser letto dal Sommo Pontefice. Così, qualche giorno dopo la pubblicazione dell’Appello ho ricevuto una comunicazione dalla Segreteria di Stato nella quale mi si manifestava l’apprezzamento di Sua Santità per l’Appello ed i suoi contenuti. E’ stato un momento di grande commozione e non ho potuto trattenere le lacrime alla lettura di questa lettera molto bella e preziosa…
3. Paolo VI fece un’incontro con gli artisti. Dieci anni fa Giovanni Paolo II ha scritto una lettera al mondo dell’arte. Adesso Benedetto XVI ha ricevuto di nuovo artisti “di ogni colore”… Si tratta del concetto del dialogo, promosso anche dal Pontificio Consiglio per la Cultura e il suo presidente, mons. Gianfranco Ravasi. Ma Lei vede la Chiesa come qualcuno che commissiona l’arte sacra e l’architettura sacra e la musica sacra, e deve stabilire certe regole. Questo è il concetto della committenza. Due concetti diversi… e anche opposti?
Un dialogo con l’ “arte di oggi” non è in opposizione alla rivalutazione del ruolo della committenza ecclesiastica. Anzi, il progetto di Mons. Ravasi è proprio quello di trasformare la Chiesa in committente di opere d’arte contemporanea di autori atei ed astrattisti quali Anish Kapoor, Jannis Kounellis o Arnaldo Pomodoro…
Il paradosso è che la Chiesa oggi si farebbe committente di un’arte che non nasce dalla Sua spiritualità e dalla conoscenza approfondita del Cristianesimo e non è neppure al servizio della Liturgia e della vita cristiana, ma è pura espressione di narcisistico mecenatismo (si veda il progetto di un padiglione del Vaticano alla prossima Biennale di Venezia). Piuttosto, la Chiesa diventerebbe committente di un’arte nata dall’opposizione del mondo contemporaneo alla tradizione ed alle forme del passato, dunque un’arte potentemente anticristiana!
Papa Pio X ricordava nell’enciclica Iucunda Sane del 1904 come le arti si siano sviluppate grazie alla Chiesa ed alla naturale tensione spirituale dell’uomo. Ora, la Chiesa vive non solo nello spazio, ma anche nel tempo: di qui discende il senso della tradizione. Tradizione non vuol dire fossilizzarsi sul passato, ma mutare naturalmente senza mai rinnegare il passato, bensì attualizzandolo nel presente. Quindi non si tratta di rompere con la tradizione delle forme del passato, come ha fatto una certa arte contemporanea. La Chiesa non vive di rotture ma di continuità. Perciò il discorso dovrebbe essere approfondito e non restare alla superficie di una mera definizione di stampo marxista del rapporto fra arte, committente e artista. Sembra invece che oggi, a scapito dei continui ammonimenti di Papa Benedetto, una parte della Chiesa sposi apertamente logiche commerciali ed affaristiche completamente mondane, dimenticando che la Chiesa non è al servizio dell’arte, ma esattamente il contrario.
4. Per Lei, lo “status quo” dell’arte sacra è anche una conseguenza dello “status quo” della teologia di oggi?
Certamente. Una società “desacralizzata” per usare le parole di Paolo VI e di Benedetto XVI si esprime attraverso un’arte completamente intramondana, incapace di elevarsi verso il Cielo. Ma anche incapace di rappresentare il mondo con la gioia cristiana della creatura che contempla nella vita il suo Creatore. Voglio dire che l’arte di oggi è puro esercizio retorico come nel tardo impero romano. Esercizio retorico venato di gnosi, ovvero di disprezzo per le forme naturali e per il creato. Perciò i corpi non possono essere rappresentati e ovunque regna un astrattismo deforme (che al massimo riesce ad accettare la bidimensionalità dell’icona orientale reinterpretata in chiave astrattista) ed un pensiero nichilista espresso attraverso ciò che dovrebbe essere interessante oggetto di studi psicanalitici più che vera “arte”. Negare l’Incarnazione di Cristo - come accade attraverso le nuove opere d’arte sacra incapaci di rispettare le forme corporee - , o negare la Presenza Reale nell’Eucaristia - come accade eliminando i tabernacoli dal centro delle chiese e mettendoli nel “retrobottega”- : questi sono gli esiti di una grave confusione teologica, dominante da almeno quarant’anni.
5. Perché tante chiese moderne – anche in Italia, anche a Roma – sono così brutte?
Perché manca la capacità di “orientare” le chiese a Cristo. Le si orienta all’uomo, all’architetto, alla funzionalità, alle esigenze materiali, mai al vero Centro, al Padrone di Casa – come amo definirLo -. Il vero scopo dell’architettura e dell’arte sacra è quello di favorire l’adorazione del Signore e servire la Liturgia. Non certo servire la funzionalità di una “cena comunitaria” fra uomini! Chiaramente, se si rinuncia alla tradizione, alla storia, ai fondamenti teologici, all’adorazione, alla fede essenziale nella Presenza Reale di Cristo. Se si desacralizza l’ambiente trasformandolo in un banale luogo del quotidiano, le chiese continueranno ad essere sempre più brutte. E ciò indipendentemente dal nome grande o piccolo dell’architetto!
6. Esiste una certa regola, forse anche una dottrina sul modo in cui costruire le chiese?
Esistono in Italia alcune norme della Conferenza Episcopale del 1993. Norme in parte obsolete e superate da pronunciamenti della Congregazione per il Culto Divino. Normalmente sacerdoti ed architetti le leggono come se si trattasse della Bibbia, attenendosi scrupolosamente e farisaicamente al loro dettato. Eppure sappiamo bene che il Concilio non ha mai detto che le chiese debbano essere tonde o ovali ed avere l’altare al centro (come affermano tali norme)! Né tantomeno che il tabernacolo debba stare in un angolo, come un soprammobile inutile…
Purtroppo, anche in nome delle devastanti “norme per l’adeguamento liturgico della CEI” del 1996, sono stati compiuti atti di vero e proprio vandalismo in numerose chiese italiane. Ovunque sono stati distrutti altari seicenteschi e settecenteschi. Eliminate pale d’altare, abbattute balaustre… Tesori d’immane valore, testimoni silenziosi della fede autentica, popolare e tutta concentrata sull’adorazione, sono andati perduti in nome di una furia iconoclasta senza paragoni. Oggi, a 2 anni dal Motu Proprio Summorum Pontificum, queste norme sono ancora in vigore! Nonostante in tutte le chiese sia opportuno poter celebrare “ad orientem”. Detto ciò, credo che il miglior manuale per la costruzione di una chiesa resti l’Introduzione allo Spirito della Liturgia di Joseph Ratzinger. Assieme alle Instructiones Fabricae di San Carlo Borromeo rappresentano due testi fondamentali che dovrebbero essere nelle mani di tutti coloro che si cimentano con la costruzione di nuove chiese.
7. Un’artista, che non è un credente, può creare una chiesa o un’opera d’arte per una chiesa o la liturgia e il culto?
Certamente si. Purché egli sia informato sui fondamenti della vita cristiana e sulle Verità della Fede. Io, ad esempio, non conosco il tedesco, se non scolasticamente. Potrei mai mettermi a scrivere poesie in una lingua che mi è ignota? Così anche un induista potrebbe costruire chiese, purché egli abbia conoscenza della “lingua” della Fede, della sua grammatica e della sua sintassi…
Tuttavia sarebbe preferibile che gli architetti e gli artisti che fanno arte e architettura sacra siano cattolici e credenti. In latino c’è il detto: ne sutor supra crepidam… il calzolaio non giudichi al di là delle scarpe. Così certe opere andrebbero realizzate da chi possiede l’esperienza, l’arte nel senso greco di “techne”, abilità materiale e sapienza tradizionale e spirituale.
D’altronde le chiese non le hanno mai costruite i soli architetti, ma i fedeli tutti. Le chiese sono opere comunitarie, non vuoti intellettualismi di una casta di privilegiati. Perciò spesso le comunità locali andrebbero interpellate quando si vuol realizzare nuove chiese.
8. Quando io vado a messa in Italia, trovo quasi sempre delle cartelle fotocopiate con alcuni canti diciamo allegri-piatti-popolari… Ma che fine ha fatto la polifonia e il canto gregoriano?
Il Gregoriano assieme a secoli di musica sacra sono semplicemente scomparsi. Sono scomparsi perché una certa mentalità diffusa tra sacerdoti, catechisti e animatori parrocchiali pensa che inserendo musichette melense o canzoni rock e pop si possa invogliare i fedeli a partecipare alla messa… Inutili svendite della nostra ricchezza culturale! Basta andare in Grecia il venerdì santo per sentir cantare il “Glikì mou Ear” o la notte di Pasqua il magnifico “Christòs Anèsti”, per capire che in secoli e secoli di tradizione cristiana lì nulla è cambiato, nemmeno il numero di fedeli che partecipano alla Santa Messa.
La musica è l’arte più “pericolosa”, diceva Platone, perché essa può facilmente modificare i sentimenti umani. Così il Magistero è sempre stato attento alla salvaguardia della buona musica polifonica e del canto gregoriano. Purtroppo però l’interesse di alcuni e la mentalità dominante ha negato e continua a negare a tante generazioni di cristiani l’accesso a capolavori che se non ascoltati svaniscono nel nulla. Bisognerebbe diffondere la cultura della vera musica sacra, favorire concerti e sensibilizzare i fedeli. La bellezza infatti unisce tutti in un’unica comunità, purché la si renda accessibile e viva!
9. Ma sul serio: un appello al papa, pubblicato in internet, può cambiare qualcosa?
Un Appello pubblicato su internet può cambiare tante cose! Ricordiamo a questo proposito il famoso Appeal to Preserve Mass Sent to Vatican, pubblicato sul Times il 6 luglio 1971 e recante le firme di soli 57 sottoscrittori. L’Appello fu recepito da Papa Montini che il 5 novembre 1971 concesse all’Inghilterra e al Galles il cosiddetto “Indulto di Agatha Christie”, dal nome di una sua illustre firmataria. Ebbene, il nostro Appello ha oggi raggiunto più di 1600 sottoscrizioni. Chissà quanti bei cambiamenti dovremo attenderci!
10. In che senso la chiesa di Roma, il papa e la curia romana, possono dare un impulso per la rinascita di una musica e arte sacra nel senso pieno della parola?
Basta poco. È un po’ come in quel racconto di Edgar Allan Poe nel quale l’oggetto che può risolvere la storia è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno sembra accorgersene. Così oggi la Chiesa possiede migliaia di artisti, architetti, artigiani pronti a servirla con amore ed in linea con la sua millenaria tradizione. Ha un esercito di coristi, organisti, musicisti, pronti a far rifiorire il gregoriano, la polifonia, la musica organistica approvate dal Magistero. Ed ha milioni e milioni di fedeli che hanno bisogno di incontrare il Signore, che lo cercano e spesso non lo trovano nelle spoglie e squallide chiese contemporanee. Quindi la Chiesa non ha che da ascoltare questo “sensus communis”, non ha che da rimboccarsi le maniche per recuperare il suo ruolo di protagonista dell’arte e dell’architettura sacra, non di gregaria di arti e architettura profane ed atee. Così non serve a nulla radunare artisti analfabeti della fede, ed organizzare happenings in Vaticano. Basta rivolgersi a quegli umili e semplici servitori della Chiesa che creano l’arte autenticamente cattolica, un’arte capace di illuminare tutti i fedeli portando sulla terra un lembo della raggiante bellezza del volto di Cristo.
(fonte: Fides et Forma)
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